Thursday 3 March 2016

“The Divine Comedy” by Dante Alighieri (Inferno: Canto XXXI) (in Italian)



Inferno: Canto XXXI

Una medesma lingua pria mi morse,
  si` che mi tinse l'una e l'altra guancia,
  e poi la medicina mi riporse;

cosi` od'io che solea far la lancia
  d'Achille e del suo padre esser cagione
  prima di trista e poi di buona mancia.

Noi demmo il dosso al misero vallone
  su per la ripa che 'l cinge dintorno,
  attraversando sanza alcun sermone.

Quiv'era men che notte e men che giorno,
  si` che 'l viso m'andava innanzi poco;
  ma io senti' sonare un alto corno,

tanto ch'avrebbe ogne tuon fatto fioco,
  che, contra se' la sua via seguitando,
  dirizzo` li occhi miei tutti ad un loco.

Dopo la dolorosa rotta, quando
  Carlo Magno perde' la santa gesta,
  non sono` si` terribilmente Orlando.

Poco portai in la` volta la testa,
  che me parve veder molte alte torri;
  ond'io: <<Maestro, di', che terra e` questa?>>.

Ed elli a me: <<Pero` che tu trascorri
  per le tenebre troppo da la lungi,
  avvien che poi nel maginare abborri.

Tu vedrai ben, se tu la` ti congiungi,
  quanto 'l senso s'inganna di lontano;
  pero` alquanto piu` te stesso pungi>>.

Poi caramente mi prese per mano,
  e disse: <<Pria che noi siamo piu` avanti,
  accio` che 'l fatto men ti paia strano,

sappi che non son torri, ma giganti,
  e son nel pozzo intorno da la ripa
  da l'umbilico in giuso tutti quanti>>.

Come quando la nebbia si dissipa,
  lo sguardo a poco a poco raffigura
  cio` che cela 'l vapor che l'aere stipa,

cosi` forando l'aura grossa e scura,
  piu` e piu` appressando ver' la sponda,
  fuggiemi errore e cresciemi paura;

pero` che come su la cerchia tonda
  Montereggion di torri si corona,
  cosi` la proda che 'l pozzo circonda

torreggiavan di mezza la persona
  li orribili giganti, cui minaccia
  Giove del cielo ancora quando tuona.

E io scorgeva gia` d'alcun la faccia,
  le spalle e 'l petto e del ventre gran parte,
  e per le coste giu` ambo le braccia.

Natura certo, quando lascio` l'arte
  di si` fatti animali, assai fe' bene
  per torre tali essecutori a Marte.

E s'ella d'elefanti e di balene
  non si pente, chi guarda sottilmente,
  piu` giusta e piu` discreta la ne tene;

che' dove l'argomento de la mente
  s'aggiugne al mal volere e a la possa,
  nessun riparo vi puo` far la gente.

La faccia sua mi parea lunga e grossa
  come la pina di San Pietro a Roma,
  e a sua proporzione eran l'altre ossa;

si` che la ripa, ch'era perizoma
  dal mezzo in giu`, ne mostrava ben tanto
  di sovra, che di giugnere a la chioma

tre Frison s'averien dato mal vanto;
  pero` ch'i' ne vedea trenta gran palmi
  dal loco in giu` dov'omo affibbia 'l manto.

<<Raphel mai` ameche zabi` almi>>,
  comincio` a gridar la fiera bocca,
  cui non si convenia piu` dolci salmi.

E 'l duca mio ver lui: <<Anima sciocca,
  tienti col corno, e con quel ti disfoga
  quand'ira o altra passion ti tocca!

Cercati al collo, e troverai la soga
  che 'l tien legato, o anima confusa,
  e vedi lui che 'l gran petto ti doga>>.

Poi disse a me: <<Elli stessi s'accusa;
  questi e` Nembrotto per lo cui mal coto
  pur un linguaggio nel mondo non s'usa.

Lascianlo stare e non parliamo a voto;
  che' cosi` e` a lui ciascun linguaggio
  come 'l suo ad altrui, ch'a nullo e` noto>>.

Facemmo adunque piu` lungo viaggio,
  volti a sinistra; e al trar d'un balestro,
  trovammo l'altro assai piu` fero e maggio.

A cigner lui qual che fosse 'l maestro,
  non so io dir, ma el tenea soccinto
  dinanzi l'altro e dietro il braccio destro

d'una catena che 'l tenea avvinto
  dal collo in giu`, si` che 'n su lo scoperto
  si ravvolgea infino al giro quinto.

<<Questo superbo volle esser esperto
  di sua potenza contra 'l sommo Giove>>,
  disse 'l mio duca, <<ond'elli ha cotal merto.

Fialte ha nome, e fece le gran prove
  quando i giganti fer paura a' dei;
  le braccia ch'el meno`, gia` mai non move>>.

E io a lui: <<S'esser puote, io vorrei
  che de lo smisurato Briareo
  esperienza avesser li occhi miei>>.

Ond'ei rispuose: <<Tu vedrai Anteo
  presso di qui che parla ed e` disciolto,
  che ne porra` nel fondo d'ogne reo.

Quel che tu vuo' veder, piu` la` e` molto,
  ed e` legato e fatto come questo,
  salvo che piu` feroce par nel volto>>.

Non fu tremoto gia` tanto rubesto,
  che scotesse una torre cosi` forte,
  come Fialte a scuotersi fu presto.

Allor temett'io piu` che mai la morte,
  e non v'era mestier piu` che la dotta,
  s'io non avessi viste le ritorte.

Noi procedemmo piu` avante allotta,
  e venimmo ad Anteo, che ben cinque alle,
  sanza la testa, uscia fuor de la grotta.

<<O tu che ne la fortunata valle
  che fece Scipion di gloria reda,
  quand'Anibal co' suoi diede le spalle,

recasti gia` mille leon per preda,
  e che, se fossi stato a l'alta guerra
  de'tuoi fratelli, ancor par che si creda

ch'avrebber vinto i figli de la terra;
  mettine giu`, e non ten vegna schifo,
  dove Cocito la freddura serra.

Non ci fare ire a Tizio ne' a Tifo:
  questi puo` dar di quel che qui si brama;
  pero` ti china, e non torcer lo grifo.

Ancor ti puo` nel mondo render fama,
  ch'el vive, e lunga vita ancor aspetta
  se 'nnanzi tempo grazia a se' nol chiama>>.

Cosi` disse 'l maestro; e quelli in fretta
  le man distese, e prese 'l duca mio,
  ond'Ercule senti` gia` grande stretta.

Virgilio, quando prender si sentio,
  disse a me: <<Fatti qua, si` ch'io ti prenda>>;
  poi fece si` ch'un fascio era elli e io.

Qual pare a riguardar la Carisenda
  sotto 'l chinato, quando un nuvol vada
  sovr'essa si`, ched ella incontro penda;

tal parve Anteo a me che stava a bada
  di vederlo chinare, e fu tal ora
  ch'i' avrei voluto ir per altra strada.

Ma lievemente al fondo che divora
  Lucifero con Giuda, ci sposo`;
  ne' si` chinato, li` fece dimora,

e come albero in nave si levo`.

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