CONSIDERAZIONE IV - CERTEZZA
DELLA MORTE
«Statutum est hominibus semel mori» (Hebr. 9. 27).
PUNTO I
È scritta la sentenza della morte per tutti gli uomini:
sei uomo, hai da morire. Dice S. Agostino: «Cetera nostra bona et mala incerta sunt, sola mors
certa est». È incerto se quel bambino che nasce, dovrà esser povero o ricco, se
ha d'avere buona o cattiva sanità, se avrà da morire giovine o vecchio: tutto è
incerto, ma è certo che ha da morire. Ogni nobile, ogni regnante ha da essere
reciso dalla morte. E quando giunge la morte, non v'é forza che possa
resistere: si resiste al fuoco, all'acqua, al ferro: si resiste alla potenza
de' principi, ma non può resistersi alla morte. «Resistitur ignibus, undis,
ferro: resistitur regibus; venit mors, quis ei resistit?» (S. August. In psal.
12). Narra il Belluacense che un certo re di Francia, giunto in fine della
vita disse: «Ecco che io con tutta la mia
potenza non posso già ottenere che la morte mi aspetti un'ora di più». Quando è
venuto il termine della vita, neppure per un momento si differisce.
«Constituisti terminos eius, qui praeteriri non poterunt» (Iob. 14. 5).
Abbiate dunque a vivere, lettor mio, tutti gli anni che
sperate, ha da venire un giorno, e di quel giorno un'ora, che sarà l'ultima per
voi. Per me che ora scrivo, per voi che leggete questo libretto, sta già
decretato il giorno e 'l punto, nel quale né io più scriverò, né voi più
leggerete: «Quis est homo, qui vivit et non
videbit mortem?» (Psal. 88. 49). È fatta la condanna: non v'è stato mai uomo sì
pazzo, che siasi lusingato di non avere a morire. Ciò ch'è succeduto a' vostri
antenati, ha da succedere anche a voi. Di quanti nel principio del secolo
passato viveano nella vostra patria, ecco che niuno n'è vivo. Anche i principi,
i monarchi della terra han mutato paese; di loro non vi è altro qui rimasto che
un mausoleo di marmo con una bella iscrizione, la quale oggi serve a noi
d'insegnamento, che de' grandi del mondo altro non resta che un poco di polvere
chiusa tra le pietre. Dimanda S. Bernardo: «Dic
mihi, ubi sunt amatores mundi?» e risponde: «Nihil ex eis remansit, nisi
cineres et vermes».
Pertanto bisogna che ci procuriamo non quella fortuna che
finisce, ma quella che sarà eterna, giacché eterne sono l'anime nostre. A che
servirebbe l'esser felice (se mai può darsi vera felicità in un'anima che sta
senza Dio), se poi dovreste esser infelice per tutta l'eternità? Vi avete fatta
già quella casa con tanta vostra soddisfazione,
ma pensate che presto dovrete lasciarla e andare a marcire in una fossa. Avete
ottenuta quella dignità, che vi rende superiore agli altri; ma verrà la morte,
che vi renderà simile a' villani più vili della terra.
Affetti e preghiere
Ah povero di me, che per
tanti anni non ho pensato che ad offendervi, o Dio dell'anima mia! Ecco che
questi anni già son passati, la morte forse mi è già vicina, e che me ne trovo,
se non pene e rimorsi di coscienza? Oh vi avessi sempre servito, Signor mio!
Pazzo che sono stato! sono stato su questa terra a vivere già per tanti anni,
ed invece di acquistarmi meriti per l'altra vita, mi son caricato di debiti
colla divina giustizia.
Caro mio Redentore, datemi luce e forza di aggiustare al
presente i conti. La morte forse poco da me sta lontana. Voglio apparecchiarmi
per quel gran punto decisivo della mia felicità o infelicità eterna. Vi
ringrazio d'avermi aspettato sinora. E giacché
mi date tempo di rimediare al mal fatto, eccomi, mio Dio, ditemi che ho da fare
per Voi. Volete che io mi dolga dell'offese
che vi ho fatte; io me ne dolgo, me ne dispiace con tutta l'anima. Volete ch'io
spenda questi anni o giorni che mi restano in amarvi;
sì che voglio farlo. Oh Dio, per lo passato anche più volte ho risoluto
di farlo, ma le mie promesse son diventate poi tradimenti! No, Gesù mio, non
voglio esser più ingrato a tante grazie che mi avete fatte. Se almeno ora non
muto vita, come potrò in morte sperar perdono e paradiso? Ecco ora risolvo
fermamente di mettermi a servirvi da vero. Ma
Voi datemi forza, non mi abbandonate. Ma Voi non mi avete abbandonato, quando
io vi offendeva; dunque spero maggiormente il vostro aiuto or che propongo di
lasciar tutto per compiacervi.
Accettatemi dunque ad amarvi, o Dio degno d'infinito
amore. Accettate il traditore che ora pentito s'abbraccia a' piedi vostri, e
v'ama e vi cerca pietà. V'amo, o Gesù mio, v'amo con tutto il cuore, v'amo più
di me stesso. Eccomi son vostro. Disponete di me e di tutte le mie cose come vi
piace; datemi la perseveranza nell'obbedirvi, datemi il vostro amore, e poi
fate di me quel che volete.
Maria, Madre, speranza, rifugio mio, a Voi mi raccomando,
a Voi consegno l'anima mia; pregate Gesù per me.
PUNTO II
«Statutum est». È certo
dunque che tutti siamo condannati a morte. Tutti nasciamo, dice S. Cipriano, col capestro alla gola; e quanti passi diamo, tanto
ci avviciniamo alla morte. Fratello mio, siccome voi siete stato scritto un
giorno nel libro del battesimo, così avrete un giorno da essere scritto nel
libro de' morti. Siccome voi nominate ora i vostri antenati, la buona memoria
di mio padre, di mio zio, di mio fratello; così i posteri avran da dire anche
di voi. Siccome avete più volte udito sonare a morto degli altri, così gli
altri avran da sentire sonare di voi.
Ma che direste
voi, se vedeste un condannato a morte che andasse al patibolo burlando,
ridendo, girando gli occhi e pensando a commedie, festini e spassi? e voi ora
camminate già alla morte, ed a che pensate? Guardate là in quella fossa quei
vostri amici e parenti, per cui già si è eseguita la giustizia. Che spavento dà
a' condannati il vedere sulla forca i compagni già appesi e morti! Guardate
dunque quei cadaveri, ognun de' quali vi dice: «Mihi heri, et tibi hodie»
(Eccli. 38. 23). Lo stesso vi dicono ancora i ritratti de' vostri parenti
defunti, i loro libri di memoria, le case, i letti, le vesti da loro lasciate.
Qual pazzia maggior è
dunque sapere che si ha da morire, e che dopo la morte ci ha da toccare o
un'eternità di gaudi o un'eternità di pene; pensare che da quel punto dipende
l'essere o eternamente felice o eternamente infelice, e poi non pensare ad
aggiustare i conti e prendere tutti i mezzi per fare una buona morte? Noi
compatiamo coloro che muoiono di subito, e non si trovano apparecchiati alla
morte: e noi perché poi non procuriamo di stare apparecchiati, potendo anche a
noi accadere lo stesso? Ma o presto o tardi, o con avviso o improvvisamente, o
ci pensiamo o non ci pensiamo, abbiamo da morire; ed in ogni ora, in ogni
momento ci accostiamo alla nostra forca, che sarà appunto quell'ultima
infermità, che ci ha da cacciare dal mondo.
In ogni secolo le case, le piazze e le città si riempiono
di gente nuova, ed i primi son portati a chiudersi ne' sepolcri. Siccome per
coloro son finiti i giorni della vita, così verrà il tempo, in cui né io, né voi, né alcuno di quanti al presente viviamo,
viveremo più su questa terra. «Dies formabuntur, et nemo in eis» (Salm. 138.
16). Saremo allora tutti nell'eternità, la
quale sarà per noi un eterno giorno di delizie o un'eterna notte di tormenti.
Non ci è via di mezzo; è certo, è di fede che l'una o l'altra sorte ci ha da
toccare.
Affetti e preghiere
Amato mio Redentore, non avrei ardire di comparirvi
avanti, se non vi rimirassi appeso a questa
croce, lacerato, schernito e morto per me. È stata grande la mia ingratitudine,
ma è più grande la vostra misericordia. Sono stati grandi i miei peccati, ma
sono più grandi i vostri meriti. Le vostre piaghe, il vostro sangue, la vostra
morte sono la speranza mia. Io meritava l'inferno dal punto del primo mio peccato: appresso io tante volte ho ritornato ad
offendervi, e Voi non solo mi avete conservato in vita, ma con tanta pietà e
con tanto amore mi avete chiamato al perdono, e mi avete offerta la pace. Come
posso ora temere che mi discacciate da Voi, ora che v'amo ed altro non desidero
che la grazia vostra?
Sì v'amo con tutto il cuore, o caro mio Signore; ed altro
non desidero che amarvi. V'amo e mi pento di avervi disprezzato, non tanto per
l'inferno che mi ho meritato, quanto per avere offeso Voi, mio Dio, che mi
avete tanto amato. Via su, Gesù mio, aprite a me il seno della vostra bontà;
aggiungete misericordie a misericordie. Fate ch'io non vi sia più ingrato; e
mutatemi in tutto il cuore. Fate che 'l mio cuore, che un tempo niente ha
stimato il vostro amore e l'ha cambiato per miseri gusti di questa terra, ora
sia tutto vostro, ed arda in continue fiamme per Voi.
Io spero di venire in paradiso per sempre ad amarvi; ivi
non può toccarmi luogo fra gl'innocenti, mi toccherà stare tra' penitenti, ma
tra questi io voglio amarvi più degl'innocenti. Per gloria della vostra
misericordia veda il paradiso ardere in un grande amore un peccatore, che vi ha
tanto offeso. Io risolvo da oggi avanti di esser tutto vostro, e di non pensare
ad altro che ad amarvi. Assistetemi Voi colla vostra luce e colla vostra
grazia, che mi dia forza ad eseguire questo mio desiderio, che Voi stesso mi
date per vostra bontà.
O Maria, Voi siete la Madre della perseveranza,
impetratemi l'esser fedele in questa mia promessa.
PUNTO III
La morte è certa. Ma oh Dio che ciò lo sanno già i
cristiani, lo credono, lo vedono; e come poi tanti vivono talmente scordati
della morte, come non avessero mai a morire! Se non vi fosse dopo questa vita né
inferno né paradiso, potrebbero pensarci meno di quel che ora ci pensano? E
perciò fanno la mala vita che fanno.
Fratello mio,
se volete viver bene, procurate di vivere in questi giorni che vi restano, a
vista della morte. «O mors, bonum est iudicium tuum» (Eccli. 41. 3). Oh come
bene giudica le cose e dirige le sue azioni, chi le giudica e dirige a vista
della morte! La memoria della morte fa perdere l'affetto a tutte le cose di
questa terra. «Consideretur vitae terminus, et non erit in hoc mundo quid
ametur», dice S. Lorenzo Giustiniani (de Ligno vitae, cap. 4). «Omne quod in mundo est, concupiscentia carnis est,
concupiscentia oculorum, et superbia vitae» (I Io. 2. 16). Tutti i beni del
mondo si riducono a' piaceri di senso, a robe e ad onori; ma ben disprezza
tutto, chi pensa che tra poco ha da ridursi in cenere e ad esser posto sotto
terra per pascolo di vermi.
Ed in fatti a vista della morte i Santi han disprezzati
tutti i beni di questa terra. Perciò S. Carlo Borromeo
si tenea nel tavolino un teschio di morto, per
mirarlo continuamente. Il cardinal Baronio sull'anello teneasi scritto: «Memento mori». Il Ven. P. Giovenale Ancina
vescovo di Saluzzo tenea scritto sopra un altro
teschio di morto il motto: «Come tu sei, fui pur io: e com'io sono, sarai pur
tu». Un altro santo Eremita dimandato in morte,
perché stesse con tanta allegrezza, rispose: Io ho tenuto spesso avanti gli
occhi la morte, e perciò ora ch'è giunta, non vedo cosa nuova.
Che pazzia sarebbe d'un viandante, se viaggiando pensasse
a farsi grande in quel paese per dove passa, e non si curasse di ridursi poi a
vivere miseramente in quello dove ha da stare in tutta la sua vita? E non è
pazzo chi pensa a farsi felice in questo mondo, dove ha da stare pochi giorni,
e si mette a rischio di farsi infelice nell'altro, dove avrà da vivere in
eterno? Chi tiene una cosa aliena in prestito, poco ci pone affetto pensando
che tra poco l'ha da restituire: i beni di questa terra tutti ci sono dati in
prestito; è sciocchezza metterci affetto, dovendoli tra poco lasciare. La morte
ci ha da spogliare di tutto. Tutti gli acquisti, e fortune di questo mondo
vanno a terminare ad un'aperta di bocca, ad un funerale e ad una scesa in una
fossa. La casa da voi fabbricata tra poco dovrete cederla ad altri; il sepolcro
sarà l'abitazione del vostro corpo sin al giorno del giudizio, e di là dovrà
poi passare al paradiso o all'inferno, dove già
prima sarà andata l'anima.
Affetti e preghiere
Dunque in morte tutto sarà finito per me? Altro allora non
mi troverò, o mio Dio, che quel poco che ho fatto per vostro amore. E che
aspetto? aspetto che venga la morte e mi trovi così misero ed infangato di
colpe come al presente sono? Se ora dovessi morire, morirei molto inquieto e
troppo scontento della vita fatta. No, Gesù mio, non voglio morire così
scontento. Vi ringrazio che mi date tempo di piangere i miei peccati e
d'amarvi. Voglio cominciare da questo punto.
Mi pento sopra ogni male di avervi offeso, o sommo bene,
e v'amo più d'ogni cosa, più della vita mia. Tutto a Voi mi dono; Gesù mio, da
ora v'abbraccio, vi stringo al mio cuore; e da ora vi consegno tutta l'anima
mia. «In manus tuas commendo spiritum meum».
Non voglio aspettare a darvela, quando le sarà intimata (con quel
«Proficiscere») la partenza da questo mondo. Non voglio aspettare a pregarvi
allora che mi salviate! «Iesus, sis mihi Iesus». Salvatore
mio, ora salvatemi con perdonarmi, e donarmi la grazia del vostro santo amore.
Chi sa, se questa considerazione, che oggi ho letta, è l'ultima chiamata che
Voi mi fate, e l'ultima misericordia che mi usate. Stendete su la mano, amor
mio, e cacciatemi dal fango della mia tiepidezza.
Datemi fervore; fate che v'ubbidisca con grande amore in tutto quello che da me
cercate. Eterno Padre, per amore di Gesu-Cristo
datemi la santa perseveranza e la grazia d'amarvi, e amarvi assai in questa
vita che mi resta.
O Maria Madre di misericordia, per l'amore che portate al
vostro Gesù, ottenetemi queste due grazie, perseveranza e amore.
CONSIDERAZIONE V - INCERTEZZA DELL'ORA DELLA MORTE
«Estote parati, quia qua
hora non putatis, Filius hominis veniet» (Luc. 12. 40).
PUNTO I
È certo che tutti abbiamo
da morire, ma è incerto il quando. «Nihil certius morte (dice l'Idiota), hora
autem mortis nihil incertius». Fratello mio, già sta determinato l'anno, il
mese, il giorno, l'ora e 'l momento, nel quale io e voi abbiam da lasciar
questa terra ed entrare nell'eternità; ma questo tempo a noi è ignoto. Il
Signore, acciocché noi ci troviamo sempre apparecchiati, ora ci dice che la
morte verrà come un ladro di notte e di nascosto: «Sicut fur in nocte, ita
veniet» (I Thess. 5. 2): ora ci dice che stiamo vigilanti, perché quando meno
ce l'immaginiamo, verrà Egli a giudicarci: «Qua hora non putatis, Filius
hominis veniet». Dice S. Gregorio che Dio per nostro bene ci nasconde l'ora
della morte, acciocché ci troviamo sempre apparecchiati: «De morte incerti
sumus, ut ad mortem semper parati inveniamur». Giacché dunque la morte in ogni
tempo, ed in ogni luogo può toglierci la vita, se vogliamo morir bene e
salvarci, bisogna (dice S. Bernardo) che in ogni tempo ed in ogni luogo la
stiamo aspettando: «Mors ubique te exspectat; tu ubique eam exspectabis».
Ognuno sa che ha da morire, ma il male è che molti
ravvisano la morte in tanta lontananza che la perdono di vista. Anche i vecchi
più decrepiti e le persone più infermicce pure si lusingano di avere a vivere
per tre o quattro altri anni di più. Ma all'incontro, io dico, quanti ne
sappiamo noi anche a' giorni nostri morti di subito! chi sedendo, chi
camminando, chi dormendo nel suo letto! È certo che niun di costoro credea di
avere a morir così improvvisamente ed in quel giorno ch'è morto. Dico in oltre
di quanti in quest'anno son passati all'altra vita, morendo nel loro letto,
niuno s'immaginava di dovere in quest'anno finire i suoi giorni. Poche sono le
morti, che non riescono improvvise.
Dunque, cristiano mio,
quando il demonio vi tenta a peccare con dirvi che domani poi vi confesserete,
rispondetegli: E che so io, se oggi è l'ultimo giorno di mia vita? se
quest'ora, questo momento, in cui voltassi le spalle a Dio, fosse l'ultimo per
me, sicché per me poi non vi fosse più tempo di rimediare, che ne sarebbe di me
in eterno? A quanti poveri peccatori è succeduto che nello stesso punto che
cibavansi di qualch'esca avvelenata, sono stati colti dalla morte e mandati
all'inferno? «Sicut pisces capiuntur hamo, sic capiuntur homines in tempore
malo».(Eccli. 9. 12). Il tempo malo è propriamente quello, in cui attualmente
il peccatore offende Dio. Dice il demonio che questa disgrazia non vi
succederà; ma voi dovete dire: E se mi succede, che ne sarà di me per tutta
l'eternità?
Affetti e preghiere
Signore, il luogo, dove a
quest'ora dovrei stare, non dovrebbe esser questo, in cui al presente mi trovo,
ma l'inferno, che tante volte m'ho meritato co' miei peccati: «Infernus domus
mea est». Ma mi avvisa S. Pietro: «Deus patienter agit propter vos, nolens
aliquos perire, sed omnes ad poenitentiam reverti» (2 Petr. 3. 6). Dunque Voi
avete avuta tanta pazienza con me e mi avete aspettato, perché non volete
vedermi perduto, ma volete ch'io ritorni a penitenza. Sì, mio Dio, a Voi
ritorno, mi butto a' piedi vostri e vi domando pietà. «Miserere mei Deus,
secundum magnam misericordiam tuam». Signore, per perdonare a me, vi bisogna
una misericordia grande e straordinaria, perché io vi ho offeso colla luce.
Altri peccatori anche vi hanno offeso, ma non hanno avuta la luce, che Voi
avete data a me. Voi con tutto ciò anche mi comandate ch'io mi penta de' miei
peccati, e speri da Voi il perdono. Sì, mio caro Redentore, mi pento con tutto
il cuore di avervi offeso, e spero il perdono per li meriti della vostra
passione. Voi, Gesù mio, essendo innocente avete voluto morire da reo su d'una
croce e spargere tutto il sangue per lavare i peccati miei. «O sanguis
innocentis, lava culpas poenitentis».
O Padre Eterno,
perdonatemi per amore di Gesu-Cristo, udite le sue preghiere, or ch'Egli vi sta
pregando per me, facendo il mio avvocato. Ma non mi basta il perdono, o Dio
degno d'infinito amore, io voglio ancora la grazia d'amarvi. V'amo, o sommo
bene, e v'offerisco da oggi avanti il mio corpo, l'anima mia, la mia volontà,
la mia libertà. Voglio da oggi avanti evitare non solo i vostri disgusti gravi,
ma anche i leggieri. Voglio fuggire tutte le male occasioni. «Ne nos
inducas in tentationem». Liberatemi
Voi per amore di Gesu-Cristo da quelle occasioni, in cui vi avessi da offendere.
«Sed libera nos a malo». Liberatemi dal peccato, e poi castigatemi come volete.
Accetto tutte le infermità, i dolori, le perdite che vorrete mandarmi; mi basta
che non perda la vostra grazia e 'l vostro amore. «Petite, et accipietis». Voi
mi promettete di dare quanto v'è richiesto: «Petite et accipietis». Io queste
due grazie vi cerco, la santa perseveranza e la grazia d'amarvi.
O Maria Madre di
misericordia, pregate per me, in Voi confido.
PUNTO II
Il Signore non ci vuol
vedere perduti, e perciò non lascia d'avvertirci a mutar vita colla minaccia
del castigo. «Nisi conversi fueritis, gladium suum vibrabit " (Ps. 7. 13).
Mirate (dice in altro luogo) quanti, perché non l'han voluta finire, quando
meno se l'immaginavano, e vivean in pace sicuri di aver a vivere per molti
anni, repentinamente è giunta loro la morte: «Cum dixerint pax, et securitas,
tunc repentinus eis superveniet interitus» (Prov. 29. 1). In un altro luogo
dice: «Nisi poenitentiam egeritis, omnes similiter peribitis». Perché tanti
avvisi del castigo, prima di mandarcelo? se non perché Egli vuole che noi ci
emendiamo, e così evitiamo la mala morte. Chi dice, guardati, non ha voglia di
ucciderti, dice S. Agostino: «Non vult ferire, qui clamat tibi: Observa».
È necessario dunque
apparecchiare i conti, prima che arrivi il giorno de' conti. Cristiano mio, se
prima di notte in questo giorno doveste morire, e avesse da decidersi la causa
della vostra vita eterna, che dite, vi trovereste i conti apparecchiati? o pure
quanto paghereste per ottener da Dio un altro anno, un mese, almeno un altro
giorno di tempo? E perché ora che Dio già vi dà questo tempo, non aggiustate la
coscienza? Forse non può essere che questo giorno sia l'ultimo per voi? «Non
tardes converti ad Dominum, et non differas de die in diem; subito enim veniet
ira illius, et in tempore vindictae disperdet te» (Eccli. 5. 9). Per salvarti,
fratello mio, bisogna lasciare il peccato; se dunque hai da lasciarlo una
volta, perché non lo lasci ora? «Si aliquando, cur non modo?». (S. August.).
Aspetti forse che giunga la morte? ma il tempo della morte non è tempo di
perdono, ma di vendetta. «In tempore vindictae disperdet te» (Eccli. loc.
cit.).
Se alcuno vi dee una gran
somma, voi presto vi cautelate con farvi fare l'obbligo scritto, dicendo: Chi
sa che può succedere? E perché non usate poi la stessa cautela per l'anima
vostra, che importa assai più di quella somma? perché non dite lo stesso: Chi
sa che può succedere? Se perdete quella somma, non perdete tutto; e benché
perdendo quella perdessivo tutto il vostro patrimonio, pure vi resterebbe la
speranza di riacquistarlo; ma se in morte perdete l'anima, allora veramente
avrete perduto tutto, e non vi sarà più per voi speranza di ricuperarlo. Voi
siete così diligente in notare le memorie de' beni che possedete, per timore
che non si perdano, se mai v'accadesse una morte improvvisa; e se per caso vi
accade questa morte improvvisa, e vi trovate in disgrazia di Dio, che sarà
dell'anima vostra per tutta l'eternità?
Affetti e preghiere
Ah mio Redentore, Voi
avete sparso tutto il sangue, avete data la vita per salvare l'anima mia, ed io
tante volte l'ho perduta colla speranza della vostra misericordia. Dunque io
tante volte mi son servito della vostra bontà, perché? per più offendervi? Per
questo stesso io meritava che Voi subito mi faceste morire, e mi mandaste
all'inferno. In somma ho fatto a gara con Voi: Voi ad usarmi pietà, io
ad offendervi. Voi a venirmi
appresso, io a fuggire da Voi. Voi a darmi tempo per rimediare al mal fatto, ed
io a servirmene per aggiungere ingiurie ad ingiurie. Signore, fatemi conoscere
il gran torto che vi ho fatto e l'obbligo che mi resta d'amarvi.
Ah Gesù mio, com'io poteva
esser così caro a Voi, che tanto mi siete venuto appresso, quando io vi
discacciava? Come avete potuto far tante grazie a chi vi ha dato tanti
disgusti? Da tutto ciò vedo quanto Voi desiderate di non vedermi perduto. Mi
pento con tutto il cuore di avervi offeso, o bontà infinita. Deh ricevete
quest'ingrata pecorella, che pentita ritorna a' vostri piedi: ricevetela, e
stringetela sulle vostre spalle, acciocché non fugga più da Voi. No, che non
voglio più da Voi fuggire; vi voglio amare, voglio essere vostro; e purché io
mi veda vostro, mi contento d'ogni pena. E qual pena maggiore mi può succedere
che vivere senza la grazia vostra, diviso da Voi che siete il mio Dio, che mi avete
creato, e siete morto per me? O peccati maledetti, che avete fatto? mi avete
fatto disgustare il mio Salvatore, che mi ha tanto amato.
Ah Gesù mio, come siete
morto per me, così dovrei morire io per Voi; Voi per amore, io per dolore di
avervi disprezzato. Accetto la morte, come e quando vi piace; ma finora io non
v'ho amato, o troppo poco v'ho amato; non voglio morire così. Deh concedetemi
un altro poco di vita, acciocch'io v'ami prima di morire; perciò mutatemi il
cuore, feritelo, infiammatelo del vostro santo amore: fatelo per quell'affetto
di carità, che vi ha fatto morire per me. Io v'amo con tutta l'anima mia.
L'anima mia si è innamorata di Voi. Non permettete ch'ella più vi perda. Datemi
la santa perseveranza, datemi il vostro amore.
Maria SS. rifugio e Madre
mia, fate l'avvocata per me.
PUNTO III
«Estote parati». Non dice
il Signore che ci apparecchiamo, quando ci arriva la morte, ma che ci troviamo
apparecchiati. Quando viene la morte, allora in quella tempesta e confusione
sarà quasi impossibile aggiustare una coscienza imbrogliata. Così dice la
ragione. Così minaccia Dio, dicendo che allora Egli non verrà a perdonare, ma a
vendicarsi del disprezzo fatto delle sue grazie. «Mihi vindicta, et ego
retribuam in tempore». (Rom. 12. 19). Giusto castigo, dice S. Agostino, sarà
questo per colui che potendo non ha voluto salvarsi, di non potere quando
vorrà: «Iusta poena est, ut qui recta facere cum posset noluit, amittat posse
cum velit» (Lib. 3 de lib. arb.). Ma dirà alcuno: Chi sa, può essere ancora che
allora mi converta, e mi salvi. Ma vi gittereste voi in un pozzo con dire: Chi
sa, può essere che gittandomi resto vivo e non muoio? Oh Dio, che cosa è
questa? Come il peccato accieca la mente, che fa perdere anche la ragione! Gli
uomini, quando si tratta del corpo, parlano da savi; quando poi si tratta
d'anima, parlano da pazzi.
Fratello mio, chi sa se questo punto che leggete,
è l'ultimo avviso che Dio vi manda? Presto apparecchiamoci alla morte,
acciocché non ci colga improvvisamente. Dice S. Agostino che 'l Signore ci
nasconde l'ultimo giorno di nostra vita, affinché in tutt'i giorni stiamo
apparecchiati a morire: «Latet ultimus dies, ut observentur omnes dies» (Hom.
13). Ci avvisa S. Paolo che bisogna attendere a salvarci non solo temendo, ma
anche tremando: «Cum metu et tremore vestram salutem operamini». (Philipp. 2.
12). Narra S. Antonino che un certo re della Sicilia per far intendere ad un
privato il timore, col quale egli sedea nel trono, lo fece sedere a mensa con
una spada pendente da un picciolo filo sulla testa, sicché quegli stando così,
appena poté prendere qualche poco di cibo. Tutti noi stiamo collo stesso
pericolo, mentre in ogni momento può caderci sopra la spada della morte, da cui
dipende la nostra salute eterna.
Si tratta di eternità. «Si
ceciderit lignum ad austrum, aut ad aquilonem, in quocunque loco ceciderit, ibi
erit» (Eccl. XI. 3). Se venendo la morte ci troviamo in grazia di Dio, oh che
allegrezza sarà dell'anima, potendo allora dire: Ho assicurato tutto, non posso
perdere più Dio, sarò felice per sempre. Ma se la morte troverà l'anima in
peccato, qual disperazione sarà il dire: «Ergo erravimus». Dunque ho errato ed
al mio errore non ci sarà rimedio per tutta l'eternità? Questo timore fece dire
al Ven. P. M. Avila, apostolo delle Spagne, quando gli fu portata la nuova
della morte: «Oh avessi un altro poco di tempo, per apparecchiarmi a morire!»
Questo facea dire all'Abbate Agatone, con tutto che moriva dopo tanti anni di
penitenza: «Che ne sarà di me! I giudizi di Dio chi li sa!» S. Arsenio anche
tremava in morte, e dimandato da' discepoli, perché così temesse: «Figli,
rispose, questo timore non mi è nuovo; io l'ho avuto sempre in tutta la mia
vita». Sopra tutti tremava il santo Giobbe, dicendo: «Quid faciam, cum
surrexerit ad iudicandum Deus? et cum quaesierit, quid respondebo illi?»
Affetti e preghiere
Ah mio Dio, e dove io ho
avuto mai uno che mi ha amato più di Voi? ed io chi mai ho disprezzato ed
ingiuriato più che Voi? O sangue, o piaghe di Gesù, voi siete la speranza mia.
Eterno Padre, non guardate i miei peccati, guardate le piaghe di Gesu-Cristo,
guardate il vostro Figlio diletto, che muore di dolore per me e vi domanda che
mi perdoniate. Mi pento, o mio Creatore, di avervi offeso, me ne dispiace più
d'ogni male. Voi mi avete creato, acciocché io vi amassi, ed io son vivuto,
come se mi aveste creato per offendervi. Per amore di Gesu-Cristo perdonatemi e
datemi la grazia d'amarvi.
Io prima resisteva alla
vostra volontà: ora non voglio più resistere, voglio fare quanto mi comandate.
Voi mi comandate ch'io detesti gli oltraggi, che vi ho fatti: ecco li detesto
con tutto il cuore. Mi comandate ch'io risolva di non offendervi più; ecco
risolvo di perdere prima mille volte la vita che la grazia vostra. Mi comandate
ch'io v'ami con tutto il mio cuore; sì, con tutto il mio cuore io v'amo, e non
voglio amare altro che Voi: Voi avete da essere da ogg'innanzi l'unico mio
amato e l'unico amor mio. A Voi domando e da Voi spero la santa perseveranza.
Per amore di Gesu-Cristo fate ch'io vi sia fedele, e ch'io sempre vi dica con
S. Bonaventura: «Unus est dilectus meus, unus amicus meus». No, non voglio che
la vita mia mi serva più a darvi disgusto; voglio che mi serva solo per
piangere i disgusti, che vi ho dati, e per amarvi.
Maria Madre mia, Voi
pregate per tutti coloro che a Voi si raccomandano, pregate ancora Gesù per me.
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