Thursday, 21 November 2024

Thursday’s Serial: “ Le avventure di Pinocchio: Storia di un burattino” by Carlo Collodi (in Italian) - VIII

XXII. Pinocchio scuopre i ladri, e in ricompensa di essere stato fedele vien posto in libertà.

 

Ed era già più di due ore che dormiva saporitamente, quando verso la mezzanotte fu svegliato da un bisbiglio e da un pissi-pissi di vocine strane, che gli parve di sentire nell’aia. Messa fuori la punta del naso dalla buca del casotto, vide riunite a consiglio quattro bestiuole di pelame scuro, che parevano gatti. Ma non erano gatti: erano faine, animaletti carnivori, ghiottosissimi d’uova e di pollastrine giovani. Una di queste faine, staccandosi dalle sue compagne, andò alla buca del casotto e disse sottovoce:

— Buona sera, Melampo.

— Io non mi chiamo Melampo — rispose il burattino.

— O dunque chi sei?

— Io sono Pinocchio.

— E che cosa fai costì?

— Faccio il cane di guardia.

— O Melampo dov’è? dov’è il vecchio cane, che stava in questo casotto?

― È morto questa mattina.

— Morto? povera bestia!… Era tanto buono!… Ma giudicandoti dalla fisonomia, anche te mi sembri un cane di garbo.

— Domando scusa, io non sono un cane!…

— O chi sei?

— Io sono un burattino.

— E fai da cane di guardia?

— Pur troppo: per mia punizione!…

— Ebbene, io ti propongo gli stessi patti che avevo col defunto Melampo, e sarai contento.

— E questi patti sarebbero?

— Noi verremo una volta la settimana, come per il passato, a visitare di notte questo pollaio e porteremo via otto galline. Di queste galline, sette le mangeremo noi, e una la daremo a te, a condizione, s’intende bene, che tu faccia finta di dormire e non ti venga mai l’estro di abbaiare e di svegliare il contadino.

— E Melampo faceva proprio così? — domandò Pinocchio.

— Faceva così, e fra noi e lui, siamo andati sempre d’accordo. Dormi dunque tranquillamente, e stai sicuro che prima di partire di qui ti lasceremo sul casotto una gallina bell’e pelata per la colazione di domani. Ci siamo intesi bene?

— Anche troppo bene!… — rispose Pinocchio: e tentennò il capo in un certo modo minaccioso, come se avesse voluto dire: — Fra poco ci riparleremo!… —

Quando le quattro faine si credettero sicure del fatto loro, andarono difilato al pollaio, che rimaneva appunto vicinissimo al casotto del cane; e aperta a furia di denti e di unghioli la porticina di legno, che ne chiudeva l’entrata, vi sgusciarono dentro, una dopo l’altra. Ma non erano ancora finite d’entrare, che sentirono la porticina richiudersi con grandissima violenza.

Quello che l’aveva richiusa era Pinocchio; il quale, non contento di averla richiusa, vi passò davanti per maggior sicurezza una grossa pietra, a guisa di puntello.

E poi cominciò ad abbaiare: e, abbaiando proprio come se fosse un cane di guardia, faceva colla voce: bù-bù-bù-bù.

A quella abbaiata, il contadino saltò il letto, e preso il fucile e affacciatosi alla finestra, domandò:

— Che c’è di nuovo?

— Ci sono i ladri! — rispose Pinocchio.

— Dove sono?

— Nel pollaio.

— Ora scendo subito. —

E difatti, in men che si dice amen, il contadino scese: entrò di corsa nel pollaio, e dopo avere acchiappate e rinchiuse in un sacco le quattro faine, disse loro con accento di vera contentezza:

— Alla fine siete cascate nelle mie mani! Potrei punirvi, ma sì vil non sono! Mi contenterò, invece, di portarvi domani all’oste del vicino paese, il quale vi spellerà e vi cucinerà a uso lepre dolce e forte. È un onore che non vi meritate, ma gli uomini generosi come me non badano a queste piccolezze!… —

Quindi, avvicinatosi a Pinocchio, cominciò a fargli molte carezze, e fra le altre cose, gli domandò:

— Com’hai fatto a scoprire il complotto di queste quattro ladroncelle? E dire che Melampo, il mio fido Melampo, non s’era mai accorto di nulla!… —

Il burattino, allora, avrebbe potuto raccontare quel che sapeva; avrebbe potuto, cioè, raccontare i patti vergognosi che passavano tra il cane e le faine; ma ricordandosi che il cane era morto, pensò subito dentro di sè: — A che serve accusare i morti?… I morti son morti, e la miglior cosa che si possa fare è quella di lasciarli in pace!…

— All’arrivo delle faine sull’aia, eri sveglio o dormivi? — continuò a chiedergli il contadino.

Dormivo: — rispose Pinocchio — ma le faine mi hanno svegliato coi loro chiacchiericci, e una è venuta fin qui al casotto per dirmi: «Se prometti di non abbaiare, e di non svegliare il padrone, noi ti regaleremo una pollastra bell’e pelata!» Capite, eh? Avere la sfacciataggine di fare a me una simile proposta! Perchè bisogna sapere che io sono un burattino, che avrò tutti i difetti di questo mondo: ma non avrò mai quello di star di balla e di reggere il sacco alla gente disonesta!

— Bravo ragazzo! — gridò il contadino, battendogli sur una spalla. — Cotesti sentimenti ti fanno onore: e per provarti la mia grande soddisfazione, ti lascio libero fin d’ora di tornare a casa. —

E gli levò il collare da cane.

 

 

XXIII. Pinocchio piange la morte della bella Bambina dai capelli turchini: poi trova un Colombo, che lo porta sulla riva del mare, e lì si getta nell’acqua per andare in aiuto del suo babbo Geppetto.

 

Appena Pinocchio non sentì più il peso durissimo e umiliante di quel collare intorno al collo, si pose a scappare attraverso i campi, e non si fermò un solo minuto finchè non ebbe raggiunta la strada maestra, che doveva ricondurlo alla casina della Fata.

Arrivato sulla strada maestra, si voltò in giù a guardare nella sottoposta pianura, e vide benissimo, a occhio nudo, il bosco dove disgraziatamente aveva incontrato la Volpe e il Gatto: vide, fra mezzo agli alberi, inalzarsi la cima di quella Quercia grande, alla quale era stato appeso ciondoloni per il collo; ma guarda di qui, guarda di là, non gli fu possibile di vedere la piccola casa della bella Bambina dai capelli turchini.

Allora ebbe una specie di tristo presentimento; e datosi a correre con quanta forza gli rimaneva nelle gambe, si trovò in pochi minuti sul prato, dove sorgeva una volta la Casina bianca. Ma la Casina bianca non c’era più. C’era, invece, una piccola pietra di marmo, sulla quale si leggevano in carattere stampatello queste dolorose parole:

 

QUI GIACE

LA BAMBINA DAI CAPELLI TURCHINI

MORTA DI DOLORE

PER ESSERE STATA ABBANDONATA DAL SUO

FRATELLINO PINOCCHIO.

 

Come rimanesse il burattino, quand’ebbe compitate alla peggio quelle parole, lo lascio pensare a voi. Cadde bocconi a terra e coprendo di mille baci quel marmo mortuario, dètte in un grande scoppio di pianto. Pianse tutta la notte, e la mattina dopo, sul far del giorno, piangeva sempre, sebbene negli occhi non avesse più lacrime: e le sue grida e i suoi lamenti erano così strazianti ed acuti, che tutte le colline all’intorno ne ripetevano l’eco.

E piangendo diceva:

«O Fatina mia, perchè sei morta?... perchè, invece di te, non sono morto io, che sono tanto cattivo, mentre tu eri tanto buona?... E il mio babbo dove sarà? O Fatina mia, dimmi dove posso trovarlo, chè voglio stare sempre con lui, e non lasciarlo più! più! più!... O Fatina mia, dimmi che non è vero che sei morta!… Se davvero mi vuoi bene… se vuoi bene al tuo fratellino, rivivisci… ritorna viva come prima! Non ti dispiace a vedermi solo, abbandonato da tutti?… Se arrivano gli assassini, mi attaccheranno daccapo al ramo dell’albero… e allora morirò per sempre. Che vuoi che io faccia qui solo in questo mondo? Ora che ho perduto te e il mio babbo, chi mi darà da mangiare? Dove anderò a dormire la notte? Chi mi farà la giacchettina nuova? Oh! sarebbe meglio, cento volte meglio, che morissi anch’io! Sì, voglio morire! ih! ih! ih!»

E mentre si disperava a questo modo, fece l’atto di volersi strappare i capelli: ma i suoi capelli, essendo di legno, non potè nemmeno levarsi il gusto di ficcarci dentro le dita.

Intanto passò su per aria un grosso Colombo, il quale soffermatosi, a ali distese, gli gridò da una grande altezza:

— Dimmi, bambino, che cosa fai costaggiù?

— Non lo vedi? piango! — disse Pinocchio alzando il capo verso quella voce e strofinandosi gli occhi colla manica della giacchetta.

— Dimmi, — soggiunse allora il Colombo — non conosci per caso fra i tuoi compagni, un burattino, che ha nome Pinocchio?

— Pinocchio?… Hai detto Pinocchio? — ripetè il burattino saltando subito in piedi. — Pinocchio sono io! —

Il Colombo, a questa risposta, si calò velocemente e venne a posarsi a terra. Era più grosso di un tacchino.

— Conoscerai dunque anche Geppetto? — domandò al burattino.

— Se lo conosco? È il mio povero babbo! ti ha forse parlato di me? Mi conduci da lui? ma è sempre vivo? rispondimi per carità: è sempre vivo?

— L’ho lasciato tre giorni fa sulla spiaggia del mare.

— Che cosa faceva?

— Si fabbricava da sè una piccola barchetta, per traversare l’Oceano. Quel pover’uomo sono più di quattro mesi che gira per il mondo in cerca di te: e non avendoti potuto trovare, ora si è messo in capo di cercarti nei paesi lontani del nuovo mondo.

— Quanto c’è di qui alla spiaggia? — domandò Pinocchio con ansia affettuosa.

— Più di mille chilometri.

— Mille chilometri? O Colombo mio, che bella cosa potessi avere le tue ali!…

— Se vuoi venire, ti ci porto io.

— Come?

— A cavallo sulla mia groppa. Sei peso di molto?…

— Peso? tutt’altro! Son leggiero come una foglia. —

E lì, senza stare a dir altro, Pinocchio saltò sulla groppa al Colombo; e messa una gamba di qui e l’altra di là, come fanno i cavallerizzi, gridò tutto contento: «Galoppa, galoppa, cavallino, chè mi preme di arrivar presto!…» Il Colombo prese l’aìre e in pochi minuti arrivò col volo tanto in alto, che toccava quasi le nuvole. Giunto a quell’altezza straordinaria, il burattino ebbe la curiosità di voltarsi in giù a guardare: e fu preso da tanta paura e da tali giracapi, che per evitare il pericolo di venir di sotto, si avviticchiò colle braccia, stretto stretto, al collo della sua piumata cavalcatura.

Volarono tutto il giorno. Sul far della sera, il Colombo disse:

— Ho una gran sete!

— E io una gran fame! — soggiunse Pinocchio.

— Fermiamoci a questa colombaia pochi minuti; e dopo ci rimetteremo in viaggio, per essere domattina all’alba sulla spiaggia del mare. —

Entrarono in una colombaia deserta, dove c’era soltanto una catinella piena d’acqua e un cestino ricolmo di vecce.

Il burattino, in tempo di vita sua, non aveva mai potuto patire le veccie: a sentir lui, gli facevano nausea, gli rivoltavano lo stomaco: ma quella sera ne mangiò a strippapelle, e quando l’ebbe quasi finite, si voltò al Colombo e gli disse:

— Non avrei mai creduto che le vecce fossero così buone!

— Bisogna persuadersi, ragazzo mio, — replicò il Colombo — che quando la fame dice davvero e non c’è altro da mangiare, anche le vecce diventano squisite! La fame non ha capricci nè ghiottonerie! ―

Fatto alla svelta un piccolo spuntino, si riposero in viaggio, e via! La mattina dopo arrivarono sulla spiaggia del mare.

Il Colombo posò a terra Pinocchio, e non volendo nemmeno la seccatura di sentirsi ringraziare per aver fatto una buona azione, riprese subito il volo e sparì.

La spiaggia era piena di gente che urlava e gesticolava guardando il mare.

— Che cos’è accaduto? — domandò Pinocchio a una vecchina.

— Gli è accaduto che un povero babbo, avendo perduto il figliuolo, gli è voluto entrare in una barchetta per andare a cercarlo di là dal mare; e il mare oggi è molto cattivo e la barchetta sta per andare sott’acqua…

— Dov’è la barchetta?

— Eccola laggiù, diritta al mio dito, — disse la vecchia, accennando una piccola barca che, veduta a quella distanza pareva un guscio di noce con dentro un omino piccino piccino.

Pinocchio appuntò gli occhi da quella parte, e dopo aver guardato attentamente, cacciò un urlo acutissimo gridando:

— Gli è il mi’ babbo! gli è il mi’ babbo! —

Intanto la barchetta, sbattuta dall’infuriare dell’onde, ora spariva fra i grossi cavalloni, ora tornava a galleggiare: e Pinocchio, ritto sulla punta di un alto scoglio, non finiva più dal chiamare il suo babbo per nome, e dal fargli molti segnali colle mani e col moccichino da naso e perfino col berretto che aveva in capo.

E parve che Geppetto, sebbene fosse molto lontano dalla spiaggia, riconoscesse il figliuolo, perchè si levò il berretto anche lui e lo salutò e, a furia di gesti, gli fece capire che sarebbe tornato volentieri indietro, ma il mare era tanto grosso, che gl’impediva di lavorare col remo e di potersi avvicinare alla terra.

Tutt’a un tratto venne una terribile ondata, e la barca sparì.

Aspettarono che la barca tornasse a galla: ma la barca non si vide più tornare.

— Pover’uomo! — dissero allora i pescatori, che erano raccolti sulla spiaggia: e brontolando sottovoce una preghiera, si mossero per tornarsene alle loro case.

Quand’ecco che udirono un urlo disperato, e voltandosi indietro, videro un ragazzetto che, di vetta a uno scoglio, si gettava in mare gridando:

— Voglio salvare il mio babbo!―

Pinocchio, essendo tutto di legno, galleggiava facilmente e nuotava come un pesce. Ora si vedeva sparire sott’acqua, portato dall’impeto dei flutti, ora riappariva fuori con una gamba o con un braccio, a grandissima distanza dalla terra. Alla fine lo persero d’occhio, non lo videro più.

— Povero ragazzo! — dissero allora i pescatori, che erano raccolti sulla spiaggia; e brontolando sottovoce una preghiera, tornarono alle loro case.

 

 

XXIV. Pinocchio arriva all’isola delle «Api industriose» e ritrova la Fata.

Pinocchio, animato dalla speranza di arrivare in tempo a dare aiuto al suo povero babbo, nuotò tutta quanta la notte.

E che orribile nottata fu quella! Diluviò, grandinò, tuonò spaventosamente e con certi lampi che pareva di giorno.

Sul far del mattino, gli riuscì di vedere poco distante una lunga striscia di terra. Era un’isola in mezzo al mare.

Allora fece di tutto per arrivare a quella spiaggia: ma inutilmente. Le onde, rincorrendosi e accavallandosi, se lo abballottavano fra di loro, come se fosse stato un fuscello o un filo di paglia. Alla fine, e per sua buona fortuna, venne un’ondata tanto prepotente e impetuosa, che lo scaraventò di peso sulla rena del lido.

Il colpo fu così forte, che battendo in terra, gli crocchiarono tutte le costole e tutte le congiunture: ma si consolò subito col dire: — Anche per questa volta l’ho scampata bella! —

Intanto a poco a poco il cielo si rasserenò; il sole apparve fuori in tutto il suo splendore, e il mare diventò tranquillissimo e buono come un olio.

Allora il burattino distese i suoi panni al sole per rasciugarli e si pose a guardare di qua e di là se per caso avesse potuto scorgere su quella immensa spianata d’acqua una piccola barchetta con un omino dentro. Ma dopo aver guardato ben bene, non vide altro dinanzi a sè che cielo, mare e qualche vela di bastimento, ma così lontana lontana, che pareva una mosca.

— Sapessi almeno come si chiama quest’isola! — andava dicendo. — Sapessi almeno se quest’isola è abitata da gente di garbo, voglio dire da gente che non abbia il vizio di attaccare i ragazzi ai rami degli alberi! ma a chi mai posso domandarlo? a chi, se non c’è nessuno?…—

Quest’idea di trovarsi solo, solo, solo, in mezzo a quel gran paese disabitato, gli messe addosso tanta malinconia, che stava lì lì per piangere; quando tutt’a un tratto vide passare, a poca distanza dalla riva, un grosso pesce che se ne andava tranquillamente per i fatti suoi con tutta la testa fuori dell’acqua.

Non sapendo come chiamarlo per nome, il burattino gli gridò a voce alta, per farsi sentire:

— Ehi, signor pesce, che mi permetterebbe una parola?

— Anche due, — rispose il pesce, il quale era un Delfino così garbato, come se ne trovano pochi in tutti i mari del mondo.

— Mi farebbe il piacere di dirmi se in quest’isola vi sono dei paesi dove si possa mangiare, senza pericolo d’esser mangiati?

— Ve ne sono sicuro! — rispose il Delfino. — Anzi, ne troverai uno poco lontano di qui.

— E che strada si fa per andarvi?

— Devi prendere quella viottola là, a mancina, e camminare sempre diritto al naso. Non puoi sbagliare.

— Mi dica un’altra cosa. Lei che passeggia tutto il giorno e tutta la notte per il mare, non avrebbe incontrato per caso una piccola barchettina con dentro il mi’ babbo?

— E chi è il tuo babbo?

— Gli è il babbo più buono del mondo, come io sono il figliuolo più cattivo che si possa dare.

— Colla burrasca che ha fatto questa notte — rispose il Delfino — la barchetta sarà andata sott’acqua.

— E il mio babbo?

— A quest’ora l’avrà inghiottito il terribile Pesce-cane, che da qualche giorno è venuto a spargere lo sterminio e la desolazione nelle nostre acque.

— Che è grosso di molto questo Pesce-cane? — domandò Pinocchio, che di già cominciava a tremare dalla paura.

— Se gli è grosso!… — replicò il Delfino. — Perchè tu possa fartene un’idea, ti dirò che è più grosso di un casamento di cinque piani, ed ha una boccaccia così larga e profonda, che ci passerebbe comodamente tutto il treno della strada ferrata colla macchina accesa.

— Mamma mia! — gridò spaventato il burattino; e rivestitosi in fretta e furia, si voltò al Delfino e gli disse: — Arrivederla, signor pesce: scusi tanto l’incomodo, e mille grazie della sua garbatezza. —

Detto ciò, prese subito la viottola e cominciò a camminare di un passo svelto: tanto svelto, che pareva quasi che corresse. E a ogni più piccolo rumore che sentiva, si voltava subito a guardare indietro, per la paura di vedersi inseguire da quel terribile Pesce-cane grosso come una casa di cinque piani e con un treno della strada ferrata in bocca.

Dopo aver camminato più di mezz’ora, arrivò a un piccolo paese detto « il paese delle Api industriose. » Le strade formicolavano di persone che correvano di qua e di là per le loro faccende: tutti lavoravano, tutti avevano qualche cosa da fare. Non si trovava un ozioso o un vagabondo nemmeno a cercarlo col lumicino.

— Ho capito; — disse subito quello svogliato di Pinocchio, — questo paese non è fatto per me! Io non son nato per lavorare! — Intanto la fame lo tormentava, perchè erano oramai passate ventiquattr’ore che non aveva mangiato più nulla; nemmeno una pietanza di vecce.

Che fare?

Non gli restavano che due modi per potersi sdigiunare: o chiedere un po’ di lavoro, o chiedere in elemosina un soldo o un boccon di pane.

A chiedere l’elemosina si vergognava: perchè il suo babbo gli aveva predicato sempre che l’elemosina hanno il diritto di chiederla solamente i vecchi e gl’infermi. I veri poveri, in questo mondo, meritevoli di assistenza e di compassione, non sono altro che quelli che, per ragione d’età o di malattia, si trovano condannati a non potersi più guadagnare il pane col lavoro delle proprie mani. Tutti gli altri hanno l’obbligo di lavorare; e se non lavorano e patiscono la fame, tanto peggio per loro.

In quel frattempo, passò per la strada un uomo tutto sudato e trafelato, il quale da sè tirava con gran fatica due carretti carichi di carbone.

Pinocchio, giudicandolo dalla fisonomia per un buon uomo, gli si accostò e, abbassando gli occhi dalla vergogna, gli disse sottovoce:

— Mi fareste la carità di darmi un soldo, perchè mi sento morir dalla fame?

— Non un soldo solo, — rispose il carbonaio — ma te ne do quattro, a patto che tu m’aiuti a tirare fino a casa questi due carretti di carbone.

— Mi meraviglio! — rispose il burattino quasi offeso; — per vostra regola io non ho fatto mai il somaro; io non ho mai tirato il carretto!

— Meglio per te! — rispose il carbonaio. — Allora, ragazzo mio, se ti senti davvero morir dalla fame, mangia due belle fette della tua superbia e bada di non prendere un’indigestione.

Dopo pochi minuti passò per la via un muratore, che portava sulle spalle un corbello di calcina.

— Fareste, galantuomo, la carità d’un soldo a un povero ragazzo, che sbadiglia dall’appetito?

— Volentieri; vieni con me a portar calcina, — rispose il muratore — e invece d’un soldo, te ne darò cinque.

— Ma la calcina è pesa, — replicò Pinocchio, — e io non voglio durar fatica.

— Se non vuoi durar fatica, allora, ragazzo mio, divertiti a sbadigliare, e buon pro ti faccia. —

In men di mezz’ora passarono altre venti persone, e a tutte Pinocchio chiese un po’ d’elemosina, ma tutte gli risposero:

— Non ti vergogni? Invece di fare il bighellone per la strada, va’ piuttosto a cercarti un po’ di lavoro, e impara a guadagnarti il pane! —

Finalmente passò una buona donnina, che portava due brocche d’acqua.

— Vi contentate, buona donna, che io beva una sorsata d’acqua alla vostra brocca? — chiese Pinocchio, che bruciava dall’arsione della sete.

— Bevi pure, ragazzo mio! — disse la donnina, posando le due brocche in terra.

Quando Pinocchio ebbe bevuto come una spugna, borbottò a mezza voce, asciugandosi la bocca:

— La sete me la sono levata! Così mi potessi levar la fame!… —

La buona donnina, sentendo queste parole, soggiunse subito:

— Se mi aiuti a portare a casa una di queste brocche d’acqua, ti darò un bel pezzo di pane. —

Pinocchio guardò la brocca, e non rispose nè sì nè no.

— E insieme col pane ti darò un bel piatto di cavol fiore condito coll’olio e coll’aceto, — soggiunse la buona donna.

Pinocchio dètte un’altra occhiata alla brocca, e non rispose nè sì nè no.

— E dopo il cavol fiore ti darò un bel confetto ripieno di rosolio. —

Alle seduzioni di quest’ultima ghiottoneria, Pinocchio non seppe più resistere e, fatto un animo risoluto, disse:

— Pazienza! Vi porterò la brocca fino a casa!

La brocca era molto pesa, e il burattino, non avendo forza di portarla colle mani, si rassegnò a portarla in capo.

Arrivati a casa, la buona donnina fece sedere Pinocchio a una piccola tavola apparecchiata, e gli pose davanti il pane, il cavolfiore condito e il confetto.

Pinocchio non mangiò, ma diluviò. Il suo stomaco pareva un quartiere rimasto vuoto e disabitato da cinque mesi.

Calmati a poco a poco i morsi rabbiosi della fame, allora alzò il capo per ringraziare la sua benefattrice: ma non aveva ancora finito di fissarla in volto, che cacciò un lunghissimo ohhh! di maraviglia e rimase là incantato, cogli occhi spalancati, colla forchetta per aria e colla bocca piena di pane e di cavol fiore.

— Che cos’è mai tutta questa meraviglia? — disse ridendo la buona donna.

— Egli è… — rispose balbettando Pinocchio — egli è.... egli è.... che voi somigliate.... voi mi rammentate.... sì, sì, sì, la stessa voce gli stessi occhi... gli stessi capelli… sì, sì, sì.... anche voi avete i capelli turchini.... come lei! O Fatina mia!... O Fatina mia!... ditemi che siete voi, proprio voi!... Non mi fate più piangere! Se sapeste! Ho pianto tanto, ho patito tanto!... —

E nel dir così, Pinocchio piangeva dirottamente, e gettandosi ginocchioni per terra abbracciava i ginocchi di quella donnina misteriosa.

Wednesday, 20 November 2024

Wednesday's Good Reading: "Les Loups et les Brebis" by Jean de la Fontaine (in French)

    “Après mille ans et plus de guerre déclarée,  
    Les Loups firent la paix avecque les Brebis,  
    C’était apparemment le bien des deux partis:  
    Car, si les Loups mangeaient mainte bête égarée,  
    Les Bergers de leur peau se faisaint maints habits.  
    Jamais de liberté, ni pour les pâturages,  
    Ni d’autre part pour les carnages:  
    Ils ne pouvaient jouir qu’en tremblant de leurs biens.  
    La paix se conclut donc; on donne des otages:  
    Les Loups, leurs Louveteaux; et les Brebis, leurs Chiens.  

    L’echange en étant fait aux formes ordinaires,  
    Et réglé par des commissaires.  
    Au bout de quelque temps que messieurs les Louvats  
    Se virent loups parfaits et friands de tuerie,  
    Ils vous prennent le temps que dans la bergerie  
    Messieurs les Bergers n’étaient pas,  
    Étranglent la moitié des Agneaux les plus gras,  
    Les emportent aux dents, dans les bois se retirent.  
    Ils avaient averti leurs gens secrètement.  
    Les Chiens, qui, sur leur foi, reposaient surement,  
    Furent étranglés, en dormant,  
    Cela fut sitôt fait qu’à peine ils le sentirent;  
    Tout fut mis en morceaux; un seul n’en échappa.  

    Nous pouvons conclure de là  
    Qu’il faut faire aux méchants guerre continuelle.  
    La paix est fort bonne de soi;  
    J’en conviens: mais de quoi sert-elle  
    Avec des ennemis sans foi?”

Monday, 18 November 2024

Tuesday's Serial: “Lavengro” by George Borrow (in English) - XL

 

Chapter 76

hasty farewell—lofty rock—wrestlings of jacob—no rest—ways of providence—two females—foot of the cross—enemy of souls—perplexed—lucky hour—valetudinarian—methodists—fervent in your prayer—you saxons—weak creatures—very agreeable—almost happy—kindness and solicitude

 

'Where was I, young man? Oh, I remember, at the fatal passage which removed all hope. I will not dwell on what I felt. I closed my eyes, and wished that I might be dreaming; but it was no dream, but a terrific reality: I will not dwell on that period, I should only shock you. I could not bear my feelings; so, bidding my friends a hasty farewell, I abandoned myself to horror and despair, and ran wild through Wales, climbing mountains and wading streams.

'Climbing mountains and wading streams, I ran wild about, I was burnt by the sun, drenched by the rain, and had frequently at night no other covering than the sky, or the humid roof of some cave; but nothing seemed to affect my constitution; probably the fire which burned within me counteracted what I suffered from without. During the space of three years I scarcely knew what befell me; my life was a dream—a wild, horrible dream; more than once I believe I was in the hands of robbers, and once in the hands of gypsies. I liked the last description of people least of all; I could not abide their yellow faces, or their ceaseless clabber. Escaping from these beings, whose countenances and godless discourse brought to my mind the demons of the deep Unknown, I still ran wild through Wales, I know not how long. On one occasion, coming in some degree to my recollection, I felt myself quite unable to bear the horrors of my situation; looking round I found myself near the sea; instantly the idea came into my head that I would cast myself into it, and thus anticipate my final doom. I hesitated a moment, but a voice within me seemed to tell me that I could do no better; the sea was near, and I could not swim, so I determined to fling myself into the sea. As I was running along at great speed, in the direction of a lofty rock, which beetled over the waters, I suddenly felt myself seized by the coat. I strove to tear myself away, but in vain; looking round, I perceived a venerable hale old man, who had hold of me. "Let me go!" said I fiercely. "I will not let thee go," said the old man, and now, instead of with one, he grappled me with both hands. "In whose name dost thou detain me?" said I, scarcely knowing what I said. "In the name of my Master, who made thee and yonder sea; and has said to the sea, So far shalt thou come, and no farther, and to thee, Thou shalt do no murder." "Has not a man a right to do what he pleases with his own?" said I. "He has," said the old man, "but thy life is not thy own; thou art accountable for it to thy God. Nay, I will not let thee go," he continued, as I again struggled; "if thou struggle with me the whole day I will not let thee go, as Charles Wesley says, in his 'Wrestlings of Jacob'; and see, it is of no use struggling, for I am, in the strength of my Master, stronger than thou"; and indeed, all of a sudden I had become very weak and exhausted; whereupon the old man, beholding my situation, took me by the arm and led me gently to a neighbouring town, which stood behind a hill, and which I had not before observed; presently he opened the door of a respectable-looking house, which stood beside a large building having the appearance of a chapel, and conducted me into a small room, with a great many books in it. Having caused me to sit down, he stood looking at me for some time, occasionally heaving a sigh. I was, indeed, haggard and forlorn. "Who art thou?" he said at last. "A miserable man," I replied. "What makes thee miserable?" said the old man. "A hideous crime," I replied. "I can find no rest; like Cain I wander here and there." The old man turned pale. "Hast thou taken another's life?" said he; "if so, I advise thee to surrender thyself to the magistrate; thou canst do no better; thy doing so will be the best proof of thy repentance; and though there be no hope for thee in this world there may be much in the next." "No," said I, "I have never taken another's life." "What then, another's goods? If so, restore them sevenfold, if possible: or, if it be not in thy power, and thy conscience accuse thee, surrender thyself to the magistrate, and make the only satisfaction thou art able." "I have taken no one's goods," said I. "Of what art thou guilty, then?" said he. "Art thou a drunkard? a profligate?" "Alas, no," said I; "I am neither of these; would that I were no worse."

'Thereupon the old man looked steadfastly at me for some time; then, after appearing to reflect, he said, "Young man, I have a great desire to know your name." "What matters it to you what is my name?" said I; "you know nothing of me." "Perhaps you are mistaken," said the old man, looking kindly at me; "but at all events tell me your name." I hesitated a moment, and then told him who I was, whereupon he exclaimed with much emotion, "I thought so; how wonderful are the ways of Providence. I have heard of thee, young man, and know thy mother well. Only a month ago, when upon a journey, I experienced much kindness from her. She was speaking to me of her lost child, with tears; she told me that you were one of the best of sons, but that some strange idea appeared to have occupied your mind. Despair not, my son. If thou hast been afflicted, I doubt not but that thy affliction will eventually turn out to thy benefit; I doubt not but that thou wilt be preserved, as an example of the great mercy of God. I will now kneel down and pray for thee, my son."

'He knelt down, and prayed long and fervently. I remained standing for some time; at length I knelt down likewise. I scarcely knew what he was saying, but when he concluded I said "Amen."

'And when we had risen from our knees, the old man left me for a short time, and on his return led me into another room, where were two females; one was an elderly person, the wife of the old man,—the other was a young woman of very prepossessing appearance (hang not down thy head, Winifred), who I soon found was a distant relation of the old man,—both received me with great kindness, the old man having doubtless previously told them who I was.

'I stayed several days in the good man's house. I had still the greater portion of a small sum which I happened to have about me when I departed on my dolorous wandering, and with this I purchased clothes, and altered my appearance considerably. On the evening of the second day my friend said, "I am going to preach, perhaps you will come and hear me." I consented, and we all went, not to a church, but to the large building next the house; for the old man, though a clergyman, was not of the established persuasion, and there the old man mounted a pulpit and began to preach. "Come unto me, all ye that labour and are heavy laden," etc., etc., was his text. His sermon was long, but I still bear the greater portion of it in my mind.

'The substance of it was that Jesus was at all times ready to take upon Himself the burden of our sins, provided we came to Him with a humble and contrite spirit, and begged His help. This doctrine was new to me; I had often been at church, but had never heard it preached before, at least so distinctly. When he said that all men might be saved, I shook, for I expected he would add, all except those who had committed the mysterious sin; but no, all men were to be saved who with a humble and contrite spirit would come to Jesus, cast themselves at the foot of His cross, and accept pardon through the merits of His blood-shedding alone. "Therefore, my friends," said he, in conclusion, "despair not—however guilty you may be, despair not—however desperate your conditions may seem," said he, fixing his eyes upon me, "despair not. There is nothing more foolish and more wicked than despair; overweening confidence is not more foolish than despair; both are the favourite weapons of the enemy of souls."

'This discourse gave rise in my mind to no slight perplexity. I had read in the Scriptures that he who committeth a certain sin shall never be forgiven, and that there is no hope for him either in this world or the next. And here was a man, a good man certainly, and one who, of necessity, was thoroughly acquainted with the Scriptures, who told me that any one might be forgiven, however wicked, who would only trust in Christ and in the merits of His blood-shedding. Did I believe in Christ? Ay, truly. Was I willing to be saved by Christ? Ay, truly. Did I trust in Christ? I trusted that Christ would save every one but myself. And why not myself? simply because the Scriptures had told me that he who has committed the sin against the Holy Ghost can never be saved, and I had committed the sin against the Holy Ghost,—perhaps the only one who ever had committed it. How could I hope? The Scriptures could not lie, and yet here was this good old man, profoundly versed in the Scriptures, who bade me hope; would he lie? No. But did the old man know my case? Ah, no, he did not know my case! but yet he had bid me hope, whatever I had done, provided I would go to Jesus. But how could I think of going to Jesus, when the Scriptures told me plainly that all would be useless? I was perplexed, and yet a ray of hope began to dawn in my soul. I thought of consulting the good man, but I was afraid he would drive away the small glimmer. I was afraid he would say, "Oh yes, every one is to be saved, except a wretch like you; I was not aware before that there was anything so horrible,—begone!" Once or twice the old man questioned me on the subject of my misery, but I evaded him; once, indeed, when he looked particularly benevolent, I think I should have unbosomed myself to him, but we were interrupted. He never pressed me much; perhaps he was delicate in probing my mind, as we were then of different persuasions. Hence he advised me to seek the advice of some powerful minister in my own church; there were many such in it, he said.

'I stayed several days in the family, during which time I more than once heard my venerable friend preach; each time he preached, he exhorted his hearers not to despair. The whole family were kind to me; his wife frequently discoursed with me, and also the young person to whom I have already alluded. It appeared to me that the latter took a peculiar interest in my fate.

'At last my friend said to me, "It is now time thou shouldest return to thy mother and thy brother." So I arose, and departed to my mother and my brother; and at my departure my old friend gave me his blessing, and his wife and the young person shed tears, the last especially. And when my mother saw me, she shed tears, and fell on my neck and kissed me, and my brother took me by the hand and bade me welcome; and when our first emotions were subsided, my mother said, "I trust thou are come in a lucky hour. A few weeks ago my cousin (whose favourite thou always wast) died and left thee his heir—left thee the goodly farm in which he lived. I trust, my son, that thou wilt now settle, and be a comfort to me in my old days." And I answered, "I will, if so please the Lord"; and I said to myself, "God grant that this bequest be a token of the Lord's favour."

'And in a few days I departed to take possession of my farm; it was about twenty miles from my mother's house, in a beautiful but rather wild district; I arrived at the fall of the leaf. All day long I busied myself with my farm, and thus kept my mind employed. At night, however, I felt rather solitary, and I frequently wished for a companion. Each night and morning I prayed fervently unto the Lord; for His hand had been very heavy upon me, and I feared Him.

'There was one thing connected with my new abode which gave me considerable uneasiness—the want of spiritual instruction. There was a church, indeed, close at hand, in which service was occasionally performed, but in so hurried and heartless a manner that I derived little benefit from it. The clergyman to whom the benefice belonged was a valetudinarian, who passed his time in London, or at some watering-place, entrusting the care of his flock to the curate of a distant parish, who gave himself very little trouble about the matter. Now I wanted every Sunday to hear from the pulpit words of consolation and encouragement, similar to those which I had heard uttered from the pulpit by my good and venerable friend, but I was debarred from this privilege. At length, one day being in conversation with one of my labourers, a staid and serious man, I spoke to him of the matter which lay heavy upon my mind; whereupon, looking me wistfully in the face, he said, "Master, the want of religious instruction in my church was what drove me to the Methodists." "The Methodists," said I, "are there any in these parts?" "There is a chapel," said he, "only half a mile distant, at which there are two services every Sunday, and other two during the week." Now it happened that my venerable friend was of the Methodist persuasion, and when I heard the poor man talk in this manner, I said to him, "May I go with you next Sunday?" "Why not?" said he; so I went with the labourer on the ensuing Sabbath to the meeting of the Methodists.

'I liked the preaching which I heard at the chapel very well, though it was not quite so comfortable as that of my old friend, the preacher being in some respects a different kind of man. It, however, did me good, and I went again, and continued to do so, though I did not become a regular member of the body at that time.

'I had now the benefit of religious instruction, and also to a certain extent of religious fellowship, for the preacher and various members of his flock frequently came to see me. They were honest plain men, not exactly of the description which I wished for, but still good sort of people, and I was glad to see them. Once on a time, when some of them were with me, one of them inquired whether I was fervent in prayer. "Very fervent," said I. "And do you read the Scriptures often?" said he. "No," said I. "Why not?" said he. "Because I am afraid to see there my own condemnation." They looked at each other, and said nothing at the time. On leaving me, however, they all advised me to read the Scriptures with fervency and prayer.

'As I had told these honest people, I shrank from searching the Scriptures; the remembrance of the fatal passage was still too vivid in my mind to permit me. I did not wish to see my condemnation repeated, but I was very fervent in prayer, and almost hoped that God would yet forgive me by virtue of the blood-shedding of the Lamb. Time passed on, my affairs prospered, and I enjoyed a certain portion of tranquillity. Occasionally, when I had nothing else to do, I renewed my studies. Many is the book I read, especially in my native language, for I was always fond of my native language, and proud of being a Welshman. Amongst the books I read were the odes of the great Ab Gwilym, whom thou, friend, hast never heard of; no, nor any of thy countrymen, for you are an ignorant race, you Saxons, at least with respect to all that relates to Wales and Welshmen. I likewise read the book of Master Ellis Wyn. The latter work possessed a singular fascination for me, on account of its wonderful delineations of the torments of the nether world.

'But man does not love to be alone; indeed, the Scripture says that it is not good for man to be alone. I occupied my body with the pursuits of husbandry, and I improved my mind with the perusal of good and wise books; but, as I have already said, I frequently sighed for a companion with whom I could exchange ideas, and who could take an interest in my pursuits; the want of such a one I more particularly felt in the long winter evenings. It was then that the image of the young person whom I had seen in the house of the preacher frequently rose up distinctly before my mind's eye, decked with quiet graces—hang not down your head, Winifred—and I thought that of all the women in the world I should wish her to be my partner, and then I considered whether it would be possible to obtain her. I am ready to acknowledge, friend, that it was both selfish and wicked in me to wish to fetter any human being to a lost creature like myself, conscious of having committed a crime for which the Scriptures told me there is no pardon. I had, indeed, a long struggle as to whether I should make the attempt or not—selfishness however prevailed. I will not detain your attention with relating all that occurred at this period—suffice it to say that I made my suit and was successful; it is true that the old man, who was her guardian, hesitated, and asked several questions respecting my state of mind. I am afraid that I partly deceived him, perhaps he partly deceived himself; he was pleased that I had adopted his profession—we are all weak creatures. With respect to the young person, she did not ask many questions; and I soon found that I had won her heart. To be brief, I married her; and here she is, the truest wife that ever man had, and the kindest. Kind I may well call her, seeing that she shrinks not from me, who so cruelly deceived her, in not telling her at first what I was. I married her, friend; and brought her home to my little possession, where we passed our time very agreeably. Our affairs prospered, our garners were full, and there was coin in our purse. I worked in the field; Winifred busied herself with the dairy. At night I frequently read books to her, books of my own country, friend; I likewise read to her songs of my own, holy songs and carols which she admired, and which yourself would perhaps admire, could you understand them; but I repeat, you Saxons are an ignorant people with respect to us, and a perverse, inasmuch as you despise Welsh without understanding it. Every night I prayed fervently, and my wife admired my gift of prayer.

'One night, after I had been reading to my wife a portion of Ellis Wyn, my wife said, "This is a wonderful book, and containing much true and pleasant doctrine; but how is it that you, who are so fond of good books, and good things in general, never read the Bible? You read me the book of Master Ellis Wyn, you read me sweet songs of your own composition, you edify me with your gift of prayer, but yet you never read the Bible." And when I heard her mention the Bible I shook, for I thought of my own condemnation. However, I dearly loved my wife, and as she pressed me, I commenced on that very night reading the Bible. All went on smoothly for a long time; for months and months I did not find the fatal passage, so that I almost thought that I had imagined it. My affairs prospered much the while, so that I was almost happy,—taking pleasure in everything around me,—in my wife, in my farm, my books and compositions, and the Welsh language; till one night, as I was reading the Bible, feeling particularly comfortable, a thought having just come into my head that I would print some of my compositions, and purchase a particular field of a neighbour—O God—God! I came to the fatal passage.

'Friend, friend, what shall I say? I rushed out. My wife followed me, asking me what was the matter. I could only answer with groans—for three days and three nights I did little else than groan. Oh the kindness and solicitude of my wife! "What is the matter, husband, dear husband?" she was continually saying. I became at last more calm. My wife still persisted in asking me the cause of my late paroxysm. It is hard to keep a secret from a wife, especially such a wife as mine, so I told my wife the tale, as we sat one night—it was a mid-winter night—over the dying brands of our hearth, after the family had retired to rest, her hand locked in mine, even as it is now.

'I thought she would have shrunk from me with horror; but she did not; her hand, it is true, trembled once or twice; but that was all. At last she gave mine a gentle pressure; and, looking up in my face, she said—what do you think my wife said, young man?'

'It is impossible for me to guess,' said I.

'"Let us go to rest, my love; your fears are all groundless."'

 

 

Chapter 77

getting late—seven years old—chastening—go forth—london—same eyes—common occurrence

 

'And so I still say,' said Winifred, sobbing. 'Let us retire to rest, dear husband; your fears are groundless. I had hoped long since that your affliction would have passed away, and I still hope that it eventually will; so take heart, Peter, and let us retire to rest, for it is getting late.'

'Rest!' said Peter; 'there is no rest for the wicked!'

'We are all wicked,' said Winifred; 'but you are afraid of a shadow. How often have I told you that the sin of your heart is not the sin against the Holy Ghost: the sin of your heart is its natural pride, of which you are scarcely aware, to keep down which God in His mercy permitted you to be terrified with the idea of having committed a sin which you never committed.'

'Then you will still maintain,' said Peter, 'that I never committed the sin against the Holy Spirit?'

'I will,' said Winifred; 'you never committed it. How should a child seven years old commit a sin like that?'

'Have I not read my own condemnation?' said Peter. 'Did not the first words which I read in the Holy Scripture condemn me? “He who committeth the sin against the Holy Ghost shall never enter into the kingdom of God.”'

'You never committed it,' said Winifred.

'But the words! the words! the words!' said Peter.

'The words are true words,' said Winifred, sobbing; 'but they were not meant for you, but for those who have broken their profession, who, having embraced the cross, have receded from their Master.'

'And what sayst thou to the effect which the words produced upon me?' said Peter. 'Did they not cause me to run wild through Wales for years, like Merddin Wyllt of yore; thinkest thou that I opened the book at that particular passage by chance?'

'No,' said Winifred, 'not by chance; it was the hand of God directed you, doubtless for some wise purpose. You had become satisfied with yourself. The Lord wished to rouse thee from thy state of carnal security, and therefore directed your eyes to that fearful passage.'

'Does the Lord then carry out His designs by means of guile?' said Peter with a groan. 'Is not the Lord true? Would the Lord impress upon me that I had committed a sin of which I am guiltless? Hush, Winifred! hush! thou knowest that I have committed the sin.'

'Thou hast not committed it,' said Winifred, sobbing yet more violently. 'Were they my last words, I would persist that thou hast not committed it, though, perhaps, thou wouldst, but for this chastening; it was not to convince thee that thou hast committed the sin, but rather to prevent thee from committing it, that the Lord brought that passage before thy eyes. He is not to blame, if thou art wilfully blind to the truth and wisdom of His ways.'

'I see thou wouldst comfort me,' said Peter, 'as thou hast often before attempted to do. I would fain ask the young man his opinion.'

'I have not yet heard the whole of your history,' said I.

'My story is nearly told,' said Peter; 'a few words will complete it. My wife endeavoured to console and reassure me, using the arguments which you have just heard her use, and many others, but in vain. Peace nor comfort came to my breast. I was rapidly falling into the depths of despair; when one day Winifred said to me, "I see thou wilt be lost, if we remain here. One resource only remains. Thou must go forth, my husband, into the wide world, and to comfort thee I will go with thee." "And what can I do in the wide world?" said I despondingly. "Much," replied Winifred, "if you will but exert yourself; much good canst thou do with the blessing of God." Many things of the same kind she said to me; and at last I arose from the earth to which God had smitten me, and disposed of my property in the best way I could, and went into the world. We did all the good we were able, visiting the sick, ministering to the sick, and praying with the sick. At last I became celebrated as the possessor of a great gift of prayer. And people urged me to preach, and Winifred urged me too, and at last I consented, and I preached. I—I—outcast Peter, became the preacher Peter Williams. I, the lost one, attempted to show others the right road. And in this way I have gone on for thirteen years, preaching and teaching, visiting the sick, and ministering to them, with Winifred by my side heartening me on. Occasionally I am visited with fits of indescribable agony, generally on the night before the Sabbath; for I then ask myself, how dare I, the outcast, attempt to preach the word of God? Young man, my tale is told; you seem in thought!'

'I am thinking of London Bridge,' said I.

'Of London Bridge!' said Peter and his wife.

'Yes,' said I, 'of London Bridge. I am indebted for much wisdom to London Bridge; it was there that I completed my studies. But to the point. I was once reading on London Bridge a book which an ancient gentlewoman, who kept the bridge, was in the habit of lending me; and there I found written, "Each one carries in his breast the recollection of some sin which presses heavy upon him. Oh, if men could but look into each other's hearts, what blackness would they find there!"'

'That's true,' said Peter. 'What is the name of the book?'

'The Life of Blessed Mary Flanders.'

'Some popish saint, I suppose,' said Peter.

'As much of a saint, I daresay,' said I, 'as most popish ones; but you interrupted me. One part of your narrative brought the passage which I have quoted into my mind. You said that after you had committed this same sin of yours you were in the habit, at school, of looking upon your school-fellows with a kind of gloomy superiority, considering yourself a lone monstrous being who had committed a sin far above the daring of any of them. Are you sure that many others of your schoolfellows were not looking upon you and the others with much the same eyes with which you were looking upon them?'

'How!' said Peter, 'dost thou think that they had divined my secret?'

'Not they,' said I, 'they were, I daresay, thinking too much of themselves and of their own concerns to have divined any secrets of yours. All I mean to say is, they had probably secrets of their own, and who knows that the secret sin of more than one of them was not the very sin which caused you so much misery?'

'Dost thou then imagine,' said Peter, 'the sin against the Holy Ghost to be so common an occurrence?'

'As you have described it,' said I, 'of very common occurrence, especially amongst children, who are, indeed, the only beings likely to commit it.'

'Truly,' said Winifred, 'the young man talks wisely.'

Peter was silent for some moments, and appeared to be reflecting; at last, suddenly raising his head, he looked me full in the face, and, grasping my hand with vehemence, he said, 'Tell me, young man, only one thing, hast thou, too, committed the sin against the Holy Ghost?'

'I am neither Papist nor Methodist,' said I, 'but of the Church, and, being so, confess myself to no one, but keep my own counsel; I will tell thee, however, had I committed, at the same age, twenty such sins as that which you committed, I should feel no uneasiness at these years—but I am sleepy, and must go to rest.'

'God bless thee, young man,' said Winifred.