Wednesday 12 May 2021

Homily by Pope Pius XII (in Italian)

Celebrazione eucaristica  per invocare la pace  nel mondo

  


Basilica Vaticana - Domenica, 24 novembre 1940

 

Ai fedeli riuniti nella Basilica Vaticana,

durante la celebrazione della Messa.

 

Il Vangelo di oggi ci presenta, diletti figli, gran parte del discorso fatto dal Nostro Signore Gesù Cristo nel rispondere alle domande degli Apostoli: quando sarebbe avvenuta la distruzione del magnifico tempio di Gerusalemme, sicché non ne rimanesse pietra sopra pietra; quale sarebbe stato il segno del suo secondo avvento e della fine del mondo. Cristo parlava ai suoi Apostoli, seduto, come narra l’Evangelista Matteo, sul monte Oliveto, guardando Gerusalemme e la mole del tempio: scena mesta e divinamente austera, in cui il Verbo di Dio fatto carne, viatore e contemplatore dei secoli eterni, si sollevava e sublimava profeta sopra i profeti. Egli, creatore dell’universo e dell’uomo, Egli, arbitro del passato e dell’avvenire, pendente dalla sua mano, si assideva al centro dei secoli annunziatore della rovina del vecchio tempio e della dispersione dei figli d’Israele, come già prima aveva promesso la edificazione sopra a Pietro del nuovo tempio della sua indistruttibile Chiesa; annunziatore della seconda sua venuta, quando “il segno del Figlio dell’uomo comparirà nel cielo; e allora piangeranno tutte le nazioni della terra, e vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi del cielo con grande potenza e maestà. E manderà i suoi Angeli con tromba sonora, e raduneranno i suoi eletti dai quattro venti, da un’estremità all’altra dei cieli!” [1]. “Ecce praedixi vobis … Caelum et terra transibunt, verba autem mea non praeteribunt” [2].

Passeranno il cielo e la terra. Passerà questa terra, che calca il nostro piede, fende e bagna di sudore la nostra mano, scruta il nostro occhio; questa terra, di cui il nostro ferro trafora e tormenta le viscere, scavando i sepolcri delle spente selve, dei mostri coevi di spiagge ignote; dei vapori di estinti vulcani e delle vene dei metalli e delle liquide fiamme, che turbano i sogni dell’uomo e ne scuotono la pace. Passerà questo nostro vecchio globo, che sembra non più bastare agli uomini e a saziare il fremito delle loro contrastanti aspirazioni, per le quali arde ai nostri giorni una lotta di così gigantesche proporzioni, da sorpassare e quasi oscurare i più grandi avvenimenti e rivolgimenti della storia del mondo. Passerà la terra, e noi tutti dovremo comparire davanti al tribunale di Cristo, affinché ciascuno ne riceva la mercede o la pena, secondo che avrà fatto il bene o il male [3]; ma non passeranno le parole di Cristo, che predice e annunzia anzi tempo agli Apostoli la storia della sua Chiesa e del mondo e le tristi vicende che incontreranno attraverso i secoli. E là, in quel medesimo discorso sull’Oliveto, in vista di Gerusalemme, li ammonisce a guardare che alcuno non li seduca. «Perché, diceva loro, sentirete parlare di guerre e di rumori di guerre. Badate di non turbarvi; giacché bisogna che queste cose succedano; ma non è ancora la fine: Audituri enim estis praelia et opiniones praeliorum. Videte ne turbemini; oportet enim haec fieri, sed nondum est finis” [4].

No; la consumazione dei secoli non è ancora giunta. Cristo, se è asceso in cielo, sta sempre con noi tutti i giorni, anche in mezzo alle guerre e ai rumori di guerre. Non dobbiamo turbarcene, come non se ne turbarono gli Apostoli, nella predicazione del Vangelo. Ma, se il turbamento non Ci abbatte lo spirito, sentiamo però nel profondo del Nostro animo che l’ora presente è una fase della grave storia dell’umanità predetta da Cristo. E voi, diletti figli, non ignorate quanto questa nuova e fierissima guerra, che pesa sull’Europa e sul mondo, gravi necessariamente anche sul Nostro cuore, per quel paterno affetto, derivante dall’ufficio impostoCi da Dio verso tutte le genti; giacché ben sapete che dell’affetto e dell’amore è figlio il dolore. Non è forse la dolorosa passione di Cristo il frutto del suo amore per noi “Sic Deus dilexit mundum!” [5] E nel suo trionfale ingresso in Gerusalemme, che tanto amò, avvicinandosi alla città e rimirandola, non pianse il divin Redentore sopra di essa? E disse: «O se avessi conosciuto anche tu, e proprio in questo giorno, quello che importa alla tua pace !” [6] Questo ineffabile lamento del Salvatore innanzi a Gerusalemme non poteva non scendere nel cuore dell’umile suo Vicario alla contemplazione dell’Europa e del mondo in immane conflitto. Noi non abbiamo nulla tralasciato per la pace fra le nazioni, consci come siamo di essere servi e ministri di un eccelso Re pacifico, pacificante, non col sangue delle battaglie, ma mediante il sangue della sua croce, e le cose della terra e le cose del cielo [7]. Abbiamo seguito il grido e l’impulso del Nostro cuore, perché fra le genti si ristabilisse la concordia, da lungo tempo turbata e ora miseramente spezzata, con un ordine più equo e unanime, basato su quella giustizia, la quale tranquilla le passioni, sopisce gli odi, spegne i fermenti dei rancori e delle lotte; un ordine che tenda ad attribuire a tutti i popoli, nella tranquillità, nella libertà e nella sicurezza, la parte, ad ognuno di essi in questa terra spettante, delle fonti della prosperità e della potenza, affine di rendere loro possibile l’adempimento della parola del Creatore: “Crescite et multiplicamini, et replete terram” [8]. Fin dallo scoppiare del conflitto, il Nostro pensiero e l’animo Nostro non hanno mai cessato dal far sì che i divini conforti e gli aiuti umani fossero, per quanto Ci era possibile, impartiti a coloro, ai quali l’urto delle armi avesse cagionato perdite e dolori. “Caritas enim Christi urget nos” [9]. Padre comune dei fidenti in Cristo, Pastore dell’immenso ovile di Cristo, sono Nostri figli, sono Nostre pecorelle, i vicini e i lontani, i fedeli e gli smarriti o randagi: a tutti siamo debitori di amore, di conforto, di aiuto, di compassione, ai deboli e ai potenti, ai miseri e agl’infelici, ai sapienti e agl’insipienti [10]. Questa valle di lacrime ha talvolta procellose inondazioni di nuove lacrime da asciugare sul volto dei fanciulli, delle madri, degli uomini, dei vecchi, che sentono un duro abbandono della vita e dello spirito, specialmente in quest’ora agitata, quando la formidabile lotta, non che scemare, più aspra perdura e si avanza.

Ma, se il fragore di guerra sembra vincere e coprire la Nostra voce, dalla terra Noi alziamo lo sguardo al cielo, al Padre delle misericordie e al Dio di ogni consolazione [11], che tutto contempla quaggiù, tutto governa e comanda al flutto dell’oceano: «Verrai fin qui e non passerai oltre; qui romperai il tuo bollente furore” [12]. A Lui, sotto la cui mano divina, nell’ordine universale degli eventi e delle cose, si agita l’azione libera dell’uomo senza poter sfuggire al suo provvido e ineluttabile consiglio; a Lui Noi leviamo il grido del Nostro cuore e del Nostro dolore, invocando migliori tempi al genere umano, migliori aurore e migliori tramonti alle nostre giornate: “Da pacem, Domine, in diebus nostris”. No; il nostro Dio non è come i simulacri delle genti, che hanno orecchi e non odono, hanno mani e non fanno grazie, hanno seno e non amano [13]. Il nostro Dio è amore, è la carità stessa; e noi abbiamo conosciuto e creduto alla carità che Dio ha per noi: «Et nos cognovimus, et credidimus caritati, quam habet Deus in nobis: Deus caritas est” [14].

Questo è il mistero del cuore di Dio, il gran mistero del cristianesimo. Dio, con quella infinita e amorosa misericordia, la quale si spande su tutte le sue creature [15], ci ascolterà — nel momento e nel modo dalla Provvidenza sua benedetta disposti — se ai piedi del suo trono salirà unanime la preghiera fiduciosa e ardente, avvalorata dalla umiliazione della penitenza; perché appartiene alla suprema eminenza della bontà e della carità divina non solo il distribuire l’essere e il benessere a tutti, ma ancora l’esaudire nella sua liberalità i pii desideri che si esprimono per mezzo dell’orazione. Non ci ha il Figlio di Dio incarnato chiamati suoi amici nei suoi discepoli? [16] E non è pregio dell’amicizia che chi ama voglia che sia appagata la brama dell’amato?

Perciò, nella festa di Cristo Re, sotto la protezione della gloriosa Vergine del Rosario, abbiamo chiamato tutti i figli della Chiesa ad elevare con Noi pubbliche preghiere, in questo giorno; sicché ne risulti un solo immenso coro di supplicanti, rispondenti alla Nostra voce, vari di cielo, di lingua, di costumi, di maniera, di rito, ma fervidi di una medesima fede, di una medesima speranza, di un medesimo amore, i quali rivolgano con Noi lo sguardo oltre le stelle, e al trono dell’Altissimo porgano umili invocazioni di grazia e misericordia.

Guardate, diletti figli, questo altare, questa croce che lo sormonta, questo pane e questo calice, questa tomba, su cui riverenti posiamo il piede, Pietra fondamentale della Chiesa, famosa e venerata dalla fede delle genti; guardate questo centro glorioso di tutti gli altari dell’universo. Questo è l’incruento Golgota della misericordia e della giustizia divina, sul quale si placa e si propizia la Maestà di Dio. Qui fra le ali delle schiere celesti, sotto lo sguardo dei Profeti, degli Evangelisti, degli Apostoli e dei Santi è il propiziatorio del nuovo ed eterno Testamento, dove Cristo si fa Ostia al Padre, e rinnova col portento dei portenti il suo sacrificio del Golgota nel suo Corpo e nel suo Sangue sparso per la remissione dei peccati, “non solo per i nostri, ma anche per quelli di tutto il mondo” [17]. Si adunino dunque intorno a Noi tutti i credenti in Lui; e uniti in ispirito con Noi, che qui, sotto questa mirabile volta gareggiante col cielo, offriamo a Dio il divino sacrificio di propiziazione, i sacri ministri, in ogni luogo della terra, sacrifichino e offrano all’eterno Padre la medesima oblazione monda del diletto suo Figlio, di Cristo, il quale sull’altare della croce una sola volta si offerse in modo cruento, e in forma incruenta, divisata dal suo immenso e ineffabile amore, un numero senza numero di volte si è immolato e s’immola sui nostri altari.

Sì, o Padre nostro che state nei cieli, o Dio, protettore nostro, volgete lo sguardo a Cristo vostro Figlio; mirate i segni vermigli delle sue ferite, a cui lo condusse l’amore per noi e l’obbedienza a Voi, con le quali volle farsi in ogni tribolazione nostro Avvocato e Propiziatore. O Gesù, Salvatore nostro, parlate al Padre vostro e Padre nostro per noi, supplicatelo per noi, per la vostra Chiesa, per tutti gli uomini, conquista del vostro sangue. O Re pacifico, Principe di pace! Voi, che avete le chiavi della vita e della morte, donate la pace della requie sempiterna alle anime di tutti i fedeli, dal turbine di guerra travolti nella morte, e, noti e ignoti, lacrimati o illacrimati, sepolti sotto le rovine delle città e dei villaggi distrutti, per le pianure insanguinate, su per i colli squarciati, negli abissi delle valli o nei gorghi marini. Scenda sulle loro pene il vostro sangue purificatore a imbiancare i loro manti e a renderli degni e fulgidi al vostro cospetto beatificante. Voi, amoroso confortatore degli infelici, che lacrimaste alle lacrime di Marta e Maria sconsolate per il morto fratello, concedete la pace del conforto, della rassegnazione e dell’aiuto ai miseri, dalle calamità della guerra prostrati nella tribolazione e nel dolore, agli esuli, ai profughi dalla patria, ai raminghi sconosciuti, ai prigionieri, ai feriti fiduciosi in Voi. Rasciugate le lacrime di tante spose, di tante madri, di tanti orfani, di tante famiglie, di tanti derelitti; lacrime nascoste, cadenti sopra il pane del dolore, dopo durati digiuni, in freddi tuguri, pane diviso fra i fanciulli più volte condotti ai vostri altari nell’umile chiesetta a pregare per il babbo o per il fratello maggiore, forse morto, forse languente, forse sperduto. Consolate tutti coi doni celesti e con quei sollievi e soccorsi della feconda carità, che Voi sapete ispirare agli animi gentili, i quali negli affannati e sfortunati riconoscono i loro fratelli e amano le immagini vostre. Concedete ai combattenti, coll’eroismo nell’adempimento del loro dovere, anche fino al supremo sacrificio, per la difesa della Patria, quel nobile senso di umanità, che in ogni evento non fa ad altri ciò che non vorrebbe fosse fatto a sé o al proprio popolo [18].

O Signore, regni e trionfi la carità del vostro divino Spirito sul mondo, e torni fra i popoli e le nazioni la pace della concordia e della giustizia. Siano accetti e graditi al mite e umile vostro Cuore i nostri voti, e Vi renda a noi propizio il numero e la devozione dei santi sacrifici che, prona, tutta la Chiesa, vostra Sposa, per Voi stesso, Sacerdote e Vittima in eterno, offre al divino vostro Padre. Parlate Voi ai cuori degli uomini. Voi avete parole, che penetrano e scuotono il cuore, che illuminano la mente, che calmano le ire, spengono gli odi e le vendette. Dite quella parola che seda le tempeste, che risana gl’infermi, che è luce ai ciechi e udito ai sordi, che è vita ai morti. La pace fra gli uomini, che voi volete, è morta: risuscitatela, o divino Vincitore della morte; e per Voi si tranquillino alfine la terra e il mare; cessino nei cieli i turbini, che, sfidando i raggi del sole od occulti fra le tenebre della notte, gettano su inermi popolazioni il terrore, gl’incendi, le distruzioni, le stragi; la giustizia con cristiana carità pareggi dall’uno e dall’altro lato i sussulti delle bilance; sicché riparata ogni ingiustizia, restaurato l’impero del diritto, estinta ogni discordia e rancore degli animi, risorga e si ravvivi in serena visione di nuova e unanime prosperità una vera e ordinata e duratura pace che affratelli, nel cammino dei secoli e nel consenso del bene più alto, tutte le genti dell’umana famiglia sotto lo sguardo vostro. Così sia.

 

Notes:

[1] Matth., XXIV, 30-31.

[2] Matth., XXIV, 25 et 35.

[3] II Cor., V, 10.

[4] Matth., XXIV, 6.

[5] Ioann., III, 16.

[6] Luc., XIX, 41.

[7] Col., 1, 20.

[8] Gen., IX, 1.

[9] II Cor., V, 14.

[10] Rom., I, 14.

[11] II Cor., I, 3.

[12] Iob., XXXVIII, 11.

[13] Ps. CXIII.

[14] I Ioann., IV, 16.

[15] Ps. CXLIV, 9.

[16] Ioann., XV, 15.

[17] I Ioann., 11, 2.

[18] Matth., VII, 12.

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