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Saturday, 18 December 2021

"Animarum Studio" by Pope Pius XII (translated into Italian)

Martedì, 16 dicembre 1947

 

Il Pontefice concede ai sacerdoti la facoltà di confessare durante i viaggi aerei, come già previsto in passato per i viaggi marittimi.

Poiché diversi Ordinari territoriali hanno fatto presente a questa Sede Apostolica che quanto stabilito dal can. 883 C.I.C. sulla facoltà concessa ai sacerdoti di ascoltare le confessioni di coloro che viaggiano per mare possa essere opportunamente esteso anche per i viaggi aerei, Noi, spinti dall’amore per le anime, ben sapendo che attualmente i viaggi di questo tipo diventano ogni giorno più frequenti, e volendo che ai seguaci di Cristo non manchi l’opportunità che, nata dalla lodevole attenzione degli Ordinari, genera santificazione delle anime, con grande Nostro piacere abbracciamo questa proposta e motu proprio, con piena consapevolezza e matura riflessione, nella pienezza del potere Apostolico decidiamo e deliberiamo che tutto quanto previsto dal canone 883 C.I.C. relativo alla facoltà dei sacerdoti che effettuano viaggi marittimi di ricevere le confessioni, sia valido e venga esteso — con le stesse clausole — anche ai sacerdoti che viaggiano in aereo.

Disponiamo che ciò che motu proprio abbiamo decretato con questa Nostra Lettera Apostolica rimanga valido in perpetuo, nonostante qualsiasi opposizione.

Inoltre ordiniamo che esso abbia vigore dal momento in cui questa Nostra Lettera Apostolica verrà pubblicata nel Commentario Ufficiale intitolato Acta Apostolicae Sedis.

 

Dato a Roma, presso San Pietro, il 16 dicembre 1947, anno nono del Nostro Pontificato.

Wednesday, 21 July 2021

"Norunt Profecto" by Pope Pius XII (translated into Italian)

 È noto a tutti che da quando una nuova e terribile guerra ha cominciato a sconvolgere l’Europa, Noi non abbiamo tralasciato nulla di tutto ciò che il senso di responsabilità inerente all’ufficio da Dio a Noi affidato C’imponeva e che il Nostro amore paterno verso tutti i popoli Ci suggeriva; e ciò non soltanto perché con ordine più equo e conforme a giustizia si ristabilisse la concordia miseramente ora spezzata fra tante genti, ma anche perché i conforti divini e gli aiuti umani affluissero, per quanto possibile, a tutti coloro, a cui la furia del conflitto bellico aveva arrecato danni e dolori.

Ma poiché l’immane lotta, anziché diminuire, perdura più violenta, e la Nostra voce, mediatrice di pace, è come soffocata dallo strepito delle armi, rivolgiamo l’animo trepido, ma tuttavia fiducioso, al «Padre delle misericordie e al Dio di ogni consolazione »(1), e imploriamo al genere umano tempi più sereni da Colui che piega le volontà degli uomini e col cenno suo divino dirige il corso degli avvenimenti.

Ben sappiamo però che le Nostre preghiere saranno più efficaci se ad esse si congiungeranno, in perfetta fusione di anime, quelle dei Nostri figli. Come pertanto all’appressarsi dello scorso mese di maggio, abbiamo invitato tutti i fedeli, e in modo speciale i fanciulli, all’altare della Vergine Madre di Dio, per implorare i celesti aiuti(2), così adesso ordiniamo che in tutto il mondo, il 24 del prossimo novembre, si elevino con Noi a Dio pubbliche preghiere. E nutriamo fiducia che tutti i figli della Chiesa con animo volenteroso asseconderanno i Nostri desideri, in modo da formare un immenso coro di oranti, il quale, salendo in alto e penetrando i cieli, Ci propizi il favore e la misericordia di Dio. Speriamo altresì — cosa questa di più grave importanza — che la crociata di preghiere sia accompagnata da opere di penitenza e dal miglioramento spirituale della vita di ciascuno, resa più conforme alla legge di Cristo. Esigono ciò le presenti angustie e le prospettive dei pericoli che può portare il domani; esigono ciò la divina giustizia e la divina misericordia che dobbiamo conciliarci.

Ma poiché nulla è più atto a placare e propiziare la divina Maestà che il santo Sacrificio Eucaristico, per mezzo del quale lo stesso Redentore del genere umano « in ogni luogo si sacrifica e si offre oblazione pura »(3), desideriamo che nel medesimo giorno, nel quale si svolgeranno queste sacre funzioni, tutti i ministri dell’altare, nella pia celebrazione della santa Messa, si uniscano spiritualmente a Noi, che offriremo il divin Sacrificio sulla tomba del Principe degli Apostoli, nella Basilica Vaticana. Perciò con Motu Proprio, in virtù della Nostra Apostolica autorità, stabiliamo che il giorno 24 del prossimo mese di novembre, tutti coloro che sono tenuti ad applicare la Messa per il popolo loro affidato, la applichino secondo la Nostra intenzione. Vogliamo inoltre che anche tutti gli altri sacerdoti, sia del clero secolare come del regolare, sappiano che Ci faranno cosa molto grata se, quella Domenica, immolando l’Ostia divina, si uniformeranno alla Nostra intenzione. E la Nostra intenzione è questa: che per il valore infinito di tanti Sacrifici Eucaristici, che quel giorno si offriranno all’Eterno Padre in ogni momento e in ogni parte del mondo, s’impetri l’eterno riposo a tutti coloro che sono morti per causa della guerra; che si ottengano i celesti conforti della grazia agli esuli, ai profughi, ai dispersi, ai prigionieri, a tutti coloro, insomma, che soffrono e piangono per le calamità del presente conflitto; che, finalmente, ristabilito, nella giustizia, l’ordine, e placati gli animi sotto l’influsso della cristiana carità, una vera pace congiunga e affratelli tutti i popoli dell’umana famiglia, ridonando ad essi la tranquillità e la prosperità.

 

Dato a Roma, presso San Pietro, il giorno 27 ottobre, nella festa di Gesù Cristo Re, l’anno 1940, secondo del Nostro Pontificato.

 

1 Cf. II Cor., I, 3.

2 Cf. Lettera all’Em.mo Cardinale L. Maglione (A.A.S., 1940, p. 144).

3 Mal., I, 11.

Wednesday, 7 April 2021

"Primo Feliciter" by Pope Pius XII (in English)

 1. The first anniversary of Provida Mater Ecclesia has come and gone, and it has been a year of blessings. As we look around upon the Catholic scene we now see a multitude of souls "hid with Christ in God"[1] stretching out towards sanctity in the midst of the world, their whole lives joyfully consecrated to God, with "great heart and willing mind"[2] in the new Secular Institutes. We cannot but give thanks to the Divine Goodness for this new host which has come to increase the army of those who profess the evangelical counsels in the world; and also for this great help which in these sad and disturbed times has most providentially strengthened the Catholic apostolate.

2. The Holy Spirit who unceasingly remakes and renews[3] the face of the earth, daily disfigured and blasted by all manner of atrocious evil, by special grace has called a multitude of our sons and daughters - his blessing be upon them! - to the serried ranks of the Secular Institutes, to make of them in this nonsensical shadow-world to which they do not belong[4] but in which, by God's wise ordering, they must live, a salt, a seasoning, kept salt by the vocation given, unfailing,[5] a light which shines out and is not overcome in the darkness of the world,[6] and the little yeast, always and everywhere at work, kneaded into every kind of society, from the humblest to the highest, to permeate each and all by word, example and in every way, until it forms and shapes the whole of it, making of it a new paste in Christ .[7]

3. It is our desire and intention that these Institutes, so many of them, sprung up all over the world to our great comfort through the outpouring of the Spirit of Jesus Christ,[8] be directed effectively according to the norms of Provida Mater Ecclesia and thus fulfill abundantly the promise that is in them of a great harvest of sanctity, and that they be prudently marshaled and wisely deployed to fight the battles of the Lord[9] in the field of common apostolic endeavor and in those which they find for themselves. With this in mind we confirm with great joy and after mature reflection the Apostolic Constitution Provida Mater Ecclesia, and hereby enact the following canonical provisions.

4. I. There is no longer any acceptable reason for Societies, cleric or lay, professing Christian perfection in the world, and clearly and fully conforming to the features and requirements prescribed in Provida Mater Ecclesia for a Secular Institute to be left, or remain on a purely personal option in the canonical status of ordinary Associations of the Faithful (canons 684-725). They are now to be given the form and status of Secular Institutes, as being most suitable for their nature and needs.

5. II. The transference of an Association of the Faithful to the higher canonical status of a Secular Institute must not obscure, even in special cases, the proper and specific character of the Institutes, namely, that they are secular and that this is the real nature of their calling.

Everything about them must be clearly secular. There will be no paring down of the full profession of the Christian perfection, solidly founded on the evangelical counsels and essentially the same as that of Religious, but perfection is to be lived and professed in the world, therefore adapted to secular life, all along the line, i.e. in all things that are lawful and compatible with the duties and apostolate of such a life of perfection.

6. The whole life of a member of a Secular Institute, sacred to God by the profession of perfection, must become an apostolate so continuous and holy, with such sincerity of mind, interior union with God, generous self forgetfulness and courageous self-denial, such love of souls, as to nourish, unceasingly renew and outwardly express the spiritual reality within. This apostolate of one's whole life is so deeply and sincerely experienced in the Secular Institutes as to give the impression that, with the help and guiding wisdom of Divine Providence, the thirst for souls and zeal for their salvation have not only happily given occasion for a consecration of life but have largely imposed their own way and form upon it and, in a way which could not have been predicted, to have created and met a need which is not confined to a specific apostolate but is a new general way of consecrated life. Not only is this apostolate something that happens in the world, but it may almost be said to grow out of the world: its existence is in professions, activities, forms, places, circumstances of a secular nature, and so it must remain.

7. III. Secular Institutes do not come under the canonical discipline of Religious. As a general rule Provida Mater Ecclesia neither requires nor allows the application to Secular Institutes of legislation made for Religious. But some features of Religious life may be compatible with the secular nature of Institutes, are no impediment to the total commitment of life and are in keeping with the provisions of Provida Mater Ecclesia: these may be retained.

8. IV. Secular Institutes may have inter-diocesan and international structure and organization (art. IX) and this certainly should make for an increase of vital energy, survival value and effectiveness. But in this connection a number of things have to be taken into account, e.g. the aim and purpose of a given Institute, the degree of expansion intended, the Institute's actual stage of development and maturity, its condition and circumstances and so forth. A federal basis is also a possibility not to be ruled out or under-estimated, implying retention and reasonable encouragement of local characteristics, national, regional, diocesan, provided that these are sound and retain a true sense of the catholicity of the Church.

9. V. Secular Institute life is a life totally consecrated to God and souls, in the world, with the approval of the Church. Its structure extends already in various degrees beyond the bounds of diocese or nation. These features more than justify the classification given to Secular Institutes in Provida Mater Ecclesia as states of perfection canonically recognized and structured by the Church itself and their assignment to the competence and responsibility of the Sacred Congregation which has care and government of public states of perfection. Therefore, saving always, according to the tenor of the canons and express requirements of Provida Mater Ecclesia (Art. IV, 1 and 2), the rights of the Sacred Congregation of the Council in what concerns pious sodalities and pious unions of the faithful (c. 250 § 2) and of the Congregation for the Propagation of the Faith in what concerns societies of ecclesiastics at the seminaries for foreign missions, all societies wherever they may be - including those which have ordinary or pontifical approval, - as soon as it is clear that they have the features and requirements proper to Secular Institutes, are to be put into this new form, according to the above mentioned norms (cf no. I); and, to preserve unity of direction, they become at the level of universal government the exclusive responsibility and concern of the Sacred Congregation of Religious in which a special Section has been created for this purpose.

10. VI. To Moderators and assistants of Catholic Action and of other associations of the faithful, in which so many excellent young people are learning to lead a thoroughly Christian life and to be apostles, we commend those who feel that God is calling them further, either to Religious life in an Order or Congregation, or to a Society of common life, or, to a Secular Institute. Such holy vocations are to be generally assisted. These providential Secular Institutes are also to be given a helping hand in this way, and their collaboration, where compatible with the rules of existing associations is to be sought and welcomed.

11 . All the provisions and decisions herein contained are the executive responsibility of the respective authorities, i.e. the Sacred Congregation of Religious, the other Congregations here referred to, Local Ordinaries, Directors of Societies.

 

Rome, at St. Peter's, 12th March 1948, the beginning of the tenth year of Our Pontificate.

 

 

 

[1] Col III, 3.

[2] II Macc. 1-3.

[3] Psalm C III, 30.

[4] Jn XV, 19.

[5] Mt V, 13; Mk IX, 49; Lk XIV, 34.

[6] Jn IX, 5; I, 5; VIII, 12; Eph V, 8.

[7] Mt XIII, 33;1 Cor V,6; Ca V,9.

[8] Rom VIII, 9.

[9] Cant. VI, 3.

 

 

Wednesday, 30 January 2019

“Tra le Sollicitude” by Pope Pius X (translated into Portuguese by unknown writer)


MOTU PROPRIO
“TRA LE SOLLICITUDE”
DO SUMO PONTÍFICE PIO X
SOBRE A MÚSICA SACRA


INTRODUÇÃO - Entre os cuidados do ofício pastoral, não somente desta Suprema Cátedra, que por imperscrutável disposição da Providência, ainda que indigno, ocupamos, mas também de todas as Igrejas particulares, é, sem dúvida, um dos principais o de manter e promover o decoro da Casa de Deus, onde se celebram os augustos mistérios da religião e o povo cristão se reúne, para receber a graça dos Sacramentos, assistir ao Santo Sacrifício do altar, adorar o augustíssimo Sacramento do Corpo do Senhor e unir-se à oração comum da Igreja na celebração pública e solene dos ofícios litúrgicos.
                Nada, pois, deve suceder no templo que perturbe ou, sequer, diminua a piedade e a devoção das fiéis, nada que dê justificado motivo de desgosto ou de escândalo, nada, sobretudo, que diretamente ofenda o decoro e a santidade das sacras funções e seja por isso indigno da Casa de Oração e da majestade de Deus.
                Não nos ocupamos de cada um dos abusos que nesta matéria podem ocorrer. A nossa atenção dirige-se hoje para um dos mais comuns, dos mais difíceis de desarraigar e que às vezes se deve deplorar em lugares onde tudo o mais é digno de máximo encômio para beleza e suntuosidade do templo, esplendor e perfeita ordem das cerimônias, freqüência do clero, gravidade e piedade dos ministros do altar. Tal é o abuso em matéria de canto e Música Sacra. E de fato, quer pela natureza desta arte de si flutuante e variável, quer pela sucessiva alteração do gosto e dos hábitos no correr dos tempos, quer pelo funesto influxo que sobre a arte sacra exerce a arte profana e teatral, quer pelo prazer que a música diretamente produz e que nem sempre é fácil conter nos justos limites, quer, finalmente, pelos muitos preconceitos, que em tal assunto facilmente se insinuam e depois tenazmente se mantêm, ainda entre pessoas autorizadas e piedosas, há uma tendência contínua para desviar da reta norma, estabelecida em vista do fim para que a arte se admitiu ao serviço do culto, e expressa nos cânones eclesiásticos, nas ordenações dos Concílios gerais e provinciais, nas prescrições várias vezes emanadas das Sagradas Congregações Romanas e dos Sumos Pontífices Nossos Predecessores.
                Com verdadeira satisfação da alma nos apraz recordar o muito bem que nesta parte se tem feito nos últimos decênios, também nesta nossa augusta cidade de Roma e em muitas Igrejas da Nossa pátria, mas em modo muito particular em algumas nações, onde homens egrégios e zelosos do culto de Deus, com aprovação desta Santa Sé e dos Bispos, se uniram em florescentes sociedades e reconduziram ao seu lugar de honra a Música Sacra em quase todas as suas Igrejas e Capelas. Este progresso está todavia ainda muito longe de ser comum a todos; e se consultarmos a nossa experiência pessoal e tivermos em conta as reiteradas queixas, que de todas as partes Nos chegaram neste pouco tempo decorrido, desde que aprouve ao Senhor elevar a Nossa humilde Pessoa à suprema culminância do Pontificado Romano, sem protrairmos por mais tempo, cremos que é nosso primeiro dever levantar a voz para reprovação e condenação de tudo que nas funções do culto e nos ofícios eclesiásticos se reconhece desconforme com a reta norma indicada.
                Sendo de fato nosso vivíssimo desejo que o espírito cristão refloresça em tudo e se mantenha em todos os fiéis, é necessário prover antes de mais nada à santidade e dignidade do templo, onde os fiéis se reúnem precisamente para haurirem esse espírito da sua primária e indispensável fonte: a participação ativa nos sacrossantos mistérios e na oração pública e solene da Igreja. E debalde se espera que para isso desça sobre nós copiosa a bênção do Céu, quando o nosso obséquio ao Altíssimo, em vez de ascender em odor de suavidade, vai pelo contrário repor nas mãos do Senhor os flagelos, com que uma vez o Divino Redentor expulsou do templo os indignos profanadores. Portanto, para que ninguém doravante possa alegar a desculpa de não conhecer claramente o seu dever, e para que desapareça qualquer equívoco na interpretação de certas determinações anteriores, julgamos oportuno indicar com brevidade os princípios que regem a Música Sacra nas funções do culto e recolher num quadro geral as principais prescrições da Igreja contra os abusos mais comuns em tal matéria.
                E por isso, de própria iniciativa e ciência certa, publicamos a Nossa presente instrução; será ela como que um código jurídico de Música Sacra; e, em virtude da plenitude de Nossa Autoridade Apostólica, queremos que se lhe dê força de lei, impondo a todos, por este Nosso quirógrafo, a sua mais escrupulosa observância.

I. Princípios gerais
1. A música sacra, como parte integrante da Liturgia solene, participa do seu fim geral, que é a glória de Deus e a santificação dos fiéis. A música concorre para aumentar o decoro e esplendor das sagradas cerimônias; e, assim como o seu ofício principal é revestir de adequadas melodias o texto litúrgico proposto à consideração dos fiéis, assim o seu fim próprio é acrescentar mais eficácia ao mesmo texto, a fim de que por tal meio se excitem mais facilmente os fiéis à piedade e se preparem melhor para receber os frutos da graça, próprios da celebração dos sagrados mistérios.
2. Por isso a música sacra deve possuir, em grau eminente, as qualidades próprias da liturgia, e nomeadamente a santidade e a delicadeza das formas, donde resulta espontaneamente outra característica, a universalidade.
                Deve ser santa, e por isso excluir todo o profano não só em si mesma, mas também no modo como é desempenhada pelos executantes.
                Deve ser arte verdadeira, não sendo possível que, doutra forma, exerça no ânimo dos ouvintes aquela eficácia que a Igreja se propõe obter ao admitir na sua liturgia a arte dos sons. Mas seja, ao mesmo tempo, universal no sentido de que, embora seja permitido a cada nação admitir nas composições religiosas aquelas formas particulares, que em certo modo constituem o caráter específico da sua música própria, estas devem ser de tal maneira subordinadas aos caracteres gerais da música sacra que ninguém doutra nação, ao ouvi-las, sinta uma impressão desagradável.

II. Gêneros de Música Sacra
3. Estas qualidades se encontram em grau sumo no canto gregoriano, que é por conseqüência o canto próprio da Igreja Romana, o único que ela herdou dos antigos Padres, que conservou cuidadosamente no decurso dos séculos em seus códigos litúrgicos e que, como seu, propõe diretamente aos fiéis, o qual estudos recentíssimos restituíram à sua integridade e pureza.
                Por tais motivos, o canto gregoriano foi sempre considerado como o modelo supremo da música sacra, podendo com razão estabelecer-se a seguinte lei geral: uma composição religiosa será tanto mais sacra e litúrgica quanto mais se aproxima no andamento, inspiração e sabor da melodia gregoriana, e será tanto menos digna do templo quanto mais se afastar daquele modelo supremo.
                O canto gregoriano deverá, pois, restabelecer-se amplamente nas funções do culto, sendo certo que uma função eclesiástica nada perde da sua solenidade, mesmo quando não é acompanhada senão da música gregoriana.
                Procure-se nomeadamente restabelecer o canto gregoriano no uso do povo, para que os fiéis tomem de novo parte mais ativa nos ofícios litúrgicos, como se fazia antigamente.
4. As sobreditas qualidades verificam-se também na polifonia clássica, especialmente na da Escola Romana, que no século XVI atingiu a sua maior perfeição com as obras de Pedro Luís de Palestrina, e que continuou depois a produzir composições de excelente qualidade musical e litúrgica. A polifonia clássica, aproximando-se do modelo de toda a música sacra, que é o canto gregoriano, mereceu por esse motivo ser admitida, juntamente com o canto gregoriano, nas funções mais solenes da Igreja, quais são as da Capela Pontifícia. Por isso também essa deverá restabelecer-se nas funções eclesiásticas, principalmente nas mais insignes basílicas, nas igrejas catedrais, nas dos Seminários e outros institutos eclesiásticos, onde não costumam faltar os meios necessários.
5. A Igreja tem reconhecido e favorecido sempre o progresso das artes, admitindo ao serviço do culto o que o gênio encontrou de bom e belo através dos séculos, salvas sempre as leis litúrgicas. Por isso é que a música mais moderna é também admitida na Igreja, visto que apresenta composições de tal qualidade, seriedade e gravidade que não são de forma alguma indigna das funções litúrgicas.
                Todavia, como a música moderna foi inventada principalmente para uso profano, deverá vigiar-se com maior cuidado por que as composições musicais de estilo moderno, que se admitem na Igreja, não tenham coisa alguma de profana, não tenham reminiscências de motivos teatrais, e não sejam compostas, mesmo nas suas formas externas, sobre o andamento das composições profanas.
6. Entre os vários gêneros de música moderna, o que parece menos próprio para acompanhar as funções do culto é o que tem ressaibos de estilo teatral, que durante o século XVI esteve tanto em voga, sobretudo na Itália. Este, por sua natureza, apresenta a máxima oposição ao canto gregoriano e à clássica polifonia, por isso mesmo às leis mais importantes de toda a boa música sacra. Além disso, a íntima estrutura, o ritmo e o chamado convencionalismo de tal estilo não se adaptam bem às exigências da verdadeira música litúrgica.

III. Texto Litúrgico
7. A língua própria da Igreja Romana é a latina. Por isso é proibido cantar em língua vulgar, nas funções litúrgicas solenes, seja o que for, e muito particularmente, tratando-se das partes variáveis ou comuns da Missa e do Ofício.
8. Estando determinados, para cada função litúrgica, os textos que hão de musicar-se e a ordem por que se devem cantar, não é lícito alterar esta ordem, nem substituir os textos prescritos por outros, nem omiti-los na íntegra ou em parte, a não ser que as Rubricas litúrgicas permitam suprir, com órgão, alguns versículos do texto, que são simplesmente recitados no coro. É permitido somente, segundo o costume romano, cantar um motete em honra do S. Sacramento depois do Benedictus da Missa solene. Permite-se outrossim que, depois de cantado o ofertório prescrito, se possa executar, no tempo que resta, um breve motete sobre palavras aprovadas pela Igreja.
9. O texto litúrgico tem de ser cantado como se encontra nos livros aprovados, sem posposição ou alteração das palavras, sem repetições indevidas, sem deslocar as silabas, sempre de modo inteligível.

IV. Forma externa das composições sacras
10. As várias artes da Missa e Ofício devem conservar, até musicalmente, a forma que a tradição eclesiástica lhes deu, e que se encontra admiravelmente expressada no canto gregoriano. É, pois, diverso o modo de compor um Intróito, um Gradual, uma Antífona, um Salmo, um Hino, um Glória in excelsis, etc.
11. Observem-se, em particular, as normas seguintes:
    a) O Kyrie, o Glória, o Credo, etc., da Missa, devem conservar a unidade de composição própria do texto. Por conseguinte, não é lícito compô-las como peças separadas, de modo que, cada uma destas forme uma composição musical tão completa que possa separar-se das restantes e ser substituída por outra.
    b) No ofício de Vésperas deve seguir-se, ordinariamente, a norma do Caeremoniale Episcoporum que prescreve o canto gregoriano para a salmodia, e permite a música figurada nos versículos do Gloria Patri e no hino.
Contudo, é permitido, nas maiores solenidades, alternar o canto gregoriano do coro com os chamados "falsibordoni" ou com versos de modo semelhante convenientemente compostos. Poderá também conceder-se, uma vez por outra, que cada um dos salmos seja totalmente musicado, contanto que, em tais composições, se conserve a forma própria da salmodia, isto é, que os cantores pareçam salmodiar entre si, já com motivos musicais novos, já com motivos tirados do canto gregoriano, ou imitados deste.
                Ficam proibidos, nas cerimônias litúrgicas, os salmos de concerto.
    c) Conserve-se, nas músicas da Igreja, a forma tradicional do hino. Não é permitido compor, por exemplo, o Tantum ergo de modo que a primeira estrofe apresente a forma de romanza, cavatina ou adágio e o Genitori a de allegro.
    d) As antífonas de Vésperas têm de ser cantadas, ordinariamente, com a melodia gregoriana que lhes é própria. Porém, se em algum caso particular se cantarem em música, não deverão nunca ter a forma de melodia de concerto, nem a amplitude dum motete ou de cantata.

V. Os cantores
12. Excetuadas as melodias próprias do celebrante e dos ministros, que sempre devem ser em gregoriano, sem acompanhamento de órgão, todo o restante canto litúrgico faz parte do coro dos levitas. Por isso, os cantores, ainda que leigos, realizam, propriamente, as funções de coro eclesiástico, devendo as músicas, ao menos na sua maior parte, conservar o caráter de música de coro.
                Não se entende com isto excluir, de todo, os solos; mas estes não devem nunca predominar de tal maneira que a maior parte do texto litúrgico seja assim executada; deve antes ter o caráter de uma simples frase melódica e estar intimamente ligada ao resto da composição coral.
13. Os cantores têm na Igreja um verdadeiro ofício litúrgico e, por isso, as mulheres sendo incapazes de tal ofício, não podem ser admitidas a fazer parte do coro ou da capela musical. Querendo-se, pois, ter vozes agudas de sopranos e contraltos, empreguem-se os meninos, segundo o uso antiquíssimo da Igreja.
14. Finalmente, não se admitam a fazer parte da capela musical senão homens de conhecida piedade e probidade de vida, os quais, com a sua devota e modesta atitude, durante as funções litúrgicas, se mostrem dignos do santo ofício que exercem. Será, além disso, conveniente que os cantores, enquanto cantam na igreja, vistam hábito eclesiástico e sobrepeliz e que, se o coro estiver muito exposto à vista do público, seja resguardado por grades.

VI. Órgão e Instrumentos
15. Posto que a música própria da Igreja é a música meramente vocal, contudo também se permite a música com acompanhamento de órgão. Nalgum caso particular, com as convenientes cautelas, poderão admitir-se outros instrumentos nunca sem o consentimento especial do Ordinário, conforme as prescrições do Caeremoniale Episcoporum.
16. Como o canto tem de ouvir-se sempre, o órgão e os instrumentos devem simplesmente sustentá-lo, e nunca encobri-lo.
17. Não é permitido antepor ao canto extensos prelúdios, ou interrompê-lo com peças de interlúdios.
18. O som do órgão, nos acompanhamentos do canto, nos prelúdios, interlúdios e outras passagens semelhantes, não só deve ser de harmonia com a própria natureza de tal instrumento, isto é, grave, mas deve ainda participar de todas as qualidades que tem a verdadeira música sacra, acima mencionadas.
19. É proibido, na Igreja, o uso do piano bem como o de instrumentos fragorosos, o tambor, o bombo, os pratos, as campainhas e semelhantes.
20. É rigorosamente proibido que as bandas musicais toquem nas igrejas, e só em algum caso particular, com o consentimento do Ordinário, será permitida uma escolha limitada, judiciosa e proporcionada ao ambiente de instrumentos de sopro, contanto que a composição seja em estilo grave, conveniente e semelhante em tudo às do órgão.
21. Nas procissões, fora da igreja, pode o Ordinário permitir a banda musical, uma vez que não se executem composições profanas. Seria para desejar que a banda se restringisse a acompanhar algum cântico espiritual, em latim ou vulgar, proposto pelos cantores ou pias congregações que tomam parte na procissão.

VII. Amplitude da Música Sacra
22. Não é licito, por motivo do canto, fazer esperar o sacerdote no altar mais tempo do que exige a cerimônia litúrgica. Segundo as prescrições eclesiásticas, o Sanctus deve ser cantado antes da elevação, devendo o celebrante esperar que o canto termine, para fazer a elevação. A música da Glória e do Credo, segundo a tradição gregoriana, deve ser relativamente breve.
23. É condenável, como abuso gravíssimo, que nas funções eclesiásticas a liturgia esteja dependente da música, quando é certo que a música é que é parte da liturgia e sua humilde serva.

VIII. Meios principais
24. Para o exato cumprimento de quanto fica estabelecido, os Bispos, se ainda não o fizeram, instituam, nas suas dioceses, uma comissão especial de pessoas verdadeiramente competentes na música sacra, à qual confiarão o cargo de vigiar as músicas que se vão executando em suas igrejas para que sejam conformes com estas determinações. Nem atender somente a que sejam boas as músicas, senão também a que correspondam ao valor dos cantores, para haver boa execução.
25. Nos Seminários e nos Institutos eclesiásticos, segundo as prescrições tridentinas, consagrem-se todos os alunos ao estudo do canto gregoriano e os superiores sejam liberais em animar e louvar os seus súditos. Igualmente, onde for possível, promova-se entre os clérigos a fundação de uma Schola Cantorum para a execução da sagrada polifonia e da boa música litúrgica.
26. Nas lições ordinárias de Liturgia, Moral e Direito Canônico, que se dão aos estudantes de teologia, não se deixe de tocar naqueles pontos que, de modo mais particular, dizem respeito aos princípios e leis da música sacra, e procure-se completar a doutrina com alguma instrução especial acerca da estética da arte sacra, para que os clérigos não saiam dos seminários ignorando estas noções, tão necessária à plena cultura eclesiástica.
27. Tenha-se o cuidado de restabelecer, ao menos nas igrejas principais, as antigas Scholae Cantorum, como se há feito já, com ótimo fruto, em muitos lugares. Não é difícil, ao clero zeloso, instituir tais Scholae, mesmo nas igrejas de menor importância, e até encontrará nelas um meio fácil para reunir em volta de si os meninos e os adultos, com proveito para eles e edificação do povo.
28. Procure-se sustentar e promover, do melhor modo, as escolas superiores de música sacra, onde já existem, e concorrer para as fundar, onde as não há. É sumamente importante que a mesma igreja atenda à instrução dos seus mestres de música, organistas e cantores, segundo os verdadeiros princípios da arte sacra.

IX Conclusão
29. Por último, recomenda-se aos mestres de capela, aos cantores, aos clérigos, aos superiores dos Seminários, Institutos eclesiásticos e comunidades religiosas, aos párocos e reitores de igrejas, aos cônegos das colegiadas e catedrais, e sobretudo aos Ordinários diocesanos, que favoreçam, com todo o zelo, estas reformas de há muito desejadas e por todos unanimemente pedidas, para que não caia em desprezo a autoridade da Igreja que repetidamente as propôs e agora de novo as inculca.

Dado em o Nosso Palácio do Vaticano, na festa da Virgem e Mártir Santa Cecília,
22 de novembro de 1903, primeiro ano do nosso pontificado.

PAPA PIO X

Wednesday, 15 July 2015

"Bonum Sane" Motu Proprio by Pope Benedict XV (translated into Portuguese)

No Cinqüentenário da Proclamação de São José como Patrono da Igreja Universal

     Foi uma coisa boa e salutar ao povo cristão que o nosso antecessor de imortal memória, Pio IX, tenha conferido ao castíssimo esposo da Virgem Maria e guarda do Verbo Encarnado, São José, o título de Patrono Universal da Igreja; e uma vez que este feliz acontecimento completará 50 anos em dezembro próximo, julgamos bastante útil e oportuno que ele seja dignamente celebrado em todo o mundo católico.
     Se dermos uma olhada nestes últimos 50 anos, observamos um admirável reflorescimento de piedosas instituições, as quais atestam como o culto ao santíssimo Patriarca veio se desenvolvendo sempre mais entre os fiéis; depois, se considerarmos as hodiernas calamidades que afligem o gênero humano, parece ainda mais evidente a oportunidade de intensificar tal culto e de difundi-lo com maior força em meio ao povo cristão.
       De fato, após a terrível guerra, na nossa Encíclica “sobre a reconciliação da paz cristã”, indicamos o que faltava para restabelecer em todo lugar a tranqüilidade da ordem, considerando particularmente as relações que decorrem entre os povos e entre os indivíduos no campo civil. Agora se faz necessário considerar uma outra causa de perturbação, muito mais profunda, que se aninha justamente no mais íntimo da sociedade humana: dado que o flagelo da guerra se abateu sobre as pessoas quando elas já estavam profundamente infectadas pelo naturalismo, isto é, por aquelas grande peste do século que, onde se enraíza, diminui o desejo dos bens celestes, apaga a chama da caridade divina e retira do homem a graça salvadora e elevadora de Cristo até que, tolhida dele a luz da fé e deixadas a ele as solitárias e corrompidas forças da natureza, o abandona à mercê das mais insanas paixões. E assim aconteceu que muitíssimos se dedicaram somente à conquista dos bens terrenos, e como já estava aguçada a contenda entre proletários e patrões, este ódio de classes aumentou ainda mais com a duração e atrocidade da guerra, a qual, se de um lado causou às massas um mal-estar econômico insuportável, por outro fez afluir às mãos de pouquíssimos, fortunas fabulosas.
        Acrescente-se que a santidade da fé conjugal e o respeito à autoridade paterna foram por muitos, não pouco vulneradas por causa da guerra; seja porque a distância de um dos cônjuges diminuiu no outro o vínculo do dever, seja porque a ausência de um olho vigilante deu oportunidade à leviandade, especialmente feminina, de viver a seu bel-prazer e demasiadamente livre. Por isto, devemos constatar com verdadeira dor que agora os costumes públicos são bem mais depravados e corrompidos que antes, e que portanto a assim chamada “questão social” foi-se agravando a tal ponto de suscitar a ameaça de irreparáveis ruínas. De fato amadureceu nos desejos e nas expectativas de todos os sediciosos a chegada de uma certa república universal, a qual seria fundada sobre a igualdade absoluta entre os homens e sobre a comunhão dos bens, e na qual não haveria mais distinção alguma de nacionalidade, nem teria mais que reconhecer-se a autoridade do pai sobre os filhos, nem dos poderes públicos sobre os cidadãos, nem de Deus sobre os homens reunidos em sociedade civil. Coisas todas que, se por desventura se realizassem, dariam lugar a tremendas convulsões sociais, como aquela que no momento está desolando não pequena parte da Europa. E é justamente para se criar também entre os outros povos uma condição similar de coisas, que nós vemos as plebes serem estimuladas pelo furor audacioso de alguns, e acontecerem aqui e acolá ininterruptas e graves revoltas.
       Nós, portanto, mais que todos preocupados com este rumo dos acontecimentos, não deixamos, quando houve ocasião, de recordar aos filhos da Igreja os seus deveres. Agora, pelo mesmo motivo, ou seja, para recordar o dever aos nossos fiéis que estão em toda parte e ganham o pão com o trabalho, e para conservá-los imunes do contágio do socialismo, o inimigo mais implacável dos princípios cristãos, Nós, com grande solicitude, propomos a eles de modo particular São José, para que o sigam como guia e o honrem como celeste Patrono.
        Ele de fato levou uma vida similar a deles, tanto é verdade que Jesus bendito, enquanto era o Unigênito do Pai Eterno, quis ser chamado “o Filho do carpinteiro”. Mas aquela sua humilde e pobre condição, de quais e quantas virtudes excelsas Ele soube adornar! Ou seja, virtudes que deviam resplandecer no esposo de Maria Imaculada e no pai putativo de Jesus Cristo. Por isso, na escola de São José, aprendam todos a considerar as coisas presentes, que passam, à luz das futuras, que permanecem para sempre; e, consolando as inevitáveis dificuldades da condição humana com a esperança dos bens celestes, a estes aspirem com todas as forças, resignados à vontade divina, sobriamente vivendo segundo os ditames da piedade e da justiça. Ao que diz respeito especialmente aos operários, nos agrada relembrar aqui as palavras que proclamou em circunstância análoga o nosso predecessor de feliz memória Leão XIII, pois elas, ao nosso parecer, não poderiam ser mais oportunas: “Considerando estas coisas, os pobres, e quantos vivem com o fruto do trabalho, devem sentir-se animados por um sentimento superior de eqüidade, pois se a justiça permite-lhes elevar-se da indigência e de conseguir um melhor bem-estar, porém é proibido pela justiça e pela mesma razão de perturbar a ordem que foi constituída pela divina Providência. Aliás, é conselho insensato usar de violência e buscar melhorias através de revoltas e tumultos, os quais, na maioria das vezes, nada mais fazem que agravar ainda mais aquelas dificuldades que se desejam diminuir. Portanto, se os pobres querem agir sabiamente, não confiarão nas vãs promessas dos demagogos, mas sim no exemplo e no patrocínio de São José e na caridade materna da Igreja, a qual dia após dia tem por eles um zelo sempre maior” (Carta Encíclica “Quamquam pluries” ).
       Com o florescimento da devoção dos fiéis a São José, aumentará ao mesmo tempo, como necessária conseqüência, o culto à Sagrada Família de Nazaré, da qual ele foi o augusto chefe, brotando estas duas devoções uma da outra espontaneamente, dado que por São José nós vamos diretamente a Maria, e por Maria à fonte de toda santidade, Jesus Cristo, o qual consagrou as virtudes domésticas com a sua obediência para com São José e Maria. Nestes maravilhosos exemplos de virtude, Nós, pois, desejamos que as famílias cristãs se inspirem e completamente se renovem. E assim, dado que a família é o sustentáculo e a base da sociedade humana, fortalecendo a sociedade doméstica com a proteção da santa pureza, da fidelidade e da concórdia, com isso realmente um novo vigor, e diremos ainda, quase um novo sangue, circulará pelas veias da sociedade humana, que assim virá a ser vivificada pelas virtudes restauradoras de Jesus Cristo, e delas seguirá um alegre reflorescimento, não só dos costumes particulares, mas também das instituições públicas e privadas.
        Nós, portanto, cheios de confiança no patrocínio Daquele à cuja próvida vigilância Deus agradou-se em confiar a guarda de seu Unigênito encarnado e da Virgem Santíssima, vivamente exortamos todos os Bispos do mundo católico, a fim de que, em tempos tão borrascosos para a Igreja, solicitem aos fiéis que implorem com maior empenho o válido auxílio de São José. E posto que diversos são os modos aprovados por esta Sé Apostólica com os quais se podem venerar o santo Patriarca, especialmente em todas as quartas-feiras do ano e durante todo o mês a ele consagrado, Nós queremos que, a critério de cada bispo, todas estas devoções, porquanto possível, sejam praticadas em todas as dioceses; mas, de modo particular, dado que ele é merecidamente tido como o mais eficaz protetor dos moribundos, tendo expirado com a assistência de Jesus e Maria, deverão cuidar os sagrados Pastores de inculcar e favorecer com todo o prestígio de sua autoridade aquelas piedosas associações que foram instituídas para suplicar a São José pelos moribundos, como aquela “da Boa Morte” e do “Trânsito de São José pelos agonizantes de cada dia”.
       Para comemorar, pois, o supracitado Decreto Pontifício, ordenamos e impomos que dentro de um ano, a contar a partir de 8 de dezembro próximo, em todo o mundo católico seja celebrada em honra de São José, Patrono da Igreja Universal, uma solene função, como e quando julgar oportuno cada bispo; e a todos aqueles que a praticarem, Nós concedemos desde agora, nas condições habituais, a Indulgência Plenária. 


Dado em Roma, junto de São Pedro, em 25 de julho de 1920, festa de São Tiago Apóstolo, no sexto ano de nosso pontificado.

                                                              Bento XV