Thursday, 15 June 2017

"Apparecchio alla Morte" by St Alfonso Maria de Liguori (in Italian) – XVIII



CONSIDERAZIONE XVII - ABUSO DELLA DIVINA MISERICORDIA
«Ignoras, quoniam benignitas Dei ad poenitentiam te adducit?» (Rom. 2. 4).


PUNTO I
                         Si ha nella parabola della zizania in S. Matteo (cap. 13) che essendo cresciuta in un campo la zizania insieme col grano, volevano i servi andare ad estirparla: «Vis, imus, et colligimus ea?» Ma il padrone rispose: No, lasciatela crescere, e poi si raccoglierà e si manderà al fuoco: «In tempore messis dicam messoribus, colligite primum zizania, et alligate ea in fasciculos ad comburendum». Da questa parabola si ricava per una parte la pazienza che il Signore usa co' peccatori; e per l'altra il rigore che usa cogli ostinati. Dice S. Agostino che in due modi il demonio inganna gli uomini: «Desperando, et sperando». Dopo che il peccatore ha peccato, lo tenta a disperarsi col terrore della divina giustizia; ma prima di peccare, l'anima al peccato colla speranza della divina misericordia. Perciò il santo avverte ad ognuno: «Post peccatum spera misericordiam; ante peccatum pertimesce iustitiam». Sì, perché non merita misericordia chi si serve della misericordia di Dio per offenderlo. La misericordia si usa con chi teme Dio, non con chi si avvale di quella per non temerlo. Chi offende la giustizia, dice l'Abulense, può ricorrere alla misericordia, ma chi offende la stessa misericordia, a chi ricorrerà?
                         Difficilmente si trova peccatore sì disperato, che voglia proprio dannarsi. I peccatori voglion peccare, senza perdere la speranza di salvarsi. Peccano e dicono: Dio è di misericordia; farò questo peccato, e poi me lo confesserò. «Bonus est Deus, faciam quod mihi placet», ecco come parlano i peccatori, scrive S. Agostino (Tract. 33. in Io.). Ma oh Dio così ancora dicevano tanti, che ora sono già dannati.
                         Non dire, dice il Signore: Son grandi le misericordie che usa Dio; per quanti peccati farò, con un atto di dolore sarò perdonato. «Et ne dicas: miseratio Domini magna est, multitudinis peccatorum meorum miserebitur» (Eccli. 5. 6). Nol dire, dice Dio; e perché? «Misericordia enim, et ira ab illo cito proximant, et in peccatores respicit ira illius» (Ibid.). La misericordia di Dio è infinita, ma gli atti di questa misericordia (che son le miserazioni) son finiti. Dio è misericordioso ma è ancora giusto. «Ego sum iustus, et misericors», disse il Signore un giorno a S. Brigida; «peccatores tantum misericordem me existimant». I peccatori, scrive S. Basilio, voglion considerare Dio solo per metà: «Bonus est Dominus, sed etiam iustus; nolite Deum ex dimidia parte cogitare». Il sopportare chi si serve della misericordia di Dio per più offenderlo, diceva il P.M. Avila che non sarebbe misericordia, ma mancamento di giustizia. La misericordia sta promessa a chi teme Dio, non già a chi se ne abusa. «Et misericordia eius timentibus eum», come cantò la divina Madre. Agli ostinati sta minacciata la giustizia; e siccome (dice S. Agostino) Dio non mentisce nelle promesse; così non mentisce ancora nelle minacce: «Qui verus est in promittendo, verus est in minando».
                         Guardati, dice S. Gio. Grisostomo, quando il demonio (ma non Dio) ti promette la divina misericordia, affinché pecchi; «Cave ne unquam canem illum suscipias, qui misericordiam Dei pollicetur» (Hom. 50. ad Pop. Antioch.). Guai, soggiunge S. Agostino, a chi spera per peccare: «Sperat, ut peccet; vae a perversa spe» (In Ps. 144). Oh quanti ne ha ingannati e fatti perdere, dice il santo, questa vana speranza. «Dinumerari non possunt, quantos haec inanis spei umbra deceperit». Povero chi s'abusa della pietà di Dio, per più oltraggiarlo!
                         Dice S. Bernardo che Lucifero perciò fu così presto castigato da Dio, perché si ribellò sperando di non riceverne castigo. Il re Manasse fu peccatore, poi si convertì, e Dio lo perdonò; Ammone suo figlio, vedendo il padre così facilmente perdonato, si diede alla mala vita colla speranza del perdono; ma per Ammone non vi fu misericordia. Perciò ancora dice S. Gio. Grisostomo che Giuda si perdé, perché peccò fidato alla benignità di Gesu-Cristo: «Fidit in lenitate magistri». In somma Dio, se sopporta, non sopporta sempre. Se fosse che Dio sempre sopportasse, niuno si dannerebbe; ma la sentenza più comune è che la maggior parte anche de' cristiani (parlando degli adulti) si danna: «Lata porta et spatiosa via est, quae ducit ad perditionem, et multi intrant per eam» (Matth. 7. 13).
                         Chi offende Dio colla speranza del perdono, «irrisor est non poenitens», dice S. Agostino. Ma all'incontro dice S. Paolo che Dio non si fa burlare: «Deus non irridetur» (Galat. 6. 7). Sarebbe un burlare Dio seguire ad offenderlo, sempre che si vuole, e poi andare al paradiso. «Quae enim seminaverit homo, haec et metet» (Ibid. 8). Chi semina peccati, non ha ragione di sperare altro che castigo ed inferno. La rete con cui il demonio strascina all'inferno quasi tutti quei cristiani che si dannano, è quest'inganno, col quale loro dice: Peccate liberamente, perché con tutt'i peccati vi salverete. Ma Dio maledice chi pecca colla speranza del perdono. «Maledictus homo qui peccat in spe». La speranza del peccatore dopo il peccato, quando vi è pentimento, è cara a Dio, ma la speranza degli ostinati è l'abbominio di Dio: «Et spes illorum abominatio» (Iob. 11. 20). Una tale speranza irrita Dio a castigare, siccome irriterebbe il padrone quel servo che l'offendesse, perché il padrone è buono.

Affetti e preghiere
                         Ah mio Dio, eccomi io sono stato uno di costoro, che v'ho offeso, perché Voi eravate buono con me. Ah Signore, aspettatemi, non m'abbandonate ancora, ch'io spero colla vostra grazia non irritarvi più ad abbandonarmi. Mi pento, o bontà infinita, di avervi offeso e di aver così maltrattata la vostra pazienza. Vi ringrazio che mi avete aspettato sinora. Da ogg'innanzi non voglio tradirvi più, come ho fatto per lo passato. Voi mi avete tanto sopportato, acciocché mi vedeste un giorno fatto amante della vostra bontà. Ecco che questo giorno è già arrivato, come spero. Io v'amo sopra ogni cosa e stimo più la vostra grazia che tutti i regni del mondo: prima che perderla, son pronto a perdere mille volte la vita. Dio mio, per amore di Gesu-Cristo datemi Voi la santa perseveranza sino alla morte, col vostro santo amore. Non permettete ch'io vi torni a tradire e lasci d'amarvi.
                         Maria, Voi siete la speranza mia; ottenetemi questa perseveranza; e niente più vi dimando.



PUNTO II
                         Dirà taluno, Dio m'ha usate tante misericordie per lo passato, così spero che me l'userà per l'avvenire. Ma io rispondo: E perché t'ha usate tante misericordie, per questo lo vuoi tornare ad offendere? Dunque (ti dice S. Paolo) così tu disprezzi la bontà e la pazienza di Dio? Nol sai che 'l Signore ti ha sopportato sinora; non già a fine che tu lo segui ad offendere, ma acciocché piangi il mal fatto? «An divitias bonitatis eius, et patientiae contemnis? Ignoras, quoniam benignitas Dei ad poenitentiam te adducit?» (Rom. 2. 4). Quando tu fidato alla divina misericordia non vuoi finirla, la finirà il Signore. «Nisi conversi fueritis, arcum suum vibrabit» (Ps. 7). «Mea est ultio et ego retribuam in tempore» (Deut. 32. 35). Dio aspetta ma quando giunge il tempo della vendetta, non aspetta più e castiga.
                         «Propterea exspectat Dominus, ut misereatur vestri» (Is. 30. 18). Dio aspetta il peccatore, acciocché si emendi: ma quando vede che quegli del tempo, che gli è dato per piangere i peccati, se ne serve per accrescerli, allora chiama lo stesso tempo a giudicarlo. «Vocavit adversum me tempus» (Thren. 1. 15). S. Gregorio: «Ipsum tempus ad iudicandum vertit». Sicché lo stesso tempo dato, le stesse misericordie usate serviranno per farlo castigare con più rigore e più presto abbandonare. «Curavimus Babylonem, et non est sanata, derelinquamus eam» (Ier. 51. 9). E come Dio l'abbandona? O gli manda la morte, e lo fa morire in peccato; o pure lo priva delle grazie abbondanti, e lo lascia colla sola grazia sufficiente, colla quale il peccatore potrebbe sì bene salvarsi ma non si salverà. La mente accecata, il cuore indurito, il mal abito fatto renderanno la sua salvazione moralmente impossibile; e così resterà, se non assolutamente, almeno moralmente abbandonato. «Auferam sepem eius, et erit in direptionem» (Is. 5. 5). Oh che castigo! Che segno è, quando il padrone scassa la siepe, e permette che nella vigna v'entri chi vuole, uomini e bestie? è segno che l'abbandona. Così fa Dio, quando abbandona un'anima, le toglie la siepe del timore, del rimorso di coscienza, e la lascia nelle tenebre; ed allora entreranno in quell'anima tutti i mostri de' vizi. «Posuisti tenebras, et facta est nox, in ipsa pertransibunt omnes bestiae silvae» (Ps. 103. 20). E 'l peccatore abbandonato che sarà in quell'oscurità, disprezzerà tutto, grazia di Dio, paradiso, ammonizioni, scomuniche; si burlerà della stessa sua dannazione. «Impius, cum in profundum peccatorum venerit, contemnit» (Prov. 18. 3).
                         Dio lo lascerà in questa vita senza castigarlo, ma il non castigarlo sarà il suo maggior castigo. «Misereamur impio, et non discet iustitiam» (Is. 26. 10). Dice S. Bernardo su questo testo: «Misericordiam hanc ego nolo; super omnem iram miseratio ista» (Sermo 42. in Cant.). Oh qual castigo è quando Dio lascia il peccatore in mano del suo peccato, e par che non gliene domandi più conto! «Secundum multitudinem irae suae non quaeret» (Ps. 9). E sembra che non sia con lui sdegnato. «Auferetur zelus meus a te, et quiescam, nec irascar amplius» (Ez. 16. 42). E par che lo lasci a conseguir tutto ciò che desidera in questa terra. «Et dimisi eos secundum desideria cordis eorum» (Ps. 80). Poveri peccatori, che in questa vita son prosperati! È segno che Dio aspetta a renderli vittime della sua giustizia nella vita eterna. Dimanda Geremia: «Quare via impiorum prosperatur?» (12.1). E poi risponde: «Congregas eos quasi gregem ad victoriam». Non v'è castigo maggiore, che quando Dio permette ad un peccatore che aggiunga peccati a peccati, secondo quel che dice Davide: «Appone iniquitatem super iniquitatem... deleantur de libro viventium» (Ps. 66. 28). Sul che dice il Bellarmino: «Nulla poena maior, quam cum peccatum est poena peccati». Meglio sarebbe stato per talun di quest'infelici, che il Signore l'avesse fatto morire dopo il primo peccato; perché, morendo appresso, avrà tanti inferni, quanti peccati ha commessi.

Affetti e preghiere
                         Mio Dio, in questo stato miserabile vedo già ch'ho meritato di star io, privo della vostra grazia e privo di luce; ma vedendo la luce che ora mi date, e sentendomi chiamare da Voi a penitenza, è segno che non mi avete abbandonato ancora. E giacché non mi avete abbandonato, via su, mio Signore, accrescete le vostre misericordie sopra l'anima mia, accrescete la luce, accrescetemi il desiderio di servirvi e d'amarvi. Mutatemi, o Dio onnipotente, e da traditore e ribelle che sono stato, fatemi un grande amante della vostra bontà, acciocché un giorno io venga in cielo a lodare in eterno le vostre misericordie. Voi dunque volete perdonarmi, ed io altro non desidero che il perdono da Voi e 'l vostro amore. Mi pento, o bontà infinita, di avervi dati tanti disgusti. V'amo, o sommo bene, perché me lo comandate; v'amo, perché ne siete ben degno. Deh, mio Redentore, per li meriti del vostro sangue fatevi amare da un peccatore, che Voi avete tanto amato, e con tanta pazienza per tanti anni sopportato. Io spero tutto dalla vostra pietà. Spero di amarvi sempre da oggi avanti sino alla morte ed in eterno. «Misericordias Domini in aeternum cantabo». Loderò per sempre la vostra pietà, Gesù mio.
                         E loderò per sempre la vostra misericordia, o Maria, che tante grazie mi ha impetrate: dalla vostra intercessione tutte le riconosco. Seguite, Signora mia, ora ad aiutarmi e ad ottenermi la santa perseveranza.


PUNTO III
                         Si narra nella vita del P. Luigi la Nusa che in Palermo v'erano due amici; andavano questi un giorno passeggiando, uno di costoro chiamato Cesare ch'era commediante, vedendo l'altro pensoso: Quanto va, gli disse, che tu sei andato a confessarti, e perciò ti sei inquietato? Senti (poi gli soggiunse), sappi che un giorno mi disse il Padre la Nusa che Dio mi dava 12 anni di vita, e che se io non mi emendava tra questo tempo, avrei fatta una mala morte. Io ho camminato per tante parti del mondo, ho avute infermità, specialmente una che mi ridusse all'ultimo, ma in questo mese in cui si compiscono i 12 anni mi sento meglio che in tutto il tempo della vita mia. Indi l'invitò di venire a sentire il sabato una nuova commedia da lui composta. Or che avvenne? nel sabato, che fu a' 24 di novembre del 1668, mentre stava egli per uscire in iscena, gli venne una goccia, e morì di subito, spirando tra le braccia d'una donna anche commediante, e così finì la commedia. Or veniamo a noi. Fratello mio, quando il demonio vi tenta a peccare di nuovo, se volete dannarvi, sta in arbitrio vostro il peccare, ma non dite allora, che volete salvarvi; mentre volete peccare, tenetevi per dannato, e figuratevi che allora Dio scriva la vostra condanna, e vi dica: «Quid ultra debui facere vineae meae, et non feci?» (Is. 5. 4). Ingrato, che più io dovea fare per te, e non ho fatto? Or via, giacché vuoi dannarti, sii dannato, è colpa tua.
                         Ma dirai: E la misericordia di Dio dov'è? Ahi misero, e non ti pare misericordia di Dio l'averti sopportato per tanti anni con tanti peccati? Tu dovresti startene sempre colla faccia a terra ringraziandolo e dicendo: «Misericordiae Domini, quia non sumus consumti» (Tren. 3). Tu facendo un solo peccato mortale, hai commesso un delitto più grande, che se ti avessi posto sotto i piedi il primo monarca della terra; tu n'hai commessi tanti, che se l'ingiurie ch'hai fatte a Dio, l'avessi fatte ad un tuo fratello carnale, neppure ti avrebbe sopportato; Dio non solo ti ha aspettato, ma ti ha chiamato tante volte, e ti ha invitato al perdono. «Quid ultra debui facere?» Se Dio avesse avuto bisogno di te, o se tu gli avessi fatto qualche gran favore, poteva egli usarti maggior pietà? Posto ciò, se tu di nuovo tornerai ad offenderlo, farai che tutta la sua pietà si muti in furore e castigo.
                         Se quella pianta di fico trovata dal padrone senza frutto, dopo l'anno concesso a coltivarla, neppure avesse renduto alcun frutto, chi mai avrebbe sperato che il Signore l'avesse dato più tempo e perdonato il taglio? Senti dunque ciò che ti avverte S. Agostino: «O arbor infructuosa, dilata est securis, noli esse secura, amputaberis». Il castigo (dice il santo) ti è stato differito, ma non già tolto, se più ti abuserai della divina misericordia, «amputaberis», finalmente ti taglierà. Che vuoi aspettare, che proprio Dio ti mandi all'inferno? Ma se ti ci manda, già lo sai che non vi sarà poi più rimedio per te. Il Signore tace, ma non tace sempre; quando giunge il tempo della vendetta, non tace più. «Haec fecisti, et tacui. Existimasti inique, quod ero tui similis? Arguam te, et statuam contra faciem tuam» (Ps. 49. 21).
                         Ti metterà avanti le misericordie che ti ha usate, e farà ch'elle stesse ti giudichino e ti condannino.

Affetti e preghiere
                         Ah mio Dio, povero me, se da oggi avanti non vi fossi fedele, e ritornassi a tradirvi dopo la luce che ora mi date! Questa luce è segno che volete perdonarmi. Mi pento, o sommo bene, di tutte l'ingiurie che v'ho fatte, per aver offeso Voi, bontà infinita. Spero al sangue vostro il perdono, e lo spero certo; ma se tornassi a voltarvi le spalle, vedo che meriterei un inferno a posta per me. E questo è quello che mi fa tremare, o Dio dell'anima mia: posso tornare a perdere la grazia vostra. Penso che tante volte v'ho promesso di esservi fedele, e poi di nuovo mi son ribellato da Voi. Ah Signore, non lo permettete: non mi abbandonate a questa gran disgrazia di vedermi di nuovo fatto vostro nemico. Mandatemi ogni castigo, ma non questo. «Ne permittas me separari a Te». Se mai vedete ch'io di nuovo avessi ad offendervi, fatemi prima morire. Mi contento d'ogni morte la più tormentosa, prima che di avere a piangere la miseria d'essere un'altra volta privo della grazia vostra. «Ne permittas me separari a Te». Lo replico, mio Dio, e fate ch'io sempre ve lo replichi: «Ne permittas me separari a Te». V'amo, Redentore mio caro, io non voglio più dividermi da Voi: per li meriti della vostra morte datemi un grande amore, che mi stringa con Voi talmente, ch'io non me ne possa più sciogliere.
                         O Maria Madre mia, s'io torno ad offendere Dio, temo che ancora Voi mi abbandoniate. Aiutatemi dunque colle vostre preghiere; ottenetemi la santa perseveranza e l'amore a Gesu-Cristo.

Wednesday, 14 June 2017

“Little Red Cap” by the Brothers Grimm (translated into English by Margaret Hunt)



Once upon a time there was a dear little girl who was loved by every one who looked at her, but most of all by her grandmother, and there was nothing that she would not have given to the child. Once she gave her a little cap of red velvet, which suited her so well that she would never wear anything else; so she was always called "Little Red-Cap."
            One day her mother said to her, "Come, Little Red-Cap, here is a piece of cake and a bottle of wine; take them to your grandmother, she is ill and weak, and they will do her good. Set out before it gets hot, and when you are going, walk nicely and quietly and do not run off the path, or you may fall and break the bottle, and then your grandmother will get nothing; and when you go into her room, don't forget to say, 'Good-morning,' and don't peep into every corner before you do it."
            "I will take great care," said Little Red-Cap to her mother, and gave her hand on it.
            The grandmother lived out in the wood, half a league from the village, and just as Little Red-Cap entered the wood, a wolf met her. Red-Cap did not know what a wicked creature he was, and was not at all afraid of him.
            "Good-day, Little Red-Cap," said he.
            "Thank you kindly, wolf."
            "Whither away so early, Little Red-Cap?"
            "To my grandmother's."
            "What have you got in your apron?"
            "Cake and wine; yesterday was baking-day, so poor sick grandmother is to have something good, to make her stronger."
            "Where does your grandmother live, Little Red-Cap?"
            "A good quarter of a league farther on in the wood; her house stands under the three large oak-trees, the nut-trees are just below; you surely must know it," replied Little Red-Cap.
            The wolf thought to himself, "What a tender young creature! what a nice plump mouthful -- she will be better to eat than the old woman. I must act craftily, so as to catch both." So he walked for a short time by the side of Little Red-Cap, and then he said, "See Little Red-Cap, how pretty the flowers are about here -- why do you not look round? I believe, too, that you do not hear how sweetly the little birds are singing; you walk gravely along as if you were going to school, while everything else out here in the wood is merry."
            Little Red-Cap raised her eyes, and when she saw the sunbeams dancing here and there through the trees, and pretty flowers growing everywhere, she thought, "Suppose I take grandmother a fresh nosegay; that would please her too. It is so early in the day that I shall still get there in good time;" and so she ran from the path into the wood to look for flowers. And whenever she had picked one, she fancied that she saw a still prettier one farther on, and ran after it, and so got deeper and deeper into the wood.
            Meanwhile the wolf ran straight to the grandmother's house and knocked at the door.
            "Who is there?"
            "Little Red-Cap," replied the wolf. "She is bringing cake and wine; open the door."
            "Lift the latch," called out the grandmother, "I am too weak, and cannot get up."
            The wolf lifted the latch, the door flew open, and without saying a word he went straight to the grandmother's bed, and devoured her. Then he put on her clothes, dressed himself in her cap, laid himself in bed and drew the curtains.
            Little Red-Cap, however, had been running about picking flowers, and when she had gathered so many that she could carry no more, she remembered her grandmother, and set out on the way to her.
            She was surprised to find the cottage-door standing open, and when she went into the room, she had such a strange feeling that she said to herself, "Oh dear! how uneasy I feel to-day, and at other times I like being with grandmother so much." She called out, "Good morning," but received no answer; so she went to the bed and drew back the curtains. There lay her grandmother with her cap pulled far over her face, and looking very strange.
            "Oh! grandmother," she said, "what big ears you have!"
            "The better to hear you with, my child," was the reply.
            "But, grandmother, what big eyes you have!" she said.
            "The better to see you with, my dear."
            "But, grandmother, what large hands you have!"
            "The better to hug you with."
            "Oh! but, grandmother, what a terrible big mouth you have!"
            "The better to eat you with!"
            And scarcely had the wolf said this, than with one bound he was out of bed and swallowed up Red-Cap.
            When the wolf had appeased his appetite, he lay down again in the bed, fell asleep and began to snore very loud. The huntsman was just passing the house, and thought to himself, "How the old woman is snoring! I must just see if she wants anything." So he went into the room, and when he came to the bed, he saw that the wolf was lying in it. "Do I find thee here, thou old sinner!" said he. "I have long sought thee!" Then just as he was going to fire at him, it occurred to him that the wolf might have devoured the grandmother, and that she might still be saved, so he did not fire, but took a pair of scissors, and began to cut open the stomach of the sleeping wolf. When he had made two snips, he saw the little Red-Cap shining, and then he made two snips more, and the little girl sprang out, crying, "Ah, how frightened I have been! How dark it was inside the wolf;" and after that the aged grandmother came out alive also, but scarcely able to breathe. Red-Cap, however, quickly fetched great stones with which they filled the wolf's body, and when he awoke, he wanted to run away, but the stones were so heavy that he fell down at once, and fell dead.
            Then all three were delighted. The huntsman drew off the wolf's skin and went home with it; the grandmother ate the cake and drank the wine which Red-Cap had brought, and revived, but Red-Cap thought to herself, "As long as I live, I will never by myself leave the path, to run into the wood, when my mother has forbidden me to do so."
            It is also related that once when Red-Cap was again taking cakes to the old grandmother, another wolf spoke to her, and tried to entice her from the path. Red-Cap, however, was on her guard, and went straight forward on her way, and told her grandmother that she had met the wolf, and that he had said "good-morning" to her, but with such a wicked look in his eyes, that if they had not been on the public road she was certain he would have eaten her up. "Well," said the grandmother, "we will shut the door, that he may not come in." Soon afterwards the wolf knocked, and cried, "Open the door, grandmother, I am little Red-Cap, and am fetching you some cakes." But they did not speak, or open the door, so the grey-beard stole twice or thrice round the house, and at last jumped on the roof, intending to wait until Red-Cap went home in the evening, and then to steal after her and devour her in the darkness. But the grandmother saw what was in his thoughts. In front of the house was a great stone trough, so she said to the child, "Take the pail, Red-Cap; I made some sausages yesterday, so carry the water in which I boiled them to the trough." Red-Cap carried until the great trough was quite full. Then the smell of the sausages reached the wolf, and he sniffed and peeped down, and at last stretched out his neck so far that he could no longer keep his footing and began to slip, and slipped down from the roof straight into the great trough, and was drowned. But Red-Cap went joyously home, and never did anything to harm any one.

Tuesday, 13 June 2017

"The Book of Exodus" - Chapter XXXI (translated into English)



Chapter 31

1 The LORD said to Moses, 2 "See, I have chosen Bezalel, son of Uri, son of Hur, of the tribe of Judah, 3 and I have filled him with a divine spirit of skill and understanding and knowledge in every craft: 4 in the production of embroidery, in making things of gold, silver or bronze, 5 in cutting and mounting precious stones, in carving wood, and in every craft. 6 As his assistant I have appointed Oholiab, son of Ahisamach, of the tribe of Dan. I have also endowed all the experts with the necessary skill to make all the things I have ordered you to make: 7 the meeting tent, the ark of the commandments with the propitiatory on top of it, all the furnishings of the tent, 8 the table with its appurtenances, the pure gold lampstand with all its appurtenances, the altar of incense, 9 the altar of holocausts with all its appurtenances, the laver with its base, 10 the service cloths, the sacred vestments for Aaron the priest, the vestments for his sons in their ministry, 11 the anointing oil, and the fragrant incense for the sanctuary. All these things they shall make just as I have commanded you."
            12 The LORD said to Moses, 13 "You must also tell the Israelites: Take care to keep my sabbaths, for that is to be the token between you and me throughout the generations, to show that it is I, the LORD, who make you holy. 14 Therefore, you must keep the sabbath as something sacred. Whoever desecrates it shall be put to death. If anyone does work on that day, he must be rooted out of his people. 15 Six days there are for doing work, but the seventh day is the sabbath of complete rest, sacred to the LORD. Anyone who does work on the sabbath day shall be put to death. 16 So shall the Israelites observe the sabbath, keeping it throughout their generations as a perpetual covenant. 17 Between me and the Israelites it is to be an everlasting token; for in six days the LORD made the heavens and the earth, but on the seventh day he rested at his ease."
            18 When the LORD had finished speaking to Moses on Mount Sinai, he gave him the two tablets of the commandments, the stone tablets inscribed by God's own finger.

Saturday, 10 June 2017

Sonnet XLVIII by William Shakespeare (in English)

How careful was I when I tooke my way,
Each trifle vnder trueſt barres to thruſt,
That to my vſe it might vn-vſed ſtay
From hands of falſehood,in ſure wards of truſt?
But thou,to whom my iewels trifles are,
Moſt worthy comfort,now my greateſt griefe,
Thou beſt of deereſt,and mine onely care,
Art left the prey of euery vulgar theefe.
Thee haue I not lockt vp in any cheſt,
Saue where thou art not,though I feele thou art,
Within the gentle cloſure of my breſt,
From whence at pleaſure thou maiſt come and part,
   And euen thence thou wilt be ſtolne I feare,
   For truth prooues theeuiſh for a prize ſo deare.

Friday, 9 June 2017

“Abre Alas” by Chiquinha Gonzaga




Ó abre alas que eu quero passar
Ó abre alas que eu quero passar
Eu sou da lira não posso negar
Eu sou da lira não posso negar

Ó abre alas que eu quero passar
Ó abre alas que eu quero passar
Rosa de ouro é que vai ganhar
Rosa de ouro é que vai ganhar



"Abre Alas" sung by Linda and Dircinha Batista.