Showing posts with label Apparecchio alla Morte. Show all posts
Showing posts with label Apparecchio alla Morte. Show all posts

Thursday, 26 October 2017

"Apparecchio alla Morte" by St Alfonso Maria de Liguori (in Italian) – final

CONSIDERAZIONE XXXVI - DELL'UNIFORMITÀ ALLA VOLONTÀ DI DIO
«Et vita in voluntate eius» (Ps. 29. 6).

PUNTO I
            Tutta la nostra salute, e tutta la perfezione consiste nell'amare Dio. «Qui non diligit manet in morte» (1. Io. 3. 14). «Caritas est vinculum perfectionis» (Colos. 3). Ma la perfezione dell'amore consiste poi nell'uniformare la nostra alla divina volontà; poiché questo è l'effetto principale dell'amore, come dice l'Areopagita, unire le volontà degli amanti, sicché non abbiano che un solo cuore ed un solo volere. Intanto dunque piacciono a Dio l'opere nostre, le penitenze, le comunioni, le limosine, in quanto sono secondo la divina volontà; poiché altrimenti non sono virtuose, ma difettose e degne di castigo.
            Ciò venne principalmente ad insegnarci dal cielo col suo esempio il nostro Salvatore. Ecco quel ch'egli disse in entrare nel mondo, come scrive l'Apostolo: «Hostiam et oblationem noluisti, corpus autem aptasti mihi. Tunc dixi: Ecce venio, ut faciam, Deus, voluntatem tuam» (Heb. 10. 5). Voi, Padre mio, avete rifiutate le vittime degli uomini, volete ch'io vi sacrifichi colla morte questo corpo che m'avete dato, eccomi pronto a far la vostra volontà. E ciò più volte dichiarò, dicendo ch'egli non era venuto in terra, se non per fare la volontà del suo Padre: «Descendi de coelo, non ut faciam voluntatem meam, sed voluntatem eius qui misit me» (Io. 6. 38). Ed in ciò volle che conosciamo il suo grande amore al Padre, in vedere ch'Egli andava a morire, per ubbidire al di lui volere: «Ut cognoscat mundus, quia diligo Patrem, et sicut mandatum dedit mihi Pater, sic facio, surgite, eamus» (Io. 31. 14). Quindi poi disse ch'egli riconoscea per suoi solamente coloro che faceano la divina volontà: «Quicunque enim fecerit voluntatem Patris mei qui in coelis est, ipse meus frater, et soror, et mater est» (Matth. 12. 38). Questo poi è stato l'unico scopo e desiderio di tutt'i santi in tutte le loro opere, l'adempimento della divina volontà. Il B. Errico Susone diceva: «Io voglio esser più presto un verme più vile della terra colla volontà di Dio, che un Serafino colla mia». E S. Teresa: «Tutto ciò che dee procurare chi si esercita nell'orazione, è di conformare la sua volontà alla divina; e si assicuri (aggiungea) che in ciò consiste la più alta perfezione; chi più eccellentemente la praticherà, riceverà da Dio i più gran doni, e farà più progressi nella vita interiore». I beati del cielo per ciò amano perfettamente Dio, perché sono in tutto uniformati alla divina volontà. Quindi c'insegnò Gesu-Cristo a domandar la grazia di far la volontà di Dio in terra, come la fanno i santi in cielo: «Fiat voluntas tua, sicut in coelo et in terra». Chi fa la divina volontà, diventa uomo secondo il cuore di Dio, come appunto il Signore chiamava Davide: «Inveni virum secundum cor meum, qui faciet omnes voluntates meas» (1. Reg. 1. 14). E perché? perché Davide stava sempre apparecchiato ad eseguir ciò che volea Dio: «Paratum cor meum, Deus, paratum cor meum» (Ps. 56. 8 et Ps. 107. 2). Ed altro egli non cercava al Signore, che d'insegnargli a fare la sua volontà: «Doce me facere voluntatem tuam» (Ps. 142. 10).
            Oh quanto vale un atto di perfetta rassegnazione alla volontà di Dio! basta a fare un santo. Mentre S. Paolo perseguitava la Chiesa, Gesù gli apparve, l'illuminò e lo convertì. Il santo allora altro non fece, che offerirsi a fare il voler divino: «Domine, quid me vis facere?» (Actor. 9. 6). Ed ecco che Gesu-Cristo subito lo dichiarò vaso d'elezione, e apostolo delle genti: «Vas electionis est mihi iste, ut portet nomen meum coram gentibus» (Act. 9. 15). Chi fa digiuni, chi fa limosine, chi si mortifica per Dio, dona a Dio parte di sé; ma chi gli dona la sua volontà gli dona tutto. E questo è quel tutto, che Dio ci dimanda, il cuore, cioè la volontà: «Fili mi, praebe cor tuum mihi» (Prov. 23). Questa insomma ha da essere la mira di tutt'i nostri desideri, delle nostre divozioni, meditazioni, comunioni ecc. l'adempire la divina volontà. Questo ha da esser lo scopo di tutte le nostre preghiere, l'impetrare la grazia di eseguire ciò che Dio vuole da noi. Ed in ciò abbiamo da domandare l'intercessione de' nostri santi avvocati e specialmente di Maria SS., che c'impetrino luce e forza di uniformarci alla volontà di Dio in tutte le cose; ma specialmente in abbracciar quelle a cui ripugna il nostro amor proprio. Dicea il Ven. Giovanni d'Avila: «Vale più un benedetto sia Dio nelle cose avverse, che sei mila ringraziamenti nelle cose a noi dilettevoli».

Affetti e preghiere
            Ah mio Dio, tutta la mia ruina è stata per lo passato in non volermi uniformare alla vostra santa volontà. Detesto e maledico mille volte que' giorni e quei momenti, in cui per fare la mia volontà ho contraddetto al vostro volere, o Dio dell'anima mia. Ora tutta a Voi la dono; ricevetela, o mio Signore, e legatela talmente al vostro amore, che da Voi non possa più ribellarsi. V'amo, bontà infinita, e per l'amore che vi porto, a voi tutto mi offerisco. Disponete Voi di me e di tutte le cose mie come vi piace, ch'io in tutto mi rassegno a' vostri santi voleri. Liberatemi dalla disgrazia di far cosa contra la vostra volontà, e poi trattatemi come volete. Eterno Padre, esauditemi per amore di Gesu-Cristo. Gesù mio, esauditemi per li meriti della vostra passione.
            E Voi Maria SS., aiutatemi; impetratemi questa grazia di eseguire in me la divina volontà, in cui consiste tutta la mia salute; e niente più vi domando.


PUNTO II
            Bisogna uniformarci non solo in quelle cose avverse che ci vengono direttamente da Dio, come sono le infermità, le desolazioni di spirito, le perdite di robe o di parenti; ma anche in quelle che ci vengono anche da Dio, ma indirettamente, cioè per mezzo degli uomini, come le infamie, i dispregi, le ingiustizie e tutte l'altre sorte di persecuzioni. Ed avvertiamo che quando siamo offesi da taluno nella roba, o nell'onore, non vuole già Dio il peccato di colui che ci offende, ma ben vuole la nostra povertà e la nostra umiliazione. È certo che quanto succede, tutto avviene per divina volontà: «Ego Dominus formans lucem et tenebras, faciens pacem, et creans malum» (Is. 45. 7). E prima lo disse l'Ecclesiastico: «Bona et mala, vita et mors a Deo sunt» (Eccli. 11. 14). Tutti in somma vengono da Dio, così i beni, come i mali.
               Si chiamano mali, perché noi li chiamiamo così, e noi li facciamo mali; poiché se noi l'accettassimo, come dovressimo con rassegnazione dalle mani di Dio, diventerebbero per noi non mali, ma beni. Le gioie che rendono più ricca la corona de' santi, sono le tribolazioni accettate per Dio, pensando che tutto viene dalle sue mani. Il santo Giobbe, quando fu avvisato che i Sabei si avevan prese le sue robe, che rispose? «Dominus dedit, Dominus abstulit» (Iob. 1. 21). Non disse già, il Signore mi ha dati questi beni, ed i Sabei me l'han tolti; ma il Signore me l'ha dati, e 'l Signore me l'ha tolti. E perciò lo benediceva, pensando che tutto era avvenuto per suo volere: «Sicut Domino placuit, ita factum est, sit nomen Domini benedictum» (Ibid.). I santi martiri Epitetto ed Atone, quando erano tormentati con uncini di ferro e torce ardenti, altro non diceano: «Signore, si faccia in noi la vostra volontà!» E morendo, queste furono l'ultime parole che dissero: «Siate benedetto, o Dio eterno, poiché ci date la grazia di adempire in noi il vostro santo beneplacito». Narra Cesario (lib. 10. cap. 6) che un certo monaco, con tutto che non facesse vita più austera degli altri, nondimeno facea molti miracoli. Di ciò maravigliandosi l'Abbate, gli domandò un giorno, quali divozioni egli praticasse? Rispose che egli era più imperfetto degli altri, ma che solo a questo era tutto intento, ad uniformarsi in ogni cosa alla divina volontà. E di quel danno (ripigliò il superiore) che giorni sono ci fece quel nemico nel nostro podere, voi non ne aveste alcun dispiacere? No, padre mio, disse, anzi ne ringraziai il Signore, mentr'egli tutto fa o permette per nostro bene. E da ciò l'Abbate conobbe la santità di questo buon religioso.
            Lo stesso dobbiamo far noi, quando ci accadono le cose avverse, accettiamole tutte dalle divine mani, non solo con pazienza, ma con allegrezza, ad esempio degli apostoli, che godeano nel vedersi maltrattati per amore di Gesu-Cristo: «Ibant gaudentes a conspectu concilii, quoniam digni habiti sunt pro nomine Iesu contumeliam pati» (Act. 5. 41). E che maggior contento che soffrire qualche croce e sapere che abbracciandola noi diamo gusto a Dio? Se vogliamo dunque vivere con una continua pace, procuriamo da ogg'innanzi di abbracciarci col divino volere, con dir sempre in tutto ciò che ci avviene: «Ita, Pater, quoniam sic fuit placitum ante te» (Matth. 11. 26). Signore, così è piaciuto a Voi, così sia fatto. A questo fine dobbiamo indrizzare tutte le nostre meditazioni, comunioni, visite e preghiere: pregando sempre Dio che ci faccia uniformare alla sua volontà. Ed offeriamoci sempre dicendo: Mio Dio, eccoci, fatene di noi quel che vi piace. S. Teresa almeno cinquanta volte il giorno si offeriva a Dio, acciocché avesse di lei disposto come volea.

Affetti e preghiere
            Ah divino mio Re, amato mio Redentore, venite e regnate voi solo da oggi avanti nell'anima mia. Prendetevi tutta la mia volontà sicché ella non desideri, né voglia se non quello che volete Voi, Gesù mio. Per lo passato io v'ho tanto disgustato opponendomi a' vostri santi voleri; ciò mi dà maggior pena, che se avessi patito ogni altro male: me ne pento, me ne dispiace con tutto il cuore. Merito il castigo, io non lo ricuso, l'accetto; liberatemi solo dal castigo di privarmi del vostro amore, e poi fate di me quel che vi piace. V'amo, caro mio Redentore, v'amo, mio Dio; e perché v'amo voglio fare tutto quello che volete Voi. O volontà di Dio, Voi siete l'amor mio. O sangue del mio Gesù, Voi siete la speranza mia; da Voi spero da ogg'innanzi di star sempre unito alla divina volontà: ella sarà la mia guida, il mio desiderio, il mio amore e la mia pace. In quella voglio sempre vivere, e riposare. «In pace in idipsum dormiam, et requiescam». Dirò sempre in tutto ciò che mi avverrà: Dio mio, così avete voluto Voi, così voglio io: Dio mio, voglio solo quel che volete Voi; si faccia in me sempre la vostra volontà, «fiat voluntas tua». Gesù mio, per li meriti vostri concedetemi la grazia ch'io vi replichi sempre questo bel detto d'amore: «Fiat voluntas tua, fiat voluntas tua».
                     O Maria madre mia, beata Voi che adempiste sempre ed in tutto la divina volontà; impetratemi Voi, che da oggi avanti l'adempisca io ancora. Regina mia, per quanto amate Gesu-Cristo, impetratemi questa grazia: da Voi la spero.

PUNTO III
            Chi sta unito alla divina volontà, gode anche in questa terra una perpetua pace: «Non contristabit iustum, quidquid ei acciderit» (Prov. 12. 21). Sì, perché un'anima non può avere maggior contento che di vedere adempirsi quant'ella vuole. Chi non vuole altro se non quello che vuole Dio, ha quanto vuole, perché già quanto succede, tutto avviene per volontà di Dio. L'anime rassegnate, dice Salviano, se sono umiliate, questo vogliono; se patiscono povertà, vogliono esser povere; in somma vogliono tutto ciò che accade, e perciò menano una vita beata: «Humiles sunt, hoc volunt: pauperes sunt, paupertate delectantur; itaque beati dicendi sunt». Viene il freddo, il caldo, la pioggia, il vento, e chi sta unito alla volontà di Dio, dice: Io voglio questo freddo, questo caldo ecc., perché così vuole Dio. Viene quella perdita, quella persecuzione, viene l'infermità, viene la morte, e quegli dice: Io voglio esser misero, perseguitato, infermo, voglio anche morire, perché così vuole Dio. Chi riposa nella divina volontà, e si compiace di tutto ciò che fa il Signore, è come stesse di sopra alle nubi, vede le tempeste che sotto di quelle infuriano, ma non resta da loro né leso, né perturbato. Questa è quella pace, come dice l'Apostolo, che «exsuperat omnem sensum» (Ephes. 3. 2), che avanza tutte le delizie del mondo, ed è una pace stabile, che non ammette vicende: «Stultus sicut luna mutatur, sapiens in sapientia manet sicut sol» (Eccli. 27. 12). Lo stolto (cioè il peccatore) si muta come la luna, che oggi cresce e domani manca: oggi si vede ridere, domani piangere, oggi allegro e tutto mansueto, domani afflitto e furibondo; in somma si muta, come si mutano le cose prospere o avverse che gli accadono. Ma il giusto è come il sole, sempre eguale ed uniforme nella sua tranquillità, in ogni cosa che avviene; poiché la sua pace sta nell'uniformarsi alla divina volontà. «Et in terra pax hominibus bonae voluntatis» (Luc. 2. 14). S. Maria Maddalena de Pazzi in sentir nominare «Volontà di Dio», sentiva talmente consolarsi, che usciva fuori di sé in estasi d'amore. Nella parte inferiore non manca di farsi sentire qualche puntura delle cose avverse, ma nella superiore regnerà sempre la pace, quando la volontà sta unita a quella di Dio. «Gaudium vestrum nemo tollet a vobis» (Io. 16. 22). Ma che pazzia è quella di coloro, che ripugnano al volere di Dio! Quel che vuole Iddio, si ha senza meno da adempire. «Voluntati eius quis resistit?» (Rom. 9. 19). Onde i miseri han da soffrir già la croce, ma senza frutto, e senza pace. «Quis restitit ei, et pacem habuit?» (Iob. 9. 4).
            E che altro vuole Dio, se non il nostro bene? «Voluntas Dei sanctificatio vestra» (1. Thess. 4. 3). Vuol vederci santi, per vederci contenti in questa vita, e beati nell'altra. Intendiamo che le croci che ci vengono da Dio, «omnia cooperantur in bonum» (Rom. 8. 28). Anche i castighi in questa vita non vengono per nostra ruina, ma affinché ci emendiamo e ci acquistiamo la beatitudine eterna. «Ad emendationem non ad perditionem nostram evenisse credamus» (Iudt. 8. 27). Iddio ci ama tanto, che non solo brama, ma è sollecito della salute di ciascuno di noi. «Deus sollicitus est mei» (Psal. 39. 18). E che mai ci negherà quel Signore, che ci ha dato il medesimo suo Figlio? «Qui proprio Filio suo non pepercit, sed pro nobis omnibus tradidit illum, quomodo non etiam cum illo omnia nobis donavit?» (Rom. 8. 32). Abbandoniamoci dunque sempre nelle mani di quel Dio, il quale sempre ha premura del nostro bene, mentre siamo in questa vita. «Omnem sollicitudinem vestram proiicientes in eum, quoniam ipsi cura est de vobis» (1. Petr. 5. 7). Pensa tu a me (disse il Signore a S. Caterina di Siena), ed io penserò sempre a te. Diciamo spesso colla sacra sposa: «Dilectus meus mihi, et ego illi» (Cant. 2. 16). L'amato mio pensa al mio bene, ed io non voglio pensare ad altro che a compiacerlo, e ad unirmi alla sua santa volontà. E non dobbiamo pregare, dicea il santo Abbate Nilo, che Dio faccia quel che vogliamo noi, ma che noi facciamo quel ch'egli vuole.
            Chi fa sempre cosi farà una vita beata ed una morte santa. Chi muore tutto rassegnato nella divina volontà lascia agli altri una moral certezza della sua salvazione. Ma chi in vita non sarà unito al voler divino, non lo sarà neppure in morte, e non si salverà. Procuriamo dunque di renderci familiari alcuni detti della Scrittura, co' quali ci terremo sempre uniti alla volontà di Dio. «Domine, quid me vis facere?» Signore, ditemi che volete da me, che tutto voglio farlo. «Ecce ancilla Domini»: Ecco l'anima mia è vostra serva, comandate, e sarete ubbidito. «Tuus sum ego, salvum me fac»: Salvatemi, Signore, e poi fatene di me quel che vi piace; io son vostro, non sono più mio. Quando accade qualche avversità più pesante, diciamo subito: «Ita, Pater, quoniam sic fuit placitum ante te» (Matth. 11. 26). Dio mio, così è piaciuto a Voi, così sia fatto. Sopra tutto siaci cara la terza petizione del Pater noster: «Fiat voluntas tua sicut in coelo et in terra». Diciamola spesso con affetto e replichiamola più volte. Felici noi se viviamo e terminiamo la vita dicendo così: «Fiat, fiat voluntas tua!»

Affetti e preghiere
            O Gesù mio Redentore, Voi avete consumata la vostra vita sulla croce a forza di dolori, per rendervi la causa della mia salute. Abbiate dunque pietà di me e salvatemi; e non permettete che un'anima redenta da Voi con tante pene e con tanto amore abbia da odiarvi eternamente nell'inferno. Voi non avete più che fare per obbligarmi ad amarvi. Ciò voleste darmi ad intendere, allorché prima di spirar sul Calvario diceste quelle amorose parole: «Consummatum est». Ma come io poi ho riconosciuto il vostro amore? per lo passato ben posso dire ch'io non ho avuto più che fare per disgustarvi ed obbligarvi a odiarmi. Vi ringrazio che mi avete sopportato con tanta pazienza, ed ora mi date tempo di rimediare alla mia sconoscenza, e di amarvi prima di morire. Sì, voglio amarvi, e voglio amarvi assai, mio Salvatore, mio Dio, mio amore e mio tutto; e voglio far tutto quel che piace a Voi; vi dono tutta la mia volontà, tutta la mia libertà e tutte le cose mie. Vi sagrifico da ora anche la mia vita, accettando quella morte che mi manderete, con tutte le pene e circostanze che l'accompagneranno. Unisco da ora questo mio sagrificio al gran sagrificio che Voi, Gesù mio, faceste per me della vostra vita sulla croce. Voglio morire per fare la vostra volontà. Deh per li meriti della vostra passione datemi la grazia di stare in vita sempre rassegnato alle vostre disposizioni; e quando verrà la morte, fate ch'io l'abbracci con una totale uniformità al vostro santo beneplacito. Voglio morire dicendo: «Fiat voluntas tua».
            Maria madre mia, così moriste Voi; impetratemi ch'io ancora muoia così.

Wednesday, 25 October 2017

"Apparecchio alla Morte" by St Alfonso Maria de Liguori (in Italian) – XXXVI

CONSIDERAZIONE XXXV - DELLA DIMORA AMOROSA CHE FA GESU' SUGLI ALTARI NEL SS. SAGRAMENTO
«Venite ad me omnes qui laboratis, et onerati estis, et ego reficiam vos» (Matth. 11. 28).

PUNTO I
            Il nostro amante Salvatore, dovendo partire da questo mondo, dopo di aver colla sua morte compita l'opera della nostra redenzione, non volle lasciarci soli in questa valle di lagrime. «Niuna lingua è bastante (dicea S. Pietro d'Alcantara), a poter dichiarare la grandezza dell'amore, che Gesù porta ad ogni anima; e perciò volendo questo sposo partire da questa vita, acciocché questa sua assenza non le fosse cagione di scordarsi di lui, le lasciò per memoria questo SS. Sagramento, nel quale Egli stesso rimanea, non volendo che tra ambedue restasse altro pegno per tenere svegliata la memoria ch'Egli medesimo». Merita dunque da noi grande amore questo gran tratto d'amore di Gesu-Cristo; e perciò in questi ultimi nostri tempi Egli ha voluto che s'istituisse la festa in onore del suo SS. Cuore, come si porta rivelato alla sua serva suor Margherita Maria Alacoque, affinché noi rendessimo co' nostri ossequi ed affetti qualche contraccambio alla sua amorosa dimora che fa sugli altari: e così insieme compensassimo i disprezzi che in questo Sagramento d'amore Egli ha ricevuti e riceve tuttavia dagli eretici e da' mali cristiani.
            Gesù si è lasciato nel SS. Sagramento, 1. per farsi trovare da tutti; 2. per dare udienza a tutti; 3. per far grazie a tutti. E per 1. Egli si fa trovare in tanti diversi altari, per farsi trovare da tutti che desiderano di trovarlo. In quella notte in cui il Redentore stavasi licenziando da' discepoli per andar alla morte, addolorati quelli piangeano, pensando di doversi dividere dal loro caro maestro; ma Gesù li consolava dicendo (e lo stesso diceva allora anche a noi): Figli miei, io vado a morire per voi, per dimostrarvi l'amore che vi porto; ma anche morendo non voglio lasciarvi soli; finché voi sarete sulla terra, voglio con voi restarmi nel SS. Sagramento dell'altare. Io vi lascio il mio corpo, l'anima mia, la mia divinità e tutto me stesso. No, finché voi starete sulla terra, io non voglio separarmi da voi. «Ecce vobiscum sum usque ad consummationem saeculi» (Matth. 28. 20). «Volea lo sposo (scrisse S. Pietro d'Alcantara) lasciare alla sua sposa in questa sì lunga lontananza qualche compagnia, acciocché non rimanesse sola, e perciò lasciò questo Sagramento, in cui rimase esso stesso, ch'era la miglior compagnia che potesse lasciarle». I gentili si han finti tanti dei, ma non han saputo fingersi un Dio più amoroso del nostro, e che ci sta più vicino e ci assiste con tanto amore. «Non est alia natio tam grandis, quae habeat deos appropinquantes sibi, sicut Deus noster adest nobis».Così appunto la S. Chiesa applica questo passo del Deuteronomio (al cap. 4. v. 7) alla festa del SS. Sagramento (Resp. 2. Noct. 3).
            Ecco dunque Gesu-Cristo, che se ne sta negli altari, come ristretto in tante prigioni d'amore. Lo cacciano i sacerdoti dalle custodie per esporlo, o per dar la comunione, e poi lo ritornano a chiudere. E Gesù se ne contenta di restarsene ivi il giorno e la notte. Ma che serviva, mio Redentore, a restarvi in tante chiese anche la notte, mentre le genti serrano le porte e vi lasciano solo? Bastava trattenervi solamente nelle ore del giorno. No, vuol Egli starsene anche la notte benché solo, aspettando che la mattina subito lo trovi chi lo cerca. Andava la sacra sposa cercando il suo diletto, e dimandava a chi incontrava: «Num quem diligit anima mea vidistis?» (Cant. 3. 3). E non trovandolo alzava la voce, dicendo: Sposo mio, fatemi sapere dove state: «Indica mihi ubi pascas, ubi cubes in meridie» (Cant. 1. 6). Allora la sposa non lo trovava, perché non vi era ancora il SS. Sagramento; ma al presente, se un'anima vuol trovare Gesu-Cristo, basta che vadi alla parrocchia, o a qualche monastero, ed ivi troverà il suo diletto che l'aspetta. Non vi è villaggio per misero che sia, non vi è monastero di religiosi, che non tenga il SS. Sagramento; ed in tutti quei luoghi il Re del cielo si contenta di starsene chiuso in una cassettina di legno, o in una pietra, dove spesso se ne resta solo, appena con una lampa d'olio, senza chi l'assista. Ma, Signore (dice S. Bernardo), ciò non conviene alla vostra maestà. Non importa, risponde Gesù, se ciò non conviene alla mia maestà, ben conviene al mio amore.
            Or qual tenerezza sentono i pellegrini in visitare la santa casa di Loreto, o i luoghi di Terra santa, la stalla di Betlemme, il Calvario, il santo Sepolcro, dove Gesu-Cristo nacque, o abitò, o morì, o fu sepolto! Ma quanto maggiore dee esser la nostra tenerezza, in trovarci in una chiesa alla presenza di Gesù medesimo, che sta nel SS. Sagramento? Diceva il Ven. P. Giovanni d'Avila ch'egli non sapea trovare santuario di maggior divozione e consolazione, che una chiesa dove sta Gesù sagramentato. Ma piangeva all'incontro il P. Baltassarre Alvarez in vedere i palagi de' principi pieni di gente, e le chiese dove sta Gesu-Cristo abbandonate e sole. Oh Dio, se il Signore si fosse lasciato in una sola chiesa della terra, v. gr. solo in S. Pietro in Roma, e si facesse ivi trovare solamente in un solo giorno dell'anno, oh quanti pellegrini, quanti nobili e quanti monarchi procurerebbero d'aver la sorte di trovarsi ivi in quel giorno, a corteggiare il Re del cielo ritornato in terra! Oh che nobil tabernacolo d'oro adornato di gemme gli sarebbe apprestato! Oh con qual apparato di lumi si solennizzerebbe in quel giorno questa dimora di Gesu-Cristo! Ma no, dice il Redentore, Io non voglio dimorare in una sola chiesa, né per un solo giorno; né ricerco tante ricchezze e tanti lumi, io voglio dimorar continuamente in tutti i giorni ed in tutti i luoghi, dove si ritrovano i miei fedeli, acciocché tutti mi ritrovino facilmente, e sempre ad ogni ora che vogliono.
            Ah che se Gesu-Cristo non avesse pensato a questa finezza d'amore, chi mai avrebbe potuto pensarvi? Quando Egli se n'ascese al cielo, se alcuno gli avesse detto allora: Signore, se volete dimostrarci il vostro affetto, restatevi con noi sugli altari sotto le specie di pane, acciocché ivi possiamo trovarvi quando vogliamo; qual temerità sarebbe stata stimata questa domanda? Ma quello che non ha saputo neppure pensare alcuno degli uomini, l'ha pensato e l'ha fatto il nostro Salvatore. Ma oimè dov'è la nostra gratitudine ad un tanto favore? Se venisse un principe da lontano in un paese a posta per esser visitato da un villano, che ingratitudine sarebbe del villano, se non volesse vederlo, o vederlo sol di passaggio?

Affetti e preghiere
            O Gesù mio Redentore, o amore dell'anima mia, a Voi quanto è costato il rimanervi con noi in questo Sagramento? Voi avete dovuto prima patir la morte, per potervi restare su i nostri altari; e poi avete dovuto soffrir tante ingiurie in questo Sagramento per assisterci colla vostra presenza. E noi possiamo esser così pigri, e trascurati in venire a visitarvi, sapendo che Voi tanto gradite le nostre visite, per colmarci di beni, allorché ci vedete alla vostra presenza? Signore, perdonatemi mentre fra questi ingrati vi sono stato ancor'io. Da ogg'innanzi, Gesù mio, voglio spesso visitarvi e trattenermi quanto più posso alla vostra presenza, a ringraziarvi, ad amarvi ed a cercarvi grazie, giacché a questo fine Voi vi siete restato in terra chiuso ne' tabernacoli e fatto nostro prigioniero d'amore. V'amo, bontà infinita, v'amo, o Dio d'amore, v'amo, o sommo bene, amabile più d'ogni bene. Fate ch'io mi scordi di me e di tutto, per ricordarmi solo del vostro amore, e per vivere la vita, che mi resta, tutta occupata a darvi gusto. Fate ch'io da oggi avanti non trovi maggior delizia, che di trattenermi a' piedi vostri. Infiammatemi tutto del vostro santo amore.
            Maria madre mia, impetratemi un grande amore al SS. Sagramento, e quando mi vedete trascurato, ricordatemi Voi la promessa, che ora fo di andare a visitarlo ogni giorno.


PUNTO II
            Per 2. Gesu-Cristo nel Sagramento dà udienza a tutti. Dicea S. Teresa che non tutti in questa terra possono parlare col principe. I poveri appena posson sperare di parlargli e fargli sentire le loro necessità per mezzo di qualche terza persona: ma col Re del cielo non vi vogliono terze persone, tutti, e nobili e poveri posson parlarci, stando egli nel Sagramento, da faccia a faccia. Perciò si chiama Gesù fiore de' campi: «Ego flos campi, et lilium convallium» (Cantic. 2. 1). I fiori de' giardini stan chiusi e riserbati, ma i fiori de' campi stanno esposti a tutti. «Ego flos campi», commenta Ugon Cardinale, «quia omnibus me exhibeo ad inveniendum».
          Con Gesu-Cristo dunque nel Sagramento possono parlarci tutti, e ad ogni ora del giorno. S. Pier Grisologo (parlando della nascita del Redentore nella stalla di Betlemme) dice che i re non danno sempre udienza; spesso accade che andando taluno a parlare col principe, le guardie lo licenziano con dirgli che non è tempo allora di udienza, che venga appresso. Ma il Redentore volle nascere in una spelonca aperta, senza porte e senza guardie, per dare udienza a tutti, e ad ogni ora: «Non est satelles, qui dicat non est hora». Lo stesso avviene con Gesù nel SS. Sagramento. Stanno aperte continuamente le chiese, ognuno può andare a parlare col Re del cielo sempre che vuole. E vuole Gesu-Cristo che gli parliamo ivi con tutta la nostra confidenza, perciò si è posto sotto le specie di pane. Se Gesù comparisse sugli altari in un trono di luce, come comparirà nel giudizio finale, chi di noi avrebbe l'animo di accostarsegli vicino? Ma perché il Signore, dice S. Teresa, desidera che noi gli parliamo e gli cerchiamo le grazie con confidenza e senza timore, perciò ha coverta la sua maestà colle specie di pane. Egli desidera, come dice ancora Tommaso da Kempis, che noi ci trattiamo, come tratta un amico coll'altro amico, «ut amicus ad amicum».
Quando l'anima si trattiene a piè d'un altare, par che Gesù le dica quelle parole de' Cantici: «Surge, propera, amica mea, formosa mea, et veni» (Cant. 2. 10). «Surge», alzati, anima, le dice, non temere. «Propera», accostati a me vicino; «amica mea», non mi sei più nemica, mentre m'ami e sei pentita d'avermi offeso: «formosa mea», non sei più deforme agli occhi miei, la mia grazia ti ha fatta bella; «et veni», vieni su, dimmi quel che vuoi, a posta io sto in questo altare. Qual gaudio sentiresti, lettor mio, se ti chiamasse il re nel suo gabinetto e ti dicesse: Dimmi che vuoi? che ti bisogna? io t'amo e desidero di farti bene. Questo dice il Re del cielo Gesu-Cristo a tutti coloro che lo visitano: «Venite ad me omnes qui laboratis et onerati estis, et ego reficiam vos» (Matth. 11. 28). Venite poveri, infermi, afflitti, ch'io posso e voglio arricchirvi, sanarvi e consolarvi. A questo fine io mi trattengo sugli altari. «Clamabis, et dicet: Ecce adsum» (Isa. 58. 9).

Affetti e preghiere
            Giacché dunque, amato mio Gesù, Voi vi trattenete sugli altari, per sentire le suppliche de' miserabili che a Voi ricorrono, sentite oggi la supplica che vi fo io misero peccatore. O Agnello di Dio, sagrificato e morto sulla croce, io sono un'anima redenta col vostro sangue; perdonatemi tutte l'ingiurie che v'ho fatte, e assistetemi colla vostra grazia, acciocché io non vi perda più. Fatemi parte, Gesù mio, di quel dolore, che voi aveste de' peccati miei nell'orto di Getsemani. O mio Dio, non vi avessi mai offeso! Caro mio Signore, s'io moriva in peccato, non vi potrei più amare; ma Voi per questo mi avete aspettato, acciocché io v'ami. Vi ringrazio di questo tempo che mi concedete; e giacché ora posso amarvi, io voglio amarvi. Datemi la grazia Voi del vostro santo amore: ma di un tale amore, che mi faccia scordare di tutto, per pensare solamente a compiacere il vostro amantissimo Cuore. Ah Gesù mio, voi avete consumata tutta la vostra vita per me, fate ch'io consumi almeno per Voi la vita che mi resta. Tiratemi tutto al vostro amore; fatemi tutto vostro, prima ch'io muoia. Spero tutto ai meriti della vostra passione.
            E spero ancora alla vostra intercessione, o Maria; Voi sapete ch'io v'amo, abbiate pietà di me.

 
PUNTO III
            Gesù nel Sagramento dà udienza a tutti, per far grazie a tutti. Dice S. Agostino che ha più desiderio il Signore di dispensare le sue grazie a noi che noi di riceverle: «Plus vult ille tibi benefacere, quam tu accipere concupiscas». E la ragione è, perché Dio è bontà infinita, e la bontà di sua natura è diffusiva, sì che desidera di comunicare i suoi beni a tutti. Si lamenta Iddio, quando l'anime non vengono a cercargli le grazie: «Nunquid solitudo factus sum Israeli? aut terra serotina? Quare ergo dixit populus meus, non veniemus ultra ad te?» (Ier. 2. 31). Perché (dice il Signore) non volete più venire a me? che forse mi avete ritrovato come terra sterile o tardiva, quando mi avete cercate le grazie? S. Giovanni vide il Signore col petto pieno di latte, cioè di misericordia, e cinto da una fascia d'oro, cioè dall'amore, col quale egli desidera di dispensare a noi le sue grazie. «Vidi praecinctum ad mamillas zona aurea» (Apoc. 1. 13). Gesu-Cristo sempre sta pronto a beneficarci, ma dice il Discepolo, che specialmente nel SS. Sagramento egli dispensa le grazie con più abbondanza. E 'l B. Errico Susone dicea che Gesù nel Sagramento esaudisce più volentieri le nostre preghiere.
            Siccome una madre che tiene il petto ripieno di latte, va trovando bambini che vengano a succhiare, acciocché la sgravino da quel peso, così appunto il Signore da questo Sagramento d'amore ci chiama tutti, e ci dice: «Ad ubera mea portabimini... quomodo si cui mater blandiatur, ita ego consolabor vos» (Is. 66. 13). Il P. Baltassarre Alvarez vide appunto Gesù nel SS. Sagramento colle mani piene di grazie, per donarle agli uomini; ma non trovava chi le volesse.
            O beata quell'anima, che se ne sta a piè d'un altare a domandar grazie a Gesu-Cristo! La contessa di Feria, fatta monaca di S. Chiara, se ne stava sempre che poteva avanti il SS. Sagramento, ed ivi riceveva continuamente tesori di grazie. Dimandata un giorno che facesse tante ore innanzi al Venerabile? Rispose: «Io vi starei tutta l'eternità. Che si fa innanzi al SS. Sagramento? e che cosa non si fa? che fa un povero avanti un ricco? che fa un infermo avanti un medico? che si fa? si ringrazia, si ama, si domanda». Oh quanto vagliono queste ultime parole per trattenersi con frutto avanti il SS. Sagramento.
            Si lamentò Gesu-Cristo colla mentovata serva di Dio suor Margherita Alacoque dell'ingratitudine che gli usano gli uomini in questo Sagramento d'amore, allorché fe' vederle il suo Cuore circondato di spine, con una croce di sopra, in un trono di fiamme, dandole con ciò ad intendere l'amorosa dimora ch'Egli fa nel Sagramento, e poi le disse così: Ecco quel Cuore che tanto ha amato gli uomini, e che non ha risparmiato niente: è giunto a consumarsi per dimostrar loro il suo amore. Ma io per riconoscenza non ricevo che ingratitudini dalla maggior parte, per le irriverenze e disprezzi che mi fanno in questo Sagramento d'amore. E ciò che più m'è sensibile, è che sono cuori a me consagrati». Non vanno gli uomini a trattenersi con Gesu-Cristo, perché non l'amano. Piace loro star le ore intere a parlare con un amico, e poi loro dà tedio il trattenersi una mezz'ora con Gesu-Cristo! Dirà taluno: Ma perché Gesu-Cristo non mi concede il suo amore? Ma io rispondo: Se voi non discacciate dal cuore l'amore della terra, come vuol entrarvi l'amor divino? Ah che se voi poteste veramente dire col cuore quel che dicea S. Filippo Neri a vista del SS. Sagramento: «Ecco l'amor mio, ecco l'amor mio»; non avreste voi tedio a trattenervi le ore e le giornate intere avanti il SS. Sagramento.
            Ad un'anima innamorata di Dio le ore avanti Gesù sagramentato sembrano momenti. S. Francesco Saverio tutto il giorno faticava per le anime, e nella notte poi quale era il suo riposo? era il trattenersi avanti il SS. Sagramento. S. Gio. Francesco Regis, quel gran missionario della Francia, dopo avere spesa tutta la giornata in confessare e predicare, se n'andava la notte alla chiesa, e trovandola qualche volta chiusa, restava a trattenersi fuori della porta al freddo e al vento, per corteggiare almeno così da lontano il suo amato Signore. S. Luigi Gonzaga desiderava di starsene sempre avanti il SS. Sagramento, ma perché gli era stato imposto da' superiori a non trattenervisi; passando per l'altare, e sentendosi da Gesù tirato a trattenersi, era costretto a partire per far l'ubbidienza; onde poi il santo giovine amorosamente gli dicea: «Recede a me, Domine, recede»: Signore, non mi tirate, lasciatemi partire, così vuol l'ubbidienza. Ma se tu, fratello mio, non provi questo amore a Gesu-Cristo, procura tu di visitarlo ogni giorno, ch'egli ben t'infiammerà il cuore. Ti senti freddo? accostati al fuoco, dicea S. Caterina da Siena. Ed oh beato te, se Gesù ti fa la grazia d'infiammarti del suo amore. Allora certamente che più non amerai altro che Gesù, e disprezzerai tutte le cose della terra. Dice S. Francesco di Sales: «Quando va a fuoco la casa, si buttano tutte le robe dalla finestra».

Affetti e preghiere
            Ah Gesù mio, fatevi conoscere, e fatevi amare. Voi siete così amabile; Voi non avete più che fare per farvi amare dagli uomini, e come poi tanti pochi fra gli uomini son quelli che v'amano? Ohimè che fra questi ingrati misero sono stato ancor io. Sono stato ben grato colle creature, se mi han fatto qualche dono o favore; solo con Voi che m'avete donato Voi stesso, sono stato un ingrato, sino a disgustarvi tante volte gravemente, e ad ingiuriarvi co' miei peccati. Ma vedo che Voi in vece d'abbandonarmi, seguite a venirmi appresso e a chiedere il mio amore. Sento che seguite ad intimarmi l'amoroso precetto: «Diliges Dominum Deum tuum ex toto corde tuo». Giacché dunque Voi anche da me ingrato volete esser amato, sì che vi voglio amare. Voi desiderate il mio amore, ed io al presente favorito dalla vostra grazia altro non desidero che amarvi. V'amo, mio amore, mio tutto. Aiutatemi ad amarvi, per quel sangue che avete sparso per me. Amato mio Redentore, a questo sangue io metto tutte le mie speranze, ed all'intercessione della vostra SS. Madre, le preghiere della quale volete Voi che aiutino la nostra salute.
            O Maria madre mia, pregate Gesù per me: Voi accendete nell'amor divino tutt'i vostri amanti, accendete ancor me che tanto v'amo

Thursday, 19 October 2017

"Apparecchio alla Morte" by St Alfonso Maria de Liguori (in Italian) – XXXV

CONSIDERAZIONE XXXIV - DELLA SANTA COMUNIONE
«Accipite, et comedite: hoc est Corpus meum» (Matth. 26).

PUNTO I
            Vediamo 1. il gran dono, ch'è il SS. Sagramento: 2. il grande amore, che Gesù in tal dono ci ha dimostrato: 3. il gran desiderio di Gesù che noi riceviamo questo suo dono. Consideriamo in primo luogo il gran dono che ci ha fatto Gesu-Cristo, in darci tutto se stesso in cibo nella santa Comunione. Dice S. Agostino ch'essendo Gesù un Dio onnipotente, non ha più che darci: «Cum esset omnipotens plus dare non potuit». E qual tesoro più grande, soggiunge S. Bernardino da Siena, può ricevere o desiderare un'anima, che 'l sagrosanto Corpo di Gesu-Cristo? «Quis melior thesaurus in corde hominis esse potest, quam Corpus Christi?» Gridava il profeta Isaia: «Notas facite adinventiones eius» (Is. 12). Pubblicate, o uomini, le invenzioni amorose del nostro buon Dio. E chi mai, se il nostro Redentore non ci avesse fatto questo dono, chi mai (dico) di noi avrebbe potuto domandarlo? Chi avrebbe mai avuto l'ardire di dirgli: Signore, se volete farci conoscere il vostro amore, mettetevi sotto le specie di pane, e permetteteci che possiamo cibarci di Voi? Sarebbe stata stimata pazzia anche il pensarlo. «Nonne insania videtur», dice S. Agostino, «dicere, manducate meam carnem, bibite meum sanguinem?» Quando Gesu-Cristo palesò a' discepoli questo dono del SS. Sagramento che volea lasciarci, quelli non poterono arrivare a crederlo, e si partirono da Lui, dicendo: «Quomodo potest hic carnes suas dare ad manducandum? Durus est hic sermo, et quis potest eum audire» (Io. 6. 61). Ma ciò che gli uomini non poteano mai immaginarsi, l'ha pensato e l'ha eseguito il grande amore di Gesu-Cristo.
            Dice S. Bernardino che 'l Signore ci ha lasciato questo Sagramento per memoria dell'affetto, ch'Egli ci ha dimostrato nella sua passione: «Hoc Sacramentum est memoriale suae dilectionis». E ciò è conforme a quel che ci lasciò detto Gesù stesso per S. Luca: «Hoc facite in meam commemorationem» (Luc. 22. 19). Non fu contento, soggiunge S. Bernardino, l'amore del nostro Salvatore in sagrificar la vita per noi: prima di morire fu Egli costretto da questo suo stesso amore a farci il dono più grande di quanti mai ci ha fatti, con donarci se medesimo in cibo: «In illo fervoris excessu, quando paratus erat pro nobis mori, ab excessu amoris maius opus agere coactus est, quam unquam operatus fuerat, dare nobis Corpus in cibum» (S. Bern. Sen. to. 2. Serm. 54. a. 1. c. 1). Dice Guerrico Abbate che Gesù in questo  Sagramento fe' l'ultimo sforzo d'amore: «Omnem vim amoris effudit amicis» (Serm. 5. de Ascens.). E meglio l'espresse il Concilio di Trento, dicendo che Gesù nell'Eucaristia cacciò fuori tutte le ricchezze del suo amore verso degli uomini: «Divitias sui erga homines amoris velut effudit» (Sess. 13. cap. 2).
            Qual finezza d'amore, dice S. Francesco di Sales, si stimerebbe quella, se un principe stando a mensa, mandasse ad un povero una porzione del suo piatto? Quale poi, se gli mandasse tutto il suo pranzo? quale finalmente, se gli mandasse un pezzo del suo braccio, acciocché se ne cibi? Gesù nella S. Comunione ci dona in cibo non solo una parte del suo pranzo, non solo una parte del suo corpo, ma tutto il suo corpo: «Accipite, et comedite; hoc est Corpus meum». Ed insieme col suo corpo, ci dona anche l'anima e la sua divinità. In somma (dice S. Gio. Grisostomo) dandoti Gesu-Cristo se stesso nella S. Comunione, ti dona tutto quello che ha e niente si riserva: «Totum tibi dedit, nihil sibi reliquit»; ed un altro autore scrive: «Deus in Eucharistia totum quod est et habet, dedit nobis». Ecco che quel gran Dio, che il mondo non può capire (ammira S. Bonaventura) si fa nel SS. Sagramento nostro prigioniero: «Ecce quem mundus capere non potest, captivus noster est». E se il Signore nell'Eucaristia ci dona tutto se stesso, come possiamo temer ch'Egli abbia poi a negarci alcuna grazia che gli domandiamo? «Quomodo non etiam cum illo omnia nobis donavit?» (Rom. 8. 32).

Affetti e preghiere
            O Gesù mio, e chi mai v'ha indotto a donarci Voi stesso in cibo? E che mai vi resta più da darci dopo questo dono, per obbligarci ad amarvi? Ah Signore, dateci luce e fateci conoscere, qual'eccesso è stato mai questo, di ridurvi in cibo per unirvi con noi poveri peccatori. Ma se Voi tutto a noi vi donate, è ragione che noi ancora ci doniamo tutti a Voi. O mio Redentore, e com'io ho potuto offendere Voi, che tanto mi avete amato? e che non avete avuto più che fare per guadagnarvi il mio amore? Vi siete fatt'uomo per me, siete morto per me, vi siete fatto cibo mio; ditemi che più vi restava da fare? V'amo, bontà infinita; v'amo, amore infinito. Signore, venite spesso all'anima mia, infiammatemi tutto del vostro santo amore; e fate ch'io mi scordi di tutto, per non pensare e non amare altro che Voi.
            Maria SS., pregate per me, e Voi colla vostra intercessione rendetemi degno di ricevere spesso il vostro Figlio sacramentato.

PUNTO II
            Consideriamo in secondo luogo il grande amore, che Gesu-Cristo in tal dono ci ha dimostrato. Il SS. Sagramento è un dono fatto solamente dall'amore. Fu necessario già per salvarci, secondo il decreto divino che il Redentore morisse, e col sagrificio della sua vita soddisfacesse la divina giustizia per li nostri peccati; ma che necessità vi era che Gesu-Cristo dopo esser morto si lasciasse a noi in cibo? Ma così volle l'amore. Non per altro, dice S. Lorenzo Giustiniani, Egli istituì l'Eucaristia, se non «ob suae eximiae caritatis indicium», se non per farci intendere l'immenso amor che ci porta. E questo è appunto quel che scrisse S. Giovanni: «Sciens Iesus, quia venit hora eius, ut transeat ex hoc mundo ad Patrem, cum dilexisset suos, in finem dilexit eos» (Io. 13. 1). Sapendo Gesù esser giunto già il tempo di partirsi da questa terra, volle lasciarci il segno più grande del suo amore, che fu questo dono del SS. Sagramento; ciò appunto significano quelle parole, «in finem dilexit eos», cioè «extremo amore, summe dilexit eos», così spiega Teofilatto col Grisostomo.
            E si noti quel che notò l'Apostolo che il tempo in cui volle Gesu-Cristo lasciarci questo dono, fu il tempo della sua morte. «In qua nocte tradebatur, accepit panem, et gratias agens fregit, et dixit: Accipite et manducate, hoc est Corpus meum» (1. Cor. 11). Allorché gli uomini gli apparecchiavano flagelli, spine e croce per farlo morire, allora voll'Egli l'amante Salvatore lasciarci quest'ultimo segno del suo affetto. E perché in morte, e non prima istituì questo Sagramento? Dice S. Bernardino che ciò lo fece, perché i segni d'amore che dimostransi dagli amici in morte, più facilmente restano a memoria, e si conservano più caramente: «Quae in fine in signum amicitiae celebrantur, firmius memoriae imprimuntur, et cariora tenentur». Gesu-Cristo, dice il santo, già prima in molti modi s'era a noi donato: s'era dato per compagno, per maestro, per padre, per luce, per esempio e per vittima; restava l'ultimo grado d'amore, ch'era il darsi a noi in cibo, per unirsi tutto con noi, come si unisce il cibo con chi lo prende; e questo fec'egli dandosi a noi nel SS. Sagramento: «Ultimus gradus amoris est, cum se dedit nobis in cibum, quia dedit se nobis ad omnimodam unionem, sicut cibus et cibans invicem uniuntur». Sicché non fu contento il nostro Redentore di unirsi solamente alla nostra natura umana, volle con questo Sagramento trovare il modo d'unirsi anche ad ognuno di noi in particolare.
            Dicea S. Francesco di Sales: «In niun'altra azione può considerarsi il Salvatore né più tenero, né più amoroso, che in questa, nella quale si annichila, per così dire, e si riduce in cibo per penetrare l'anime nostre, ed unirsi al cuore de' suoi fedeli». Sicché, dice S. Gio. Grisostomo, a quel Signore, a cui non ardiscono gli Angeli di fissare gli occhi, «Huic nos unimur, et facti sumus unum corpus, et una caro». Qual pastore mai (soggiunge il santo) pasce le sue pecorelle col proprio sangue? anche le madri danno i loro figli alle nutrici ad alimentarli, ma Gesù nel Sagramento ci alimenta col suo medesimo sangue e a Sé ci unisce: «Quis pastor oves proprio pascit cruore? Et quid dico pastor? Matres multae sunt, quae filios aliis tradunt nutricibus; hoc autem ipse non est passus, sed ipse nos proprio sanguine pascit» (Hom. 60). E perché farsi nostro cibo? perché (dice il santo) ardentemente ci amò, e così volle tutto unirsi e farsi una stessa cosa con noi: «Semetipsum nobis immiscuit, ut unum quid simus; ardenter enim amantium hoc est» (Hom. 61). Quindi Gesu-Cristo ha voluto fare il più grande di tutti i miracoli: «Memoriam fecit mirabilium suorum, escam dedit timentibus se» (Psal. 110), affin di soddisfare il desiderio che avea di star con noi e di unire in uno il nostro col suo SS. Cuore. «O mirabilis dilectio tua (esclama S. Lorenzo Giustiniani), Domine Iesu, qui tuo corpori taliter nos incorporari voluisti, ut tecum unum cor, et animam unam haberemus inseparabiliter colligatam!»
            Quel gran servo di Dio, il P. della Colombière, dicea così: Se qualche cosa potesse smuovere la mia fede sul mistero dell'Eucaristia, io non dubiterei della potenza, ma dell'amore più presto che Dio ci dimostra in questo Sagramento. Come il pane diventi Corpo di Gesù, come Gesù si ritrovi in più luoghi, dico che Dio può tutto. Ma se mi chiedete come Dio ami a tal segno l'uomo, che voglia farsi cibo suo? altro non so rispondere che non l'intendo, e che l'amore di Gesù non può comprendersi. Ma, Signore, un tale eccesso d'affetto di ridurvi in cibo, par che non convenisse alla vostra maestà. Ma risponde S. Bernardo che l'amore fa scordare l'amante della propria dignità: «Amor dignitatis nescius». Risponde parimente il Grisostomo che l'amore non va cercando ragion di convenienza, quando tratta di farsi conoscere all'amato; egli non va dove conviene, ma dov'è condotto dal suo desiderio: «Amor ratione caret, et vadit quo ducitur, non quo debeat» (Serm. 147). Avea ragione dunque S. Tommaso l'Angelico di chiamar questo Sagramento, Sagramento d'amore, e pegno d'amore: «Sacramentum caritatis, caritatis pignus» (Opusc. 58). E S. Bernardo di chiamarlo, «Amor amorum». E S. M. Maddalena de' Pazzi di chiamare il giorno di Giovedì santo, in cui fu istituito questo Sagramento, «il giorno dell'amore».

Affetti e preghiere
            O amore infinito di Gesù, degno d'infinito amore! Deh quando, Gesù mio, io vi amerò, come Voi avete amato me? Voi non avete più che fare, per farvi da me amare; ed io ho avuto l'animo di lasciare Voi bene infinito, per rivolgermi a' beni vili e miserabili! Deh illuminatemi, o mio Dio, scopritemi sempre più le grandezze della vostra bontà, acciocché io tutto m'innamori di Voi e mi affatichi a darvi gusto. Io v'amo, Gesù mio, mio amore, mio tutto, e voglio spesso unirmi con Voi in questo Sagramento, per distaccarmi da tutto, ed amare Voi solo, mia vita. Soccorretemi Voi, o mio Redentore, per li meriti della vostra passione.
            Aiutatemi ancora Voi, o Madre di Gesù e madre mia; pregatelo che m'infiammi tutto del suo santo amore.

PUNTO III
            Consideriamo in terzo luogo il gran desiderio di Gesu-Cristo che noi lo riceviamo nella santa Comunione: «Sciens Iesus quia venit hora eius» (Io. 13. 1). Ma come potea Gesù chiamare «ora sua» quella notte, in cui doveva darsi principio alla sua amara passione? Sì, Egli la chiama «ora sua», perché in quella notte dovea lasciarci questo divin Sagramento, per unirsi tutto coll'anime sue dilette. E questo desiderio gli fe' dire allora: «Desiderio desideravi hoc Pascha manducare vobiscum» (Luc. 22). Parole con cui volle il Redentore farc'intendere la brama, che avea di congiungersi con ognuno di noi in questo Sagramento. «Desiderio desideravi», così gli fa dire l'amore immenso ch'Egli ci porta, dice S. Lorenzo Giustiniani: «Flagrantissimae caritatis est vox haec». E volle lasciarsi sotto le specie di pane, acciocché ognuno potesse riceverlo; se si fosse posto sotto la specie di qualche cibo prezioso, i poveri non avrebbero avuta la facoltà di prenderlo; e se anche sotto le specie di altro cibo non prezioso, al meno quest'altro cibo forse non sarebbesi trovato in tutt'i luoghi della terra; ha voluto Gesù lasciarsi sotto le specie di pane, perché il pane costa poco, e si ritrova da per tutto, sicché tutti in ogni luogo posson trovarlo e riceverlo.
            Per questo gran desiderio che ha il Redentore d'esser ricevuto da noi, non solo Egli ci esorta a riceverlo con tanti inviti: «Venite, comedite panem meum, et bibite vinum quod miscui vobis» (Prov. 9. 5): «Comedite amici, et bibite, et inebriamini carissimi» (Cant. 5. 1): ma ce l'impone per precetto: «Accipite, et comedite, hoc est Corpus meum» (Matth. 26). Di più affìnché noi andiamo a riceverlo, ci alletta colla promessa della vita eterna: «Qui manducat meam carnem, habet vitam aeternam» (Io. 6. 54). «Qui manducat hunc panem, vivet in aeternum» (Ibid. 58). E se no, ci minaccia l'esclusione dal paradiso: «Nisi manducaveritis carnem Filii hominis, non habebitis vitam in vobis» (Ib. 53). Questi inviti, promesse e minacce tutte nascono dal desiderio che ha Gesu-Cristo di unirsi con noi in questo sagramento. E questo desiderio, nasce dal grande amore ch'egli ci porta, poiché (come dice S. Francesco di Sales) il fine dell'amore altro non è che unirsi all'oggetto amato; e perché in questo sagramento Gesù tutto si unisce all'anima: «Qui manducat meam carnem, et bibit meum sanguinem, in me manet, et ego in illo» (Io. 6. 35): perciò, Egli tanto desidera che noi lo riceviamo. Non si trova ape (disse un giorno il Signore a S. Metilde) che con tanto impeto d'amore si gitta sopra de' fiori per succhiarne il mele, con quanto io vengo a quest'anime che mi desiderano.
            Oh se intendessero i fedeli il gran bene che porta all'anima la Comunione! Gesù è il Signore di tutte le ricchezze, mentre il Padre l'ha fatto padrone di tutto. «Sciens Iesus, quia omnia dedit ei Pater in manus» (Io. 13. 3). Onde quando viene Gesu-Cristo in un'anima nella santa Comunione, porta Egli seco tesori immensi di grazie. «Venerunt autem mihi omnia bona pariter cum illa», dice Salomone, parlando della Sapienza eterna (Sap. 7. 11).
            Dicea S. Dionisio che il SS. Sagramento ha una somma virtù di santificare l'anima: «Eucharistia maximam vim habet perficiendae sanctitatis». E S. Vincenzo Ferrerio lasciò scritto che più profitta l'anima con una Comunione, che con una settimana di digiuni in pane ed acqua. La Comunione, come insegna il Concilio di Trento, è quel gran rimedio, che ci libera dalle colpe veniali, e ci preserva dalle mortali: «Antidotum quo a culpis quotidianis liberemur, et a mortalibus praeservemur» (Trid. Sess. 13. c. 2). Onde S. Ignazio martire chiamò il SS. Sagramento: «Pharmacum immortalitatis». Disse Innocenzo III che Gesu-Cristo colla passione ci liberò dalla pena del peccato, ma coll'Eucaristia ci libera dal peccare: «Per Crucis mysterium liberavit nos a potestate peccati, per Eucharistiae sacramentum liberat nos a potestate peccandi».
            In oltre questo Sagramento accende il divino amore. «Introduxit me Rex in cellam vinariam, ordinavit in me caritatem. Fulcite me floribus, stipate me malis, quia amore langueo» (Cant. 2). Dice S. Gregorio Nisseno che appunto la Comunione è questa cella vinaria, dove l'anima è talmente inebriata dal divino amore, che si scorda della terra e di tutto il creato; e ciò è propriamente il languire di santa carità. Diceva anche il Ven. P. Francesco Olimpio Teatino, che niuna cosa val tanto ad infiammarci d'amore verso Dio, quanto la S. Comunione.
            Iddio è amore, ed è fuoco d'amore. «Deus caritas est» (Io. 4. 8). «Ignis consumens est» (Deuter. 4. 24). E questo fuoco d'amore venne il Verbo eterno ad accendere in terra: «Ignem veni mittere in terram et quid volo nisi ut accendatur?» (Luc. 12. 49). Ed oh che belle fiamme di santo amore accende Gesù nell'anime, che con desiderio lo ricevono in questo Sagramento! S. Caterina da Siena vide un giorno in mano di un sacerdote Gesù Sagramentato, come una fornace d'amore, da cui si maravigliava poi la santa, come da tanto incendio non restassero arsi ed inceneriti tutti i cuori degli uomini. S. Rosa di Lima dicea che in comunicarsi pareale di ricevere il sole, onde mandava tali raggi dal volto, che abbagliavano la vista, ed usciva tal calore dalla bocca, che chi le porgeva a bere dopo la Comunione, sentivasi scottar la mano, come l'accostasse ad una fornace. S. Venceslao re col gir solamente visitando il SS. Sagramento, s'infiammava anch'esternamente di tanto ardore, che il suo servo che l'accompagnava, camminando sulla neve, metteva i piedi sulle pedate del santo, e così non sentiva freddo. «Carbo est Eucharistia», diceva il Grisostomo, «quae nos inflammat, ut tanquam leones ignem spirantes ab illa mensa recedamus facti diabolo terribiles». Dicea il santo che il SS. Sagramento è un fuoco che infiamma, sicché dovressimo partir dall'altare spirando tali fiamme d'amore, che il demonio non avesse più animo di tentarci.
            Ma dirà taluno: Io perciò non mi comunico spesso, perché mi vedo freddo nel divino amore. Ma costui, dice Gersone, farebbe lo stesso che taluno, il quale non volesse accostarsi al fuoco, perché si sente freddo. Quando più dunque ci sentiamo freddi, tanto più dobbiamo accostarci spesso al SS. Sagramento, sempre che abbiamo desiderio di amare Dio. «Se vi dimandano (scrive S. Francesco di Sales nella sua «Filotea», cap. 21), perché vi comunicate tanto spesso? Dite loro che due sorte di persone devono comunicarsi spesso, i perfetti e gl'imperfetti: i perfetti per conservarsi nella perfezione, e gl'imperfetti per giungere alla perfezione». E S. Bonaventura parimente dice: «Licet tepide, tamen confidens de misericordia Dei accedas. Tanto magis eget medico, quanto quis senserit se aegrotum» (De Prof. rel. c. 78). E Gesu-Cristo disse a S. Metilde: «Quando dei comunicarti, desidera tutto quello amore che mai un cuore ha avuto verso di me, ed io lo riceverò come tu vorresti che fosse un tal amore» (Appr. Blos. in Concl. An. fidel. c. 6. n. 6).

Affetti e preghiere
            O innamorato dell'anime, Gesù mio, a Voi non resta da darci maggiori prove d'amore, per dimostrarci che ci amate. E che altro vi resta da inventare, per farvi da noi amare? Deh fate, o bontà infinita, ch'io v'ami da oggi avanti con tutte le forze e con tutta la tenerezza. E chi dee amare il mio cuore con maggior tenerezza, che Voi, mio Redentore, che dopo aver data la vita per me, mi date tutto Voi stesso in questo Sagramento? Ah mio Signore, mi ricordass'io sempre del vostro amore, per dimenticarmi di tutto e amar solo Voi, senza intervallo, senza riserva! V'amo, Gesù mio, sopra ogni cosa, e solo Voi voglio amare. Discacciate vi prego dal mio cuore tutti gli affetti, che non sono per Voi. Vi ringrazio che mi date tempo d'amarvi e di piangere i disgusti che vi ho dati. Gesù mio, io desidero che Voi siate l'unico oggetto di tutti gli affetti miei. Soccorretemi Voi e salvatemi; e la salute mia sia l'amarvi con tutt'il cuore, e sempre, in questa e nell'altra vita.
            Madre mia, insegnatemi ad amare Gesù, pregatelo per me.

Thursday, 12 October 2017

"Apparecchio alla Morte" by St Alfonso Maria de Liguori (in Italian) – XXXIV

CONSIDERAZIONE XXXIII - DELL'AMORE DI DIO
«Nos ergo diligamus Deum, quoniam Deus prior dilexit nos» (Io. 4. 19).

PUNTO I
            Considera primieramente che Iddio merita esser amato da te, perché ti ha amato prima che tu l'amassi; ed Egli è stato fra tutti il primo ad amarti. «In caritate perpetua dilexi te» (Ier. 31. 3). I primi ad amarti in questa terra sono stati i tuoi genitori, ma essi non ti hanno amato se non dopo che ti han conosciuto. Ma prima che tu avessi l'essere, Dio già ti amava. Non era ancora in questo mondo né tuo padre, né tua madre, e Dio già t'amava; anzi non era ancora creato il mondo, e Dio t'amava; e quanto tempo prima di crearsi il mondo t'amava Dio? forse mille anni, mille secoli prima? non occorre di numerare anni e secoli, sappi che Dio ti ha amato sin dall'eternità. «In caritate perpetua dilexi te, ideo attraxi te miserans tui» (ibid.). In somma Iddio da che è stato Dio, sempre t'ha amato; da che ha amato se stesso, ha amato ancora te. Avea ragione dunque quella santa verginella S. Agnese di dire: «Ab alio amatore praeventa sum». Allorché il mondo e le creature le richiedeano il suo amore, ella rispondea: No, mondo, creature, io non vi posso amare; il mio Dio è stato il primo ad amarmi; è giusto dunque ch'io solo a Dio consacri tutto il mio amore.
            Sicché, fratello mio, da una eternità ti ha amato il tuo Dio, e solo per amore ti ha estratto dal numero di tanti uomini che potea creare, ed ha dato a te l'essere e ti ha posto nel mondo. Per amor tuo ancora ha fatte tante altre belle creature, acciocché ti servissero e ti ricordassero l'amore, ch'Egli t'ha portato e che tu gli dei. «Coelum et terra», dicea S. Agostino, «et omnia mihi dicunt, ut amem te». Quand'il santo guardava il sole, la luna, le stelle, i monti, i fiumi, gli parea che tutti gli parlassero e gli dicessero: Agostino, ama Dio, perché egli ha creato noi per te, affinché tu l'amassi. L'Abbate Ransé fondatore della Trappa, quando mirava le colline, i fonti, i fiori, dicea che tutte queste creature gli ricordavano l'amore, che Dio gli avea portato. S. Teresa parimenti dicea che le creature le rinfacciavano la sua ingratitudine verso Dio. S. Maria Maddalena de' Pazzi quando teneva in mano qualche bel fiore o frutto, si sentiva da quello ferire come da una saetta il cuore d'amore verso Dio, dicendo tra sé: Dunque il mio Dio ha pensato da un'eternità a crear questo fiore, questo frutto, acciocché io l'amassi!
            Di più considera l'amore speciale, che Dio ti ha portato, in farti nascere in paese cristiano e in grembo della vera Chiesa. Quanti nascono tra gl'idolatri, tra' Giudei, tra' Maomettani, o tra gli eretici, i quali tutti si perdono! Pochi sono quelli che tra gli uomini hanno la sorte di nascere, dove regna la vera fede; e tra questi pochi il Signore ha eletto te. Oh che dono immenso è questo dono della Fede! Quanti milioni di persone sono prive de' sagramenti, di prediche, degli esempi de' buoni compagni, e di tutti gli altri aiuti che vi sono nella nostra vera Chiesa per salvarsi! E Dio ha voluto concedere a te tutti questi grandi aiuti senza alcuno tuo merito, anzi prevedendo i tuoi demeriti; mentre allorché egli pensava a crearti ed a farti queste grazie, già prevedea l'ingiurie che tu gli avevi da fare.

Affetti e preghiere
            O sovrano Signore del cielo e della terra, infinito bene, infinita maestà, voi che tanto avete amato gli uomini, come poi siete così disprezzato dagli uomini? Ma tra questi uomini Voi, mio Dio, particolarmente avete amato me, favorendomi con grazie così speciali, che non avete concedute a tanti; ed io vi ho disprezzato più degli altri. Mi butto a' vostri piedi, o Gesù mio Salvatore, «ne proiicias me a facie tua». Meriterei che mi discacciaste, per l'ingratitudini che v'ho usate; ma Voi avete detto che non sapete discacciare un cuore pentito che a Voi ritorna: «Eum, qui venit ad me, non eiiciam foras» (Io. 6. 37). Gesù mio, mi pento di avervi offeso. Per lo passato vi ho sconosciuto, ora vi riconosco per mio Signore e mio Redentore, che siete morto per salvarmi e per essere amato da me. Quando finirò, Gesù mio, d'esservi ingrato? quando comincerò ad amarvi da vero? Ecco oggi risolvo di amarvi con tutto il cuore, e di non amare altro che Voi. O bontà infinita, io vi adoro per tutti coloro, che non vi adorano, e v'amo per tutti coloro che non v'amano. In Voi credo, in Voi spero, Voi amo, a Voi tutto mi offerisco; aiutatemi colla vostra grazia. Voi già sapete la mia debolezza. Ma se Voi mi avete così favorito, quando io non vi amava, né desiderava d'amarvi, quanto più debbo sperare nella vostra misericordia, ora che v'amo, né altro desidero che amarvi? Signor mio, datemi il vostro amore, ma un amore fervente, che mi faccia scordare di tutte le creature; un amore forte, che mi faccia superare tutte le difficoltà per darvi gusto: un amore perpetuo, che non si sciolga più tra me e Voi. Tutto spero a' meriti vostri, o Gesù mio; e tutto spero alla vostra intercessione, o Madre mia Maria.

PUNTO II
            Ma non solamente Iddio ci ha donate tante belle creature, Egli non si è chiamato contento, se non giungeva a donarci anche se stesso. «Dilexit nos, et tradidit semetipsum pro nobis» (Gal. 2. 20). Il peccato maledetto aveaci fatta perdere la divina grazia e 'l paradiso, e ci avea renduti schiavi dell'inferno; ma il Figlio di Dio facendo stupire il cielo e la natura, volle venire in terra a farsi uomo per riscattarci dalla morte eterna e farci ottenere la grazia e 'l paradiso perduto. Che maraviglia sarebbe vedere un monarca fatto verme per amore de' vermi? ma infinitamente maggiore dee essere in noi la maraviglia di vedere un Dio fatto uomo per amore degli uomini. «Exinanivit semetipsum, formam servi accipiens, et habitu inventus ut homo» (Phil. 2. 7). Un Dio vestito di carne! «Et Verbum caro factum est» (Io. 1. 14). Ma cresce la maraviglia in vedere quel che poi ha fatto e patito per nostro amore questo Figlio di Dio. Bastava per redimerci una sola goccia del suo sangue, una lagrima, una semplice sua preghiera, poiché questa preghiera essendo d'una persona divina, era d'infinito valore, ond'era sufficiente a salvare tutto il mondo ed infiniti mondi. Ma no, dice il Grisostomo, quel che bastava a redimerci, non bastava all'amore immenso, che questo Dio ci portava: «Quod sufficiebat redemtioni, non sufficiebat amori».
            Egli non solo volea salvarci, ma perché ci amava assai, voleva ancora essere amato assai da noi; e perciò volle scegliersi una vita tutta colma di pene, e di disprezzi, ed una morte la più amara fra tutte le morti, per farc'intendere l'amore infinito, del quale ardeva verso di noi. «Humiliavit semetipsum, factus obediens usque ad mortem, mortem autem crucis» (Phil. 2. 8). Oh eccesso dell'amore divino, che tutti gli uomini e tutti gli angeli non arriveranno mai a comprenderlo! Dico «eccesso», perché tale fu chiamato appunto da Mosè e da Elia sul Taborre, parlando essi della passione di Gesu-Cristo: «Dicebant excessum quem completurus erat in Ierusalem» (Luca 9. 31). «Excessus doloris, excessus amoris», dice S. Bonaventura. Se 'l Redentore non fosse stato Dio, ma un semplice nostro amico e parente, qual maggior segno d'affetto avrebbe potuto dimostrarci che di morire per noi? «Maiorem hac dilectionem nemo habet, ut animam suam ponat quis pro amicis suis» (Io. 15. 13). Se Gesu-Cristo avesse avuto a salvare il suo medesimo Padre, che più avrebbe potuto fare per suo amore? Se, fratello mio, tu fossi stato Dio e 'l creatore di Gesu-Cristo, che altro avrebbe potuto egli fare per te, che sagrificar la vita in mezzo ad un mare di disprezzi e di dolori? Se il più vile uomo della terra avesse fatto per voi quel che ha fatto Gesu-Cristo, potreste vivere senz'amarlo?
            Ma che dite? Credete voi all'incarnazione ed alla morte di Gesu-Cristo? Lo credete e non l'amate? e potete pensare ad amare altra cosa fuori di Gesu-Cristo? Forse dubitate, se egli v'ami? Egli, dice S. Agostino, a questo fine è venuto in terra a patire e morire per voi, per farvi sapere l'immenso amore che vi porta: «Propterea Christus advenit, ut cognosceret homo quantum eum diligat Deus». Prima dell'incarnazione potea dubitare l'uomo, se Dio l'amasse con tenerezza, ma dopo l'incarnazione e la morte di Gesu-Cristo, come può più dubitarne? E qual maggior tenerezza poteva egli dimostrarvi del suo affetto, che in sagrificar per voi la sua vita divina? Abbiam fatto l'orecchio a sentir nominare creazione, redenzione, un Dio in una mangiatoia, un Dio su d'una croce. Oh santa fede, illuminateci voi.

Affetti e preghiere
            O Gesù mio, vedo che Voi non avete avuto più che fare per mettermi in necessità d'amarvi; vedo ch'io ho procurato colla mia ingratitudine di mettervi in obbligo di abbandonarmi. Sia sempre benedetta la vostra pazienza, che tanto mi ha sopportato. Io meriterei un inferno a posta per me, ma la morte vostra mi dà confidenza. Deh fatemi ben conoscere il merito che avete Voi, o immenso bene, d'essere amato, e l'obbligo che ho io d'amarvi. Io già sapeva che Voi, Gesù mio, siete morto per me, e poi come ho potuto, oh Dio, vivere per tanti anni scordato di Voi? Oh tornassi a vivere da principio gli anni che ho vivuti, vorrei, Signore mio, darli tutti a Voi. Ma gli anni non ritornano, deh fate che almeno questa vita che mi resta io la spenda tutta in amarvi e darvi gusto. Caro mio Redentore, io v'amo con tutto il cuore, deh accrescete Voi in me quest'amore; ricordatemi sempre quel che avete fatto per me e non permettete ch'io viva a Voi più ingrato. No, non voglio più resistere a' lumi che mi avete dati. Voi volete essere amato da me, ed io vi voglio amare. E chi voglio amare se non amo un Dio, ch'è infinita bellezza, infinita bontà? un Dio ch'è morto per me? un Dio che con tanta pazienza m'ha sofferto, ed invece di castigarmi come io meritava, ha mutati i castighi in grazie e favori? Sì, che v'amo, o Dio degno d'infinito amore, ed altro non sospiro né cerco, che di vivere tutto occupato in amarvi, e scordato di tutto ciò che non siete Voi. O carità infinita del mio Signore, soccorrete voi un'anima che anela d'esser tutta vostra.
             Soccorretemi Voi, o gran Madre di Dio Maria, colla vostra intercessione; pregate Gesù che mi faccia tutto suo.

PUNTO III
            Cresce la maraviglia in vedere poi il desiderio, che avea Gesu-Cristo di patire e di morire per noi. «Baptismo autem habeo baptizari (così Egli andava dicendo, mentre viveva), et quomodo coarctor usquedum perficiatur» (Lucae 12. 50). Io debbo essere battezzato col battesimo del mio medesimo sangue, e mi sento morire di desiderio che venga presto la mia passione e morte, acciocché così l'uomo presto conosca l'amore ch'io gli porto. Ciò fu ancora che gli fe' dire nella notte precedente alla sua passione: «Desiderio desideravi hoc pascha manducare vobiscum» (Lucae 22. 15). Dunque, dice S. Basilio di Seleucia, par che il nostro Dio non possa saziarsi di amare gli uomini: «Hominum amore nequit expleri Deus» (S. Bas. cap. 416).
            Ah Gesù mio, gli uomini non v'amano, perché non pensano all'amore che voi avete loro portato. Oh Dio, un'anima che considera un Dio morto per suo amore e con tanto desiderio di morire per dimostrarle l'affetto che le portava, com'è possibile che possa vivere senz'amarlo? «Caritas Christi urget nos» (2. Cor. 5. 14). Dice S. Paolo che non tanto quel che ha fatto ed ha patito Gesu-Cristo, ma l'amore che ci ha dimostrato nel patire per noi, ci obbliga e quasi ci fa forza ad amarlo. Ciò considerando S. Lorenzo Giustiniani esclamava: «Vidimus sapientem prae nimietate amoris infatuatum!» Abbiam veduto un Dio, che per noi quasi è impazzito per lo troppo amore che ci porta. E chi mai potrebbe credere, se la fede non ce ne assicurasse, che il Creatore abbia voluto morire per le sue creature? S. Maria Maddalena de' Pazzi in un'estasi ch'ebbe, portando tra le mani un'immagine del Crocifisso, così appunto chiamava Gesu-Cristo: Pazzo d'amore. «Sì, Gesù mio, (diceva) che tu sei pazzo d'amore». E questo appunto ancora diceano i gentili, quando loro si predicava la morte di Gesu-Cristo, la stimavano una pazzia da non potersi mai credere: così attesta l'Apostolo: «Praedicamus Christum crucifixum, Iudaeis quidem scandalum, gentibus autem stultitiam» (1. Cor. 1. 23). E come mai, essi diceano, un Dio felicissimo in se stesso, che di niuno ha bisogno, ha potuto scendere in terra, farsi uomo e morire per amore degli uomini sue creature? Ciò sarebbe lo stesso che credere un Dio divenuto pazzo per amore degli uomini. Ma pure è di fede che Gesu-Cristo vero Figlio di Dio per amore di noi si è dato alla morte: «Dilexit nos et tradidit semetipsum pro nobis» (Eph. 5. 2).
            E perché l'ha fatto? l'ha fatto, acciocché noi vivessimo non più al mondo, ma solamente a quel Signore che ha voluto per noi morire. «Pro omnibus mortuus est Christus, ut et qui vivunt, iam non sibi vivant, sed ei qui pro ipsis mortuus est» (2. Cor. 5. 15). L'ha fatto, acciocché coll'amore che ci ha dimostrato, Egli si guadagnasse tutti gli affetti de' nostri cuori. «In hoc Christus mortuus est, et resurrexit, ut mortuorum et vivorum dominetur» (Rom. 14. 9). Quindi i santi, considerando la morte di Gesu-Cristo, hanno stimato far poco in dar la vita e tutto per amore d'un Dio così amante. Quanti nobili, quanti principi hanno lasciato i parenti, le ricchezze, le patrie ed anche i regni, per chiudersi in un chiostro a vivere al solo amore di Gesu-Cristo! Quanti martiri gli han sagrificata la vita! Quante verginelle, rinunziando alle nozze de' grandi, se ne sono andate giubilando alla morte, per render così qualche ricompensa all'affetto d'un Dio morto per loro amore! E voi, fratello mio, che avete fatto sinora per amore di Gesu-Cristo? Egli siccome è morto per li santi, per S. Lorenzo, per S. Lucia, per S. Agnese, così è morto ancora per voi. Almeno che pensate di fare nella vita che vi resta, e che Dio vi concede a fine che l'amiate? Da oggi avanti rimirate spesso l'immagine del Crocifisso, e guardandola ricordatevi dell'amore ch'egli vi ha portato, e dite fra voi: Dunque Voi, mio Dio, siete morto per me? Fate almen questo (dico), e fatelo spesso, che facendo così, non potrete far di meno di sentirvi dolcemente costretto ad amare un Dio che vi ha tanto amato.

Affetti e preghiere
            Ah mio caro Redentore, è vero; perciò non v'ho amato, perché non ho pensato all'amore che mi avete portato. Ah Gesù mio, vi sono stato troppo ingrato; Voi avete data la vita per me con una morte la più amara di tutte le morti, ed io ho potuto esservi così sconoscente, che neppure ho voluto pensarvi? Perdonatemi; io vi prometto che da ogg'innanzi, amor mio crocifisso, Voi sarete l'unico oggetto de' miei pensieri e di tutti gli affetti miei. Deh, quando il demonio o il mondo mi presenta qualche pomo vietato, ricordatemi Voi, amato mio Salvatore, le pene che avete sofferte per amor mio, acciocché io6 v'ami e non vi offenda più. Ah che se un servo mio avesse fatto per me quel che avete fatto Voi, non avrei animo di disgustarlo. Ed io ho avuto l'animo tante volte di voltare le spalle a Voi, che siete morto per me. O belle fiamme d'amore, voi che obbligaste un Dio a dare per me la vita, venite, infiammate, riempite tutto il mio cuore e distruggete tutti gli affetti miei alle cose create. Ah mio amato Redentore, com'è possibile che chi vi considera o nella mangiatoia di Betlemme, o sulla croce nel Calvario, o nel Sagramento sugli altari, non s'innamori di Voi? Gesù mio, io v'amo con tutta l'anima mia. Negli anni che mi restano di vita, Voi sarete l'unico mio bene, l'unico mio amore. Mi bastano gli anni infelici che miseramente ho vivuti scordato della vostra passione e del vostro affetto. Io tutto a Voi mi dono, e se non so donarmi come debbo, prendetemi Voi, e Voi regnate di tutto il mio cuore. «Adveniat regnum tuum». Non di altri egli sia servo che del vostro amore; d'altro non parli, d'altro non tratti, ad altro non pensi, altro non sospiri che amarvi, e darvi gusto. Assistetemi Voi sempre colla vostra grazia, acciocché io vi sia fedele. Ai vostri meriti io confido, o Gesù mio.
            O Madre del bell'amore, fatemi amare assai questo vostro Figlio, ch'è così amabile e che mi ha tanto amato.