Capitolo IX.
1. Da tutte le tre sopra notate condizioni, che convegnono concorrere acciò che sia nel beneficio la pronta liberalitade, era lo comento latino [lontano], e lo volgare è con quelle, sì come si può manifestamente così contare. 2. Non avrebbe lo latino così servito a molti: chè se noi reducemo a memoria quello che di sovra è ragionato, li litterati fuori di lingua italica non averebbono potuto avere questo servigio, e quelli di questa lingua, se noi volemo bene vedere chi sono, troveremo che de' mille l'uno ragionevolmente non sarebbe stato servito; però che non l'averebbero ricevuto, tanto sono pronti ad avarizia che da ogni nobilitade d'animo li rimuove, la quale massimamente desidera questo cibo. 3. E a vituperio di loro dico che non si deono chiamare litterati, però che non acquistano la lettera per lo suo uso, ma in quanto per quella guadagnano denari o dignitate; sì come non si dee chiamare citarista chi tiene la cetera in casa per prestarla per prezzo, e non per usarla per sonare. 4. Tornando dunque al principale proposito, dico che manifestamente si può vedere come lo latino averebbe a pochi dato lo suo beneficio, ma lo volgare servirà veramente a molti. 5. Chè la bontà de l'animo, la quale questo servigio attende, è in coloro che per malvagia disusanza del mondo hanno lasciata la litteratura a coloro che l'hanno fatta di donna meretrice; e questi nobili sono principi, baroni, cavalieri, e molt'altra nobile gente, non solamente maschi ma femmine, che sono molti e molte in questa lingua, volgari e non litterati.
6. Ancora, non sarebbe lo latino stato datore d'utile dono, che sarà lo volgare. Però che nulla cosa è utile, se non in quanto è usata, nè è la sua bontade in potenza, che non è essere perfettamente; sì come l'oro, le margarite e li altri tesori che sono sotterrati...; però che quelli che sono a mano de l'avaro sono in più basso loco che non è la terra là dove lo tesoro è nascosto. 7. Lo dono veramente di questo comento è la sentenza de le canzoni a le quali fatto è, la qual massimamente intende inducere li uomini a scienza e a vertù, sì come si vedrà per lo pelago del loro trattato. 8. Questa sentenza non possono non avere in uso quelli ne li quali vera nobilità è seminata per lo modo che si dirà nel quarto trattato; e questi sono quasi tutti volgari, sì come sono quelli nobili che di sopra, in questo capitolo, sono nominati. 9. E non ha contradizione perchè alcuno litterato sia di quelli; chè, sì come dice il mio maestro Aristotile nel primo de l'Etica, «una rondine non fa primavera». È adunque manifesto che lo volgare darà cosa utile, e lo latino non l'averebbe data.
10. Ancora, darà lo volgare dono non dimandato, che non l'averebbe dato lo latino: però che darà se medesimo per comento, che mai non fu domandato da persona; e questo non si può dire de lo latino, che per comento e per chiose a molte scritture è già stato domandato, sì come ne' loro principii si può vedere apertamente in molte. 11. E così è manifesto che pronta liberalitade mi mosse al volgare anzi che a lo latino.
Capitolo X.
1. Grande vuole essere la scusa, quando a così nobile convivio per le sue vivande, a così onorevole per li suoi convitati, s'appone pane di biado e non di frumento; e vuole essere evidente ragione che partire faccia l'uomo da quello che per li altri è stato servato lungamente, sì come di comentare con latino. 2. E però vuole essere manifesta la ragione, che de le nuove cose lo fine non è certo; acciò che la esperienza non è mai avuta onde le cose usate e servate sono e nel processo e nel fine commisurate. 3. Però si mosse la Ragione a comandare che l'uomo avesse diligente riguardo ad entrare nel nuovo cammino, dicendo che 'ne lo statuire le nuove cose evidente ragione dee essere quella che partire ne faccia da quello che lungamente è usato'. 4. Non si maravigli dunque alcuno se lunga è la digressione de la mia scusa, ma, sì come necessaria, la sua lunghezza paziente sostenga. 5. La quale proseguendo, dico che - poi ch'è manifesto come per cessare disconvenevole disordinazione e come per prontezza di liberalitade io mi mossi al volgare comento e lasciai lo latino - l'ordine de la intera scusa vuole ch'io mostri come a ciò mi mossi per lo naturale amore de la propria loquela; che è la terza e l'ultima ragione che a ciò mi mosse. 6. Dico che lo naturale amore principalmente muove l'amatore a tre cose: l'una si è a magnificare l'amato; l'altra è ad esser geloso di quello; l'altra è a difendere lui, sì come ciascuno può vedere continuamente avvenire. E queste tre cose mi fecero prendere lui, cioè lo nostro volgare, lo qual naturalmente e accidentalmente amo e ho amato. 7. Mossimi prima per magnificare lui. E che in ciò io lo magnifico, per questa ragione vedere si può; avvegna che per molte condizioni di grandezze le cose si possono magnificare, cioè fare grandi, e nulla fa tanto grande quanto la grandezza de la propia bontade, la quale è madre e conservatrice de l'altre grandezze; 8. onde nulla grandezza puote avere l'uomo maggiore che quella de la virtuosa operazione, che è sua propia bontade, per la quale le grandezze de le vere dignitadi, de li veri onori, de le vere potenze, de le vere ricchezze, de li veri amici, de la vera e chiara fama, e acquistate e conservate sono: 9. e questa grandezza do io a questo amico, in quanto quello elli di bontade avea in podere e occulto, io lo fo avere in atto e palese ne la sua propria operazione, che è manifestare conceputa sentenza.
10. Mossimi secondamente per gelosia di lui. La gelosia de l'amico fa l'uomo sollicito a lunga provedenza. Onde pensando che lo desiderio d'intendere queste canzoni, a alcuno illitterato avrebbe fatto lo comento latino transmutare in volgare, e temendo che 'l volgare non fosse stato posto per alcuno che l'avesse laido fatto parere, come fece quelli che transmutò lo latino de l'Etica - ciò fu Taddeo ipocratista -, providi a ponere lui, fidandomi di me di più che d'un altro. 11. Mossimi ancora per difendere lui da molti suoi accusatori, li quali dispregiano esso e commendano li altri, massimamente quello di lingua d'oco, dicendo che è più bello e migliore quello che questo; partendose in ciò da la veritade. 12. Chè per questo comento la gran bontade del volgare di sì [si vedrà]; però che si vedrà la sua vertù, sì com'è per esso altissimi e novissimi concetti convenevolmente, sufficientemente e acconciamente, quasi come per esso latino, manifestare; [la quale non si potea bene manifestare] ne le cose rimate, per le accidentali adornezze che quivi sono connesse, cioè la rima e lo ri[tim]o e lo numero regolato: sì come non si può bene manifestare la bellezza d'una donna, quando li adornamenti de l'azzimare e de le vestimenta la fanno più ammirare che essa medesima. 13. Onde chi vuole ben giudicare d'una donna, guardi quella quando solo sua naturale bellezza si sta con lei, da tutto accidentale adornamento discompagnata: sì come sarà questo comento, nel quale si vedrà l'agevolezza de le sue sillabe, le proprietadi de le sue co[stru]zioni e le soavi orazioni che di lui si fanno; le quali chi bene agguarderà, vedrà essere piene di dolcissima e d'amabilissima bellezza. 14. Ma però che virtuosissimo è ne la 'ntenzione mostrare lo difetto e la malizia de lo accusatore, dirò, a confusione di coloro che accusano la italica loquela, perchè a ciò fare si muovono; e di ciò farò al presente speziale capitolo, perchè più notevole sia la loro infamia.
Capitolo XI.
1. A perpetuale infamia e depressione de li malvagi uomini d'Italia che commendano lo volgare altrui e lo loro proprio dispregiano, dico che la loro mossa viene da cinque abominevoli cagioni. 2. La prima è cechitade di discrezione; la seconda, maliziata escusazione; la terza, cupidità di vanagloria; la quarta, argomento d'invidia; la quinta e ultima, viltà d'animo, cioè pusillanimità. E ciascuna di queste retadi ha sì grande setta, che pochi sono quelli che siano da esse liberi.
3. De la prima si può così ragionare. Sì come la parte sensitiva de l'anima ha suoi occhi, con li quali apprende la differenza de le cose in quanto elle sono di fuori colorate, così la parte razionale ha suo occhio, con lo quale apprende la differenza de le cose in quanto sono ad alcuno fine ordinate: e questa è la discrezione. 4. E sì come colui che è cieco de li occhi sensibili va sempre secondo che li altri [il guidano, o] male [o] bene, così colui che è cieco del lume della discrezione sempre va nel suo giudicio secondo il grido, o diritto o falso; onde qualunque ora lo guidatore è cieco, conviene che esso e quello, anche cieco, ch'a lui s'appoggia, vegnano a mal fine. Però è scritto che «'l cieco al cieco farà guida, e così cadranno ambedue ne la fossa». 5. Questa grida è stata lungamente contro a nostro volgare, per le ragioni che di sotto si ragioneranno, appresso di questa. E li ciechi sopra notati, che sono quasi infiniti, con la mano in su la spalla a questi mentitori, sono caduti ne la fossa de la falsa oppinione, de la quale uscire non sanno. 6. De l'abito di questa luce discretiva massimamente le populari persone sono orbate; però che, occupate dal principio de la loro vita ad alcuno mestiere, dirizzano sì l'animo loro a quello per forza de la necessitate, che ad altro non intendono. 7. E però che l'abito di vertude, sì morale come intellettuale, subitamente avere non si può, ma conviene che per usanza s'acquisti, ed ellino la loro usanza pongono in alcuna arte e a discernere l'altre cose non curano, impossibile è a loro discrezione avere. 8. Per che incontra che molte volte gridano Viva la loro morte, e Muoia la loro vita, pur che alcuno cominci; e quest'è pericolosissimo difetto ne la loro cechitade. Onde Boezio giudica la populare gloria vana, perchè la vede sanza discrezione. 9. Questi sono da chiamare pecore, e non uomini; chè se una pecora si gittasse da una ripa di mille passi, tutte l'altre l'andrebbero dietro; e se una pecora per alcuna cagione al passare d'una strada salta, tutte l'altre saltano, eziandio nulla veggendo da saltare. 10. E io ne vidi già molte in uno pozzo saltare per una che dentro vi saltò, forse credendo saltare uno muro, non ostante che 'l pastore, piangendo e gridando, con le braccia e col petto dinanzi a esse si parava.
11. La seconda setta contra nostro volgare si fa per una maliziata scusa. Molti sono che amano più d'essere tenuti maestri che d'essere, e per fuggir lo contrario, cioè di non esser tenuti, sempre danno colpa a la materia de l'arte apparecchiata, o vero a lo strumento; sì come lo mal fabbro biasima lo ferro appresentato a lui, e lo malo citarista biasima la cetera, credendo dare la colpa del mal coltello e del mal sonare al ferro e alla cetera, e levarla a sè. 12. Così sono alquanti, e non pochi, che vogliono che l'uomo li tegna dicitori; e per scusarsi dal non dire o dal dire male accusano e incolpano la materia, cioè lo volgare proprio, e commendano l'altro lo quale non è loro richesto di fabbricare. 13. E chi vuole vedere come questo ferro è da biasimare, guardi che opere ne fanno li buoni artefici, e conoscerà la malizia di costoro che, biasimando lui, s[è] credono scusare. 14. Contra questi cotali grida Tullio nel principio d'un suo libro che si chiama Libro di Fine de' Beni, però che al suo tempo biasimavano lo latino romano e commendavano la gramatica greca per simiglianti cagioni che questi fanno vile lo parlare italico e prezioso quello di Provenza.
15. La terza setta contra nostro volgare si fa per cupiditate di vanagloria. Sono molti che per ritrarre cose poste in altrui lingua e commendare quella, credono più essere ammirati che ritraendo quelle de la sua. E sanza dubbio non è sanza loda d'ingegno apprendere bene la lingua strana; ma biasimevole è commendare quella oltre a la verità, per farsi glorioso di tale acquisto.
16. La quarta si fa da uno argomento d'invidia. Sì come è detto di sopra, la invidia è sempre dove è alcuna paritade. Intra li uomini d'una lingua è la paritade del volgare; e perchè l'uno quella non sa usare come l'altro, nasce invidia. 17. Lo invidioso poi argomenta, non biasimando colui che dice di non saper dire, ma biasima quello che è materia de la sua opera, per torre, dispregiando l'opera da quella parte, a lui che dice onore e fama; sì come colui che biasimasse lo ferro d'una spada, non per biasimo dare al ferro, ma a tutta l'opera del maestro.
18. La quinta e ultima setta si muove da viltà d'animo. Sempre lo magnanimo si magnifica in suo cuore, e così lo pusillanimo, per contrario, sempre si tiene meno che non è. 19. E perchè magnificare e parvificare sempre hanno rispetto ad alcuna cosa per comparazione a la quale si fa lo magnanimo grande e lo pusillanimo piccolo, avviene che 'l magnanimo sempre fa minori li altri che non sono, e lo pusillanimo sempre maggiori. 20. E però che con quella misura che l'uomo misura se medesimo, misura le sue cose, che sono quasi parte di se medesimo, avviene che al magnanimo le sue cose sempre paiono migliori che non sono, e l'altrui men buone: lo pusillanimo sempre le sue cose crede valere poco, e l'altrui assai; onde molti per questa viltade dispregiano lo proprio volgare, e l'altrui pregiano. 21. E tutti questi cotali sono li abominevoli cattivi d'Italia che hanno a vile questo prezioso volgare, lo quale, s'è vile in alcuna [cosa], non è se non in quanto elli suona ne la bocca meretrice di questi adulteri; a lo cui condutto vanno li ciechi de li quali ne la prima cagione feci menzione.
Capitolo XII.
1. Se manifestamente per le finestre d'una casa uscisse fiamma di fuoco, e alcuno dimandasse se là dentro fosse il fuoco, e un altro rispondesse a lui di sì, non saprei bene giudicare qual di costoro fosse da schernire di più. E non altrimenti sarebbe fatta la dimanda e la risposta di colui e di me, che mi domandasse se amore a la mia loquela propria è in me e io li rispondesse di sì, appresso le su proposte ragioni. 2. Ma tuttavia, e a mostrare che non solamente amore ma perfettissimo amore di quella è in me, e a biasimare ancora li suoi avversarii ciò mostrando a chi bene intenderà, dirò come a lei fui fatto amico, e poi come l'amistà è confermata. 3. Dico che, sì come vedere si può che s[crive] Tullio in quello De Amicitia, non discordando da la sentenza del Filosofo aperta ne l'ottavo e nel nono de l'Etica, naturalmente la prossimitade e la bontade sono cagioni d'amore generative; lo beneficio, lo studio e la consuetudine sono cagioni d'amore accrescitive. E tutte queste cagioni vi sono state a generare e a confortare l'amore ch'io porto al mio volgare, sì come brievemente io mosterrò.
4. Tanto è la cosa più prossima quanto, di tutte le cose del suo genere, altrui è più unita: onde di tutti li uomini lo figlio è più prossimo al padre; di tutte l'arti la medicina è la più prossima al medico, e la musica al musico, però che a loro sono più unite che l'altre; di tutta la terra è più prossima quella dove l'uomo tiene se medesimo, però che è ad esso più unita. 5. E così lo volgare è più prossimo quanto è più unito, che uno e solo è prima ne la mente che alcuno altro, e che non solamente per sè è unito, ma per accidente, in quanto è congiunto con le più prossime persone, sì come con li parenti e con li propri cittadini e con la propria gente. 6. E questo è lo volgare proprio; lo quale è non prossimo, ma massimamente prossimo a ciascuno. Per che, se la prossimitade è seme d'amistà, come detto è di sopra, manifesto è ch'ella è de le cagioni stata de l'amore ch'io porto a la mia loquela, che è a me prossima più che l'altre. 7. La sopra detta cagione, cioè d'essere più unito quello ch'è solo prima in tutta la mente, mosse la consuetudine de la gente, che fanno li primogeniti succedere solamente, sì come più propinqui e perchè più propinqui, più amati.
8. Ancora, la bontade fece me a lei amico. E qui è da sapere che ogni bontade propria in alcuna cosa, è amabile in quella: sì come ne la maschiezza essere ben barbuto, e nella femminezza essere ben pulita di barba in tutta la faccia; sì come nel bracco bene odorare, e sì come nel veltro ben correre. 9. E quanto ella è più propria, tanto ancora è più amabile; onde, avvegna che ciascuna vertù sia amabile ne l'uomo, quella è più amabile in esso che è più umana, e questa è la giustizia, la quale è solamente ne la parte razionale o vero intellettuale, cioè ne la volontade. 10. Questa è tanto amabile, che, sì come dice lo Filosofo nel quinto de l'Etica, li suoi nimici l'amano, sì come sono ladroni e rubatori; e però vedemo che 'l suo contrario, cioè la ingiustizia, massimamente è odiata, sì come è tradimento, ingratitudine, falsitade, furto, rapina, inganno e loro simili. 11. Li quali sono tanto inumani peccati, che ad iscusare sè de l'infamia di quelli, si concede da lunga usanza che uomo parli di sè, sì come detto è di sopra, e possa dire sè essere fedele e leale. 12. Di questa vertù innanzi dicerò più pienamente nel quartodecimo trattato; e qui lasciando, torno al proposito. Provato è adunque la bontà de la cosa più propria [più essere amabile in quella; per che, a mostrare quale in essa è più propria,] è da vedere quella che più in essa è amata e commendata, e quella è essa. 13. E noi vedemo che in ciascuna cosa di sermone lo bene manifestare del concetto sì è più amato e commendato: dunque è questa la prima sua bontade. E con ciò sia cosa che questa sia nel nostro volgare, sì come manifestato è di sopra in altro capitolo, manifesto è ched ella è de le cagioni stata de l'amore ch'io porto ad esso; poi che, sì come detto è, la bontade è cagione d'amore generativa.
Capitolo XIII.
1. Detto come ne la propria loquela sono quelle due cose per le quali io sono fatto a lei amico, cioè prossimitade a me e bontà propria, dirò come per beneficio e concordia di studio e per benivolenza di lunga consuetudine l'amistà è confermata e fatta grande.
2. Dico, prima, ch'io per me ho da lei ricevuto dono di grandissimi benefici. E però è da sapere che intra tutti i benefici è maggiore quello che più è prezioso a chi riceve; e nulla cosa è tanto preziosa, quanto quella per la quale tutte l'altre si vogliono; e tutte l'altre cose si vogliono per la perfezione di colui che vuole. 3. Onde con ciò sia cosa che due perfezioni abbia l'uomo, una prima e una seconda - la prima lo fa essere, la seconda lo fa essere buono -, se la propria loquela m'è stata cagione e de l'una e de l'altra, grandissimo beneficio da lei ho ricevuto. E ch'ella sia stata a me d'essere [cagione, e ancora di buono essere] se per me non stesse, brievemente si può mostrare.
4. Non è secondo [lo Filosofo impossibile, sì come dice ne la Fisica al libro secondo] a una cosa esser più cagioni efficienti, avvegna che una sia massima de l'altre; onde lo fuoco e lo martello sono cagioni efficienti de lo coltello, avvegna che massimamente è il fabbro. Questo mio volgare fu congiugnitore de li miei generanti, che con esso parlavano, sì come 'l fuoco è disponitore del ferro al fabbro che fa lo coltello; per che manifesto è lui essere concorso a la mia generazione, e così essere alcuna cagione del mio essere. 5. Ancora, questo mio volgare fu introduttore di me ne la via di scienza, che è ultima perfezione, in quanto con esso io entrai ne lo latino e con esso mi fu mostrato: lo quale latino poi mi fu via a più innanzi andare. E così è palese, e per me conosciuto, esso essere stato a me grandissimo benefattore.
6. Anche, è stato meco d'uno medesimo studio, e ciò posso così mostrare. Ciascuna cosa studia naturalmente a la sua conservazione: onde, se lo volgare per sè studiare potesse, studierebbe a quella; e quella sarebbe acconciare sè a più stabilitade, e più stabilitade non potrebbe avere che in legar sè con numero e con rime. 7. E questo medesimo studio è stato mio, sì come tanto è palese che non dimanda testimonianza. Per che uno medesimo studio è stato lo suo e 'l mio; per che di questa concordia l'amistà è confermata e accresciuta. 8. Anche c'è stata la benivolenza de la consuetudine, chè dal principio de la mia vita ho avuta con esso benivolenza e conversazione, e usato quello diliberando, interpetrando e questionando. 9. Per che, se l'amistà s'accresce per la consuetudine, sì come sensibilmente appare, manifesto è che essa in me massimamente è cresciuta, che sono con esso volgare tutto mio tempo usato. 10. E così si vede essere a questa amistà concorse tutte le cagioni generative e accrescitive de l'amistade: per che si conchiude che non solamente amore, ma perfettissimo amore sia quello ch'io a lui debbo avere e ho.
11. Così rivolgendo li occhi a dietro, e raccogliendo le ragioni prenotate, puotesi vedere questo pane, col quale si deono mangiare le infrascritte canzoni, essere sufficientemente purgato da le macule e da l'essere di biado; per che tempo è d'intendere a ministrare le vivande. 12. Questo sarà quello pane orzato del quale si satolleranno migliaia, e a me ne soperchieranno le sporte piene. Questo sarà luce nuova, sole nuovo, lo quale surgerà là dove l'usato tramonterà, e darà lume a coloro che sono in tenebre e in oscuritade per lo usato sole che a loro non luce.