Tuesday, 26 December 2023

Tuesday's Serial: “Convivio” by Dante Alighieri (in Italian) - VII

 

Capitolo V.

1. Quando, ragionando per la prima parte, aperta è la sentenza di quella, procedere si conviene a la seconda; de la quale per meglio vedere, tre parti se ne vogliono fare, secondo che in tre versi si comprende: che ne la prima parte io commendo questa donna interamente e comunemente, sì ne l'anima come nel corpo; ne la seconda discendo a laude speziale de l'anima; ne la terza a laude speziale del corpo. 2. La prima parte comincia: Non vede il sol, che tutto 'l mondo gira; la seconda comincia: In lei discende la virtù divina; la terza comincia: Cose appariscon ne lo suo aspetto; e queste parti secondo ordine sono da ragionare.

3. Dice adunque: Non vede il sol, che tutto 'l mondo gira; dove è da sapere, a perfetta intelligenza avere, come lo mondo dal sole è girato. Prima dico che per lo mondo io non intendo qui tutto 'l corpo de l'universo, ma solamente questa parte del mare e de la terra, seguendo la volgare voce, chè così s'usa chiamare: onde dice alcuno, 'quelli hae tutto lo mondo veduto', dicendo parte del mare e della terra. 4. Questo mondo volse Pittagora - e li suoi seguaci - dicere che fosse una de le stelle e che un'altra a lei fosse opposita, così fatta, e chiamava quella Anticthona; e dicea ch'erano ambe in una spera che si volvea da occidente in oriente, e per questa revoluzione si girava lo sole intorno a noi, e ora si vedea e ora non si vedea. 5. E dicea che 'l fuoco era nel mezzo di queste, ponendo quello essere più nobile corpo che l'acqua e che la terra, e ponendo lo mezzo nobilissimo intra li luoghi de li quattro corpi simplici: e però dicea che 'l fuoco, quando parea salire, secondo lo vero al mezzo discendea. 6. Platone fu poi d'altra oppinione, e scrisse in uno suo libro che si chiama Timeo, che la terra col mare era bene lo mezzo di tutto, ma che 'l suo tondo tutto si girava a torno al suo centro, seguendo lo primo movimento del cielo; ma tarda molto per la sua grossa matera e per la massima distanza da quello. 7. Queste oppinioni sono riprovate per false nel secondo De Celo et Mundo da quello glorioso filosofo al quale la natura più aperse li suoi segreti; e per lui quivi è provato, questo mondo, cioè la terra, stare in sè stabile e fissa in sempiterno. E le sue ragioni, che Aristotile dice a rompere costoro e affermare la veritade, non è mia intenzione qui narrare, perchè assai basta a la gente a cu' io parlo, per la sua grande autoritade sapere che questa terra è fissa e non si gira, e che essa col mare è centro del cielo.

8. Questo cielo si gira intorno a questo centro continuamente, sì come noi vedemo; ne la cui girazione conviene di necessitade essere due poli fermi, e uno cerchio equalmente distante da quelli, che massimamente giri. Di questi due poli, l'uno è manifesto quasi a tutta la terra discoperta, cioè questo settentrionale; l'altro è quasi a tutta la discoperta terra celato, cioè lo meridionale. Lo cerchio che nel mezzo di questi s'intende, sì è quella parte del cielo sotto la quale si gira lo sole quando va con l'Ariete e con la Libra. 9. Onde è da sapere, che se una pietra potesse cadere da questo nostro polo, ella cadrebbe là oltre nel mare Oceano, a punto in su quel dosso del mare dove, se fosse uno uomo, la stella [li] sarebbe sempre in sul mezzo del capo; - e credo che da Roma a questo luogo, andando diritto per tramontana, sia spazio quasi di dumila secento miglia, o poco dal più al meno -. 10. Imaginando adunque, per meglio vedere, in questo luogo ch'io dissi sia una cittade e abbia nome Maria, dico ancora che se da l'altro polo, cioè meridionale, cadesse una pietra, ch'ella caderebbe in su quel dosso del mare Oceano ch'è a punto in questa palla opposito a Maria; - e credo che da Roma là dove caderebbe questa seconda pietra, diritto andando per lo mezzogiorno, sia spazio di settemila cinquecento miglia, o poco dal più al meno -. 11. E qui imaginiamo un'altra cittade, che abbia nome Lucia - ed è spazio, da qualunque lato si tira la corda, di diecimila dugento miglia -: èli, tra l'una e l'altra, mezzo lo cerchio di tutta questa palla, sì che li cittadini di Maria tengono le piante contra le piante di quelli di Lucia. 12. Imaginisi anco uno cerchio in su questa palla, che sia in ciascuna parte sua tanto lungi da Maria quanto da Lucia. Credo che questo cerchio - secondo ch'io comprendo per le sentenze de li astrologi, e per quella d'Alberto de la Magna nel libro de la Natura de' luoghi e de le proprietadi de li elementi, e anco per la testimonianza di Lucano nel nono suo libro - dividerebbe questa terra discoperta dal mare Oceano, là nel mezzodie, quasi per tutta l'estremità del primo climate, dove sono intra l'altre genti li Garamanti, che stanno quasi sempre nudi; a li quali venne Catone col popolo di Roma, la signoria di Cesare fuggendo.

13. Segnati questi tre luoghi sopra questa palla, leggiermente si può vedere come lo sole la gira. Dico adunque che 'l cielo del sole si rivolge da occidente in oriente, non dirittamente contra lo movimento diurno, cioè del die e de la notte, ma tortamente contra quello; sì che 'l suo mezzo cerchio, che equalmente e 'ntra li suoi poli, nel quale è lo corpo del sole, sega in due parti opposite lo [mezzo] cerchio de li due primi poli, cioè nel principio de l'Ariete e nel principio de la Libra, e partesi per due archi da esso, uno ver settentrione e un altro ver mezzogiorno. 14. Li punti [di mezzo] de li quali archi si dilungano equalmente dal primo cerchio, da ogni parte, per ventitrè gradi e uno punto più; e l'uno punto è lo principio del Cancro, e l'altro è lo principio del Capricorno. Però conviene che Maria veggia nel principio de l'Ariete, quando lo sole va sotto lo mezzo cerchio de li primi poli, esso sole girar lo mondo intorno giù a la terra, o vero al mare, come una mola de la quale non paia più che mezzo lo corpo suo; e questa veggia venire montando a guisa d'una vite dintorno, tanto che compia novanta e una rota e poco più. 15. E quando queste rote sono compiute, lo suo montare è a Maria quasi tanto quanto esso monta a noi ne la mezza terra, [quando] 'l giorno è de la mezza notte iguale; e se uno uomo fosse dritto in Maria e sempre al sole volgesse lo viso, vederebbesi quello andare ver lo braccio destro. 16. Poi per la medesima via par discendere altre novanta e una rota e poco più, tanto ch'elli gira intorno giù a la terra, o vero al mare, sè non tutto mostrando; e poi si cela, e comincialo a vedere Lucia, lo quale montare e discendere intorno a sè allor vede con altrettante rote quante vede Maria. 17. E se uno uomo fosse in Lucia dritto, sempre che volgesse la faccia in ver lo sole, vedrebbe quello andarsi nel braccio sinistro. Per che si può vedere che questi luoghi hanno un dì l'anno di sei mesi; e una notte d'altrettanto tempo; e quando l'uno ha lo giorno, e l'altro ha la notte. 18. Conviene anche che lo cerchio dove sono li Garamanti, come detto è, in su questa palla, veggia lo sole a punto sopra sè girare, non a modo di mola, ma di [rota]; la quale non può in alcuna parte vedere se non mezza, quando va sotto l'Ariete. E poi lo vede partire da sè e venire verso Maria novanta e uno die e poco più, e per altrettanti a sè tornare; e poi, quando è tornato, va sotto la Libra, e anche si parte e va ver Lucia novanta e uno dì e poco più, e in altrettanti ritorna. 19. E questo luogo, lo quale tutta la palla cerchia, sempre ha lo die iguale con la notte, o di qua o di là che 'l sole li vada; e due volte l'anno ha la state grandissima di calore, e due piccioli verni.

20. Conviene anche che li due spazii, che sono in mezzo de le due cittadi imaginate e lo [cerchio] del mezzo, veggiano lo sole disvariatamente, secondo che sono remoti e propinqui questi luoghi; sì come omai, per quello che detto è, puote vedere chi ha nobile ingegno, al quale è bello un poco di fatica lasciare. 21. Per che vedere omai si puote, che per lo divino provedimento lo mondo è sì ordinato che, volta la spera del sole e tornata a uno punto, questa palla dove noi siamo in ciascuna parte di sè riceve tanto tempo di luce quanto di tenebre. 22. O ineffabile sapienza che così ordinasti, quanto è povera la nostra mente a te comprendere! E voi a cui utilitade e diletto io scrivo, in quanta cechitade vivete, non levando li occhi suso a queste cose, tenendoli fissi nel fango de la vostra stoltezza!

 

Capitolo VI.

1. Nel precedente capitolo è mostrato per che modo lo sole gira; sì che omai si puote procedere a dimostrare la sentenza de la parte a la quale s'intende. Dico adunque che in questa parte prima comincio a commendare questa donna per comparazione a l'altre cose; e dico che 'l sole, girando lo mondo, non vede alcuna cosa così gentile come costei: per che segue che questa sia, secondo le parole, gentilissima di tutte le cose che 'l sole allumina. 2. E dice: in quell'ora; onde è da sapere che 'ora' per due modi si prende da li astrologi. L'uno si è, che del die e de la notte fanno ventiquattr'ore, cioè dodici del die e dodici de la notte, quanto che 'l die sia grande o picciolo; e queste ore si fanno picciole e grandi nel dì e ne la notte, secondo che 'l dì e la notte cresce e menoma. E queste ore usa la Chiesa, quando dice Prima, Terza, Sesta e Nona, e chiamansi ore temporali. 3. L'altro modo si è, che faccendo del dì e de la notte ventiquattr'ore, tal volta ha lo die le quindici ore, e la notte le nove; tal volta ha la notte le sedici e lo die le otto, secondo che cresce e menoma lo die e la notte: e chiamansi ore equali. E ne lo equinozio sempre queste e quelle che temporali si chiamano sono una cosa; però che, essendo lo dì equale de la notte, conviene così avvenire.

4. Poi quando dico: Ogni Intelletto di là su la mira, commendo lei, non avendo rispetto ad altra cosa. E dico che le Intelligenze del cielo la mirano, e che la gente di qua giù gentile pensano di costei, quando più hanno di quello che loro diletta. E qui è da sapere che ciascuno Intelletto di sopra, secondo ch'è scritto nel libro de le Cagioni, conosce quello che è sopra sè e quello che è sotto sè. 5. Conosce adunque Iddio sì come sua cagione, conosce quello che è sotto sè sì come suo effetto; e però che Dio è universalissima cagione di tutte le cose, conoscendo lui, tutte le cose conosce in sè, secondo lo modo de la Intelligenza. Per che tutte le Intelligenze conoscono la forma umana in quanto ella è per intenzione regolata ne la divina mente; e massimamente conoscono quella le Intelligenze motrici, però che sono spezialissime cagioni di quella e d'ogni forma generata, e conoscono quella perfettissima, tanto quanto essere puote, sì come loro regola ed essemplo. 6. E se essa umana forma, essemplata e individuata, non è perfetta, non è manco de lo detto essemplo, ma de la materia la quale individua. Però quando dico: Ogni Intelletto di là su la mira, non voglio altro dire se non ch'ella è così fatta come l'essemplo intenzionale che de la umana essenzia è ne la divina mente e, per quella, in tutte l'altre, massimamente in quelle menti angeliche che fabbricano col cielo queste cose di qua giuso.

7. E a questo affermare, soggiungo quando dico: E quella gente che qui s'innamora. Dove è da sapere che ciascuna cosa massimamente desidera la sua perfezione, e in quella si queta ogni suo desiderio, e per quella ogni cosa è desiderata: e questo è quello desiderio che sempre ne fa parere ogni dilettazione manca; chè nulla dilettazione è sì grande in questa vita che a l'anima nostra possa torre la sete, che sempre lo desiderio che detto è non rimagna nel pensiero. 8. E però che questa è veramente quella perfezione, dico che quella gente che qua giù maggiore diletto riceve quando più hanno di pace, allora rimane questa ne' loro pensieri, per questa, dico, tanto essere perfetta quanto sommamente essere puote l'umana essenzia. 9. Poi quando dico: Suo esser tanto a Quei che lel dà piace, mostro che non solamente questa donna è perfettissima ne la umana generazione, ma più che perfettissima in quanto riceve de la divina bontade oltre lo debito umano. 10. Onde ragionevolmente si puote credere che, sì come ciascuno maestro ama più la sua opera ottima che l'altre, così Dio ama più la persona umana ottima che tutte l'altre; e però che la sua larghezza non si stringe da necessitade d'alcuno termine, non ha riguardo lo suo amore al debito di colui che riceve, ma soperchia quello in dono e in beneficio di vertù e di grazia. Onde dico qui che esso Dio, che dà l'essere a costei, per caritade de la sua perfezione infonde in essa de la sua bontade oltre li termini del debito de la nostra natura.

11. Poi quando dico: La sua anima pura, pruovo ciò che detto è per sensibile testimonianza. Ove è da sapere che, sì come dice lo Filosofo nel secondo de l'Anima, l'anima è atto del corpo: e se ella è suo atto, è sua cagione; e però che, sì come è scritto nel libro allegato de le Cagioni, ogni cagione infonde nel suo effetto de la bontade che riceve da la cagione sua, infonde e rende al corpo suo de la bontade de la cagione sua, ch'è Dio. 12. Onde, con ciò sia cosa che in costei si veggiano, quanto è da la parte del corpo, maravigliose cose, tanto che fanno ogni guardatore disioso di quelle vedere, manifesto è che la sua forma, cioè la sua anima, che lo conduce sì come cagione propria, riceva miracolosamente la graziosa bontade di Dio. 13. E così [si] pruova, per questa apparenza, che è oltre lo debito de la natura nostra (la quale in lei è perfettissima come detto è di sopra) questa donna da Dio beneficiata e fatta nobile cosa. E questa è tutta la sentenza litterale de la prima parte de la seconda parte principale.

 

Capitolo VII.

1. Commendata questa donna comunemente, sì secondo l'anima come secondo lo corpo, io procedo a commendare lei spezialmente secondo l'anima; e prima la commendo secondo che 'l suo bene è grande in sè, poi la commendo secondo che 'l suo bene è grande in altrui e utile al mondo. 2. E comincia questa parte seconda quando dico: Di costei si può dire. Dunque dico prima: In lei discende la virtù divina. Ove è da sapere che la divina bontade in tutte le cose discende, e altrimenti essere non potrebbero; ma avvegna che questa bontade si muova da simplicissimo principio, diversamente si riceve, secondo più e meno, da le cose riceventi. Onde scritto è nel libro de le Cagioni: «La prima bontade manda le sue bontadi sopra le cose con uno discorrimento». 3. Veramente ciascuna cosa riceve da quello discorrimento secondo lo modo de la sua vertù e de lo suo essere; e di ciò sensibile essemplo avere potemo dal sole. Vedemo la luce del sole, la quale è una, da uno fonte derivata, diversamente da le corpora essere ricevuta; sì come dice Alberto in quello libro che fa de lo Intelletto. Chè certi corpi, per molta chiaritade di diafano avere in sè mista, tosto che 'l sole li vede diventano tanto luminosi, che per multiplicamento di luce in quelle e ne lo loro aspetto, rendono a li altri di sè grande splendore, sì come è l'oro, e alcuna pietra. 4. Certi sono che, per esser del tutto diafani, non solamente ricevono la luce, ma quella non impediscono, anzi rendono lei del loro colore colorata ne l'altre cose. E certi sono tanto vincenti ne la purità del diafano, che divengono sì raggianti, che vincono l'armonia de l'occhio, e non si lasciano vedere sanza fatica del viso, sì come sono li specchi. Certi altri sono tanto sanza diafano, che quasi poco de la luce ricevono, sì com'è la terra. 5. Così la bontà di Dio è ricevuta altrimenti da le sustanze separate, cioè da li Angeli, che sono sanza grossezza di materia, quasi diafani per la purità de la loro forma, e altrimenti da l'anima umana, che, avvegna che da una parte sia da materia libera, da un'altra è impedita, sì come l'uomo ch'è tutto ne l'acqua fuor del capo, del quale non si può dire che tutto sia ne l'acqua nè tutto fuor da quella; e altrimenti da li animali, la cui anima tutta in materia è compresa, ma alquanto è nobilitata; e altrimenti da le piante, e altrimenti da le minere; e altrimenti da la terra che da li altri [elementi], però che è materialissima, e però remotissima e improporzionalissima a la prima simplicissima e nobilissima vertude, che sola è intellettuale, cioè Dio.

6. E avvegna che posti siano qui gradi generali, nondimeno si possono porre gradi singulari; cioè che quella riceve, de l'anime umane, altrimenti una che un'altra. E però che ne l'ordine intellettuale de l'universo si sale e discende per gradi quasi continui da la infima forma a l'altissima [e da l'altissima] a la infima, sì come vedemo ne l'ordine sensibile; e tra l'angelica natura, che è cosa intellettuale, e l'anima umana non sia grado alcuno, ma sia quasi l'uno a l'altro continuo per li ordini de li gradi, e tra l'anima umana e l'anima più perfetta de li bruti animali ancor mezzo alcuno non sia; e noi veggiamo molti uomini tanto vili e di sì bassa condizione, che quasi non pare essere altro che bestia; e così è da porre e da credere fermamente, che sia alcuno tanto nobile e di sì alta condizione che quasi non sia altro che angelo: altrimenti non si continuerebbe l'umana spezie da ogni parte, che esser non può. 7. E questi cotali chiama Aristotile, nel settimo de l'Etica, divini; e cotale dico io che è questa donna, sì che la divina virtude, a guisa che discende ne l'angelo, discende in lei.

8. Poi quando dico: E qual donna gentil questo non crede, pruovo questo per la esperienza che aver di lei si può in quelle operazioni che sono proprie de l'anima razionale, dove la divina luce più espeditamente raggia; cioè nel parlare e ne li atti che reggimenti e portamenti sogliono essere chiamati. Onde è da sapere che solamente l'uomo intra li animali parla, e ha reggimenti e atti che si dicono razionali, però che solo elli ha in sè ragione. 9. E se alcuno volesse dire contra, dicendo che alcuno uccello parli, sì come pare di certi, massimamente de la gazza e del pappagallo, e che alcuna bestia fa atti o vero reggimenti, sì come pare de la scimia e d'alcuno altro, rispondo che non è vero che parlino nè che abbiano reggimenti, però che non hanno ragione, da la quale queste cose convegnono procedere; nè è in loro lo principio di queste operazioni, nè conoscono che sia ciò, nè intendono per quello alcuna cosa significare, ma solo quello che veggiono e odono ripresentare. 10. Onde, secondo la imagine de le corpora in alcuno corpo lucido si ripresenta, sì come ne lo specchio, e sì la imagine corporale che lo specchio dimostra non è vera; così la imagine de la ragione, cioè li atti e lo parlare [che] l'anima bruta ripresenta, o vero dimostra, non è vera.

11. Dico che 'qual donna gentile non crede quello ch'io dico, che vada con lei, e miri li suoi atti' - non dico 'qual uomo', però che più onestamente [di donna] per le donne si prende esperienza che per l'uomo -; e dico quello che di lei colei sentirà, dicendo quello che fa lo suo parlare, e che fanno li suoi reggimenti. 12. Chè il suo parlare, per l'altezza e per la dolcezza sua, genera ne la mente di chi l'ode uno pensiero d'amore, lo quale io chiamo spirito celestiale, però che là su è lo principio e di là su viene la sua sentenza, sì come di sopra è narrato; del qual pensiero si procede in ferma oppinione che questa sia miraculosa donna di vertude. 13. E suoi atti, per la loro soavitade e per la loro misura, fanno amore disvegliare e risentire là dovunque è de la sua potenza seminata per buona natura. La quale natural semenza si fa come nel sequente trattato si mostra.

14. Poi quando dico: Di costei si può dire, intendo narrare come la bontà e la vertù de la sua anima è a li altri buona e utile. E prima, com'ella è utile a l'altre donne, dicendo: Gentile è in donna ciò che in lei si trova; dove manifesto essemplo rendo a le donne, nel quale mirando possano [sè] far parere gentili, quello seguitando. 15. Secondamente narro come ella è utile a tutte le genti, dicendo che l'aspetto suo aiuta la nostra fede, la quale più che tutte l'altre cose è utile a tutta l'umana generazione, sì come quella per la quale campiamo da etternale morte e acquistiamo etternale vita. 16. E la nostra fede aiuta; però che, con ciò sia cosa che principalissimo fondamento de la fede nostra siano miracoli fatti per colui che fu crucifisso - lo quale creò la nostra ragione, e volle che fosse minore del suo potere -, e fatti poi nel nome suo per li santi suoi; e molti siano sì ostinati che di quelli miracoli per alcuna nebbia siano dubbiosi, e non possano credere miracolo alcuno sanza visibilmente avere di ciò esperienza; e questa donna sia una cosa visibilmente miraculosa, de la quale li occhi de li uomini cotidianamente possono esperienza avere, ed a noi faccia possibili li altri; manifesto è che questa donna, col suo mirabile aspetto, la nostra fede aiuta. 17. E però ultimamente dico che da etterno, cioè etternamente, fu ordinata ne la mente di Dio in testimonio de la fede a coloro che in questo tempo vivono. E così termina la seconda parte [de la seconda parte], secondo la litterale sentenza.

 

Capitolo VIII.

1. Intra li effetti de la divina sapienza l'uomo è mirabilissimo, considerato come in una forma la divina virtute tre nature congiunse, e come sottilmente armoniato conviene esser lo corpo suo, a cotal forma essendo organizzato per tutte quasi sue vertudi. 2. Per che, per la molta concordia che 'ntra tanti organi conviene a bene rispondersi, pochi perfetti uomini in tanto numero sono. E se così è mirabile questa creatura, certo non pur con le parole è da temere di trattare di sue condizioni, ma eziandio col pensiero, secondo quelle parole de lo Ecclesiastico: «La sapienza di Dio, precedente tutte le cose, chi cercava?», e quelle altre dove dice: «Più alte cose di te non dimanderai e più forti cose di te non cercherai; ma quelle cose che Dio ti comandò, pensa, e in più sue opere non sie curioso», cioè sollicito. 3. Io adunque, che in questa terza particola d'alcuna condizione di cotal creatura parlare intendo, in quanto nel suo corpo, per bontade de l'anima, sensibile bellezza appare, temorosamente non sicuro comincio, intendendo, e se non a pieno, almeno alcuna cosa di tanto nodo disnodare. 4. Dico adunque che, poi che aperta è la sentenza di quella particola ne la quale questa donna è commendata da la parte de l'anima, da procedere e da vedere è come, quando dico Cose appariscon ne lo suo aspetto, io commendo lei da la parte del corpo. 5. E dico che ne lo suo aspetto appariscono cose le quali dimostrano de' piaceri [di Paradiso]. E intra li altri di quelli lo più nobile e quello che è [inizio] e fine di tutti li altri, sì è contentarsi, e questo sì è essere beato; e questo piacere è veramente, avvegna che per altro modo, ne l'aspetto di costei. Chè, guardando costei, la gente si contenta, tanto dolcemente ciba la sua bellezza li occhi de' riguardatori; ma per altro modo che per lo contentare in Paradiso [che] è perpetuo, chè non può ad alcuno essere questo.

6. E però che potrebbe alcuno aver domandato dove questo mirabile piacere appare in costei, distinguo ne la sua persona due parti, ne le quali l'umana piacenza e dispiacenza più appare. Onde è da sapere che in qualunque parte l'anima più adopera del suo officio, che a quella più fissamente intende ad adornare, e più sottilmente quivi adopera. 7. Onde vedemo che ne la faccia de l'uomo, là dove fa più del suo officio che in alcuna parte di fuori, tanto sottilmente intende, che, per sottigliarsi quivi tanto quanto ne la sua materia puote, nullo viso ad altro viso è simile; perchè l'ultima potenza de la materia, la qual è in tutti quasi dissimile, quivi si riduce in atto. 8. E però che ne la faccia massimamente in due luoghi opera l'anima - però che in quelli due luoghi quasi tutte e tre le nature de l'anima hanno giurisdizione - cioè ne li occhi e ne la bocca, quelli massimamente adorna e quivi pone lo 'ntento tutto a fare bello, se puote. E in questi due luoghi dico io che appariscono questi piaceri dicendo: ne li occhi e nel suo dolce riso. 9. Li quali due luoghi, per bella similitudine, si possono appellare balconi de la donna che nel dificio del corpo abita, cioè l'anima; però che quivi, avvegna che quasi velata, spesse volte si dimostra. Dimostrasi ne li occhi tanto manifesta, che conoscer si può la sua presente passione, chi bene là mira. 10. Onde, con ciò sia cosa che sei passioni siano propie de l'anima umana, de le quali fa menzione lo Filosofo ne la sua Rettorica, cioè grazia, zelo, misericordia, invidia, amore e vergogna, di nulla di queste puote l'anima essere passionata che a la finestra de li occhi non vegna la sembianza, se per grande vertù dentro non si chiude. Onde alcuno già si trasse li occhi, perchè la vergogna d'entro non paresse di fuori; sì come dice Stazio poeta del tebano Edipo, quando dice che «con etterna notte solvette lo suo dannato pudore». 11. Dimostrasi ne la bocca, quasi come colore dopo vetro. E che è ridere se non una corruscazione de la dilettazione de l'anima, cioè uno lume apparente di fuori secondo sta dentro? E però si conviene a l'uomo, a dimostrare la sua anima ne l'allegrezza moderata, moderatamente ridere, con onesta severitade e con poco movimento de la sua [f]accia; sì che donna, che allora si dimostra come detto è, paia modesta e non dissoluta. 12. Onde ciò fare ne comanda lo Libro de le quattro vertù cardinali: «Lo tuo riso sia sanza cachinno», cioè sanza schiamazzare come gallina. Ahi mirabile riso de la mia donna, di cui io parlo, che mai non si sentia se non de l'occhio!

13. E dico che Amore le reca queste cose quivi, sì come a luogo suo; dove si può amore doppiamente considerare. Prima l'amore de l'anima, speziale a questi luoghi; secondamente l'amore universale che le cose dispone ad amare e ad essere amate, che ordina l'anima ad adornare queste parti. 14. Poi quando dico: Elle soverchian lo nostro intelletto, escuso me di ciò, che di tanta eccellenza di biltade poco pare che io tratti sovrastando a quella; e dico che poco ne dico per due ragioni. L'una si è che queste cose che paiono nel suo aspetto soverchiano lo 'ntelletto nostro, cioè umano: e dico come questo soverchiare è fatto, che è fatto per lo modo che soverchia lo sole lo fragile viso, non pur lo sano e forte; l'altra si è che fissamente in ess[e] guardare non può, perchè quivi s'inebria l'anima, sì che incontanente, dopo di sguardare, disvia in ciascuna sua operazione.

15. Poi quando dico: Sua bieltà piove fiammelle di foco, ricorro a ritrattare del suo effetto, poi che di lei trattare interamente non si può. Onde è da sapere che di tutte quelle cose che lo 'ntelletto nostro vincono, sì che non può vedere quello che sono, convenevolissimo trattare è per li loro effetti: onde di Dio, e de le sustanze separate, e de la prima materia, così trattando, potemo avere alcuna conoscenza. 16. E però dico che la biltade di quella piove fiammelle di foco, cioè ardore d'amore e di caritade; animate d'un spirito gentile, cioè informato ardore d'un gentile spirito, cioè diritto appetito, per lo quale e del quale nasce origine di buono pensiero. E non solamente fa questo, ma disfà e distrugge lo suo contrario - de li buoni pensieri -, cioè li vizii innati, li quali massimamente sono di buoni pensieri nemici. 17. E qui è da sapere che certi vizii sono ne l'uomo a li quali naturalmente elli è disposto - sì come certi per complessione collerica sono ad ira disposti -, e questi cotali vizii sono innati, cioè connaturali. Altri sono vizii consuetudinarii, a li quali non ha colpa la complessione ma la consuetudine, sì come la intemperanza, e massimamente, del vino: e questi vizii si fuggono e si vincono per buona consuetudine, e fassi l'uomo per essa virtuoso, sanza fatica avere ne la sua moderazione, sì come dice lo Filosofo nel secondo de l'Etica. 18. Veramente questa differenza è intra le passioni connaturali e le consuetudinarie, che le consuetudinarie per buona consuetudine del tutto vanno via; però che lo principio loro, cioè la mala consuetudine, per lo suo contrario si corrompe; ma le connaturali, lo principio de le quali è la natura del passionato, tutto che molto per buona consuetudine si facciano lievi, del tutto non se ne vanno quanto al primo movimento, ma vannosene bene del tutto quanto a durazione; però che la consuetudine non è equabile a la natura, ne la quale è lo principio di quelle. 19. E però è più laudabile l'uomo che dirizza sè e regge sè mal naturato contra l'impeto de la natura, che colui che ben naturato si sostiene in buono reggimento o disviato si rinvia; sì come è più laudabile uno mal cavallo reggere che un altro non reo. 20. Dico adunque che queste fiammelle che piovono da la sua biltade, come detto è, rompono li vizii innati, cioè connaturali, a dare a intendere che la sua bellezza ha podestade in rinnovare natura in coloro che la mirano; ch'è miracolosa cosa. E questo conferma quello che detto è di sopra ne l'altro capitolo, quando dico ch'ella è aiutatrice de la fede nostra.

21. Ultimamente quando dico: Però qual donna sente sua bieltate, conchiudo, sotto colore d'ammonire altrui, lo fine a che fatta fue tanta biltade; e dico che qual donna sente per manco la sua biltade biasimare, guardi in questo perfettissimo essemplo. Dove s'intende che non pur a migliorare lo bene è fatta, ma eziandio a fare de la mala cosa buona cosa. 22. E soggiugne in fine: Costei pensò chi mosse l'universo, cioè Dio, per dare a intendere che per divino proponimento la natura cotale effetto produsse. E così termina tutta la seconda parte principale di questa canzone.

 

Capitolo IX.

1. L'ordine del presente trattato richiede - poi che le due parti di questa canzone per me sono, secondo che fu la mia intenzione, ragionate - che a la terza si proceda, ne la quale io intendo purgare la canzone da una riprensione, la quale a lei potrebbe essere istata contraria, e a questo che [io parlo. Chè] io, prima che a la sua composizione venisse, parendo a me questa donna fatta contra me fiera e superba alquanto, feci una ballatetta ne la quale chiamai questa donna orgogliosa e dispietata: che pare esser contra quello che qui si ragiona di sopra. 2. E però mi volgo a la canzone, e sotto colore d'insegnare a lei come scusare la conviene, scuso quella: ed è una figura questa, quando a le cose inanimate si parla, che si chiama da li rettorici prosopopeia; e usanla molto spesso li poeti. [E comincia questa parte terza:] Canzone, e' par che tu parli contraro. 3. Lo 'ntelletto de la quale a più agevolmente dare a intendere, mi conviene in tre particole dividere: che prima si propone a che la scusa fa mestiere; poi si produce con la scusa, quando dico: Tu sai che 'l cielo; ultimamente parlo a la canzone sì come a persona ammaestrata di quello che dee fare, quando dico: Così ti scusa, se ti fa mestero.

4. Dico dunque in prima: 'O canzone, che parli di questa donna cotanta loda, e' par che tu sii contraria ad una tua sorella'. Per similitudine dico 'sorella'; chè sì come sorella è detta quella femmina che da uno medesimo generante è generata, così puote l'uomo dire 'sorella' de l'opera che da uno medesimo operante è operata; chè la nostra operazione in alcuno modo è generazione. E dico che par che parli contrara a quella, dicendo: tu fai costei umile, e quella la fa superba, cioè fera e disdegnosa, che tanto vale. 5. Proposta questa accusa, procedo a la scusa per essemplo, ne lo quale, alcuna volta, la veritade si discorda da l'apparenza, e, altra, per diverso rispetto si puote tra[nsmu]tare. Dico: Tu sai che 'l ciel sempr'è lucente e chiaro, cioè sempr'è con chiaritade; ma per alcuna cagione alcuna volta è licito di dire quello essere tenebroso. 6. Dove è da sapere che, propriamente, è visibile lo colore e la luce, sì come Aristotile vuole nel secondo de l'Anima, e nel libro del Senso e Sensato. Ben è altra cosa visibile, ma non propriamente, però che [anche] altro senso sente quello, sì che non si può dire che sia propriamente visibile, nè propriamente tangibile; sì come è la figura, la grandezza, lo numero, lo movimento e lo stare fermo, che sensibili [comuni] si chiamano: le quali cose con più sensi comprendiamo. Ma lo colore e la luce sono propriamente; perchè solo col viso comprendiamo ciò, e non con altro senso. 7. Queste cose visibili, sì le proprie come le comuni in quanto sono visibili, vengono dentro a l'occhio - non dico le cose, ma le forme loro - per lo mezzo diafano, non realmente ma intenzionalmente, sì quasi come in vetro transparente. 8. E ne l'acqua ch'è ne la pupilla de l'occhio, questo discorso, che fa la forma visibile per lo mezzo, sì si compie, perchè quell'acqua è terminata - quasi come specchio, che è vetro terminato con piombo -, sì che passar più non può, ma quivi, a modo d'una palla, percossa si ferma; sì che la forma, che nel mezzo transparente non pare, [ne l'acqua pare] lucida e terminata. E questo è quello per che nel vetro piombato la imagine appare, e non in altro. 9. Di questa pupilla lo spirito visivo, che si continua da essa, a la parte del cerebro dinanzi, dov'è la sensibile virtute sì come in principio fontale, subitamente sanza tempo la ripresenta, e così vedemo. Per che, acciò che la visione sia verace, cioè cotale qual è la cosa visibile in sè, conviene che lo mezzo per lo quale a l'occhio viene la forma sia sanza ogni colore, e l'acqua de la pupilla similemente: altrimenti si macolerebbe la forma visibile del color del mezzo e di quello de la pupilla. 10. E però coloro che vogliono far parere le cose ne lo specchio d'alcuno colore, interpongono di quello colore tra 'l vetro e 'l piombo, sì che 'l vetro ne rimane compreso. Veramente Plato e altri flosofi dissero che 'l nostro vedere non era perchè lo visibile venisse a l'occhio, ma perchè la virtù visiva andava fuori al visibile: e questa oppinione è riprovata per falsa dal Filosofo in quello del Senso e Sensato.

11. Veduto questo modo de la vista, vedere si può leggermente che, avvegna che la stella sempre sia d'un modo chiara e lucente, e non riceva mutazione alcuna se non di movimento locale, sì come in quello De Celo et Mundo è provato, per più cagioni puote parere non chiara e non lucente. 12. Però puote parere così per lo mezzo che continuamente si transmuta. Transmutasi questo mezzo di molta luce in poca luce, sì come a la presenza del sole e a la sua assenza; e a la presenza lo mezzo, che è diafano, è tanto pieno di lume che è vincente de la stella, e però [non] pare più lucente. Transmutasi anche questo mezzo di sottile in grosso, di secco in umido, per li vapori de la terra che continuamente salgono: lo quale mezzo, così transmutato, transmuta la immagine de la stella che viene per esso, per la grossezza in oscuritade, e per l'umido e per lo secco in colore. 13. Però puote anche parere così per l'organo visivo, cioè l'occhio, lo quale per infertade e per fatica si transmuta in alcuno coloramento e in alcuna debilitade; sì come avviene molte volte che per essere la tunica de la pupilla sanguinosa molto, per alcuna corruzione d'infertade, le cose paiono quasi tutte rubicunde, e però la stella ne pare colorata. 14. E per essere lo viso debilitato, incontra in esso alcuna disgregazione di spirito, sì che le cose non paiono unite ma disgregate, quasi a guisa che fa la nostra lettera in su la carta umida: e questo è quello per che molti, quando vogliono leggere, si dilungano le scritture da li occhi, perchè la imagine loro vegna dentro più lievemente e più sottile; e in ciò più rimane la lettera discreta ne la vista. 15. E però puote anche la stella parere turbata: e io fui esperto di questo l'anno medesimo che nacque questa canzone, che per affaticare lo viso molto, a studio di leggere, in tanto debilitai li spiriti visivi che le stelle mi pareano tutte d'alcuno albore ombrate. 16. E per lunga riposanza in luoghi oscuri e freddi, e con affreddare lo corpo de l'occhio con l'acqua chiara, riuni' sì la vertù disgregata che tornai nel primo buono stato de la vista. E così appaiono molte cagioni, per le ragioni notate, per che la stella puote parere non com'ella è.

 

Capitolo X.

1. Partendomi da questa disgressione, che mestiere è stata a vedere la veritade, ritorno al proposito e dico che sì come li nostri occhi 'chiamano', cioè giudicano, la stella talora altrimenti che sia la vera sua condizione, così quella ballatetta considerò questa donna secondo l'apparenza, discordante dal vero per infertade de l'anima, che di troppo disio era passionata. 2. E ciò manifesto quando dico: chè l'anima temea, sì che fiero mi parea ciò che vedea ne la sua presenza. Dov'è da sapere che quanto l'agente più al paziente sè unisce, tanto più forte è però la passione, sì come per la sentenza del Filosofo in quello De Generatione si può comprendere; onde, quanto la cosa desiderata più appropinqua al desiderante, tanto lo desiderio è maggiore, e l'anima, più passionata, più si unisce a la parte concupiscibile e più abbandona la ragione. Sì che allora non giudica come uomo la persona, ma quasi come altro animale pur secondo l'apparenza, non discernendo la veritade. 3. E questo è quello per che lo sembiante, onesto secondo lo vero, ne pare disdegnoso e fero; e secondo questo cotale sensuale giudicio parlò quella ballatetta. E in ciò s'intende assai che questa canzone considera questa donna secondo la veritade, per la discordanza che ha con quella. 4. E non sanza cagione dico: là v'ella mi senta, e non là dov'io la senta; ma in ciò voglio dare a intendere la grande virtù che li suoi occhi aveano sopra me: chè, come s'io fosse stato [diafano], così per ogni lato mi passava lo raggio loro. E quivi si potrebbero ragioni naturali e sovrannaturali assegnare; ma basti qui tanto avere detto: altrove ragionerò più convenevolemente.

5. Poi quando dico: Così ti scusa, se ti fa mestero, impongo a la canzone come per le ragioni assegnate 'sè iscusi là dov'è mestiero', cioè là dove alcuno dubitasse di questa contrarietade; che non è altro a dire se non che qualunque dubitasse in ciò, che questa canzone da quella ballatetta si discorda, miri in questa ragione che detta è. 6. E questa cotale figura in rettorica è molto laudabile, e anco necessaria, cioè quando le parole sono a una persona e la 'ntenzione è a un'altra; però che l'ammonire è sempre laudabile e necessario, e non sempre sta convenevolemente ne la bocca di ciascuno. 7. Onde, quando lo figlio è conoscente del vizio del padre, e quando lo suddito è conoscente del vizio del segnore, e quando l'amico conosce che vergogna crescerebbe al suo amico quello ammonendo o menomerebbe suo onore, o conosce l'amico suo non paziente ma iracundo a l'ammonizione, questa figura è bellissima e utilissima, e puotesi chiamare 'dissimulazione'. 8. Ed è simigliante a l'opera di quello savio guerrero che combatte lo castello da uno lato per levare la difesa da l'altro, che non vanno ad una parte la 'ntenzione de l'aiutorio e la battaglia.

9. E impongo anche a costei che domandi parola di parlare a questa donna di lei. Dove si puote intendere che l'uomo non dee essere presuntuoso a lodare altrui, non ponendo bene prima mente s'elli è piacere de la persona laudata; perchè molte volte credendosi [a] alcuno dar loda, si dà biasimo, o per difetto de lo dicitore o per difetto di quello che ode. 10. Onde molta discrezione in ciò avere si conviene; la qual discrezione è quasi uno domandare licenzia, per lo modo ch'io dico che domandi questa canzone. E così termina tutta la litterale sentenza di questo trattato; per che l'ordine de l'opera domanda a l'allegorica esposizione omai, seguendo la veritade, procedere.

Saturday, 23 December 2023

Excellent Readings: Sonnet CIII by William Shakespeare (in English)

Alack! what poverty my Muse brings forth,
That having such a scope to show her pride,
The argument all bare is of more worth
Than when it hath my added praise beside!
O! blame me not, if I no more can write!
Look in your glass, and there appears a face
That over-goes my blunt invention quite,
Dulling my lines, and doing me disgrace.
Were it not sinful then, striving to mend,
To mar the subject that before was well?
For to no other pass my verses tend
Than of your graces and your gifts to tell;
   And more, much more, than in my verse can sit,
   Your own glass shows you when you look in it.

Friday, 22 December 2023

Friday's Sung Word: "A Maior Descoberta" by Cândido das Neves (in Portuguese)

De graça
Quando ela passa
De vestido de caça
E ternura de olhar

Então não há mais quem entenda
O Seu Manuel da venda
Até pode casar

Depois da descoberta do Brasil
A maior descoberta que se tem
Foi, foi, foi a mulata
A mulata que desceu mais de uma vez

As louras pedem concordata
Perto da mulata
Que perdoa, porém

E chega o carnaval, se vinga,
Pois tem ela uma ginga
Que as louras não têm.

 

You can listen "A Maior Descoberta" sung  by Castro Barbosa e Almirante here

Thursday, 21 December 2023

Thursday's Serial: “The Dark Other” by Stanley G. Weinbaum - VII

18 - Vanished

"He doesn't answer! I'm too late," thought Pat disconsolately as she replaced the telephone. The cheerfulness with which she had awakened vanished like a patch of April sunshine. Now, with the failure of her third attempt in as many hours to communicate with Nicholas Devine, she was ready to confess defeat. She had waited too long. Despite Dr. Horker's confidence in Mueller, she should have called last night—at once.

"He's gone!" she murmured distractedly. She realized now the impossibility of finding him. His solitary habits, his dearth of friends, his lonely existence, left her without the least idea of how to commence a search. She knew, actually, so little about him—not even the source of the apparently sufficient income on which he subsisted. She felt herself completely at a loss, puzzled, lonesome, and disheartened. The futile buzzing of the telephone signal symbolized her frustration.

Perhaps, she thought, Dr. Horker might suggest something to do; perhaps, even, Mueller had reported Nick's whereabouts. She seized the hope eagerly. A glance at her wrist-watch revealed the time as ten-thirty; squarely in the midst of the Doctor's morning office hours, but no matter. If he were busy she could wait. She rose, bounding hastily down the stairs.

She glimpsed her mother opening mail in the library, and paused momentarily at the door. Mrs. Lane glanced up as she appeared.

"Hello," said the mother. "You've been on the telephone all morning, and what did Carl want of you last night?"

"Argument," responded Pat briefly.

"Carl's a gem! He's been of inestimable assistance in developing you into a very charming and clever daughter, and Heaven knows what I'd have raised without him!"

"Cain, probably," suggested Pat. She passed into the hall and out the door, blinking in the brilliant August sunshine. She crossed the strip of turf, picked her way through the break in the hedge, and approached the Doctor's door. It was open; it often was in summer time, especially during his brief office hours. She entered and went into the chamber used as waiting room.

His office door was closed; the faint hum of his voice sounded. She sat impatiently in a chair and forced herself to wait.

Fortunately, the delay was nominal; it was but a few minutes when the door opened and an opulent, middle-aged lady swept past her and away. Pat recognized her as Mrs. Lowry, some sort of cousin of the Brock pair.

"Good morning!" boomed the Doctor. "Professional call, I take it, since you're here during office hours." He settled his great form in a chair beside her.

"He's gone!" said Pat plaintively. "I can't reach him."

"Humph!" grunted Horker helpfully.

"I've tried all morning—he's always home in the morning."

"Listen, you little scatter-brain!" rumbled the Doctor. "Why didn't you tell me Mueller brought you home last night? I thought he was on the job."

"I didn't think of it," she wailed. "Nick said he'd have to make some preparations, and I never dreamed he'd skip away like this."

"He must have gone home directly after you left him, and skipped out immediately," said the Doctor ruminatively. "Mueller never caught up with him."

"But what'll we do?" she cried desperately.

"He can't have gone far with no more preparation than this," soothed Horker. "He'll write you in a day or two."

"He won't! He said he wouldn't. He doesn't want me to know where he is!" She was on the verge of tears.

"Now, now," said the Doctor still in his soothing tones. "It isn't as bad as all that."

"Take off your bed-side manner!" she snapped, blinking to keep back the tears. "It's worse! What ever can we do? Dr. Carl," she changed to a pleading tone, "can't you think of something?"

"Of course, Pat! I can think of several things to do if you'll quiet down for a moment or so."

"I'm sorry, Dr. Carl—but what can we do?"

"First, perhaps Mueller can trace him. That's his business, you know."

"But suppose he can't—what then?"

"Well, I'd suggest you write him a letter."

"But I don't know where to write!" she wailed. "I don't know his address!"

"Be still a moment, scatter-brain! Address it to his last residence; you know that, don't you? Of course you do. Now, don't you suppose he'll leave a forwarding address? He must receive some sort of mail about his income, or estate, or whatever he lives on. Your letter'll find him, Honey; don't you doubt it."

"Oh, do you think so?" she asked, suddenly hopeful. "Do you really think so?"

"I really think so. You would too if you didn't fly into a panic every time some little difficulty confronts you. Sometimes even my psychiatry is puzzled to explain how you can be so clever and so stupid, so self-reliant and so dependent, so capable and so helpless—all at one and the same time. Your Nick can't be as much of a paradox as you are!"

"I wonder if a letter will reach him," she said eagerly, ignoring the Doctor's remarks. "I'll try. I'll try immediately."

"I sort of had a feeling you would," said Horker amiably. "I hope you succeed; and not only for your sake, Pat, because God knows how this thing will work out. But I'm anxious to examine this youngster of yours on my own account; he must be a remarkable specimen to account for all the perturbation he's managed to cause you. And this Jekyll-and-Hyde angle sounds interesting, too."

"Jekyll and Hyde!" echoed Pat. "Dr. Carl, is that possible?"

"Not literally," chuckled the other, "though in a sense, Stevenson anticipated Freud in his thesis that liberating the evil serves also to release the good."

"But—It was a drug that caused that change in the story, wasn't it?"

"Well? Do you suspect your friend of being addicted to some mysterious drug? Is that the latest hypothesis?"

"Is there such a drug? One that could change a person's character?"

"All alkaloids do that, Honey. Some of them stimulate, some depress, some breed frenzies, and some give visions of delight—but all of them influence one's mental and emotional organization, which you call character. So for that matter, does a square meal, or a cup of coffee, or even a rainy day."

"But isn't there a drug that can separate good qualities from evil, like the story?"

"Emphatically not, Pat! That's not the trouble with this pesky boy friend of yours."

"Well," said the girl doubtfully, "I only wish I had as much faith in your psychologies as you have. If you brain-doctors know it all, why do you switch theories every year?"

"We don't know it all. On the other hand, there are a few things to be said in our favor."

"What are they?"

"For one," replied the Doctor, "we do cure people occasionally. You'll admit that."

"Sure," said Pat. "So did the Salem witches—occasionally." She gave him a suddenly worried look. "Oh, Dr. Carl, don't think I'm not grateful! You know how much I'm hoping from your help, but I'm miserably anxious over all this."

"Never mind, Honey. You're not the first one to point out the shortcomings of the medical profession. That's a game played by plenty of physicians too." He paused at the sound of footsteps on the porch, followed by the buzz of the doorbell. "Run along and write your letter, dear—here comes that Tuesday hypochondriac of mine, and he's rich enough for my careful attention."

Pat flashed him a quick smile of farewell and slipped quietly into the hall. At the door she passed the Doctor's patient—a lean, elderly gentleman of woe-begone visage—and returned to her own home.

Her spirits, mercurial to a degree, had risen again. She was suddenly positive that the Doctor's scheme would bring results, and she darted into the house almost buoyantly. Her mother had abandoned the desk, and she ensconced herself before it, finding paper and pen, and staring thoughtfully at the blank sheet.

Finally she wrote.

    "Dear Nick—

    "Something has happened, favorable, I think, to us. I believe I have found the help we need.

    "Will you come if you can, or if that's not possible, break that self-given promise of yours, and communicate with me?

    "I love you."

She signed it simply "Pat", placed it in an envelope, addressed it hastily, and hurried out to post it. On her return she spied the Doctor's hypochondriac in the act of leaving. He walked past her with his lean, worry-smitten face like a study of Hogarth, and she heard him mumbling to himself. The elation went out of her; she mounted the steps very soberly, and went miserably inside.

 

19 - Man or Monster?

Pat suffered Wednesday through somehow, knowing that any such early response to her letter was impossible. Still, that impossibility did not deter her from starting at the sound of the telephone, and sorting through the mail with an eagerness that drew a casual attention from her mother.

"Good Heavens, Patricia! You're like a child watching for an answer to his note to Santa Claus!"

"That's what I am, I guess," responded the girl ruefully. "Maybe I expect too much from Santa Claus."

Late in the afternoon she drifted over to Dr. Horker's residence, to be informed that he was out. For distraction, she went in anyway, and spent a while browsing among the books in the library. She blundered into Kraft-Ebing, and read a few pages in growing indignation.

"I'm ashamed to be human!" she muttered disgustedly to herself, slamming shut the Psychopathia Sexualis. "I wouldn't be a doctor, or have a child of mine become one, if I were positively certain he'd turn into Lord Lister himself! Nick was right when he said doctors live on people's troubles."

She wondered how Dr. Horker could remain so human, so kindly and understanding, when as he said himself his world was a parade of misfits, incompetents, and all the nastiness of mortals. He was nice; she felt no embarrassment in confiding in him even when she might hesitate to bare her feelings to her own mother. Or was it simply the natural thing to do to tell one's troubles to a doctor?

Not, of course, that the situation reflected any discredit on her mother. Mrs. Lane was a very precious sort of parent, she mused, young as Pat in spirit, appreciative and enthusiastically fond of her daughter. That she trusted Pat, that she permitted her to do entirely as she pleased, was exactly as the girl would have it; it argued no lack of affection that each of them had their separate interests, and if the girl occasionally found herself in unpleasantness such as this, that too was her own fault.

And yet, she reflected, it was a bitter thing to have no one to whom to turn. If it weren't for Dr. Carl and his jovial willingness to commit any sin up to malpractice to help her, she might have felt differently. But there always was Dr. Carl, and that, she concluded, was that.

She wandered back to her own side of the hedge, missing for the first time in many weeks the companionship of the old crowd. There hadn't been many idle afternoons heretofore during the summer; there'd always been some of the collegiate vacationing in town, and Pat had never needed other lure than her own piquant vivacity to assure herself of ample attention. Now, of course, it was different; she had so definitely tagged herself with the same Nicholas Devine that even the most ardent of the group had taken the warning.

"And I don't regret it either!" she told herself as she entered the house. "Trouble, mystery, suffering and all—I don't regret it! I've had my compensations too."

She sighed and trudged upstairs to prepare for dinner.

Morning found Pat in a fair frenzy of trepidation. She kept repeating to herself that two days wasn't enough, that more time might be required, that even had Nicholas Devine received her letter, he might not have answered at once. Yet she was quivering as she darted into the hall to examine the mail.

It was there! She spied a fragment of the irregular handwriting and seized the envelope from beneath a clutter of notes, bills, and advertisements. She glanced at the post-mark. Chicago! He hadn't left the city, trusting perhaps to the anonymity conferred by its colossal swarm of humanity. Indeed, she thought as she stared at the missive, he might have moved around the corner, and save for the chance of a fortuitous meeting she'd never know it.

She tore open the envelope and scanned the several scrawled lines.

No heading, no salutation, not even a signature. Just, "Thursday evening at our place in the park." No more; she studied the few words intently, as if she could read into their bald phrasing the moods and hidden emotions of the writer.

A single phrase, but sufficient. The day was suddenly brighter, and the hope which had glowed so dimly yesterday was abruptly almost more than a hope—a certainty. All her doubts of Dr. Horker's abilities were forgotten; already the solution of this uncanny mystery seemed assured, and the restoration of romance imminent. She carried the letter to her own room and tucked it carefully by the other in the drawer of the night-table.

Thursday evening—this evening! Many hours intervened between now and a reasonable time for the meeting, but they loomed no longer drab, dull, and hopeless. She lay on her bed and dreamed.

She could meet Nick as early as possible; perhaps at eight-thirty, and bring him directly to the Doctor's residence. No use wasting a moment, she mused; the sooner some light could be thrown on the affliction, the sooner they could lay the devil—exorcise it. Demon, fixed idea, mental aberration, or whatever Dr. Carl chose to call it, it had to be met and vanquished once and forever. And it could be vanquished; in her present mood she didn't doubt it. Then—after that—there was the prospect of her own Nick regained, and the sweet vistas opened by that reflection.

She lunched in an abstracted manner. In the afternoon, when the phone rang, she jumped in a startled manner, then relaxed with a shrug.

But this time it was for her. She darted into the hall to take the call on the lower phone; she was hardly surprised but thoroughly excited to recognize the voice of Nicholas Devine.

"Pat?"

"Nick! Oh, Nick, Honey! What is it?"

"My note to you." Even across the wire she sensed the strain in his tense tones. "You've read it?"

"Of course, Nick! I'll be there."

"No." His voice was trembling. "You won't come, Pat. Promise you won't!"

"But why? Why not, Nick? Oh, it's terribly important that I see you!"

"You're not to come, Pat!"

"But—" An idea was struggling to her consciousness. "Nick, was it—?"

"Yes. You know now."

"But, Honey, what difference does it make? You come. You must, Nick!"

"I won't meet you, I tell you!" She could hear his voice rising excitedly in pitch, she could feel the intensity of the struggle across unknown miles of lifeless copper wire.

"Nick," she said, "I'm going to be there, and you're going to meet me."

There was silence at the other end.

"Nick!" she cried anxiously. "Do you hear me? I'll be there. Will you?"

His voice sounded again, now flat and toneless.

"Yes," he said. "I'll be there."

The receiver clicked at the far end of the wire; there was only a futile buzzing in Pat's ears. She replaced the instrument and sat staring dubiously at it.

Had that been Nick, really her Nick, or—? Suppose she went to that meeting and found—the other? Was she willing to face another evening of indignities and terrors like those still fresh in her memory?

Still, she argued, what harm could come to her on that bench, exposed as it was to the gaze of thousands who wandered through the park on summer evenings? Suppose it were the other who met her; there was no way to force her into a situation such as that of Saturday night. Nick himself had chosen that very spot for their other meeting, and for that very reason.

"There's no risk in it," she told herself, "Nothing can possibly happen. I'll simply go there and bring Nick back to Dr. Carl's, along a lighted, busy street, the whole two blocks. What's there to be afraid of?"

Nothing at all, she answered herself. But suppose—She shuddered and deliberately abandoned her chain of thought as she rose and rejoined her mother.

 

20 - The Assignation

Pat was by no means as buoyant as she had been in the morning. She approached the appointed meeting place with a feeling of trepidation that all her arguments could not subdue.

She surveyed the crowded walks of the park with relief; she felt confirmed in her assumption that nothing unpleasant could occur with so many on-lookers. So she approached the bench with somewhat greater self-assurance than when she had left the house.

She saw the seat with its lone occupant, and hastened her steps. Nicholas Devine was sitting exactly as he had on that other occasion, chin cupped on his hands, eyes turned moodily toward the vast lake that coruscated now with the reflection of stars and many lights. As before, she moved close to his side before he looked up, but here the similarity of the two occasions vanished. Her fears were realized; she was looking into the red-gleaming eyes and expressionless features of his other self—the demon of Saturday evening!

"Sit down!" he said as a sardonic half-smile twisted his lips. "Aren't you pleased? Aren't you thrilled to the very core of your being?"

Pat stood irresolute; she controlled an impulse to break into sudden, abandoned flight. The imminence of the crowded walks again reassured her, and she seated herself gingerly on the extreme edge of the bench, staring at her companion with coolly inimical eyes. He returned her gaze with features as immobile as carven stone; only his red eyes gave evidence of the obscene, uncanny life behind the mask.

"Well?" said Pat in as frigid a voice as she could muster.

"Yes," said the other surveying her. "You are quite as I recalled you. Very pretty, almost beautiful, save for a certain irregularity in your features. Not unpleasant, however." His eyes traveled over her body; automatically she drew back, shrinking away from him. "You have a seductive body," he continued. "A most seductive body; I regret that circumstances prevented our full enjoyment of it. But that will come. Yes, that will come!"

"Oh!" said Pat faintly. It took all her determination to remain seated by the side of the horror.

"You were extremely attractive as I attired you Saturday," the other proceeded. His lips took on a curious sensual leer. "I could have done better with more time; I would have stripped you somewhat more completely. Everything, I think, except your legs; I am pleased by the sight of long, straight, silk-clad legs, and should perhaps have received some pleasure by running these hands along them—scratching at proper intervals for the aesthetic effect of blood. But that too will come."

The girl sprang erect, gasping and speechless in outraged anger. She turned abruptly; nothing remained of her determination now. She felt only an urge to escape from the sneering tormentor who had lost in her mind all connection with her own Nicholas Devine. She took a sudden step.

"Sit down!" She heard the tones of the entity behind her, flat, unchanged. "Sit down, else I'll drag you here!"

She paused in sheer surprise, turning a startled face on the other.

"You wouldn't dare!" she said, amazed at the bald effrontery of the threat. "You don't dare touch me here!"

The other laughed. "Don't I? What have I to risk? He'll suffer for any deed of mine! You'll call for aid against me and only loose the hounds on him."

Pat stared blankly at the evil face. She had no answer; for once her ready tongue found no retort.

"Sit down!" reiterated the other, and she dropped dazedly to her position on the bench. She turned dark questioning eyes on him.

"Do you see," he sneered, "how weakening an influence is this love of yours? To protect him you are obeying me; this is my authority over you—this body I share with him!"

She made no reply; she was making a desperate effort to lash her mind into activity, to formulate some means of combating the being who tortured her.

"It has weakened him, too," the other proceeded. "This disturbed love of his has taken away the mastery which birth gave him, and his enfeeblement has given that mastery to me. He knows now the reason for his weakness; I tell it to him too late to harm me."

Pat struggled for composure. The very presence of the cold demon tore at the roots of her self-control, and she suppressed a fierce desire to break into hysterical laughter. Ridiculous, hopeless, incomprehensible situation! She forced her quivering throat to husky speech.

"What—what are you?" she stammered.

"Synapse! I'm a question of synapses," jeered the other. "Simple! Very simple! Ask your friend the Doctor!"

"I think," said the girl, a measure of control returning to her voice, "that you're a devil. You're some sort of a fiend that has managed to attach itself to Nick, and you're not human. That's what I think!"

"Think what you please," said the other. "We're wasting time here," he said abruptly. "Come."

"Where?" Pat was startled; she felt a recurrence of fright.

"No matter where. Come."

"I won't! Why do you want me?"

"To complete the business of Saturday night," he said. "Your lips have healed; they bleed no longer, but that is easy to remedy. Come."

"I won't!" exclaimed the girl in sudden panic. "I won't!" She moved as if to rise.

"You forget," intoned the being beside her. "You forget the authority vested in me by virtue of this love of yours. Let me convince you." He stretched forth a thin hand. "Move and you condemn your sweetheart to the punishment you threaten me."

He seized her arm, pinching the flesh brutally, his nails breaking the smooth skin. Pat felt her face turn ashy pale; she closed her eyes and bit her nearly-healed lips at the excruciating pain, but she made not the slightest sound nor the faintest movement. She simply sat and suffered.

"You see!" sneered the other, releasing her. "Thank my kindly nature that I marked your arm instead of your face. Shall we go?"

A scarcely audible whimper of pain came from the girl's lips. She sat palled and unmoving, with her eyes still closed.

"No," she murmured faintly at last. "No. I won't go with you."

"Shall I drag you?"

"Yes. Drag me if you dare."

His hand closed on her wrist; she felt herself jerked violently to her feet, so roughly that it wrenched her shoulder. A startled, frightened little cry broke from her lips, and then she closed them firmly at the sight of several by-passers turning curious eyes on them.

"I'll come," she murmured. The glimmering of an idea had risen in her chaotic mind.

She followed him in grim, bitter silence across the clipped turf to the limit of the park. She recognized Nick's modest automobile standing in the line of cars along the street; her companion, or captor, moved directly towards it, opened the door and clambered in without a single backward glance. He turned about and watched her as she paused with one diminutive foot on the running board, and rubbed her hand over her aching arm.

"Get in!" he ordered coldly.

She made no move. "I want to know where you intend to take me."

"It doesn't matter. To a place where we can complete that unfinished experiment of ours. Aren't you happy at the prospect?"

"Do you think," she said unsteadily, "that I'd consent to that even to save Nick from disgrace and punishment? Do you think I'm fool enough for that?"

"We'll soon see." He extended his hand. "Scream—fight—struggle!" he jeered. "Call them down on your sweetheart!"

He had closed his hand on her wrist; she jerked it convulsively from his grasp.

"I'll bargain with you!" she gasped. She needed a moment's respite to clarify a thought that had been growing in her mind.

"Bargain? What have you to offer?"

"As much as you!"

"Ah, but I have a threat—the threat to your sweetheart! And I'm offering too the lure of that evil whose face so charmed you recently. Have you forgotten how nearly I won you to the worship of that principle? Have you forgotten the ecstasy of that pain?"

His terrible, blood-shot eyes were approaching her face; and strangely, the girl felt a curious recurrence of that illogical desire to yield that had swept over her on that disastrous night of Saturday. There had been an ecstasy; there had been a wild, ungodly, unhallowed pleasure in his blows, in the searing pain of his kisses on her lacerated lips. She realized vaguely that she was staring blankly, dazedly, into the red eyes, and that somewhere within her, some insane brain-cells were urging her to clamber to the seat beside him.

She tore her eyes away. She rubbed her bruised shoulder, and the pain of her own touch restored her vanishing logical faculties. She returned her gaze to the face of the other, meeting his gaze now coolly.

"Nick!" she said earnestly, as if calling him from a distance. "Nick!"

There was, she fancied, the faintest gleam of concern apparent in the features opposite her. She continued.

"Nick!" she repeated. "You can hear me, Honey. Come to the house as soon as you are able. Come tonight, or any time; I'll wait until you do. You'll come, Honey; you must!"

She backed away from the car; the other made no move to halt her. She circled the vehicle and dashed recklessly across the street. From the safety of the opposite walk she glanced back; the red-eyed visage was regarding her steadily through the glass of the window.