CONSIDERAZIONE XIII -
VANITÀ DEL MONDO
«Quid
prodest homini, si mundum universum lucretur, animae vero suae detrimentum
patiatur?» (Matth.
16. 26).
PUNTO I
Fuvvi un certo antico filosofo, chiamato Aristippo, che viaggiando una volta per mare, naufragò colla
nave, ed egli perdé tutte le sue robe; ma giunto al lido, essendo esso molto
rinomato per la sua scienza, fu da' paesani di quel luogo provveduto di tutto
ciò che avea perduto. Ond'egli scrisse poi a' suoi amici nella patria che dal
suo esempio attendessero a provvedersi solamente di quei beni, che neppur col naufragio si perdono. Or questo appunto ci
mandano a dire dall'altra vita i nostri parenti ed amici che stanno
all'eternità, che attendiamo a provvederci qui in vita solamente di quei beni,
che neppure colla morte si perdono. Il giorno della morte si chiama, «Dies
perditionis (Iuxta est dies perditionis. Deut. 29. 21)». Giorno di perdita, perché in tal giorno i beni di questa terra,
gli onori, le ricchezze, i piaceri tutti si han da perdere. Onde dice S.
Ambrogio che questi non possiamo chiamarli beni
nostri, mentre non possiamo portarli con noi all'altro mondo; ma le sole virtù
ci accompagnano all'altra vita: «Non nostra sunt, quae non possumus auferre
nobiscum; sola virtus nos comitatur».
Che serve dunque, dice
Gesu-Cristo, guadagnarsi tutto il mondo, se in morte perdendo l'anima perderemo
tutto? «Quid prodest homini, Si mundum universum lucretur?» Ah questa gran massima quanti giovani ne ha mandati
a chiudersi ne' chiostri, quanti anacoreti a vivere ne' deserti, quanti martiri
a dar la vita per Gesu-Cristo! Con questa massima S. Ignazio di Loiola tirò molte anime a Dio; e specialmente la bell'anima
di S. Francesco Saverio, il quale stava in Parigi, applicato ivi a' pensieri di
mondo. Francesco (gli disse un giorno il santo) pensa che il mondo è un
traditore, che promette e non attende. Ma ancorché ti attendesse quel che ti
promette il mondo, egli non potrà mai contentare il tuo cuore. Ma facciamo che
ti contentasse, quando durerà questa tua
felicità? può durare più che la tua vita? ed in fine che te ne porterai
all'eternità? Vi è forse ivi alcun ricco, che si ha portata una moneta, o un
servo per suo comodo? Vi è alcun re, che si ha portato un filo di porpora per
suo onore? A queste parole S. Francesco lasciò il mondo, seguitò S. Ignazio e
si fece santo. «Vanitas vanitatum», così chiamò
Salomone tutti i beni di questo mondo, dopo ch'egli non si negò alcun piacere
di tutti quelli che stanno sulla terra, com'egli stesso confessò: «Omnia quae
desideraverunt oculi mei, non negavi eis» (Eccl. 2. 10). Dicea suor Margherita
di S. Anna carmelitana Scalza, figlia
dell'imperator Ridolfo II: «A che servono i
regni nell'ora della morte?» Gran cosa! tremano i santi in pensare al punto
della loro salute eterna; tremava il P. Paolo Segneri,
il quale tutto spaventato dimandava al suo confessore: Che dici, padre, mi
salverò? Tremava S. Andrea d'Avellino, e
piangeva dirottamente dicendo: Chi sa, se mi salvo! Da questo pensiero ancora
era così tormentato S. Luigi Beltrando, che
per lo spavento la notte sbalzava di letto dicendo: E chi sa, se mi danno! E i
peccatori vivono dannati, e dormono, e burlano, e ridono!
Affetti e preghiere
Ah Gesù mio Redentore,
vi ringrazio, che mi fate conoscere la mia pazzia e 'l male ch'ho fatto nel
voltare le spalle a Voi, che per me avete speso il sangue e la vita. No che non
meritavate d'esser trattato da me, come vi ho trattato. Ecco se ora mi venisse
la morte, che cosa mi troverei, se non peccati e rimorsi di coscienza, che mi
farebbero morire inquieto? Mio Salvatore, confesso, ho fatto male, ho fatto
errore in lasciare Voi, sommo bene, per li miseri gusti di questo mondo; me ne
pento con tutto il cuore. Deh per quel dolore che vi uccise nella croce, datemi
un tal dolore de' miei peccati, che mi faccia piangere in tutta la vita che mi
resta i torti che v'ho fatti. Gesù mio, Gesù mio perdonatemi, ch'io vi prometto
di non darvi più disgusto e di sempre amarvi.
Io non sono più degno del vostro amore, perché l'ho tanto disprezzato per lo
passato; ma voi avete detto, che amate chi v'ama: «Ego diligentes me diligo»
(Prov. 8). Io v'amo; amatemi ancora voi. Non
mi voglio vedere più in disgrazia vostra. Io rinunzio a tutte le grandezze e
piaceri del mondo, purché voi mi amiate. Dio mio, esauditemi per amore di
Gesu-Cristo; Egli vi prega che non mi discacciate dal vostro cuore. Io tutto a
voi mi consagro; vi consagro la vita, le mie soddisfazioni, i miei sensi,
l'anima, il corpo, la mia volontà, la mia
libertà. Accettatemi Voi, non mi rifiutate, come io meriterei, per aver
rifiutata tante volte la vostra amicizia. «Ne proiicias me a facie tua».
Vergine SS. Madre mia
Maria, pregate Voi Gesù per me; alla vostra intercessione io tutto confido.
PUNTO
II
«Statera
dolosa in manu eius» (Os. 12). Bisogna pesare i
beni nelle bilance di Dio, non in quelle del mondo, le quali ingannano. I beni del mondo son beni troppo miseri, che non
contentano l'anima, e presto finiscono. «Dies mei velociores fuerunt cursore,
pertransierunt quasi naves poma portantes» (Iob. 9. 25). Passano e fuggono i
giorni della nostra vita e de' piaceri di questa terra, e finalmente che resta? «Pertransierunt quasi naves». Le navi non
lasciano neppure il segno per dove son passate. «Tanquam navis, quae pertransit
fluctuantem aquam, cuius, cum praeterierit, non est vestigium invenire» (Sap.
5. 10). Domandiamo a tanti ricchi, letterati, principi, imperadori, che or sono all'eternità, che si trovano delle loro
pompe, delizie e grandezze godute in questa terra? Tutti rispondono: Niente,
niente. Uomo, dice S. Agostino: «Quid hic
habebat, attendis, quid secum fert, attende (Serm. 13. de Adv. Dom.)». Tu
guardi (dice il santo) solamente i beni, che possedea quel grande; ma osserva
che cosa si porta seco, or che muore, se non un cadavere puzzolente ed uno
straccio di veste per seco infracidirsi? De i
grandi del mondo che muoiono, appena per poco tempo si sente parlare, e poi se
ne perde anche la memoria. «Periit memoria eorum cum sonitu» (Ps. 9. 7). E se i
miseri vanno poi all'inferno, ivi che fanno, che dicono? Piangono e dicono:
«Quid profuit nobis superbia, aut divitiarum iactantia?... transierunt omnia
illa, tanquam umbra» (Sap. 5. 8). Che ci han giovate
le nostre pompe e le ricchezze, se ora tutto è passato come un'ombra, ed altro
non c'è rimasto che pena, pianto e disperazione eterna?
«Filii huius saeculi
prudentiores filiis lucis sunt» (Luc. 16. 8). Gran cosa! come sono prudenti i
mondani per le cose della terra! Quali fatiche non fanno, per guadagnarsi quel
posto, quella roba! Che diligenza non mettono, per conservarsi la sanità del
corpo! Scelgono i mezzi più sicuri, il miglior medico, i migliori rimedi, la
miglior aria. E per l'anima poi sono così trascurati! Ed è certo che la sanità,
i posti, le robe un giorno han da finire; ma l'anima, l'eternità non finiscono
mai. «Intueamur (dice S. Agostino) quanta
homines sustineant pro rebus, quas vitiose diligunt». Che non soffre quel
vendicativo, quel ladro, quel disonesto per giungere al suo pravo intento? E
poi per l'anima non vogliono soffrir niente? Oh Dio, che alla luce di quella
candela, che si accende nella morte, allora in quel tempo di verità si conosce
e si confessa da' mondani la loro pazzia. Allora ognuno dice: Oh avessi
lasciato tutto, e mi fossi fatto santo! Il Pontefice Leone XI diceva in morte: Meglio fossi stato portinaio del
mio monastero, che Papa. Onorio III similmente Papa,
anche dicea morendo: Meglio fossi restato nella cucina del mio convento a
lavare i piatti. Filippo II re di Spagna
morendo si chiamò il figlio, e gittando la veste regale, gli fe' vedere il
petto roso da' vermi, e poi gli disse: Principe, vedi come si muore, e come
finiscono le grandezze del mondo. E poi esclamò: Oh fossi stato laico di
qualche religione e non monarca. Nello stesso tempo si fe' ligare al collo una fune con una croce di legno, e dispose
le cose per la sua morte, e disse al figlio: Ho voluto, figlio mio, che voi vi
foste trovato presente a quest'atto, acciocché
miriate come il mondo in fine tratta anche i monarchi. Sicché la loro morte è
uguale a quella de' più poveri del mondo. In somma chi meglio vive ha miglior
luogo con Dio. Questo medesimo figlio poi (che fu Filippo III) morendo giovine di 42 anni, disse: Sudditi miei,
nel sermone de' miei funerali, non predicate altro se non questo spettacolo che
vedete. Dite
che non serve in morte l'esser re, che per sentire maggior tormento d'esserlo
stato. E poi esclamò: Oh
non fossi stato re, e fossi vivuto in un deserto a servire Dio, perché ora
anderei con maggior confidenza a presentarmi nel suo tribunale, e non mi
troverei a tanto rischio di dannarmi! Ma che servono questi desideri in punto
di morte, se non per maggior pena e disperazione a chi in vita non ha amato
Dio? Dicea dunque S. Teresa: «Non ha da farsi
conto di ciò, che finisce colla vita; la vera vita è vivere in modo, che non si
tema la morte». Perciò se vogliamo vedere, che cosa sono li beni di questa terra, miriamoli dal letto della morte; e
poi diciamo: Quegli onori, quegli spassi, quelle rendite un giorno finiranno:
dunque bisogna attendere a farci santi e ricchi di quei soli beni che verranno
con noi, e ci renderanno contenti per tutta l'eternità.
Affetti e preghiere
Ah mio Redentore, voi
avete sofferto tante pene ed ignominie per amor mio; ed io ho tanto amati i
piaceri ed i fumi di questa terra, che per essi tante volte son giunto a
mettermi sotto i piedi la vostra grazia! Ma se quando io vi disprezzava, Voi
non avete lasciato di venirmi appresso, non posso temere, o Gesù mio, che mi
discaccerete ora che vi cerco e v'amo con
tutto il mio cuore, e mi pento più d'aver offeso Voi, che se avessi patita ogni
altra disgrazia. O Dio dell'anima mia, da oggi avanti non voglio darvi alcun
disgusto, benché leggiero; fatemi conoscere che sia disgusto vostro, ch'io non
voglio farlo per qualunque bene del mondo; e fatemi intendere quel che ho da
fare per compiacervi, ch'io sono pronto. Io voglio amarvi da vero. Abbraccio, Signore, tutti i dolori e le croci, che
mi verranno dalle vostre mani; datemi quella rassegnazione che vi bisogna. «Hic
ure, hic seca».
Castigatemi in questa
vita, acciocché nell'altra io possa amarvi in eterno.
Maria Madre mia, a voi
mi raccomando; non lasciate mai di pregare Gesù per me.
PUNTO III
«Tempus breve est...
qui utuntur hoc mundo, tanquam non utantur, praeterit enim figura huius mundi»
(1. Cor. 7. 31). Che altro è la nostra vita su
questo mondo, se non una scena che passa e presto finisce? «Praeterit figura
huius mundi»; figura cioè scena, commedia. «Mundus est instar scenae (dice
Cornelio a Lapide), generatio praeterit, generatio
advenit. Qui regem agit, non auferet secum purpuram. Dic mihi, o villa, o
domus, quot dominos habuisti?» Quando finisce la commedia, chi ha fatta la
parte del re, non è più re; il padrone, non è più padrone. Ora possiedi quella
villa, quel palagio; ma verrà la morte, e ne saran padroni gli altri.
«Malitia horae
oblivionem facit luxuriae magnae» (Eccli. 11. 29). L'ora funesta della morte fa
scordare e finire tutte le grandezze, le nobiltà ed i fasti del mondo. Casimiro
re di Polonia un giorno, mentre stava a mensa
co' grandi del suo regno, accostando la bocca ad una tazza per bere, morì, e
finì per lui la scena. Celso imperadore, in
capo a sette giorni ch'era stato eletto, fu ucciso, e finì la scena per Celso.
Ladislao re di Boemia, giovine di 18 anni,
mentre aspettava la sposa, figlia del re di Francia, e si apparecchiavano gran
feste, ecco in una mattina preso da un dolore se ne muore; onde si spediscono
subito i corrieri ad avvisare la sposa, che se ne torni in Francia, poiché per
Ladislao era finita la scena. Questo pensiero
della vanità del mondo fe' santo S. Francesco Borgia,
il quale come di sopra si considerò a vista dell'imperadrice Isabella, morta in
mezzo alle grandezze e nel fiore di sua gioventù, risolse di darsi tutto a Dio,
dicendo: «Così dunque finiscono le grandezze e le corone di questo mondo?
Voglio dunque da ogg'innanzi servire ad un padrone, che non mi possa morire».
Procuriamo di vivere in
modo, che non ci sia detto in morte, come fu detto a quel pazzo del Vangelo:
«Stulte, hac nocte animam tuam repetent a te, et quae parasti cuius erunt?» (Luc.
12. 20). Onde conclude S. Luca: «Sic est qui
sibi thesaurizat, et non est in Deum dives». E poi dice: Procurate di farvi
ricchi, non già nel mondo di robe, ma in Dio di
virtù e di meriti, che son beni che saranno eterni con voi in cielo:
«Thesaurizate vobis thesauros in coelo, ubi neque aerugo neque tinea
demolitur». E perciò attendiamo ad acquistarci
il gran tesoro del divino amore. «Quid
habet dives, si caritatem non habet? Pauper si caritatem habet, quid non
habet?» dice S. Agostino. Se uno ha tutte le
ricchezze e non ha Dio, egli è il più povero del mondo. Ma il povero che ha
Dio, ha tutto. E chi ha Dio? chi l'ama: «Qui manet in caritate, in Deo manet,
et Deus in eo» (1. Io. 4. 16).
Affetti e preghiere
Ah mio Dio, non voglio
che più il demonio abbia ad aver dominio nell'anima
mia; Voi solo voglio che ne siate il padrone, e la dominiate. Io voglio lasciar
tutto per acquistare la grazia vostra. Stimo più questa, che mille corone e
mille regni. E chi ho d'amare, se non voi amabile infinito, bene infinito,
bellezza, bontà, amore infinito? Per lo passato io vi ho lasciato per le
creature; questo mi è, e mi sarà sempre un dolore che mi trafiggerà il cuore
d'avere offeso Voi, che mi avete tanto amato. Ma dopo che mi avete ligato mio Dio, con tante grazie, no che non mi fido più di vedermi privo del vostro amore. Prendetevi,
amor mio, tutta la mia volontà e tutte le mie cose; fatene di me quello che vi piace. Se per lo passato mi
sono disturbato nelle cose contrarie, ve ne domando perdono. Non voglio
lamentarmi più, Signor mio, delle vostre disposizioni; so che tutte son sante,
e tutte per mio bene. Fate, mio Dio, quel che volete, vi prometto di
chiamarmene sempre contento, e sempre ringraziarvene. Fate ch'io v'ami, e
niente più vi domando. Che beni! che onori! che mondo? Dio, Dio, voglio solo
Dio.
Beata voi, o Maria, che
nel mondo non amaste altro che Dio! Impetratemi ch'io v'accompagni almeno in
questa vita che mi resta: in Voi confido.
No comments:
Post a Comment