Thursday 29 June 2017

"Apparecchio alla Morte" by St Alfonso Maria de Liguori (in Italian) – XX



CONSIDERAZIONE XIX - CHE GRAN BENE SIA LA GRAZIA DI DIO, E CHE MALE LA DISGRAZIA DI DIO

«Nescit homo pretium eius» (Iob. 28. 13).



PUNTO I
                         Dice il Signore: «Si separaveris pretiosum a vili, quasi os meum eris» (Ier. 15. 19). Chi sa segregare le cose preziose dalle vili, si rende simile a Dio, che sa riprovare il male ed eleggere il bene. Vediamo che bene sia la grazia e che male sia la disgrazia di Dio. Non intendono gli uomini il valore della divina grazia. «Nescit homo pretium eius». E perciò la cambiano per niente, per un fumo, per un poco di terra, per un diletto di bestia; ma ella è un tesoro infinito, che ci rende degni dell'amicizia di Dio. «Infinitus enim thesaurus est hominibus, quo qui usi sunt, participes facti sunt amicitiae Dei» (Sap. 7. 14). Sicché un'anima in grazia ella è amica di Dio. I gentili ch'eran privi della luce della fede, stimavano impossibile che la creatura potesse tenere amicizia con Dio; e parlando secondo il lume naturale, giustamente il diceano, perché l'amicizia (come dice S. Girolamo) rende gli amici eguali: «Amicitia pares aut accipit, aut facit». Ma Iddio ci ha dichiarato in più luoghi che noi per mezzo della sua grazia diventiamo suoi amici per l'osservanza della sua legge: «Vos amici mei estis, si feceritis quae praecipio vobis» (Io. 15. 14). «Iam non dicam vos servos... vos autem dixi amicos» (Ibid. 15). Onde esclama S. Gregorio: O bontà di Dio! non meritiamo noi d'esser chiamati neppure suoi servi, ed egli si degna di chiamarci amici: «Oh mira divinae bonitatis dignatio! Servi non sumus digni nominari, et amici vocamur».
                         Come si stimerebbe fortunato chi avesse la sorte di aver per amico il suo re! Ma questa sarebbe temerità d'un vassallo pretendere di fare amicizia col suo principe. Ma non è temerità il pretendere un'anima di esser amica del suo Dio. Narra S. Agostino che ritrovandosi due cortigiani in un monistero di solitari, prese uno a leggere ivi la vita di S. Antonio Abate. «Legebat (scrive il santo) et exuebatur mundo cor eius». Leggeva, e leggendo il suo cuore si andava staccando dagli affetti del mondo. Indi rivolto al compagno gli parlò così: «Quid quaerimus? Maior ne esse potest spes nostra, quam quod amici imperatoris simus? Et per quot pericula ad maius periculum pervenitur? et quandiu hoc erit?» Amico, gli disse, pazzi che andiamo noi cercando? possiamo noi sperare più con servir l'imperadore, che di diventare suoi amici? e se a tanto giungessimo, ci porressimo a maggior pericolo della salute eterna. Ma no, che difficilmente arriveremo mai ad aver per amico Cesare. «Amicus autem Dei (così concluse) si voluero, ecce nunc fio». Ma s'io voglio, disse, essere amico di Dio, ora posso diventarlo.
                         Chi dunque sta in grazia di Dio, diventa amico di Dio. Di più diventa figlio: «Ecce Dii estis, et filii Excelsi omnes» (Ps. 3. 6). Questa è la gran sorte, che ci ha ottenuta l'amor divino per mezzo di Gesu-Cristo.
                         «Videte qualem caritatem dedit nobis Pater, ut filii Dei nominemur, et simus» (Io. 3. 1). Di più l'anima in grazia diventa sposa di Dio: «Sponsabo te mihi in fide» (Os. 2. 20). E perciò il padre del figlio prodigo, ricevendolo nella sua grazia, ordinò che gli fosse dato l'anello in segno dello sposalizio: «Date annulum in manum eius» (Luca 15. 22). Dico di più, diventa tempio dello Spirito Santo. Suor Maria Dognes vide uscire un demonio da un bambino che ricevé il battesimo, ed entrarvi lo Spirito Santo con una corona d'angeli.

Affetti e preghiere
                         Dunque mio Dio, l'anima mia, allorché felice stava in grazia vostra, ella era vostra amica e figlia, sposa e tempio, ma poi peccando tutto perdé, e diventò vostra nemica e schiava dell'inferno. Ma vi ringrazio che ancora mi date tempo di ricuperare la vostra grazia, o mio Dio. Mi pento sopra ogni male di avervi offeso, o bontà infinita. E v'amo sopra ogni cosa. Deh ricevetemi di nuovo nella vostra amicizia. Per pietà non mi sdegnate. So bene che meriterei d'esser da Voi discacciato, ma merita Gesu-Cristo che Voi di nuovo mi riceviate pentito, per amore del sacrificio, ch'egli vi fece di se stesso sul Calvario. «Adveniat regnum tuum». Padre mio, (così mi ha insegnato il vostro Figlio a chiamarvi): Padre mio, venite colla vostra grazia a regnar nel mio cuore; fate ch'egli a Voi solo serva, per Voi solo viva, Voi solo ami. «Et ne nos inducas in tentationem». Deh non permettete a' nemici che m'abbiano a tentare in modo ch'io resti da essi vinto. «Sed libera nos a malo». Liberatemi dall'inferno, ma prima liberatemi dal peccato, che solo può condurmi all'inferno.
                         O Maria, pregate per me, e liberatemi da questo gran male ch'io abbia a vedermi in peccato, e privo della grazia del vostro e mio Dio.



PUNTO II
                         Dice S. Tommaso d'Aquino che il dono della grazia eccede ogni dono che può ricevere una creatura, mentre la grazia è una partecipazione della stessa natura di Dio. «Donum gratiae excedit omnem facultatem naturae creatae, cum sit participatio divinae naturae». E prima già lo disse S. Pietro: «Ut per haec efficiamini divinae consortes naturae» (II. Petr. 1. 4). Tanto ci ha meritato Gesu-Cristo colla sua passione: Egli ci ha comunicato lo stesso splendore che ha ricevuto da Dio. «Et ego claritatem, quam dedisti mihi, dedi eis» (Io. 17. 22). In somma chi sta in grazia di Dio, si fa una cosa con Dio: «Qui adhaeret Domino, unus spiritus est» (1. Cor. 6. 17). E disse il Redentore che in un'anima che ama Dio, viene ad abitarvi tutta la SS. Trinità: «Si quis diligit me, Pater meus diliget eum... et ad eum veniemus, et mansionem apud eum faciemus» (Io. 14. 23).
                         È così bella agli occhi di Dio un'anima in grazia che Dio stesso la loda: «Quam pulchra es, amica mea! quam pulchra es!» (Cant. 4. 1). Il Signore da un'anima che l'ama par che non sappia partire gli occhi né l'orecchie per tutto ciò che gli domanda. «Oculi Domini super iustos, et aures eius in preces eorum» (Ps. 33. 16). Dicea S. Brigida che non si potrebbe vedere da un uomo la bellezza d'un'anima in grazia di Dio, senza morire per lo gaudio. E S. Caterina da Siena, vedendo già un'anima in grazia, disse ch'ella volentieri avrebbe data la vita, acciocché quell'anima non avesse perduta una tanta bellezza; e perciò la santa baciava la terra per dove passavano i sacerdoti, pensando che per mezzo loro l'anime si rimettono in grazia di Dio.
                         Quanti acquisti poi di meriti può fare un'anima in grazia! In ogni momento ella può acquistare una gloria eterna. Dice S. Tommaso che ogni atto d'amore fatto da un'anima merita un paradiso a parte: «Quilibet actus caritatis meretur vitam aeternam». Che stiamo dunque noi ad invidiare i grandi del mondo? se stiamo in grazia di Dio, possiamo continuamente acquistare grandezze assai maggiori in cielo. Un certo fratello coadiutore della Compagnia di Gesù, come scrive il P. Patrignani ne' suoi Menologi, comparve dopo morte, e disse ch'egli era salvo insieme con Filippo II re di Spagna; e che amendue godeano già la gloria, ma che quanto minore egli era stato in terra di Filippo, tanto maggiore era in paradiso. In oltre, solamente chi la prova, può intender la pace che gode anche in questa terra un'anima che sta in grazia di Dio. «Gustate, et videte, quam suavis est Dominus» (Ps. 33). Non possono venir meno le parole del Signore: «Pax multa diligentibus legem tuam» (Ps. 118. 165). La pace di chi sta unito con Dio avanza tutti i piaceri, che può dare il senso e 'l mondo. «Pax Dei, quae exsuperat omnem sensum» (Philipp. 4. 7).

Affetti e preghiere
                         O Gesù mio, Voi siete quel buon pastore, che vi siete lasciato uccidere per dar la vita a noi vostre pecorelle. Quand'io fuggiva da Voi, non avete lasciato Voi di venirmi appresso cercandomi; ricevetemi ora ch'io cerco Voi, e pentito ritorno a' piedi vostri. Donatemi di nuovo la vostra grazia, ch'io miseramente ho perduta per colpa mia. Io me ne pento con tutto il cuore, vorrei morirne di dolore, pensando di avervi voltate tante volte le spalle. Perdonatemi per li meriti di quella morte amara, che faceste per me sulla croce. Ligatemi colle dolci catene del vostro amore, e non permettete ch'io fugga più da Voi. Datemi forza di soffrir con pazienza tutte le croci che mi mandate, giacché io mi ho meritate le pene eterne dell'inferno. Fate ch'io abbracci con amore i disprezzi che riceverò dagli uomini, giacché ho meritato di star sotto i piedi de' demoni eternamente. Fate in somma ch'io ubbidisca in tutto alle vostre ispirazioni, e vinca tutti i rispetti umani per amor vostro. Io son risoluto da ogg'innanzi di voler servire solamente a Voi; dicano gli altri quel che vogliono, io voglio amare solamente Voi, o mio Dio amabilissimo. Solo a Voi voglio piacere; ma Voi datemi il vostro aiuto, senza cui non posso niente. V'amo, Gesù mio, con tutto il cuore, e confido al vostro sangue.
                         Maria speranza mia, aiutatemi colle vostre preghiere. Io mi glorio d'esser vostro servo; e Voi vi gloriate di salvare i peccatori, che a Voi ricorrono; soccorretemi e salvatemi.




PUNTO III
                         Vediamo ora la miseria d'un'anima, che sta in disgrazia di Dio. Ella è separata dal suo sommo bene ch'è Dio. «Peccata vestra diviserunt inter vos, et Deum vestrum» (Is. 59. 2). Sicché ella non è più di Dio, e Dio non è più suo: «Vos non populus meus, et ego non ero vester» (Ose. 1. 9). Non solamente non è più suo, ma l'odia e la condanna all'inferno. Non odia il Signore alcuna sua creatura, neppure le fiere, le vipere, i rospi: «Diligis omnia quae fecisti, et nihil odisti eorum quae fecisti» (Sap. 11. 25). Ma non può lasciar Iddio di odiare i peccatori. «Odisti omnes qui operantur iniquitatem» (Ps. 5. 7). Sì, perché Dio non può non odiare il peccato, ch'è quel nemico tutto contrario alla sua volontà; e perciò odiando il peccato dee necessariamente odiare anche il peccatore, che sta unito col peccato. «Similiter autem odio sunt Deo impius, et impietas eius» (Sap. 14. 9).
                         Dio, se alcuno ha per nemico un principe della terra, non può mai prender sonno quieto, temendo giustamente ad ogni momento la morte. E chi ha per nemico Dio, come può aver pace? Può taluno sfuggire l'ira del principe con nascondersi in una selva, o con andar lontano in altro regno: ma chi può sfuggire le mani di Dio? Signore (dicea Davide), se io salirò in cielo, se mi nasconderò nell'inferno, dovunque vado, la vostra mano può arrivarmi: «Si ascendero in coelum, tu illic es, si descendero in infernum, ades. Etenim illuc manus tua deducet me» (Ps. 138. 8).
                         Poveri peccatori! essi son maledetti da Dio, maledetti dagli angeli, maledetti da' Santi, maledetti anche in terra in ogni giorno da tutti i sacerdoti e religiosi, che ne pubblicano la maledizione in recitare l'officio divino: «Maledicti qui declinant a mandatis tuis». In oltre la disgrazia di Dio importa la perdita di tutti i meriti. Abbia meritato un uomo quanto un S. Paolo Eremita che visse 98 anni in una grotta, quanto un S. Francesco Saverio, che guadagnò a Dio dieci milioni d'anime; quanto un S. Paolo apostolo, che guadagnò più meriti (come dice S. Girolamo), che tutti gli altri apostoli, se costui commette un solo peccato mortale, perde tutto. «Omnes iustitiae eius, quas fecerat, non recordabuntur» (Ez. 18). Ed ecco la ruina che porta la disgrazia di Dio, da figlio di Dio lo fa diventare schiavo di Lucifero, da amico diletto lo fa diventare nemico sommamente odiato, da erede del paradiso lo fa diventare un condannato dell'inferno. Dicea S. Francesco di Sales che se gli angeli potessero piangere, in veder la miseria d'un'anima che commette un peccato mortale e perde la divina grazia, gli angeli si metterebbero a piangere per compassione.
                         Ma la maggior miseria è che gli angeli piangerebbero, se fossero capaci di piangere, e 'l peccatore non piange. Dice S. Agostino: Perde colui una bestiuola, una pecorella, non mangia, non dorme e piange; perderà poi la grazia di Dio, e mangia, dorme e non piange.

Affetti e preghiere
                         Ecco lo stato miserabile, in cui io mi son ridotto, o mio Redentore. Voi per farmi degno della vostra grazia, avete speso 33 anni di sudori e di pene, ed io per un momento di gusto avvelenato l'ho disprezzata e perduta per niente. Ringrazio la vostra pietà, che ancora mi dà tempo di ricuperarla, se voglio. Sì, voglio far quanto posso per riaverla. Ditemi che ho da fare per ricevere da Voi il perdono. Volete ch'io mi penta? Sì, Gesù mio, mi pento con tutto il cuore di avere offesa la vostra bontà infinita. Volete ch'io v'ami? Io v'amo sopra ogni cosa. Per lo passato ho troppo male impiegato il mio cuore ad amare le creature e le vanità. Da oggi avanti voglio vivere solo a Voi, voglio amare solo Voi, mio Dio, mio tesoro, mia speranza e mia fortezza. «Diligam te, Deus, fortitudo mea». I meriti vostri, le piaghe vostre, o Gesù mio, hanno da essere la speranza, la fortezza mia. Da Voi spero la forza d'esservi fedele. Ricevetemi dunque nella vostra grazia, o mio Salvatore, e non permettete ch'io vi lasci più. Staccatemi dagli affetti mondani, ed infiammatemi il cuore del vostro santo amore. «Tui amoris in eo ignem accende».
                         Maria madre mia, fatemi ardere di amore verso Dio, come sempre ardeste Voi.

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