Thursday, 22 September 2016

"Apparecchio alla Morte" by St Alfonso Maria de Liguori (in Italian) - V







CONSIDERAZIONE IV - CERTEZZA DELLA MORTE
«Statutum est hominibus semel mori» (Hebr. 9. 27).


PUNTO I
            È scritta la sentenza della morte per tutti gli uomini: sei uomo, hai da morire. Dice S. Agostino: «Cetera nostra bona et mala incerta sunt, sola mors certa est». È incerto se quel bambino che nasce, dovrà esser povero o ricco, se ha d'avere buona o cattiva sanità, se avrà da morire giovine o vecchio: tutto è incerto, ma è certo che ha da morire. Ogni nobile, ogni regnante ha da essere reciso dalla morte. E quando giunge la morte, non v'é forza che possa resistere: si resiste al fuoco, all'acqua, al ferro: si resiste alla potenza de' principi, ma non può resistersi alla morte. «Resistitur ignibus, undis, ferro: resistitur regibus; venit mors, quis ei resistit?» (S. August. In psal. 12). Narra il Belluacense che un certo re di Francia, giunto in fine della vita disse: «Ecco che io con tutta la mia potenza non posso già ottenere che la morte mi aspetti un'ora di più». Quando è venuto il termine della vita, neppure per un momento si differisce. «Constituisti terminos eius, qui praeteriri non poterunt» (Iob. 14. 5).
            Abbiate dunque a vivere, lettor mio, tutti gli anni che sperate, ha da venire un giorno, e di quel giorno un'ora, che sarà l'ultima per voi. Per me che ora scrivo, per voi che leggete questo libretto, sta già decretato il giorno e 'l punto, nel quale né io più scriverò, né voi più leggerete: «Quis est homo, qui vivit et non videbit mortem?» (Psal. 88. 49). È fatta la condanna: non v'è stato mai uomo sì pazzo, che siasi lusingato di non avere a morire. Ciò ch'è succeduto a' vostri antenati, ha da succedere anche a voi. Di quanti nel principio del secolo passato viveano nella vostra patria, ecco che niuno n'è vivo. Anche i principi, i monarchi della terra han mutato paese; di loro non vi è altro qui rimasto che un mausoleo di marmo con una bella iscrizione, la quale oggi serve a noi d'insegnamento, che de' grandi del mondo altro non resta che un poco di polvere chiusa tra le pietre. Dimanda S. Bernardo: «Dic mihi, ubi sunt amatores mundi?» e risponde: «Nihil ex eis remansit, nisi cineres et vermes».
            Pertanto bisogna che ci procuriamo non quella fortuna che finisce, ma quella che sarà eterna, giacché eterne sono l'anime nostre. A che servirebbe l'esser felice (se mai può darsi vera felicità in un'anima che sta senza Dio), se poi dovreste esser infelice per tutta l'eternità? Vi avete fatta già quella casa con tanta vostra soddisfazione, ma pensate che presto dovrete lasciarla e andare a marcire in una fossa. Avete ottenuta quella dignità, che vi rende superiore agli altri; ma verrà la morte, che vi renderà simile a' villani più vili della terra.

Affetti e preghiere
            Ah povero di me, che per tanti anni non ho pensato che ad offendervi, o Dio dell'anima mia! Ecco che questi anni già son passati, la morte forse mi è già vicina, e che me ne trovo, se non pene e rimorsi di coscienza? Oh vi avessi sempre servito, Signor mio! Pazzo che sono stato! sono stato su questa terra a vivere già per tanti anni, ed invece di acquistarmi meriti per l'altra vita, mi son caricato di debiti colla divina giustizia.
            Caro mio Redentore, datemi luce e forza di aggiustare al presente i conti. La morte forse poco da me sta lontana. Voglio apparecchiarmi per quel gran punto decisivo della mia felicità o infelicità eterna. Vi ringrazio d'avermi aspettato sinora. E giacché mi date tempo di rimediare al mal fatto, eccomi, mio Dio, ditemi che ho da fare per Voi. Volete che io mi dolga dell'offese che vi ho fatte; io me ne dolgo, me ne dispiace con tutta l'anima. Volete ch'io spenda questi anni o giorni che mi restano in amarvi; sì che voglio farlo. Oh Dio, per lo passato anche più volte ho risoluto di farlo, ma le mie promesse son diventate poi tradimenti! No, Gesù mio, non voglio esser più ingrato a tante grazie che mi avete fatte. Se almeno ora non muto vita, come potrò in morte sperar perdono e paradiso? Ecco ora risolvo fermamente di mettermi a servirvi da vero. Ma Voi datemi forza, non mi abbandonate. Ma Voi non mi avete abbandonato, quando io vi offendeva; dunque spero maggiormente il vostro aiuto or che propongo di lasciar tutto per compiacervi.
            Accettatemi dunque ad amarvi, o Dio degno d'infinito amore. Accettate il traditore che ora pentito s'abbraccia a' piedi vostri, e v'ama e vi cerca pietà. V'amo, o Gesù mio, v'amo con tutto il cuore, v'amo più di me stesso. Eccomi son vostro. Disponete di me e di tutte le mie cose come vi piace; datemi la perseveranza nell'obbedirvi, datemi il vostro amore, e poi fate di me quel che volete.
            Maria, Madre, speranza, rifugio mio, a Voi mi raccomando, a Voi consegno l'anima mia; pregate Gesù per me.


PUNTO II
            «Statutum est». È certo dunque che tutti siamo condannati a morte. Tutti nasciamo, dice S. Cipriano, col capestro alla gola; e quanti passi diamo, tanto ci avviciniamo alla morte. Fratello mio, siccome voi siete stato scritto un giorno nel libro del battesimo, così avrete un giorno da essere scritto nel libro de' morti. Siccome voi nominate ora i vostri antenati, la buona memoria di mio padre, di mio zio, di mio fratello; così i posteri avran da dire anche di voi. Siccome avete più volte udito sonare a morto degli altri, così gli altri avran da sentire sonare di voi.
Ma che direste voi, se vedeste un condannato a morte che andasse al patibolo burlando, ridendo, girando gli occhi e pensando a commedie, festini e spassi? e voi ora camminate già alla morte, ed a che pensate? Guardate là in quella fossa quei vostri amici e parenti, per cui già si è eseguita la giustizia. Che spavento dà a' condannati il vedere sulla forca i compagni già appesi e morti! Guardate dunque quei cadaveri, ognun de' quali vi dice: «Mihi heri, et tibi hodie» (Eccli. 38. 23). Lo stesso vi dicono ancora i ritratti de' vostri parenti defunti, i loro libri di memoria, le case, i letti, le vesti da loro lasciate.
            Qual pazzia maggior è dunque sapere che si ha da morire, e che dopo la morte ci ha da toccare o un'eternità di gaudi o un'eternità di pene; pensare che da quel punto dipende l'essere o eternamente felice o eternamente infelice, e poi non pensare ad aggiustare i conti e prendere tutti i mezzi per fare una buona morte? Noi compatiamo coloro che muoiono di subito, e non si trovano apparecchiati alla morte: e noi perché poi non procuriamo di stare apparecchiati, potendo anche a noi accadere lo stesso? Ma o presto o tardi, o con avviso o improvvisamente, o ci pensiamo o non ci pensiamo, abbiamo da morire; ed in ogni ora, in ogni momento ci accostiamo alla nostra forca, che sarà appunto quell'ultima infermità, che ci ha da cacciare dal mondo.
            In ogni secolo le case, le piazze e le città si riempiono di gente nuova, ed i primi son portati a chiudersi ne' sepolcri. Siccome per coloro son finiti i giorni della vita, così verrà il tempo, in cui né io, né voi, né alcuno di quanti al presente viviamo, viveremo più su questa terra. «Dies formabuntur, et nemo in eis» (Salm. 138. 16). Saremo allora tutti nell'eternità, la quale sarà per noi un eterno giorno di delizie o un'eterna notte di tormenti. Non ci è via di mezzo; è certo, è di fede che l'una o l'altra sorte ci ha da toccare.

Affetti e preghiere
            Amato mio Redentore, non avrei ardire di comparirvi avanti, se non vi rimirassi appeso a questa croce, lacerato, schernito e morto per me. È stata grande la mia ingratitudine, ma è più grande la vostra misericordia. Sono stati grandi i miei peccati, ma sono più grandi i vostri meriti. Le vostre piaghe, il vostro sangue, la vostra morte sono la speranza mia. Io meritava l'inferno dal punto del primo mio peccato: appresso io tante volte ho ritornato ad offendervi, e Voi non solo mi avete conservato in vita, ma con tanta pietà e con tanto amore mi avete chiamato al perdono, e mi avete offerta la pace. Come posso ora temere che mi discacciate da Voi, ora che v'amo ed altro non desidero che la grazia vostra?
            Sì v'amo con tutto il cuore, o caro mio Signore; ed altro non desidero che amarvi. V'amo e mi pento di avervi disprezzato, non tanto per l'inferno che mi ho meritato, quanto per avere offeso Voi, mio Dio, che mi avete tanto amato. Via su, Gesù mio, aprite a me il seno della vostra bontà; aggiungete misericordie a misericordie. Fate ch'io non vi sia più ingrato; e mutatemi in tutto il cuore. Fate che 'l mio cuore, che un tempo niente ha stimato il vostro amore e l'ha cambiato per miseri gusti di questa terra, ora sia tutto vostro, ed arda in continue fiamme per Voi.
            Io spero di venire in paradiso per sempre ad amarvi; ivi non può toccarmi luogo fra gl'innocenti, mi toccherà stare tra' penitenti, ma tra questi io voglio amarvi più degl'innocenti. Per gloria della vostra misericordia veda il paradiso ardere in un grande amore un peccatore, che vi ha tanto offeso. Io risolvo da oggi avanti di esser tutto vostro, e di non pensare ad altro che ad amarvi. Assistetemi Voi colla vostra luce e colla vostra grazia, che mi dia forza ad eseguire questo mio desiderio, che Voi stesso mi date per vostra bontà.
            O Maria, Voi siete la Madre della perseveranza, impetratemi l'esser fedele in questa mia promessa.


PUNTO III
            La morte è certa. Ma oh Dio che ciò lo sanno già i cristiani, lo credono, lo vedono; e come poi tanti vivono talmente scordati della morte, come non avessero mai a morire! Se non vi fosse dopo questa vita né inferno né paradiso, potrebbero pensarci meno di quel che ora ci pensano? E perciò fanno la mala vita che fanno.
Fratello mio, se volete viver bene, procurate di vivere in questi giorni che vi restano, a vista della morte. «O mors, bonum est iudicium tuum» (Eccli. 41. 3). Oh come bene giudica le cose e dirige le sue azioni, chi le giudica e dirige a vista della morte! La memoria della morte fa perdere l'affetto a tutte le cose di questa terra. «Consideretur vitae terminus, et non erit in hoc mundo quid ametur», dice S. Lorenzo Giustiniani (de Ligno vitae, cap. 4). «Omne quod in mundo est, concupiscentia carnis est, concupiscentia oculorum, et superbia vitae» (I Io. 2. 16). Tutti i beni del mondo si riducono a' piaceri di senso, a robe e ad onori; ma ben disprezza tutto, chi pensa che tra poco ha da ridursi in cenere e ad esser posto sotto terra per pascolo di vermi.
            Ed in fatti a vista della morte i Santi han disprezzati tutti i beni di questa terra. Perciò S. Carlo Borromeo si tenea nel tavolino un teschio di morto, per mirarlo continuamente. Il cardinal Baronio sull'anello teneasi scritto: «Memento mori». Il Ven. P. Giovenale Ancina vescovo di Saluzzo tenea scritto sopra un altro teschio di morto il motto: «Come tu sei, fui pur io: e com'io sono, sarai pur tu». Un altro santo Eremita dimandato in morte, perché stesse con tanta allegrezza, rispose: Io ho tenuto spesso avanti gli occhi la morte, e perciò ora ch'è giunta, non vedo cosa nuova.
            Che pazzia sarebbe d'un viandante, se viaggiando pensasse a farsi grande in quel paese per dove passa, e non si curasse di ridursi poi a vivere miseramente in quello dove ha da stare in tutta la sua vita? E non è pazzo chi pensa a farsi felice in questo mondo, dove ha da stare pochi giorni, e si mette a rischio di farsi infelice nell'altro, dove avrà da vivere in eterno? Chi tiene una cosa aliena in prestito, poco ci pone affetto pensando che tra poco l'ha da restituire: i beni di questa terra tutti ci sono dati in prestito; è sciocchezza metterci affetto, dovendoli tra poco lasciare. La morte ci ha da spogliare di tutto. Tutti gli acquisti, e fortune di questo mondo vanno a terminare ad un'aperta di bocca, ad un funerale e ad una scesa in una fossa. La casa da voi fabbricata tra poco dovrete cederla ad altri; il sepolcro sarà l'abitazione del vostro corpo sin al giorno del giudizio, e di là dovrà poi passare al paradiso o all'inferno, dove già prima sarà andata l'anima.

Affetti e preghiere
            Dunque in morte tutto sarà finito per me? Altro allora non mi troverò, o mio Dio, che quel poco che ho fatto per vostro amore. E che aspetto? aspetto che venga la morte e mi trovi così misero ed infangato di colpe come al presente sono? Se ora dovessi morire, morirei molto inquieto e troppo scontento della vita fatta. No, Gesù mio, non voglio morire così scontento. Vi ringrazio che mi date tempo di piangere i miei peccati e d'amarvi. Voglio cominciare da questo punto.
            Mi pento sopra ogni male di avervi offeso, o sommo bene, e v'amo più d'ogni cosa, più della vita mia. Tutto a Voi mi dono; Gesù mio, da ora v'abbraccio, vi stringo al mio cuore; e da ora vi consegno tutta l'anima mia. «In manus tuas commendo spiritum meum». Non voglio aspettare a darvela, quando le sarà intimata (con quel «Proficiscere») la partenza da questo mondo. Non voglio aspettare a pregarvi allora che mi salviate! «Iesus, sis mihi Iesus». Salvatore mio, ora salvatemi con perdonarmi, e donarmi la grazia del vostro santo amore. Chi sa, se questa considerazione, che oggi ho letta, è l'ultima chiamata che Voi mi fate, e l'ultima misericordia che mi usate. Stendete su la mano, amor mio, e cacciatemi dal fango della mia tiepidezza. Datemi fervore; fate che v'ubbidisca con grande amore in tutto quello che da me cercate. Eterno Padre, per amore di Gesu-Cristo datemi la santa perseveranza e la grazia d'amarvi, e amarvi assai in questa vita che mi resta.
            O Maria Madre di misericordia, per l'amore che portate al vostro Gesù, ottenetemi queste due grazie, perseveranza e amore.
 




CONSIDERAZIONE V - INCERTEZZA DELL'ORA DELLA MORTE

«Estote parati, quia qua hora non putatis, Filius hominis veniet» (Luc. 12. 40).

PUNTO I
            È certo che tutti abbiamo da morire, ma è incerto il quando. «Nihil certius morte (dice l'Idiota), hora autem mortis nihil incertius». Fratello mio, già sta determinato l'anno, il mese, il giorno, l'ora e 'l momento, nel quale io e voi abbiam da lasciar questa terra ed entrare nell'eternità; ma questo tempo a noi è ignoto. Il Signore, acciocché noi ci troviamo sempre apparecchiati, ora ci dice che la morte verrà come un ladro di notte e di nascosto: «Sicut fur in nocte, ita veniet» (I Thess. 5. 2): ora ci dice che stiamo vigilanti, perché quando meno ce l'immaginiamo, verrà Egli a giudicarci: «Qua hora non putatis, Filius hominis veniet». Dice S. Gregorio che Dio per nostro bene ci nasconde l'ora della morte, acciocché ci troviamo sempre apparecchiati: «De morte incerti sumus, ut ad mortem semper parati inveniamur». Giacché dunque la morte in ogni tempo, ed in ogni luogo può toglierci la vita, se vogliamo morir bene e salvarci, bisogna (dice S. Bernardo) che in ogni tempo ed in ogni luogo la stiamo aspettando: «Mors ubique te exspectat; tu ubique eam exspectabis».
Ognuno sa che ha da morire, ma il male è che molti ravvisano la morte in tanta lontananza che la perdono di vista. Anche i vecchi più decrepiti e le persone più infermicce pure si lusingano di avere a vivere per tre o quattro altri anni di più. Ma all'incontro, io dico, quanti ne sappiamo noi anche a' giorni nostri morti di subito! chi sedendo, chi camminando, chi dormendo nel suo letto! È certo che niun di costoro credea di avere a morir così improvvisamente ed in quel giorno ch'è morto. Dico in oltre di quanti in quest'anno son passati all'altra vita, morendo nel loro letto, niuno s'immaginava di dovere in quest'anno finire i suoi giorni. Poche sono le morti, che non riescono improvvise.
            Dunque, cristiano mio, quando il demonio vi tenta a peccare con dirvi che domani poi vi confesserete, rispondetegli: E che so io, se oggi è l'ultimo giorno di mia vita? se quest'ora, questo momento, in cui voltassi le spalle a Dio, fosse l'ultimo per me, sicché per me poi non vi fosse più tempo di rimediare, che ne sarebbe di me in eterno? A quanti poveri peccatori è succeduto che nello stesso punto che cibavansi di qualch'esca avvelenata, sono stati colti dalla morte e mandati all'inferno? «Sicut pisces capiuntur hamo, sic capiuntur homines in tempore malo».(Eccli. 9. 12). Il tempo malo è propriamente quello, in cui attualmente il peccatore offende Dio. Dice il demonio che questa disgrazia non vi succederà; ma voi dovete dire: E se mi succede, che ne sarà di me per tutta l'eternità?

Affetti e preghiere
            Signore, il luogo, dove a quest'ora dovrei stare, non dovrebbe esser questo, in cui al presente mi trovo, ma l'inferno, che tante volte m'ho meritato co' miei peccati: «Infernus domus mea est». Ma mi avvisa S. Pietro: «Deus patienter agit propter vos, nolens aliquos perire, sed omnes ad poenitentiam reverti» (2 Petr. 3. 6). Dunque Voi avete avuta tanta pazienza con me e mi avete aspettato, perché non volete vedermi perduto, ma volete ch'io ritorni a penitenza. Sì, mio Dio, a Voi ritorno, mi butto a' piedi vostri e vi domando pietà. «Miserere mei Deus, secundum magnam misericordiam tuam». Signore, per perdonare a me, vi bisogna una misericordia grande e straordinaria, perché io vi ho offeso colla luce. Altri peccatori anche vi hanno offeso, ma non hanno avuta la luce, che Voi avete data a me. Voi con tutto ciò anche mi comandate ch'io mi penta de' miei peccati, e speri da Voi il perdono. Sì, mio caro Redentore, mi pento con tutto il cuore di avervi offeso, e spero il perdono per li meriti della vostra passione. Voi, Gesù mio, essendo innocente avete voluto morire da reo su d'una croce e spargere tutto il sangue per lavare i peccati miei. «O sanguis innocentis, lava culpas poenitentis».
            O Padre Eterno, perdonatemi per amore di Gesu-Cristo, udite le sue preghiere, or ch'Egli vi sta pregando per me, facendo il mio avvocato. Ma non mi basta il perdono, o Dio degno d'infinito amore, io voglio ancora la grazia d'amarvi. V'amo, o sommo bene, e v'offerisco da oggi avanti il mio corpo, l'anima mia, la mia volontà, la mia libertà. Voglio da oggi avanti evitare non solo i vostri disgusti gravi, ma anche i leggieri. Voglio fuggire tutte le male occasioni. «Ne nos inducas in tentationem». Liberatemi Voi per amore di Gesu-Cristo da quelle occasioni, in cui vi avessi da offendere. «Sed libera nos a malo». Liberatemi dal peccato, e poi castigatemi come volete. Accetto tutte le infermità, i dolori, le perdite che vorrete mandarmi; mi basta che non perda la vostra grazia e 'l vostro amore. «Petite, et accipietis». Voi mi promettete di dare quanto v'è richiesto: «Petite et accipietis». Io queste due grazie vi cerco, la santa perseveranza e la grazia d'amarvi.
            O Maria Madre di misericordia, pregate per me, in Voi confido.

PUNTO II
            Il Signore non ci vuol vedere perduti, e perciò non lascia d'avvertirci a mutar vita colla minaccia del castigo. «Nisi conversi fueritis, gladium suum vibrabit " (Ps. 7. 13). Mirate (dice in altro luogo) quanti, perché non l'han voluta finire, quando meno se l'immaginavano, e vivean in pace sicuri di aver a vivere per molti anni, repentinamente è giunta loro la morte: «Cum dixerint pax, et securitas, tunc repentinus eis superveniet interitus» (Prov. 29. 1). In un altro luogo dice: «Nisi poenitentiam egeritis, omnes similiter peribitis». Perché tanti avvisi del castigo, prima di mandarcelo? se non perché Egli vuole che noi ci emendiamo, e così evitiamo la mala morte. Chi dice, guardati, non ha voglia di ucciderti, dice S. Agostino: «Non vult ferire, qui clamat tibi: Observa».
            È necessario dunque apparecchiare i conti, prima che arrivi il giorno de' conti. Cristiano mio, se prima di notte in questo giorno doveste morire, e avesse da decidersi la causa della vostra vita eterna, che dite, vi trovereste i conti apparecchiati? o pure quanto paghereste per ottener da Dio un altro anno, un mese, almeno un altro giorno di tempo? E perché ora che Dio già vi dà questo tempo, non aggiustate la coscienza? Forse non può essere che questo giorno sia l'ultimo per voi? «Non tardes converti ad Dominum, et non differas de die in diem; subito enim veniet ira illius, et in tempore vindictae disperdet te» (Eccli. 5. 9). Per salvarti, fratello mio, bisogna lasciare il peccato; se dunque hai da lasciarlo una volta, perché non lo lasci ora? «Si aliquando, cur non modo?». (S. August.). Aspetti forse che giunga la morte? ma il tempo della morte non è tempo di perdono, ma di vendetta. «In tempore vindictae disperdet te» (Eccli. loc. cit.).
            Se alcuno vi dee una gran somma, voi presto vi cautelate con farvi fare l'obbligo scritto, dicendo: Chi sa che può succedere? E perché non usate poi la stessa cautela per l'anima vostra, che importa assai più di quella somma? perché non dite lo stesso: Chi sa che può succedere? Se perdete quella somma, non perdete tutto; e benché perdendo quella perdessivo tutto il vostro patrimonio, pure vi resterebbe la speranza di riacquistarlo; ma se in morte perdete l'anima, allora veramente avrete perduto tutto, e non vi sarà più per voi speranza di ricuperarlo. Voi siete così diligente in notare le memorie de' beni che possedete, per timore che non si perdano, se mai v'accadesse una morte improvvisa; e se per caso vi accade questa morte improvvisa, e vi trovate in disgrazia di Dio, che sarà dell'anima vostra per tutta l'eternità?

Affetti e preghiere
            Ah mio Redentore, Voi avete sparso tutto il sangue, avete data la vita per salvare l'anima mia, ed io tante volte l'ho perduta colla speranza della vostra misericordia. Dunque io tante volte mi son servito della vostra bontà, perché? per più offendervi? Per questo stesso io meritava che Voi subito mi faceste morire, e mi mandaste all'inferno. In somma ho fatto a gara con Voi: Voi ad usarmi pietà, io ad offendervi. Voi a venirmi appresso, io a fuggire da Voi. Voi a darmi tempo per rimediare al mal fatto, ed io a servirmene per aggiungere ingiurie ad ingiurie. Signore, fatemi conoscere il gran torto che vi ho fatto e l'obbligo che mi resta d'amarvi.
            Ah Gesù mio, com'io poteva esser così caro a Voi, che tanto mi siete venuto appresso, quando io vi discacciava? Come avete potuto far tante grazie a chi vi ha dato tanti disgusti? Da tutto ciò vedo quanto Voi desiderate di non vedermi perduto. Mi pento con tutto il cuore di avervi offeso, o bontà infinita. Deh ricevete quest'ingrata pecorella, che pentita ritorna a' vostri piedi: ricevetela, e stringetela sulle vostre spalle, acciocché non fugga più da Voi. No, che non voglio più da Voi fuggire; vi voglio amare, voglio essere vostro; e purché io mi veda vostro, mi contento d'ogni pena. E qual pena maggiore mi può succedere che vivere senza la grazia vostra, diviso da Voi che siete il mio Dio, che mi avete creato, e siete morto per me? O peccati maledetti, che avete fatto? mi avete fatto disgustare il mio Salvatore, che mi ha tanto amato.
            Ah Gesù mio, come siete morto per me, così dovrei morire io per Voi; Voi per amore, io per dolore di avervi disprezzato. Accetto la morte, come e quando vi piace; ma finora io non v'ho amato, o troppo poco v'ho amato; non voglio morire così. Deh concedetemi un altro poco di vita, acciocch'io v'ami prima di morire; perciò mutatemi il cuore, feritelo, infiammatelo del vostro santo amore: fatelo per quell'affetto di carità, che vi ha fatto morire per me. Io v'amo con tutta l'anima mia. L'anima mia si è innamorata di Voi. Non permettete ch'ella più vi perda. Datemi la santa perseveranza, datemi il vostro amore.
            Maria SS. rifugio e Madre mia, fate l'avvocata per me.

PUNTO III
            «Estote parati». Non dice il Signore che ci apparecchiamo, quando ci arriva la morte, ma che ci troviamo apparecchiati. Quando viene la morte, allora in quella tempesta e confusione sarà quasi impossibile aggiustare una coscienza imbrogliata. Così dice la ragione. Così minaccia Dio, dicendo che allora Egli non verrà a perdonare, ma a vendicarsi del disprezzo fatto delle sue grazie. «Mihi vindicta, et ego retribuam in tempore». (Rom. 12. 19). Giusto castigo, dice S. Agostino, sarà questo per colui che potendo non ha voluto salvarsi, di non potere quando vorrà: «Iusta poena est, ut qui recta facere cum posset noluit, amittat posse cum velit» (Lib. 3 de lib. arb.). Ma dirà alcuno: Chi sa, può essere ancora che allora mi converta, e mi salvi. Ma vi gittereste voi in un pozzo con dire: Chi sa, può essere che gittandomi resto vivo e non muoio? Oh Dio, che cosa è questa? Come il peccato accieca la mente, che fa perdere anche la ragione! Gli uomini, quando si tratta del corpo, parlano da savi; quando poi si tratta d'anima, parlano da pazzi.
Fratello mio, chi sa se questo punto che leggete, è l'ultimo avviso che Dio vi manda? Presto apparecchiamoci alla morte, acciocché non ci colga improvvisamente. Dice S. Agostino che 'l Signore ci nasconde l'ultimo giorno di nostra vita, affinché in tutt'i giorni stiamo apparecchiati a morire: «Latet ultimus dies, ut observentur omnes dies» (Hom. 13). Ci avvisa S. Paolo che bisogna attendere a salvarci non solo temendo, ma anche tremando: «Cum metu et tremore vestram salutem operamini». (Philipp. 2. 12). Narra S. Antonino che un certo re della Sicilia per far intendere ad un privato il timore, col quale egli sedea nel trono, lo fece sedere a mensa con una spada pendente da un picciolo filo sulla testa, sicché quegli stando così, appena poté prendere qualche poco di cibo. Tutti noi stiamo collo stesso pericolo, mentre in ogni momento può caderci sopra la spada della morte, da cui dipende la nostra salute eterna.
            Si tratta di eternità. «Si ceciderit lignum ad austrum, aut ad aquilonem, in quocunque loco ceciderit, ibi erit» (Eccl. XI. 3). Se venendo la morte ci troviamo in grazia di Dio, oh che allegrezza sarà dell'anima, potendo allora dire: Ho assicurato tutto, non posso perdere più Dio, sarò felice per sempre. Ma se la morte troverà l'anima in peccato, qual disperazione sarà il dire: «Ergo erravimus». Dunque ho errato ed al mio errore non ci sarà rimedio per tutta l'eternità? Questo timore fece dire al Ven. P. M. Avila, apostolo delle Spagne, quando gli fu portata la nuova della morte: «Oh avessi un altro poco di tempo, per apparecchiarmi a morire!» Questo facea dire all'Abbate Agatone, con tutto che moriva dopo tanti anni di penitenza: «Che ne sarà di me! I giudizi di Dio chi li sa!» S. Arsenio anche tremava in morte, e dimandato da' discepoli, perché così temesse: «Figli, rispose, questo timore non mi è nuovo; io l'ho avuto sempre in tutta la mia vita». Sopra tutti tremava il santo Giobbe, dicendo: «Quid faciam, cum surrexerit ad iudicandum Deus? et cum quaesierit, quid respondebo illi?»

Affetti e preghiere
            Ah mio Dio, e dove io ho avuto mai uno che mi ha amato più di Voi? ed io chi mai ho disprezzato ed ingiuriato più che Voi? O sangue, o piaghe di Gesù, voi siete la speranza mia. Eterno Padre, non guardate i miei peccati, guardate le piaghe di Gesu-Cristo, guardate il vostro Figlio diletto, che muore di dolore per me e vi domanda che mi perdoniate. Mi pento, o mio Creatore, di avervi offeso, me ne dispiace più d'ogni male. Voi mi avete creato, acciocché io vi amassi, ed io son vivuto, come se mi aveste creato per offendervi. Per amore di Gesu-Cristo perdonatemi e datemi la grazia d'amarvi.
            Io prima resisteva alla vostra volontà: ora non voglio più resistere, voglio fare quanto mi comandate. Voi mi comandate ch'io detesti gli oltraggi, che vi ho fatti: ecco li detesto con tutto il cuore. Mi comandate ch'io risolva di non offendervi più; ecco risolvo di perdere prima mille volte la vita che la grazia vostra. Mi comandate ch'io v'ami con tutto il mio cuore; sì, con tutto il mio cuore io v'amo, e non voglio amare altro che Voi: Voi avete da essere da ogg'innanzi l'unico mio amato e l'unico amor mio. A Voi domando e da Voi spero la santa perseveranza. Per amore di Gesu-Cristo fate ch'io vi sia fedele, e ch'io sempre vi dica con S. Bonaventura: «Unus est dilectus meus, unus amicus meus». No, non voglio che la vita mia mi serva più a darvi disgusto; voglio che mi serva solo per piangere i disgusti, che vi ho dati, e per amarvi.
            Maria Madre mia, Voi pregate per tutti coloro che a Voi si raccomandano, pregate ancora Gesù per me.

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