La puttana è una regina, il
suo trono
è un rudere, la sua terra
un pezzo
di merdoso prato, il suo
scettro
una borsetta di vernice
rossa:
abbaia nella notte, sporca
e feroce
come un'antica madre:
difende
il suo possesso e la sua
vita.
I magnaccia, attorno, a
frotte,
gonfi e sbattuti, coi loro
baffi
brindisi o slavi, sono
capi, reggenti: combinano
nel buio, i loro affari di
cento lire,
ammiccando in silenzio,
scambiandosi
parole d'ordine: il mondo,
escluso, tace
intorno a loro, che se ne
sono esclusi,
silenziose carogne di
rapaci.
Ma nei rifiuti del mondo,
nasce
un nuovo mondo: nascono
leggi nuove
dove non c'è più legge;
nasce un nuovo
onore dove onore è il
disonore...
Nascono potenze e nobiltà,
feroci, nei mucchi di
tuguri,
nei luoghi sconfinati dove
credi
che la città finisca, e
dove invece
ricomincia, nemica,
ricomincia
per migliaia di volte, con
ponti
e labirinti, cantieri e
sterri,
dietro mareggiate di
grattacieli,
che coprono interi orizzonti.
Nella facilità dell'amore
il miserabile si sente
uomo:
fonda la fiducia nella
vita, fino
a disprezzare chi ha altra
vita.
I figli si gettano
all'avventura
sicuri d'essere in un mondo
che di loro, del loro
sesso, ha paura.
La loro pietà è nell'essere
spietati,
la loro forza nella
leggerezza,
la loro speranza nel non avere speranza.
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