Thursday 18 June 2020

Thursday's Serial: "La Farinella, commedia in cinque atti" by Giulio Cesare Crocce (in Italian) - I



PERSONAGGI:
     Lelio amante d'Ardelia, detto la Farinella
                   Flavio amante di Silvia
                   Ardelia amata da Lelio
                   Silvia amata da Flavio
                   Messer Zenobio padre di Lelio
                   Messer Pancrazio padre d'Ardelia
                   Burasca servo di Messer Zenobio
                   Gianettina serva di Madonna Simplicia
                   Madonna Simplicia vedova
                   Chiappino ragazzo del Signor Flavio
                   Stramazzo facchino grosso del bergamasco



                  
PROLOGO - Varii e diversi sono gli accidenti e le stratagemme, nobilissimi spettatori, le quali succedono in amore, e di queste già ne sono piene tutte le carte; onde di qui nasce che nelle Comedie vengono concessi gl'innamoramenti, l'avarizia de' vecchi, i furtivi amori de' giovani, le frodi delle meretrici, gl'inganni de' servi, l'ingordigia de' parasiti, la fideltà de gl'amici, le bravure de capitani, e le falsità de ruffiani, e in somma tutto quello che si vede appresentare nelle scene; essendo la Comedia un abbracciamento della condizion privata e civile; sí come per lo contrario la Tragedia è un abbracciamento della condizion eroica in istato di disaventura, il cui soggetto e materia sono odii, ire, sdegni, occisioni, spargimento di sangue, veleni, incendi, sbranamenti di membra, pianti, lagrime, sospiri, singulti, tradimenti, sventure, armi, violenze, furore, rovine, desolazion di case e distruzzione di città, provincie e regni; e in somma tutte cose, le quali a presentarle vengono piú tosto a porgere mestizia e tristezza a chi le mira. Questa dunque che ora questi Spiriti sono in procinto per rappresentarvi, sarà una Comedia tutta burlevole e piena di piacevolezze, dove dopo molte stratagemme ridicole, al fine viene gabbato un vecchio innamorato dal proprio suo figliolo, con un piacevole inganno; dove si verrà a scorgere quanto sia disconvenevole a un vecchio rimbambito voler domesticarsi con amore, quando è tempo di pensare alla fossa. Ma parmi di sentire i recitanti che vengono fuori. Io mi voglio retirar dentro; in tanto voi fate grato silenzio, e state attenti, che oltre che 'l soggetto è molto esemplare, ne trarrete insieme grandissimo piacere. A Dio.


ATTO PRIMO
SCENA PRIMA: Flavio, Lelio e Burasca.
FLAVIO - Voi mi date una cattivissima nuova, Signor Lelio, a dirmi che vostro padre vuole che voi andiate a Padova allo Studio, perché mi farà aviso di restar senza vita restando senza di voi che sete mio tanto caro amico e compagno; e quando ha egli fatto questa risoluzione?
LELIO - Dui giorni sono; né perché io gl'abbia detto ch'io non sono dedito alli studi, e che ancora per qualche amico suo gli abbia fatto parlare per me e raccordargli che non avendo altri figliuoli che me, doveria tenermi appresso di sé per piú cause, nondimeno nissuno non ha potuto impetrare grazia ch'io non vada, e insomma la sua resoluzione è questa, né vuole udire piú parole da nissuno.
FLAVIO - Ohimè, che cosa è questa ch'io odo? Oh, quanto mi date dolore poi che, partendo voi, non avrò piú con chi io possa conferire i miei pensieri, e tanto piú sento affanno, quanto che, trovandovi voi innamorato della Signora Ardelia e io della Signora Silvia, ci andavamo consolando l'uno e l'altro insieme, participando ora dell'allegrezze, ora delle passioni, le quali si ci andavano appresentando d'ora in ora, né succedeva accidente alcuno che non ne fossimo consapevoli insieme come cari e fidati compagni; e parimente ell'erano confederate insieme, e gl'amori nostri erano reciprochi. Ma ora che voi vi partite, ogni cosa andarà in conquasso, tanto dal lato di esse quanto dal nostro.
LELIO - Quanto mi rincresca il dover lasciar voi, Signor Flavio, che mi sete amico tanto fidele, il Cielo lo dica per me, e potete pensarvi che lassando la mia cara, e da me tanto ardentemente amata Ardelia, ch'io lascio il cor' istesso, e s'io non muoio di dolore in questa mia partenza, non credo di morir mai piú. Ahi, dura sorte, come mi perseguiti tu? Come sarà possibile ch'io possa vivere lontano da colei, la quale con il suo vago e sopr'uman sembiante mi solea dar spirito e vita? Come farete, occhi miei lassi, quando sarete lontani dal vostro chiaro sole? Deh, foss'io piú tosto nato cieco, che mai avere mirato quell'angelica beltà, dalla quale ora allontanandomi posso dire ch'io m'allontano dalla mia vita istessa. Oh, Ardelia, dolcissimo mio bene, quanto ti vuoi tu affliggere, quando ti sarà noto la partita del tuo caro Lelio! Quanto resterai tu dolente e sconsolata, quante lagrime e sospiri getterai da gl'occhi per me, se pur è vero che tu m'ami, sí come sempre hai dimostrato d'amarmi. Deh Signor Flavio, se voi mi sete quel caro amico, il quale a piú d'un chiaro segno ho visto che voi sete, pregovi che qualche volta, mentre passate dalla casa della mia cara Donna, raccordargli il misero e sconsolato Lelio, e esortarla insieme a mantenermi la fede data, sí com'io ho fatto, e farò a lei sempre; che tantosto che saranno finiti questi tre anni di studio, i quali mi pareranno essere dieci milla, io ritornerò alla patria e farò quel tanto ch'io ho promesso di fare, e quello che comporta la mia pura e inviolabil fede; e di ciò ve ne prego caldissimamente, e con tutto il cuore.
FLAVIO - Voi m'avete tanto intenerito il cuore, Signor Lelio, con questo vostro ramarico, che m'avete fatto piú volte venire le lacrime a gl'occhi; ma ditemi, per vostra fè, non si potrebbe egli trovare qualche scusa, acciò che non andasti?
LELIO - Che scusa volete voi ch'io trovi, se mio padre è risoluto ch'io vada per ogni modo, né lo moverebbe di proposito quanta gente è al mondo?
FLAVIO - Dite che voi vi sentite male.
LELIO. - Non mi crederà.
FLAVIO - Perché non volete ch'ei vi creda?
LELIO - Perché sa ch'io amo costei, e crederà ch'io finga cosí, perché esso non mi mandi via; e io so che esso non fa questo se non per levarmi da questa impresa, e non perché io vada a studiare.
FLAVIO - O vecchio del diavolo, possa egli essere scorticato.
LELIO - Orsú, Signor Flavio, io mi vi raccomando, fate quello per me che vorresti ch'io facessi per voi, cioè, tenermi in grazia della mia cara Ardelia, e consolatela al piú che si può, e che non si dubiti che se bene io sarò lontano con la presenza, ch'io gli sarò sempre vicino con il cuore, anzi pur ch'io lo lascio nel suo petto, e me ne vado senza.
FLAVIO - Io non mancherò di fare quel tanto che comporta l'amicizia nostra, ma pur vorrei che noi trovassimo qualche modo e strada da dare ad intendere al vecchio che voi fusti andato via, e che restasti qua.
LELIO - Io non saprei imaginarmi mai che strada io potessi trovare da finger questo, perché mio padre è troppo astuto e il servitore, il quale ha da venir con me, gli scoprirebbe il tutto.
FLAVIO - Io vi terrò nascosto in casa mia che nissuno non lo saprà.
LELIO - Io non voglio in modo alcuno contradire al commandamento di mio padre. Vada come si voglia.
FLAVIO - Io lodo ogni cosa e so che voi fate bene, ma so ancora che voi non potrete studiare, perché sempre avrete il cervello e la fantasia vostra volta in Ardelia. Fate, fate a modo mio, che farete meglio: lasciate andare i studi a spasso e attendete all'amore.
BURASCA - O bel consiglio che voi gli date, Signor Flavio; a fè che voi sete un galante gentil'uomo! Io son stato un pezzetto qui di dietro ad ascoltarvi, e in iscambio d'esortarlo andare allo Studio, voi l'esortate a star qua a far l'amore e stare su le baie tutto il giorno. Oh bella profession di cavalliero! Vi si doveria dar bere in una ciavatta.
FLAVIO - Se non fosse ch'io porto rispetto qui al Signor Lelio tuo padrone, io t'insegnarei di procedere in altra maniera, insolente furfante. Aver ardimento di strappazzare un gentil'uomo par mio con tanta arroganza!
LELIO - Abbiatelo per scuso, Signor Flavio, perché costui delle tre le quattro è alterato dal vino, e adesso apunto ei deve essere imbriaco; vedete che occhi son quelli?
BURASCA - Sí sí, io son ben imbriaco. Eh, Signor Lelio, voi non la pigliate dal buon capo; voi ben sapete che vostro padre vi ama e desidera che vi fate un valent'uomo, anzi, se fosse possibile, che voi fosti il primo uomo del mondo.
LELIO - Perché dici tu questo? Non voglio io forsi andare dov'egli mi manda, sciagurato?
BURASCA - Ho bene udito ogni cosa sí, ch'io non son mica sordo.
FLAVIO - O tu fai il diligente servitore, può far il Cielo! Ma s'io fossi tuo padrone, io ti darei ogni giorno cinquanta bastonate di tua provisione.
BURASCA - Da una volta in su voi non mi ci coglieresti piú, e forsi che quella volta ancora vi sarebbe da fare per l'asino, e per chi lo menasse.
LELIO - Orsú taci, bestia, e non volere essere tanto importuno.
BURASCA - Io voglio parlare quanto mi pare e piace, ch'io son stato alla guerra e son soldato e uomo da bene, e non voglio essere strappazzato da nessuno; e se bene costui ha la spada al fianco, e ch'esso facci il pennachino e il bizzarro, io gli caverò i grilli del capo, s'io mi ci metto.
FLAVIO - Orsú, io me la voglio pigliare da burla, perché non ci sarebbe l'onor mio a mettermi teco.
BURASCA - E io burlo cosí con voi, il mio signore; non sapete voi ch'io vi son servitore e ho fatto cosí a posta per veder quello che voi volevate dire?
FLAVIO - A fè da gentil'uomo, che tu m'hai quasi messo in obligo di darti quattro piattonate, e, un poco piú che tu m'attizzavi, io te ne davo una mostra.
BURASCA - Piano con quelle stoccate, il mio signore. Orsú, Signor Lelio, andiamo a casa, che già le bagaglie sono all'ordine e i cavalli hanno già mangiata la biada. Su venite via.
LELIO - Va' là ch'io ti seguito. Orsù, Signor Flavio, a Dio; raccordatevi di me.
FLAVIO - Io non mancherò di fare quanto sono obligato per l'amico. Andate allegramente e non vi dubitate ch'io terrò la vostra protezzione e la diffenderò fin con la vita istessa.
LELIO - Cosí tengo per fermo e mi vi raccomando. A Dio.
FLAVIO - Andate in pace. Oh, povero giovane! Adesso ch'esso incominciava avere un poco buon tempo, il padre lo vuole mandare allo Studio; ma non credo ch'esso glielo mandi tanto per desiderio ch'egli abbia ch'esso impari lettere, quanto per levarlo da quest'impresa, cioè dell'amare Ardelia, ch'il vecchio cerca dargli una moglie, la quale abbia maggior dote. Ma se 'l giovane sta in cervello, come credo che starà, il vecchio l'averà in barba; ma io voglio andare a dargli un altro assalto innanzi ch'ei si parta, e voglio fare ogni sforzo, perché egli resta. Andarò fuor della porta ad aspettarlo; qualche cosa sarà.


SCENA SECONDA - Messer Zenobio, padre di Lelio. Messer Pancrazio, padre d'Ardelia.
ZENOBIO - Orsú, Messer Pancrazio, voi non vi dorrete più meco per conto di Lelio mio figliuolo, che venghi la notte a far delle serenate sotto i vostri balconi, perché io l'ho mandato in parte ov'egli starà tre o quattr'anni al  meno a tornare alla patria, sí che voi potrete dormire ora i vostri sonni, ch'esso non v'intronerà piú il capo.
PANCRAZIO - Io non mi son mai lamentato di lui, ch'io mi riccorda, né voi potete dire d'avermi udito dire simil cosa, perché non so ch'esso mai abbi usato alcuna insolenza alla casa mia, ma sempre gli ha portato onore e rispetto, e sempre ha trattato con ogni sorte di creanza e di modestia, come giovane da bene e costumato; e se bene, come so che voi dovete sapere, esso voleva bene ad Ardelia mia figliuola, non di meno sempre è andato con quei debiti termini che devono andare tutti i giovani onesti e ben creati, avendo fermo pensiero di volerla per moglie, come piú volte m'ha fatto parlare; e già esso l'avrebbe presa, s'io, che non voglio fare nulla senza il vostro consenso, glie l'avesse voluta concedere.
ZENOBIO - Glie l'avete voi forsi promessa?
PANCRAZIO - Messer, no.
ZENOBIO - Avete fatto molto saviamente.
PANCRAZIO - Perché, Messer Zenobio, non è ella forsi meritevole di Lelio vostro figliuolo? Se ben ella non ha tanta dote quanto voi desiderate, per questo ella è nata di buon sangue, ed è virtuosa e costumata.
ZENOBIO - Ci vogliono altro che virtú al tempo d'adesso; vi vuol della robba, il mio Messer Pancrazio.
PANCRAZIO - Voi dite bene il vero; pur la virtú è la vera dote dell'uomo, perché i beni della fortuna vanno e vengono, ma le doti dell'animo sempre sono ferme e stabili.
ZENOBIO - Orsú dunque, spendete di quelle.
PANCRAZIO - Ancora di quelle io spenderò all'occasione.
ZENOBIO - Con me non già, che a chi vorrà mio figliuolo, vorrò altro che queste cerimonie.
PANCRAZIO - Io so benissimo che un vecchio avaro e ingordo, come sete voi, non fa cura di virtú, né manco di gentilezza, perché voi avete, come disse quel nobil poeta, posto nel fango ogni vostra cura, e sete come il rospo, il quale non mangia della terra per la gran paura ch'egli ha ch'ella non gli manchi; ma morirete nella vostra miseria, privo di parenti e d'amici, e quando sarete morto, vi sarà posto indosso la piú trista camicia che voi abbiate in casa, né vi sarà pur un cane che si ricordi di voi.
ZENOBIO - No no, queste son tutte parole, Messer Pancrazio; voi non v'avete a pigliare fastidio di questo. Maritate pur vostra figliuola ad altri, perché, come si suol dire, la mia tavola è corta per lei.
PANCRAZIO - Io faró quel tanto che m'ispirerà il Cielo, per questo io non la voglio mica gettare via. Attendete pur voi alla vostra avidità, e lassiate a me la cura della casa mia, che, se ben mia figliuola non verrà in casa vostra, io non me ne curo. In ogni modo voi la faresti morir di fame.
ZENOBIO - Orsú, voi m'avete inteso, mi raccomando. A Dio, Messer Pancrazio.
PANCRAZIO - Andate pur alla buon'ora. In vero ben dice il proverbio, che non è virtú, che povertà non guasti, per il mondo crudele, il quale in questi tempi ammira piú all'oro e all'argento, che ad altro, né prezza costumi, né bontà. Orsú pur, pazienza; per me non è oscurato il sole ancora, e se bene io son povero cittadino, per questo io non debbo gettare via il mio sangue, né movermi a fare cosa indegna del grado mio; ma sopportare constantemente i colpi di fortuna. E se il Signor Lelio sarà quel vero gentil'uomo ch'egli è, e ch'egli stia in cervello, come tengo per fermo, ch'egli starà, so ch'alla sua tornata non mancherà di fare quel tanto ch'egli ha promesso di fare.
                                In ogni modo ogn'uno di loro è giovinetto; e dui o tre anni di piú ch'egli stia a tornare, non passerà il termine, e forsi ch' 'l vecchio avaro potria creppare in questo tempo, né vi sarà poi intermedio alcuno; e se 'l Cielo vorrà che Ardelia sia di Lelio, sarà forza ch'ella sia, se vi si opponessero quanti Zenobi si trovano al mondo. E però io lascierò operare a quei di sopra in questo caso. Oh, avarizia crudele!

SCENA TERZA - Messer Zenobio e Stramazzo fachino.
ZENOBIO - Io son uscito fuor di casa novamente, perché io non mi fido che Lelio sia andato via, e voglio andarrnene a chiarire alla posta, perché questi giovani quando sono innamorati difficilmente si possono levare da simil prattica. Ma io veggo venire in qua uno, che all'abito mi pare un fachino di quelli della doana, e pare ch'egli abbia una lettera in mano. Io voglio stare a vedere un poco dov'egli va.
STRAMAZZO - O cancher, a sú intrigat con sta lèttira, a no sò mo chi m' savrà dà indirizz' della chà dof stà sta Segnura Rodela, o Bardela, a no sò com' diavol la s'abbia nom' mi. Un zuvenot, che 'l dis che 'l va a studià a Padova, m'ha vedut ch'a ira andat fò della porta a portà una valis a un zentil'om'; m'ha dat stà polizza, ch'a la porta a la ditta Segnura, che 'l dis che l'è fiula d'un zentil'om chiamat Messir, al so nom comenza in Pan, Messir Pancrazii, ch'ades mo a me sú arecordat al so nom, e ch'a ghe la daga in mà a lé propia, mo a no sò mo dof la se staga. Quest'è mo el chias.
ZENOBIO - Costui nomina Ardelia figliuola di Messer Pancrazio; io voglio un poco avicinarmi a lui e intendere che cosa è questa. A Dio, galant'uomo.
STRAMAZZO - A Dé a Dé, Messer Marforio.
ZENOBIO - O tu sei treppeggiotto, or dimmi, che cosa vai tu cercando?
STRAMAZZO - Perqué, che vulíf sauí vu i fat me?
ZENOBIO - Per bene te l'adimando.
STRAMAZZO.     S'a mel domandé per bé, e vel dirò: a vag cercand la casa d'un Messir Pancrazi e d'una so fiula, che 's chiama la Signura Rodella, o Bardella, ch' a no me recordi ol so nom.
ZENOBIO - Chi è questa Signora Rotella, o Brochiero, che tu dici?
STRAMAZZO - No me sté a burlà, o Misser Bernardú, perqué questa è una pitella d'hunur, es è fiula de so pader; però s'a me saví insegnà la casa, insegnemela, e no me  ste piú a trattegní chilò.
ZENOBIO - Orsú, io t'intendo benissimo, fratello: tu vuoi dire la casa della Signora Ardelia, figliuola di Messer Pancrazio, non è vero?
STRAMAZZO - Segnur Messir sí, a dig bé quella, me la savif insegnà?
ZENOBIO - Fratello, non cercar altro, perché tu sei caduto in piedi, come un gatto: io sono il padre di quella gentildonna che tu vai cercando. Io voglio un poco vedere che lettera è questa.
STRAMAZZO - A si vu so pader?
ZENOBIO - Sí, sono.
STRAMAZZO - E a me dé la burla.
ZENOBIO - Io ti dico ch'io sono, in tua buon'ora, e io mi chiamo Pancrazio e essa Ardelia; non vuoi tu dir cosí?
STRAMAZZO - Messer sí, a voi bé dí exí. Mo zà ch'a si vu so pader, insegnem l'us dof a sté, che a ghe voi dà sta carta a lé, che m'ha dat un zentil'om, ch'a ghe la porta.
ZENOBIO - E che gentil'uomo è questo?
STRAMAZZO.     Un zuvenot de prima pelasú, che non ha ancura un pel de barba al mostaz, biond, exí de bona statura, gne alt, gne bas; un bel fiul in somma.
ZENOBIO - Orsú, questa è la lettera che noi aspettavamo. Dàlla pur qua a me, ch'ella si contenta, anzi io venivo a posta ad incontrarti, mi parea che la stesse molto tardi ad arrivare.
STRAMAZZO - Mo zá que a desí cha si vu so pader, e ve la darò mi, mo a ve voi bé pregà a fà che la ghe càpite in le mà quanto prima, perqué a cred, che 'l sia un so moros che ghe la manda.
ZENOBIO - Che dici tu che gliela manda?
STRAMAZZO - Un so cusí. O cancher, havivi falat.
ZENOBIO - Un suo cugino, sí, orsú, sia come si voglia, la lettera avrà buon recapito. Vuoi tu altro da me?
STRAMAZZO - Paghem ol port de la lèttira, ch'a no voi pò oter mi.
ZENOBIO - Tu hai molto ben ragione, ma ora non mi trovo moneta adosso; torna da me un'altra fiata, ch'io ti rimunerarò.
STRAMAZZO - Menem almanch a bif una botta, cha i ho una set cha no pos a pena parlà.
ZENOBIO - Il canevaio non è in casa, ch'egli è ito alla piazza a comprare dell'insalata, e non verrà fin'a sera e ha con esso lui le chiavi di cantina.
STRAMAZZO - Bona not; a la fè a si della compagnia della lesina, Messir. Osú a m'arecomand, cancher, se quel zoven no me dava sto carlí, ol pover Stramaz s'era stramazat per negot. O vecch maladet, possi tu esser messo in berlina!
ZENOBIO - Orsú, da poi che costui è partito, io voglio andare a casa, e vedere che cosa si rinchiude in questa carta, perché certo questa è lettera di Lelio, il quale in questa sua partita la mandava ad Ardelia. Ah Lelio, Lelio, io troncarò ben io questi vostri amori, lassa pur fare a me. Non m'è mai aviso d'intendere quello ch'ella dice, io voglio andare a leggerla adesso, adesso; o che buona fortuna è stata la mia, ch'ella mi sia capitata nelle mani!

SCENA QUARTA - Silvia e Ardelia.
SILVIA - Ho inteso con mio grandissimo dispiacere, Signora Ardelia mia, che 'l Signor Lelio è gito allo Studio di Padova, e che esso starà fin a tre anni almeno a tornare a casa, e dubito che 'l Signor Flavio ancora per sua compagnia non facci il simile, perché s'amano troppo cordialmente insieme.
ARDELIA - Hollo inteso ancor io da mio padre, e ne son restata adolorata tanto, che non v'è lingua umana che potesse narrarlo. Ma quello che piú m'afflige è che 'l padre di lui ha detto non volere mai a tutta sua possanza ch'esso mi prenda per moglie, ancora ch'egli tornasse a casa di qui a cent'anni, e questo piú mi dà tormento ch'ogn'altra cosa. Ben so che 'l Signor Lelio è stato a me sempre fidelissimo e che non mancherà d'amarmi; ma questo non mi basta, anzi mi dà piú danno che utile perché, essendo io povera, mi si sono appresentati assai partiti per maritarmi, i quali tutti sono buoni; ma perché sanno che 'l Signor Lelio m'ama, tutti voltan piede in altra parte, perché molti n'ha minacciati e molti altri ancora percossi, di modo tale ch'io mi trovo nel piú misero stato che possa essere una infelice giovane come son io; e se non fosse che la speranza mi va portando innanzi, io credo certamente che già mi sarei data la morte, poi che io conosco ch'al mondo non è la piú sfortunata giovane di me.
SILVIA - Non dite cosí, Signora Ardelia, né vi disperate ch'io tengo tanta fede nel Signor Lelio, che, se bene il padre suo fa questa repulsa, non però esso mancherà della promessa fede, e forsi piú presto che voi non pensate lo vedrete qui, né posso credere ch'egli gionga fin là, ma che esso torni adietro perché il Signor Flavio m'ha accennato che a tutto suo potere non vuole ch'ei vada innanzi, ma che torni adietro per ogni modo.
ARDELIA - Oh, se ciò fusse vero, quanto mi troverei contenta! Ma esso non vorrà tornare, perché egli è troppo ubbidiente al padre.
SILVIA - Tornerà certo, state di buona voglia, perché io ho pregato il Signor Flavio, che per quanto amor egli mi porta, facci sí ch'ei non vada innanzi, e esso m'ha promesso che se dovesse spendere la robba e la vita, che vuol far di modo che tutto il suo studio sarà in questa cittá.
ARDELIA - Non posso credere ch'esso facci questo, perché il padre lo tien troppo al segno, e se sapesse simil fatto lo privarebbe dell'eredità paterna e della sua grazia insieme.
SILVIA - A ogni cosa si trova rimedio eccetto alla morte; lasciate pur far al Signor Flavio.
ARDELIA - So che 'l Signor Flavio mi vuol bene e che farà tutto quello ch'esso potrà per non lo lasciare allontanar da me, ma non mi si può partire questo dolor dal core.
SILVIA - Io ve lo credo, perché so e provo le pene d'amore ancor io e so quanta forza hanno li suoi strali.
ARDELIA - Se lo sapete donque, abbiatemi compassione.
SILVIA - Io vi ho piú che compassione e vi prometto di fare tutto quello che far si può, acciò che voi abbiate il vostro desiderio. Entratevene in casa, ch'io farò il simile, e lasciate fare a chi vi vuol bene.
ARDELIA - Orsú, io entro, e mi vi raccomando.
SILVIA - Andate in pace e state allegramente. Questa povera giovane veramente ha ragione di lamentarsi, poi che, essendo amata da un giovanetto cosí vago e grazioso e ricco di beni di fortuna, si vede attraversare tanti intrichi alle sue felicità; ma non posso credere che 'l Signor Lelio vadi allo Studio, e che la lassi, essendone cosí ardentemente acceso. Ma ecco il Signor Flavio che viene in qua tutto allegro: deve portar buone nove certo per conto del negozio. Oh, il Ciel volesse ch'egli avesse rimosso il Signor Lelio dal suo viaggio; ma io mi voglio retirare in casa perché se esso mi vedesse qui fuori, mi riprenderebbe forte e avrebbe ragione: ché non si conviene che le figlie da bene stiano per la strada; piú adagio poi saprò ogni cosa.

SCENA QUINTA - Flavio solo.
FLAVIO - Io ho pur tanto martellato nel capo al Signor Lelio, ch'io l'ho fatto tornare indietro e l'ho occultato in casa d'un mio amico, fin tanto ch'io abbia trovato un vestimento da donna, perché io voglio farlo vestire in abito da fantesca, e porlo a stare in casa di Messer Pancrazio, perché l'altro giorno mi disse ch'egli aveva bisogno d'una serva, non tanto per servizio di casa, quanto per compagnia della Signora Ardelia sua figliola, la quale è sola in casa; e se questa non sarà buona compagnia, suo danno. Io poi, per poter condurlo dentro, ho fatto imbriacare il suo servitore, il quale forsi deve ancora dormire, perché ronfeggiava come un porco, e ho lasciato ordine all'oste che, come sarà svegliato, gli dica che 'l suo padrone è cavalcato innanzi, acciò che seguendolo non torni cosí presto indietro a disturbare i nostri negozi. Oh, che bella invenzione sarà questa, che, se bene il vecchio l'incontrerà, non lo conoscerà. Essendo in abito femminile e sbarbato com'egli è, non si penseria mai ch'esso avesse trovato tale astuzia. Orsú, io voglio andare da Madonna Simplicia mia vicina che mi presti uno dei suoi vestimenti, e quanto prima andar a far quel tanto che s'ha da fare. Oh, cosí si servono gli amici!

SCENA SESTA - Stramazzo e Burasca.
STRAMAZZO - O a sú l'intrigat bamboz, pittana dol Ciel: a i ho credut de dà quella lèttira a un, e sí a l'ho data a un oter. O vet, i averò servit quel zentil'om in dol gombet. Oh, che vecch maledet è stat quel, me l'hal mo bé cargada! Vat mo fidati de negú a stu mond. Mo ol me par de vedí vegní chilò ol servidur de quel che m'ha dat la lèttira; ol di vegní a vedí quel ch'a i ho fat. Mo a me voi tó dessot, perqué a no sò quel ch'a m'abbia da responder.
BURASCA - Oh fachino, oh fachino, fermati, fermati.
STRAMAZZO - O cancher, ol m'ha vedut, hosú pur a sú in le péttoli. Mo a me sú aradegat, fardel, ch'a i ho pensat de darla a un, e sí l'ho data a un oter.
BURASCA - Che cosa?
STRAMAZZO - La lèttira che m'aviva dat quel zentil'om.
BURASCA - Che lettera vai tu letterando? Io bramo di sapere di che loco tu sei.
STRAMAZZO - A sú da Voltolina, mo a servi ilò a la gabella per om de portada, perqué semper a porti de i carghi in spalla; mo di' ol vira: ti no cerchi se saví vergot per cont de lèttira neguna?
BURASCA - Non te l'ho io ditto? Io bramo sol sapere da che banda tu vieni.
STRAMAZZO - A sú vegnut per sta strada; perqué?
BURASCA - Hai tu incontrato un gentil'uomo giovane sbarbato, sopra un caval rosso?
STRAMAZZO.     A n'ho vedut nigú, e se bé a l'ho vedut a no ghel voi dí, perqué ol m' l'ha comes quel zentil'om.
BURASCA - Tu non m'el vuoi dire an, bastaso  poltrone?
STRAMAZZO - Guarda com' che te parli, ch'a sú om da bé.
BURASCA - E io so che tu vieni per di qua, ch'io t'ho veduto fuor della porta, e è forza che tu l'abbi incontrato e visto.
STRAMAZZO - E mi te dig ch'a no' l'ho vedut. O quest' sera ol bordel, con costú! Te dí esser imbriag, nevira?
BURASCA - Do, fachin poltron, guarda pur, ch'io non ti rompa un occhio.
STRAMAZZO - Ve pur via, fradel.
BURASCA - Aspettami.
STRAMAZZO - E bé, che't penset de fà?
BURASCA - Tu le vedrai.
STRAMAZZO - Mo ti el vedrà an ti.
BURASCA - Pigliati questa.
STRAMAZZO - Pia an ti questa, e questa, e po an quest'otra.
BURASCA - Oh fachin becco, tu m'hai rotto il naso.
STRAMAZZO - A te romperò ben an ol cò; no se finis sta baiada.
BURASCA - Metti giú quel bastone, poi combattiamo del pari.
STRAMAZZO - Vet chilò ch'a l'ho buttat via. Ah, traditur, assassí, ti m'ha dat questa ch'a no me ne sú accort; mo aspetta pur ch'a te la voi render.
BURASCA - Non mi stracciare il collare.
STRAMAZZO - E ti no me tirà per i bragú.
BURASCA - Non mi mordere, cagnaccio.
STRAMAZZO - E ti no me dà de quei spontú in ti costi.
BURASCA - Ohimè la mia mano!
STRAMAZZO - Ohimè ol me occh'! Al sangu del diavol, a te voi strangolà.
BURASCA - Fermati, fermati, fachino poltrone, se non ch'io ti scannarò con sto coltello.
STRAMAZZO - Ti me vol dà co' un cortel? Mo aspetta pur ch'a te voi andà a fà una squaquarella; ah mariul, alla giustizia, alla giustizia!
BURASCA - Orsú, vien qui, ch io burlo cosí teco; andiamo a bere.
STRAMAZZO - No, no, alla giustizia pur; con diavol volim dà con un cortel alla volta della trippa.
BURASCA - Ah spionaccio, tu mi vai a far la querella, eh? Ma s'io ti posso trovare un'altra volta, io voglio che tu me la facci per qualche cosa; ma io voglio andare a provedere a i fatti miei, perché costui del certo mi va a querellare. Oh, povero Burasca, veramente oggi corre un gran burasca per te!

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