CONSIDERAZIONE XXXI - DELLA PERSEVERANZA
«Qui
perseveraverit usque in finem, hic salvus erit» (Matth. 24.
13).
PUNTO I
Dice
S. Girolamo che molti cominciano bene, ma pochi
son quelli che perseverano: «Incipere multorum est, perseverare paucorum» (Lib.
I. contra Iovin.). Cominciò bene un Saulle, un Giuda, un
Tertulliano; ma poi finirono male, perché non perseverarono nel bene. «Non
quaeruntur in christianis initia, sed finis» (S. Hieron. Ep. ad Fur.). Il
Signore (siegue a dire il santo) non richiede
solamente i principii della buona vita, ma anche il fine; il fine è quello che
otterrà il premio. Dice S.
Bonaventura che alla sola perseveranza si dà la
corona: «Sola perseverantia coronatur». Che perciò S. Lorenzo Giustiniani chiamava la perseveranza la porta del cielo: «coeli
ianuam». Dunque non può entrare in paradiso, chi non trova la porta per
entrarvi. Fratello mio, voi al presente avete lasciato il peccato, e
giustamente sperate d'essere stato perdonato. Siete dunque amico di Dio, ma
sappiate che non ancora siete salvo. E quando sarete salvo? Quando avrete
perseverato sino alla fine: «Qui perseveraverit usque in finem, hic salvus
erit». Avete cominciata la buona vita,
ringraziate il Signore; ma vi avverte S.
Bernardo che a chi comincia è solamente
promesso il premio, ma poi solamente vien dato a chi persevera: «Incohantibus
praemium promittitur, perseverantibus datur» (Serm. 6. de Modo bene viv.). Non
basta correre al pallio, ma bisogna correre sino a prenderlo: «Sic currite, ut
comprehendatis», dice l'Apostolo (1. Cor. 9. 24).
Or già
avete posta la mano all'aratro, avete principiato a viver bene; ma ora piucché
mai temete e tremate. «Cum metu et tremore vestram salutem operamini» (Philip.
2. 12). E perché? perché se (non voglia mai Dio) vi voltate a guardare indietro
e ritornate alla mala vita, Dio vi dichiarerà escluso dal paradiso. «Nemo mittens manum ad aratrum, et respiciens retro,
aptus est regno Dei» (Luc. 9. 62). Ora per grazia del Signore fuggite le male
occasioni, frequentate i sagramenti, fate ogni
giorno la meditazione; beato voi se seguite a far così, e così facendo vi troverà
Gesu-Cristo, quando verrà a giudicarvi: «Beatus ille servus, quem cum venerit
Dominus eius, invenerit sic facientem» (Matth. 24. 46). Ma non credete che ora
che vi siete posto a servire a Dio, sian quasi finite, o mancate le tentazioni;
udite quel che vi dice lo Spirito Santo: «Fili, accedens ad servitutem Dei,
praepara animam tuam ad tentationem» (Eccli. 2. 1). Sappiate che or più che mai
dovete apparecchiarvi alle battaglie; perché i nemici, il mondo, il demonio e
la carne or più che mai si armeranno a combattervi, per farvi perdere quanto
avete acquistato. Dice Dionisio Cartusiano che
quanto più alcuno si dà a Dio, tanto più l'inferno cerca di abbatterlo: «Quanto
quis fortius nititur Deo servire, tanto acrius contra eum saevit adversarius».
E ciò sta abbastanza espresso nel Vangelo di S. Luca,
dove si dice: «Cum immundus spiritus exierit ab homine, quaerens requiem et non
inveniens, dicit: Revertar in domum meam, unde exivi. Tunc vadit, et assumit
septem alios spiritus nequiores se, et ingressi habitant ibi; et fiunt
novissima eorum peiora prioribus» (Luc. 11. 24). Il demonio quando è
discacciato da un'anima, non trova riposo e mette tutta l'opera per ritornare
ad entrarvi, chiama anche compagni in aiuto, e se gli riesce di rientrarvi,
sarà assai più grande per quell'anima la seconda ruina, che non fu la prima.
Andate
dunque considerando di qual'armi avete ad avvalervi, per difendervi da questi
nemici e conservarvi in grazia di Dio. Per non esser vinto dal demonio, non v'è
altra difesa che l'orazione. Dice S. Paolo che noi non abbiamo a combattere
contra uomini come noi di carne e sangue, ma contra i principi dell'inferno:
«Non est nobis colluctatio adversus carnem et sanguinem, sed adversus principes
et potestates» (Eph. 6. 12). E vuole con ciò avvertirci che noi non abbiamo
forze da resistere a tali potenze, onde abbiamo bisogno che Dio ci aiuti.
Coll'aiuto divino potremo tutto: «Omnia possum in eo qui me confortat» (Phil.
4. 13): così egli dicea, e così dobbiamo dire ciascuno di noi. Ma quell'aiuto
non si dona, se non a chi lo domanda coll'orazione. «Petite, et accipietis». Non ci fidiamo dunque de' nostri propositi; se
mettiamo a questi confidenza, sarem perduti:
tutta la confidenza, quando siam tentati dal demonio, mettiamola all'aiuto di Dio con raccomandarci allora a Gesu-Cristo ed a
Maria SS. E specialmente dobbiamo ciò fare, quando siam tentati contro la
castità, poiché questa tentazione fra tutte è la più terribile, ed è quella con
cui il demonio riporta più vittorie. Noi non abbiamo forza di conservar la
castità. Iddio ce l'ha da dare. Dicea Salomone: «Et ut scivi quoniam aliter non
possum esse continens, nisi Deus det... adii Dominum, et deprecatus sum illum»
(Sap. 8. 21). Bisogna dunque in tale tentazione subito ricorrere a Gesu-Cristo
ed alla sua santa Madre, invocando allora spesso i loro SS. nomi di Gesù, e di
Maria. Chi fa così, vincerà; chi non fa così, sarà perduto.
Affetti e preghiere
«Ne
proiicias me a facie tua». Ah mio Dio, non mi
discacciate dalla vostra faccia. Già so che Voi non mi abbandonerete mai, s'io non
sono il primo ad abbandonarvi; ma di questo io tremo per la sperienza della mia
debolezza. Signore, Voi m'avete da dar fortezza che mi bisogna contro
l'inferno, che pretende di vedermi di nuovo fatto suo schiavo. Ve la cerco per amore di Gesu-Cristo. Stabilite, o mio
Salvatore, fra me e Voi una pace perpetua, che non abbia più a rompersi in
eterno. E perciò datemi il vostro santo amore. «Qui non diligit, manet in
morte». Chi non v'ama, è morto. Da questa
morte infelice Voi m'avete da salvare, o Dio dell'anima mia. Io ero perduto,
già lo sapete. Tutta è stata vostra bontà il ridurmi a questo stato in cui mi
vedo, e spero di stare in grazia vostra. Deh non permettete, Gesù mio, per
quella morte amara che soffriste per me, ch'io l'abbia volontariamente da
tornare a perdere. Io v'amo sopra ogni cosa. Spero di vedermi sempre ligato da questo santo amore, per così legato morire, e
legato vivere in eterno.
O
Maria, Voi vi chiamate la madre della perseveranza. Questo gran dono per Voi si
dispensa: a Voi lo domando, e per Voi lo
spero.
PUNTO II
Vediamo
ora, come si ha da vincere il mondo. È un gran nemico il demonio, ma peggiore è
il mondo. Se 'l demonio non s'avvalesse del mondo e degli uomini cattivi (per
cui s'intende il mondo), non riporterebbe le vittorie che ottiene. Il Redentore
non tanto ci avvertì a guardarci da' demoni, quanto dagli uomini: «Cavete autem
ab hominibus» (Matth. 10. 17). Gli uomini spesso son peggiori de' demonii,
perché i demonii fuggono all'orazione e all'invocarsi i nomi SS. di Gesù e di
Maria; ma i mali compagni se tentano alcuno a peccare, e quegli risponde
qualche parola spirituale, essi non fuggono, ma più lo tentano e lo deridono,
chiamandolo uomo vile, senza creanza, che non vale a niente; e quand'altro non
possono dire, lo chiamano ippocrita che finge santità. E certe anime deboli,
per non sentire questi rimproveri o derisioni, miseramente si accompagnano con
quei ministri di Lucifero e tornano al vomito. Fratello mio, persuadetevi, che
se volete viver bene, avete da esser senza meno burlato e vilipeso da' malvagi.
«Abominantur impii eos, qui in recta sunt via» (Prov. 29. 27). Chi vive male,
non può vedere coloro che vivon bene; e perché? perché la loro vita è loro un
continuo rimprovero, e perciò vorrebbero che tutti l'imitassero, per non avere
la pena del rimorso che loro cagiona la buona
vita degli altri. Non v'è rimedio (dice l'Apostolo), chi serve Dio ha da essere
perseguitato dal mondo. «Omnes qui pie volunt vivere in Christo
Iesu, persecutionem patientur» (2. Tim.
3. 12). Tutt'i santi sono stati perseguitati. Chi più santo di Gesu-Cristo? e
'l mondo lo perseguitò, sino a farlo morir
svenato in una croce.
Non
v'è riparo a ciò, perché le massime del mondo sono tutte contrarie a quelle di
Gesu-Cristo. Quel ch'è stimato dal mondo, da Gesu-Cristo è chiamata pazzia:
«Sapientia enim huius mundi stultitia est apud Deum» (1. Cor. 3. 19).
All'incontro il mondo chiama pazzia ciò, ch'è stimato da Gesu-Cristo, come sono
le croci, i dolori, i disprezzi. «Verbum enim crucis pereuntibus quidem
stultitia est» (1. Cor. 1. 18). Ma consoliamoci, che se i cattivi ci maledicono
e ci vituperano, Iddio ci benedice e ci loda. «Maledicent illi, et tu
benedices» (Ps. 108. 28). Non ci basta forse l'esser lodati da Dio, da Maria,
da tutti gli angeli, da' santi e da tutti gli uomini da bene? Lasciamo dunque lor
dire a' peccatori quello che vogliono, e seguitiamo noi a dar gusto a Dio, ch'è
così grato e fedele con chi lo serve. Con quanta maggior ripugnanza e
contraddizione faremo il bene, tanto sarà maggiore il gusto di Dio e 'l merito
nostro. Figuriamoci, come nel mondo non vi fosse altro che Dio e noi. Quando
questi malvagi ci burlano, raccomandiamoli al Signore; ed all'incontro
ingraziamo Dio, che dà luce a noi, che non dona a questi miserabili, e seguiamo
il nostro cammino. Non ci vergogniamo di comparir cristiani, perché se noi ci
vergogniamo di Gesu-Cristo, Egli si protesta che si vergognerà pur5 di noi e di tenerci alla sua destra nel giorno del
giudizio: «Nam qui me erubuerit, et meum sermonem, hunc Filius hominis
erubescet, cum venerit in maiestate sua» (Luc. 9. 26).
Se
vogliamo salvarci, bisogna che ci risolviamo a patire e a farci forza, anzi
violenza. «Arcta est via, quae ducit ad vitam». (Matth. 7. 14). «Regnum
coelorum vim patitur, et violenti rapiunt illud» (Idem. 11. 12). Chi non si fa
forza, non si salva. Non ci è rimedio, poiché abbiamo da andare contro la
nostra natura ribelle, se vogliamo praticare il bene. Specialmente dobbiamo
farci forza al principio, per estirpare i mal'abiti
ed acquistare i buoni; perché fatto poi il buon abito, si rende facile, anzi
dolce l'osservanza della divina legge. Disse il Signore a S. Brigida che chi nel praticar la virtù con pazienza, ed animo
soffrisce le prime punture delle spine, dopo le
spine gli diventeranno rose. Sta attento dunque, cristiano mio, Gesu-Cristo ora
ti dice quel che disse al paralitico: «Ecce sanus factus es, iam noli peccare,
ne deterius tibi contingat» (Io. 5. 14). Intendi (ripiglia S. Bernardo), se per disgrazia ricadi, sappi che la tua ruina sarà
peggiore di tutte le tue prime cadute: «Audis: recidere quam incidere esse
deterius». Guai dice il Signore a coloro, che prendono la via di Dio, e poi la
lasciano. «Vae, filii desertores» (Is. 30. 1). Questi tali son puniti, come
ribelli della luce: «Ipsi fuerunt rebelles lumini» (Iob. 24. 13). E 'l castigo
di questi ribelli che sono stati favoriti da Dio d'una gran luce, e poi gli
sono infedeli, è il restar ciechi, e così finir la vita ne' loro peccati: «Si
autem averterit se iustus a iustitia sua... nunquid vivet? omnes iustitiae
eius, quas fecerat, non recordabuntur... in peccato morietur» (Ezech. 18. 24).
Affetti e preghiere
Ah mio
Dio, un tal castigo già io più volte me l'ho meritato, mentre più volte ho
lasciato il peccato per mezzo della luce, che Voi mi avete data, e poi
miseramente vi sono ritornato. Ringrazio
infinitamente la vostra misericordia di non avermi abbandonato nella cecità,
con lasciarmi affatto privo di luce, come io meritava. Troppo dunque, o Gesù
mio, io vi sono obbligato; e troppo ingrato vi sarei se ritornassi a voltarvi
le spalle. No, mio Redentore, «misericordias Domini in aeternum cantabo». Io spero nella vita che mi resta, e per tutta
l'eternità di cantar sempre e lodare le vostre grandi
misericordie, con amarvi sempre, e non vedermi più privo della vostra grazia.
Le ingratitudini che per lo passato vi ho usate, e che ora detesto e maledico
sopra ogni male, mi serviranno per farmi piangere sempre amaramente i torti che
vi ho fatti, e per più accendermi ad amar Voi, che dopo tante offese da me
ricevute, mi avete fatte grazie così grandi. Sì che v'amo, o mio Dio, degno
d'infinito amore. D'ogg'innanzi Voi avete da
esser l'unico amor mio, l'unico mio bene. O Eterno Padre per li meriti di
Gesu-Cristo vi domando la perseveranza finale nella vostra grazia e nel vostro
amore. Io già so che Voi me la concederete, sempre ch'io ve la chiederò. Ma chi
m'assicura ch'io sarò attento a chiedervi questa perseveranza? Per questo, Dio
mio, vi domando la perseveranza e la grazia di sempre cercarvela.
O
Maria avvocata mia, rifugio e speranza mia, ottenetemi Voi colla vostra
intercessione la costanza di domandare sempre a Dio la perseveranza finale. Ve
ne prego ad ottenermela per quanto amate Gesu-Cristo.
PUNTO III
Veniamo
al terzo nemico, ch'è il peggiore di tutti, cioè la carne; e vediamo come
abbiamo a difendercene. Per prima, coll'orazione; ma ciò l'abbiam già
considerato di sopra. Per secondo col fuggir l'occasione, e questo vogliamo ora
ben ponderare. Dice S. Bernardino da Siena che il più grande di tutti i
consigli, anzi quasi il fondamento della religione, è il consiglio di fuggir le
occasioni pericolose: «Inter consilia Christi
unum celeberrimum, et quasi religionis fundamentum est, fugere peccatorum
occasiones» (Tom. I. Serm. 21. a. 3. c. 3). Confessò una volta il demonio
costretto dagli esorcismi, che tra tutte le
prediche quella che più gli dispiace, è la predica della fuga dell'occasione; e
con ragione, perché il demonio si ride di tutti i propositi e promesse che fa
un peccator che si pente, se colui non lascia l'occasione. L'occasione
specialmente in materia di piaceri di senso è come una benda che si mette
avanti gli occhi, e non fa vedere più alla persona né propositi fatti, né lumi
ricevuti, né verità eterne, in somma la fa scordare di tutto e la rende come
cieca. Questa fu la causa della ruina de' nostri primi progenitori, il non
fuggir l'occasione. Dio avea proibito anche di toccare il frutto vietato:
«Praecepit nobis Deus (disse Eva al serpente) ne comederemus, et ne tangeremus
illud» (Gen. 3). Ma l'incauta «vidit, tulit,
comedit». Prima cominciò a mirare il pomo, dipoi lo prese in mano, e poi lo
mangiò. Chi volontariamente si mette nel pericolo, in quello resterà perduto.
«Qui amat periculum, in illo peribit» (Eccli. 3. 27). Dice S. Pietro che il demonio «circuit quaerens quem devoret»; onde
per rientrare in un'anima da cui è stato discacciato (dice S. Cipriano), che fa? va trovando l'occasione: «Explorat an sit
pars, cuius aditu penetretur». Se l'anima si lascia indurre a mettersi
nell'occasione, già di nuovo entrerà in lei il nemico e la divorerà. Dice in
oltre Guerrico Abbate che Lazzaro risorse
legato, «prodiit ligatus manibus, et pedibus»; e
risorgendo così, tornò a morire. Povero (vuol dire questo autore) chi risorge
dal peccato, ma risorge legato dall'occasione; questi ancorché risorgesse, pure
tornerà a morire. Chi dunque vuole salvarsi, bisogna che lasci non solo il
peccato, ma anche l'occasione di peccare, cioè quel compagno, quella casa,
quella corrispondenza.
Ma
dirai, ora ho mutata vita e non ci ho più mal fine con quella persona,
anzi
neppure tentazione. Rispondo: Nella Mauritania
narrasi esservi certe orse, che vanno a caccia delle scimie; le scimie,
vedendo
l'orsa, si salvano sugli alberi, e l'orsa si stende sotto l'albero e si
finge
morta; quando poi vede scese le scimie, s'alza, le afferra e le divora.
Così fa
il demonio; fa vedere morta la tentazione, ma quando la persona è scesa
poi a
mettersi nell'occasione, fa sorgere la tentazione che la divora. Oh
quante
misere anime che frequentavano l'orazione, la comunione, e che poteano
chiamarsi sante, col porsi poi all'occasione son rimaste preda
dell'inferno. Si riferisce nell'Istorie ecclesiastiche che una santa
matrona, la quale
facea l'officio pietoso di seppellire i martiri, una volta ne trovò uno,
il
quale non era ancora spirato, lo portò in sua casa, quegli guarì; che
avvenne?
coll'occasione vicina questi due santi (come poteano chiamarsi) prima
perderono
la grazia di Dio e poi anche la fede.
Ordinò
il Signore ad Isaia che predicasse che ogni uomo è fieno: «Clama, omnis caro
foenum» (Is. 40. 6). Qui riflette il
Grisostomo e dice: È possibile che 'l fieno
non arda, quando v'è posto il fuoco? «Lucernam in foenum pone, ac tum aude
negare, quod foenum exuratur». E così dice poi S. Cipriano, è impossibile star nelle fiamme e non bruciare:
«Impossibile est flammis circumdari, et non ardere» (De Sing. Cler.). La
fortezza nostra, ci avverte il profeta, è come la fortezza della stoppa posta
nella fiamma. «Et erit fortitudo vestra ut favilla stupae» (Is. 1. 32).
Parimenti dice Salomone, pazzo sarebbe chi pretendesse camminar sulle brace
senza bruciarsi: «Nunquid potest homo ambulare super prunas, ut non comburantur
plantae eius?» (Prov. 6. 17). E così ancora è
pazzo chi pretende di porsi all'occasione,
senza cadere. Bisogna dunque fuggire dal peccato come
dalla faccia del serpente: «Quasi a facie colubri fuge peccatum» (Eccli. 21.
1). Bisogna fuggire non solo il morso del serpe, dice Galfrido, non solo il
toccarlo, ma anche l'accostarsegli vicino: «Fuge etiam tactus, etiam accessum».
Ma quella casa, tu dici, quell'amicizia giova agl'interessi miei. Ma se vedi
già che quella casa è via dell'inferno per te «via inferi domus eius» (Prov. 7.
27), non ci è rimedio bisogna che la lasci, se vuoi salvarti. Ancorché fosse
l'occhio tuo destro, dice il Signore, se vedi che ti è causa di dannarti,
bisogna che lo svelli e lo gitti da te lontano. «Si oculus tuus dexter
scandalizat te, erue eum, et proiice abs te» (Matth. 5. 30). E si noti la
parola «abs te»; bisogna gittarlo non vicino, ma lontano: viene a dire che
bisogna togliere ogni occasione. Dicea S. Francesco d'Assisi che il demonio tenta d'altra maniera le persone
spirituali, che si son date a Dio, di quella che tenta i malviventi; al
principio non cerca di legarle con una fune, si contenta legarle con un
capello, poi le lega con un filo, poi con uno spago, indi con una fune, e così
finalmente le strascina al peccato. E perciò chi vuol esser libero da questo
pericolo, bisogna che spezzi a principio tutti i capelli, tutte le occasioni,
quei saluti, quei regali, quei biglietti, e simili. E parlando specialmente di
chi ha avuto l'abito nel vizio impuro, non gli
basterà il fuggire le occasioni prossime: s'egli non fuggirà anche le rimote,
pure tornerà a cadere.
È
necessario a chi vuole veramente salvarsi stabilire e rinnovare continuamente
la risoluzione di non volersi più separare da Dio, con andare spesso replicando
quel detto de' santi: «Si perda tutto, e non si perda Dio». Ma non basta il
solo risolvere di non volerlo più perdere, bisogna pigliare anche i mezzi per
non perderlo. E il primo mezzo è il fuggir le
occasioni, del che già si è parlato. Il 2. è frequentare i sacramenti della
confessione e comunione. In quella casa che spesso si scopa, non ci regnano
l'immondezze. Colla confessione si mantiene purgata l'anima, e con essa non
solamente s'ottiene la remissione delle colpe, ma ancora l'aiuto per resistere
alle tentazioni. La comunione poi si chiama pane celeste, perché siccome il
corpo non può vivere senza il cibo terreno, così l'anima non può vivere senza
questo cibo celeste. «Nisi manducaveritis carnem Filii hominis, et biberitis
eius sanguinem, non habebitis vitam in vobis» (Io. 6. 54). All'incontro a chi
spesso mangia questo pane, sta promesso che viverà in eterno:
«Si
quis manducaverit ex hoc pane, vivet in aeternum» (Io. 6. 52). Che perciò il
Concilio di Trento chiama la comunione
medicina che ci libera da' peccati veniali, e ci preserva da' mortali:
«Antidotum quo liberamur a culpis quotidianis,
et a peccatis mortalibus praeservamur» (Trid. Sess. 13. c. 2). Il 3. mezzo è la
meditazione, o sia l'orazione mentale. «Memorare novissima tua, et in aeternum
non peccabis» (Eccli. 7. 40). Chi tiene avanti gli occhi le verità eterne, la
morte, il giudizio, l'eternità, non caderà in peccato. Iddio nella meditazione
c'illumina: «Accedite ad eum, et illuminamini» (Ps. 33. 6). Ivi ci parla e ci
fa intendere quel che abbiamo da fuggire e quel che abbiamo da fare. «Ducam
eam in solitudinem, et loquar ad cor eius» (Osea 2. 14). La meditazione poi è quella beata fornace, dove si
accende il divino amore. «In meditatione mea exardescet ignis» (Ps. 38. 4). In
oltre, come già più volte si è considerato, per conservarsi in grazia di Dio è
assolutamente necessario il sempre pregare e chiedere le grazie che ci
abbisognano; chi non fa l'orazione mentale, difficilmente prega, e non pregando
certamente si perderà.
Bisogna
dunque pigliare i mezzi per salvarsi e fare una vita ordinata. Nella mattina al
levarsi fare gli atti cristiani di ringraziamento, amore, offerta e proposito,
colla preghiera a Gesù ed a Maria, che lo preservino in quel giorno da'
peccati. Dopo far la meditazione e sentir la Messa. Nel giorno poi la lezione
spirituale, la visita al SS. Sagramento ed alla divina Madre. Nella sera il
rosario, e l'esame di coscienza. La comunione più volte la settimana, secondo
il consiglio del direttore, che stabilmente dee tenersi. Sarebbe molto utile
ancor far gli esercizi spirituali in qualche casa religiosa. Bisogna onorare
ancora con qualche ossequio speciale Maria SS. per esempio col digiuno del
sabato. Ella si chiama Madre della perseveranza, e la promette a chi la serve:
«Qui operantur in me, non peccabunt» (Eccli. 24. 31).
Sopra tutto bisogna sempre domandare a Dio la santa perseveranza, e
specialmente in tempo di tentazioni, invocando allora più spesso i nomi SS. di
Gesù e di Maria, finché la tentazione persiste. Se farete così certamente vi
salverete: e se non lo farete, certamente vi dannerete.
Affetti e preghiere
Caro mio
Redentore vi ringrazio di questi lumi che mi date, e de' mezzi che mi fate
conoscere per salvarmi. Io vi prometto di volerli stabilmente eseguire. Datemi
Voi l'aiuto per esservi fedele. Vedo che Voi mi volete salvo, ed io voglio
salvarmi, principalmente per compiacere il vostro Cuore, che tanto desidera la
mia salute. Non voglio no, mio Dio, resistere più all'amore, che mi portate.
Quest'amore ha fatto che mi sopportaste con tanta pazienza, mentre io vi
offendeva. Voi mi chiamate al vostro amore, ed io altro non desidero che
amarvi. V'amo, bontà infinita, v'amo, bene infinito. Deh vi prego per li meriti
di Gesu-Cristo, non permettete ch'io vi sia più ingrato; o fatemi finire
d'esservi ingrato, o fatemi finire di vivere. Signore avete cominciata l'opera,
compitela ora: «Confirma hoc Deus quod operatus es in nobis». Datemi luce, datemi forza, datemi amore.
O
Maria, Voi che siete la tesoriera delle grazie, Voi soccorretemi. Dichiaratemi
per vostro servo qual io voglio essere; e pregate Gesù per me. Prima i meriti
di Gesu-Cristo, e poi le vostre preghiere mi hanno da salvare.
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