Thursday, 22 June 2017

"Apparecchio alla Morte" by St Alfonso Maria de Liguori (in Italian) – XIX



CONSIDERAZIONE XVIII - DEL NUMERO DE' PECCATI
«Quia non profertur cito contra malos sententia, ideo filii hominum perpetrant mala» (Eccl. 8. 11).


PUNTO I
                         Se Dio castigasse subito chi l'offende, non si vedrebbe certamente ingiuriato, come ora si vede; ma perché il Signore non castiga subito ed aspetta, perciò i peccatori pigliano animo a più offenderlo. Ma bisogna intendere che Dio aspetta e sopporta: ma non aspetta e non sopporta sempre. È sentenza di molti santi Padri, di S. Basilio, di S. Girolamo, di S. Ambrogio, di S. Cirillo Alessandrino, di S. Gio. Grisostomo, di S. Agostino e d'altri che siccome Iddio tiene determinato il numero per ciascun uomo de' giorni di vita, de' gradi di sanità, o di talento che vuol dargli: «Omnia in mensura, et numero, et pondere disposuisti» (Sap. 11. 21), così ancora tiene a ciascuno determinato il numero de' peccati, che vuol perdonargli; compito il quale non perdona più. «Illud sentire nos convenit (dice S. Agostino) tandiu unumquenque a Dei patientia sustineri; quo consummato, nullam illi veniam reservari» (De vita christiana c. 3). Lo stesso dice Eusebio Cesariense: «Deus exspectat usque ad certum numerum, et postea deserit» (lib. 8. c. 2). E lo stesso dicono gli altri Padri nominati di sopra.
                         E questi Padri non han parlato a caso ma fondati sulle divine Scritture. In un luogo disse il Signore che trattenea la rovina degli Amorrei, perché non era compito ancora il numero delle loro colpe: «Nondum completae sunt iniquitates Amorrhaeorum» (Gen. 15). In altro luogo disse: «Non addam ultra misereri Israel» (Is. 19). In altro «Tentaverunt me per decem vices, non videbunt terram» (Num. 14. 22). In altro dice Giobbe: «Signasti quasi in sacculo delicta mea» (Iob. 14. 17). I peccatori non tengono conto de' peccati, ma ben lo tiene Dio per dare il castigo, quando è maturata la messe, cioè quando è compito il numero: «Mittite falces, quoniam maturavit messis» (Ioel. 3. 13). In altro luogo dice Dio: «De propitiato peccato noli esse sine metu; neque adiicias peccatum super peccatum» (Eccli. 5. 5). E vuol dire: Peccatore, bisogna che tu paventi anche de' peccati che ti ho perdonati, perché, se ne aggiungi un altro, può essere che il peccato nuovo insieme coi perdonati compiscono il numero, ed allora non vi sarà più misericordia per te. In altro luogo più chiaramente dice la Scrittura: «Exspectat Deus patienter, ut cum iudicii dies advenerit, eas (Nationes), in plenitudine peccatorum puniat» (2. Macch. 6. 14). Sicché Dio aspetta sino al giorno, in cui si riempie la misura de' peccati, e poi castiga.
                         Di tal castigo poi vi sono molti esempi nella Scrittura, e specialmente di Saulle, che avendo l'ultima volta disubbidito a Dio, Dio l'abbandonò, talmente ch'egli pregando Samuele che avesse interceduto per lui: «Porta quaeso peccatum meum, et revertere mecum, ut adorem Deum»; Samuele gli rispose: «Non revertar tecum, quia abiecisti sermonem Domini, et abiecit te Dominus» (1. Reg. 15. 25). Vi è l'esempio di Baltassarre, il quale stando a mensa profanò i vasi del tempio, ed allora vide una mano che scrisse sul muro: «Mane, Thecel, Phares». Venne Daniele, e spiegando quelle parole, tra l'altro gli disse: «Appensus es in statera, et inventus es minus habens» (Dan. 5. 27). Dandogli ad intendere che il peso de' suoi peccati già avean fatto calar la bilancia della divina giustizia, ed in fatti nella stessa notte fu ucciso: «Eadem nocte interfectus est Baltassar rex Chaldaeus».
                         Ed oh a quanti miserabili succede lo stesso, che vivono molti anni ne' peccati, ma quando termina il loro numero son colti dalla morte e mandati all'inferno! «Ducunt in bonis dies suos, et in puncto ad inferna descendunt» (Iob. 21. 13). Taluni mettonsi ad indagare il numero delle stelle, il numero degli angeli, o degli anni di vita che avrà alcuno, ma chi mai può mettersi ad indagare il numero de' peccati, che Dio voglia a ciascun perdonare? E perciò bisogna tremare. Chi sa, fratello mio, che a quella prima soddisfazione indegna, a quel primo pensiero acconsentito, a quel primo peccato che farete, Dio non vi perdoni più?

Affetti e preghiere
                         Ah mio Dio, vi ringrazio. Quanti per meno peccati de' miei a quest'ora stan nell'inferno, e non vi è più perdono, né speranza per essi; ed io ho speranza del perdono e del paradiso, se lo voglio. Sì, Dio mio, voglio il perdono. Mi pento sopra ogni male di avervi offeso, perché ho offeso Voi bontà infinita. Eterno Padre «respice in faciem Christi tui», guardate il vostro Figlio su quella croce morto per me, e per li meriti suoi abbiate pietà di me. Io vi prometto di voler prima morire, che offendervi più. Debbo giustamente temere, secondo i peccati che ho fatti, e le grazie che Voi mi avete usate, che un altro peccato che aggiungessi, compirebbe la misura, e sarei dannato! Deh aiutatemi colla vostra grazia. Da Voi spero la luce e la forza d'esservi fedele. E se mai vedete ch'io avessi di nuovo ad offendervi, fatemi morire in questo punto, in cui spero di stare in grazia vostra. Dio mio, io v'amo sopra ogni cosa, e temo più che la morte di vedermi di nuovo in disgrazia vostra; per pietà non lo permettete.
                         Maria Madre mia, per pietà aiutatemi, impetratemi la santa perseveranza.


PUNTO II
                         Dice quel peccatore: Ma Dio è di misericordia. Rispondo, e chi lo nega? La misericordia di Dio è infinita, ma con tutta questa misericordia, quanti tutto dì si dannano? «Veni ut mederer contritis corde (Is. 61.1)». Dio sana chi tiene buona volontà. Egli perdona i peccati, ma non può perdonare la volontà di peccare. Replicherà: Ma io son giovine. Sei giovine? ma Dio non conta gli anni, conta i peccati. E questa tassa de' peccati non è eguale per tutti; ad alcuni Dio perdona cento peccati, ad un altro mille, ad un altro al secondo peccato lo manderà all'inferno. Quanti il Signore ce ne ha mandati al primo peccato? Narra S. Gregorio che un fanciullo di cinque anni, in dire una bestemmia, fu mandato all'inferno. Rivelò la SS. Vergine a quella serva di Dio Benedetta di Fiorenza che una fanciulla di 12 anni al primo peccato fu condannata. Un altro figliuolo di 8 anni anche al primo peccato morì e si dannò. Dicesi nel Vangelo di S. Matteo (cap. 21) che 'l Signore la prima volta che trovò quell'albero di fico senza frutto, subito lo maledisse, «nunquam ex te nascatur fructus», e quello seccò. Un'altra volta disse: «Super tribus sceleribus Damasci, et super quatuor non convertam eum» (Amos 1. 3). Forse alcun temerario vorrà chiedere ragione a Dio, perché ad uno vuol perdonare tre peccati, e quattro no? In ciò bisogna adorare i divini giudizi, e dire coll'Apostolo: «O altitudo divitiarum sapientiae et scientiae Dei; quam incomprehensibilia sunt iudicia eius, et investigabiles viae eius!» (Rom. 11. 33). S. Agostino: «Novit ille cui parcat, et cui non parcat. Quibus datur misericordia, gratis datur, quibus non datur, ex iustitia non datur» (Lib. de corrept. cap. 5).
                         Replicherà l'ostinato: Ma io tante volte ho offeso Dio, e Dio m'ha perdonato; e così spero che mi perdoni quest'altro peccato. Ma io dico: E perché Dio non ti ha castigato sinora, avrà da essere sempre così? Si compirà la misura, e verrà il castigo. Sansone seguitando a trescare con Dalila, pure sperava di liberarsi dalle mani de' Filistei, come avea fatto prima: «Egrediar sicut ante feci, et me excutiam» (Iudic. 16. 20). Ma in quell'ultima volta restò preso, e ci perdé la vita. «Ne dicas: peccavi, et quid accidit mihi triste?» Non dire, dice il Signore, ho fatti tanti peccati, e Dio non mai m'ha castigato. «Altissimus enim est patiens redditor» (Eccli. 5. 4). Viene a dire, che verrà una e pagherà tutto. E quanto maggiore sarà stata la misericordia, tanto più grave sarà il castigo. Dice il Grisostomo che più dee temersi, quando Dio sopporta l'ostinato, che quando subito lo punisce: «Plus timendum est cum tolerat, quam cum festinanter punit». Perché (come scrive S. Gregorio) coloro che Dio aspetta con più pazienza, più rigorosamente poi punisce, se restano ingrati! «Quos diutius exspectat, durius damnat». E spesso, soggiunge il santo, che quelli che molto tempo sono stati sopportati, improvvisamente poi muoiono senz'aver tempo di convertirsi: «Saepe qui diu tolerati sunt, subita morte rapiuntur, ut nec flere ante mortem licet». Specialmente quando più grande sarà stata la luce che Dio ti ha data, tanto maggiore sarà la tua accecazione ed ostinazione nel peccato. «Melius enim erat illis» (disse S. Pietro) «non cognoscere viam iustitiae quam post agnitionem retrorsum converti» (2. Petr. 2. 21). E S. Paolo disse essere impossibile (moralmente parlando) che un'anima illuminata, peccando di nuovo si converta: «Impossibile enim est eos, qui semel illuminati sunt, et gustaverunt donum coeleste... et prolapsi sunt, rursus renovari ad poenitentiam» (Hebr. 6. 4).
                         È terribile quel che dice il Signore contra i sordi alle sue chiamate: «Quia vocavi, et renuistis... Ego quoque in interitu vestro ridebo, et subsannabo vos» (Prov. 1. 24). Si notino quelle due parole «Ego quoque»: significano che siccome quel peccatore ha burlato Dio, confessandosi, promettendo e poi sempre tradendolo; così il Signore si burlerà di lui nella sua morte. In oltre dice il Savio: «Sicut canis qui revertitur ad vomitum suum, sic imprudens qui iterat stultitiam suam» (Prov. 26. 11). Spiega questo testo Dionisio Cartusiano, e dice che come si rende abbominevole e schifoso quel cane, che si ciba di ciò che prima ha vomitato; così rendesi odioso a Dio, chi ritorna a commettere i peccati che ha detestati nella confessione: «Sicut id quod per vomitum est reiectum resumere, est valde abominabile ac turpe, sic peccata deleta reiterare».
Affetti e preghiere
                         Eccomi, mio Dio a' piedi vostri, io son quel cane schifoso, che tante volte ho tornato a cibarmi di quei pomi vietati, che prima ho detestati. Io non merito pietà, o mio Redentore; ma il sangue che avete sparso per me, mi anima e mi obbliga a sperarla. Quante volte vi ho offeso, e Voi mi avete perdonato! Vi ho promesso di non offendervi più, e poi son ritornato al vomito, e Voi avete ritornato a perdonarmi. Che aspetto, che proprio mi mandiate all'inferno? O mi abbandoniate in mano del mio peccato, che sarebbe maggior castigo dell'inferno? No, mio Dio, voglio emendarmi, e per esservi fedele voglio mettere tutta la mia confidenza in Voi; voglio, quando sarò tentato, subito e sempre ricorrere a Voi. Per lo passato mi son fidato delle mie promesse e de' miei propositi, ed ho trascurato di raccomandarmi a Voi nelle tentazioni; e questa è stata la mia ruina. No, da oggi innanzi Voi avete da essere la speranza e la fortezza mia, e così potrò tutto: «Omnia possum in eo qui me confortat». Datemi dunque la grazia per li meriti vostri, o Gesù mio, di raccomandarmi sempre a Voi, e di cercarvi aiuto ne' miei bisogni. V'amo, o sommo bene, amabile sopra ogni bene; e solo Voi voglio amare; ma Voi mi avete da aiutare.
                         E Voi ancora mi avete da soccorrere colla vostra intercessione, o Maria Madre mia; tenetemi sotto il vostro manto e fate ch'io sempre vi chiami, quando sarò tentato. Il nome vostro sarà la difesa mia.


PUNTO III
                         «Fili, peccasti? Non adiicias iterum, sed de pristinis deprecare, ut tibi dimittantur» (Eccli. 21. 1). Ecco quel che ti avverte, cristiano mio, il tuo buon Signore, perché ti vuol salvo: Figlio, non tornare ad offendermi, ma d'oggi innanzi attendi a chiedere il perdono de' peccati fatti. Fratello mio, quanto più hai offeso Dio, tanto più dei tremare di non offenderlo più, perché un altro peccato che commetterai, farà calar la bilancia della divina giustizia, e sarai dannato. Io non dico assolutamente, che dopo un altro peccato per te non vi sarà più perdono, perché questo nol so, ma dico che può succedere. Onde quando sarete tentato, dite: E chi sa se Dio non mi perdona più, e resto dannato? Ditemi di grazia, se fosse probabile che in un cibo vi fosse il veleno, lo prendereste voi? Se probabilmente credeste che in quella via vi fossero i vostri nemici per torvi la vita, vi passereste voi, avendo un'altra via sicura? E così qual sicurezza, anzi qual probabilità avete voi che tornando a peccare, appresso ne avrete vero dolore e non tornerete più al vomito? e che peccando, Dio non vi faccia morire nello stesso atto del peccato, o che dopo quello non vi abbandoni?
                         Oh Dio, se voi comprate una casa, voi fate già tutta la diligenza per assicurar la cautela e non buttare il vostro danaro. Se prendete una medicina, cercate di bene assicurarvi che quella non vi possa nuocere. Se passate un torrente, cercate di assicurarvi di non cadervi dentro. E poi per una misera soddisfazione, per un diletto di bestia, volete arrischiare la salute eterna, con dire: Spero di confessarmelo? Ma io vi domando: Quando ve lo confesserete? Domenica. E chi vi promette d'esser vivo sino a Domenica? Domani. E chi vi promette questo domani? Dice S. Agostino: «Diem tenes, qui horam non tenes?» Come potete promettervi di confessarvi domani, quando non sapete di avere neppure un'altra ora di vita? «Qui poenitenti veniam spopondit, (siegue a dire il santo), peccanti diem crastinum non promisit; fortasse dabit, fortasse non dabit». Dio ha promesso il perdono a chi si pente, ma non ha promesso il domani a chi l'offende. Se ora peccate, forse Dio vi darà tempo di penitenza, e forse no; e se non ve lo dà, che ne sarà di voi per tutta l'eternità? Frattanto voi per un misero gusto già perdete l'anima e la mettete a rischio di restar perduta in eterno. Mettereste voi a rischio mille docati per quella vil soddisfazione? Dico più: fareste voi per quel breve gusto un vada tutto, danari, casa, poderi, libertà e vita? No? e poi come per quel misero piacere, volete in un punto far già perdita di tutto, dell'anima, del paradiso e di Dio? Ditemi: Son verità queste cose che insegna la fede, o son favole, che vi sia paradiso, inferno, eternità? Credete voi che se vi coglie la morte in peccato, sarete perduto per sempre? E che temerità, che pazzia condannarvi già da voi stesso ad un'eternità di pene, con dire: Spero appresso di rimediarvi? «Nemo sub spe salutis vult aegrotare», dice S. Agostino. Non si trova pazzo, che si pigli il veleno con dire, può essere che poi con rimedi mi guarisca; e voi volete condannarvi ad una morte eterna, con dire: Può essere che appresso me ne liberi? Oh pazzia che n'ha portato e ne porta tante anime all'inferno! Secondo già la minaccia del Signore: «Fiduciam habuisti in malitia tua, veniet super te malum, et nescies ortum eius» (Is. 48. 10). Hai peccato fidando temerariamente alla divina misericordia, verrà improvvisamente su di te il castigo, senza saper donde viene.

Affetti e preghiere
                         Ecco, Signore, uno di questi pazzi, che tante volte ha perduta l'anima e la grazia vostra, colla speranza appresso di ricuperarla. E se Voi mi aveste fatto morire in quel punto, o in quelle notti, nelle quali io stava in peccato, che ne sarebbe di me? Ringrazio la vostra misericordia, che mi ha aspettato, ed ora mi fa conoscere la mia pazzia. Vedo che Voi mi volete salvo, ed io mi voglio salvare. Mi pento, o bontà infinita, di avervi tante volte voltate le spalle, e v'amo con tutto il cuore. E spero a' meriti della vostra passione o Gesù mio, di non esser più pazzo. Perdonatemi presto, e ricevetemi nella vostra grazia, ch'io non voglio lasciarvi più. «In te, Domine, speravi, non confundar in aeternum». Ah no, spero, o mio Redentore di non aver più a patir la disgrazia e la confusione di vedermi in avvenire privo della grazia e del vostro amore. Concedetemi Voi la santa perseveranza, e fate ch'io sempre ve la domandi, specialmente quando sarò tentato, con chiamare in aiuto il santo nome vostro e della vostra S. Madre, dicendo: Gesù mio, aiutatemi; Maria mia, aiutatemi.
                         Sì, Regina mia, che ricorrendo a Voi, non sarò mai vinto. E se persiste la tentazione, ottenetemi ch'io non lasci di persistere ad invocarvi.

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