Saturday 15 July 2017

Exorcism Prayer of St. Anthony of Padua (in Latin, English, and Portuguese)

Ecce Crucem Domini!
Fugite partes adversae!
Vicit Leo de tribu Juda,
Radix David! Alleluia!

Behold, the Cross of the Lord!
Begone, all evil powers!
The Lion of the tribe of Judah,
The Root of David, has conquered!
Alleluia, Alleluia! 

Eis a Cruz do Senhor!
Fogem dela seus imigos!
Vence o Leão de Judá.
A raiz de Davi! Aleluia!

 

Friday 14 July 2017

"Aurora" by Mário Lago and Roberto Roberti (in Portuguese)

Se você fosse sincera
Ô ô ô ô, Aurora
Veja só que bom que era
Ô ô ô ô, Aurora.

Um lindo apartamento
Com porteiro e elevador
E ar refrigerado
Para os dias de calor
Madame antes do nome
Você teria agora
Ô ô ô ô, Aurora.



"Aurora" sung by Joel and Gaúcho.

Thursday 13 July 2017

"Apparecchio alla Morte" by St Alfonso Maria de Liguori (in Italian) – XXII



CONSIDERAZIONE XXI - VITA INFELICE DEL PECCATORE E VITA FELICE DI CHI AMA DIO
«Non est pax impiis, dicit Dominus (Is. 48. 22). Pax multa diligentibus legem tuam» (Ps. 118. 165).

PUNTO I
            Tutti gli uomini in questa vita faticano per trovare la pace. Fatica quel mercante, quel soldato, quel litigante, perché pensa con quel guadagno, con quel posto, o col vincer quella lite di far la sua fortuna e così trovare la pace. Ma poveri mondani, che cercano la pace nel mondo, il quale non può darla! Dio solo può dare a noi la pace: «Da servis tuis (prega la santa Chiesa) illam, quam mundus dare non potest, pacem». No, non può il mondo con tutt'i suoi beni contentare il cuore dell'uomo, perché l'uomo non è creato per questi beni, ma solo per Dio; ond'è che solo Dio può contentarlo. Le bestie che son create per li diletti de' sensi, queste trovano la pace ne' beni della terra; date ad un giumento un fascio d'erba, date ad un cane un pezzo di carne, eccoli contenti, niente più desiderano. Ma l'anima, ch'è creata solo per amare e star unita con Dio, con tutt'i piaceri sensuali non potrà mai trovar la sua pace; solo Dio può renderla appieno contenta.
            Quel ricco, che narra S. Luca (cap. 12. v. 19), avendo fatta una buona raccolta da' suoi campi, diceva a se stesso: «Anima, habes multa bona posita in annos plurimos, requiesce, comede, bibe». Ma questo infelice ricco fu chiamato pazzo, «Stulte», e con ragione, dice S. Basilio: «Nunquid animam porcinam habes?» Misero (gli dice il santo), e che forse hai l'anima di qualche porco, di qualche bestia, che pretendi contentar l'anima tua col mangiare, col bere, co' diletti del senso? «Requiesce, comede, bibe?» L'uomo da' beni del mondo può esser riempiuto, ma non già saziato: «Inflari potest, satiari non potest», dice S. Bernardo. E scrive il medesimo santo sul Vangelo: «Ecce nos reliquimus omnia», di aver veduti diversi pazzi con diverse pazzie. Dice che tutti questi pativano una gran fame, ma altri si saziavano di terra, figura degli avari: altri d'aria, figura di quei che ambiscono onori: altri d'intorno ad una fornace imboccavano le faville, che da quella svolazzavano, figura dell'iracondi; altri finalmente d'intorno ad un fetido lago beveano quell'acque fracide, figura de' disonesti. Quindi ad essi rivolto il santo dice loro: O pazzi, non vedete che queste cose più presto accrescono, che tolgono la vostra fame? «Haec potius famem provocant, quam exstinguunt». I beni del mondo son beni apparenti, e perciò non possono saziare il cuore dell'uomo. «Comedistis, et non estis satiati» (Aggaeus, 1. 6). E perciò l'avaro quanto più acquista, tanto più cerca d'acquistare. S. Agostino: «Maior pecunia avaritiae fauces non claudit, sed extendit». Il disonesto quanto più si rivolge tra le sordidezze, tanto più resta nauseato insieme e famelico; e come mai lo sterco e le sozzure sensuali possono contentare il cuore? Lo stesso avviene all'ambizioso, che vuol saziarsi di fumo, poiché l'ambizioso più mira quel che gli manca, che quello che ha. Alessandro Magno, dopo aver acquistati tanti regni, piangeva, perché gli mancava il dominio degli altri. Se i beni di questa terra contentassero l'uomo, i ricchi, i monarchi sarebbero appieno felici, ma la sperienza fa vedere l'opposto. Lo dice Salomone, il quale asserisce di non aver negato niente a' suoi sensi: «Et omnia, quae desideraverunt oculi mei, non negavi eis» (Eccl. 2. 10). Ma con tutto ciò che dice? «Vanitas vanitatum, et omnia vanitas» (Ibid. 1. 2). E vuol dire: Tutto ciò ch'è nel mondo, è mera vanità, mera bugia, mera pazzia.

Affetti e preghiere
            Ah mio Dio, e che mi trovo delle offese che v'ho fatte, se non pene, amarezze e meriti per l'inferno? Non mi dispiace l'amarezza che ora ne sento, anzi questa mi consola, mentre ella è dono della vostra grazia e mi fa sperare (giacché Voi me la date) che vogliate perdonarmi. Ciò che mi dispiace, è il disgusto e l'amarezza che ho data a Voi, mio Redentore, che mi avete tanto amato. Io meritava, mio Signore, che allora mi abbandonaste; ma in vece di abbandonarmi vedo che mi offerite il perdono, anzi siete il primo a dimandarmi la pace. Sì, Gesù mio, voglio far pace, e desidero la grazia vostra più d'ogni bene. Mi pento, bontà infinita, d'avervi offeso, vorrei morire di dolore. Deh per quell'amore che mi portaste spirando per me sulla croce, perdonatemi e ricevetemi nel vostro Cuore, e mutate il cuore mio, in modo che quanto vi ho dato di disgusto per lo passato, tanto vi dia di gusto per l'avvenire. Io per amor vostro al presente rinunzio a tutti i piaceri, che mi può dare il mondo; e risolvo di perdere prima la vita, che la vostra grazia. Ditemi che ho da fare per piacervi, che tutto voglio farlo. Che piaceri! che onori! che ricchezze! Voglio solamente Voi, mio Dio, mia gioia, mia gloria, mio tesoro, mia vita, mio amore, mio tutto. Datemi, Signore, l'aiuto per esservi fedele. Datemi l'amarvi, e fatene di me quel che vi piace.
            Maria, Madre e speranza mia dopo Gesù, ricevetemi nella vostra protezione e rendetemi tutto di Dio.



PUNTO II
            Ma non solo dice Salomone che i beni di questo mondo sono vanità, che non contentano, ma sono pene che affliggono lo spirito: «Et ecce universa vanitas, et afflictio spiritus» (Eccl. 1. 14). Poveri peccatori! pretendono di farsi felici co' loro peccati, ma non trovano che amarezza e rimorso: «Contritio, et infelicitas in viis eorum, et viam pacis non cognoverunt» (Ps. 13. 3). Che pace! che pace! No, dice Dio: «Non est pax impiis, dicit Dominus» (Is. 48. 22). Primieramente il peccato porta con sé il terrore della divina vendetta. Se alcuno tiene un nemico potente, non mangia, né dorme mai quieto; e chi ha per nemico Dio, può stare in pace? «Pavor his qui operantur malum» (Prov. 10. 29). Chi sta in peccato, se sente tremar la terra, se sente tuonare, oh come trema! Ogni fronda che si muove, lo spaventa. «Sonitus terroris semper in aure eius» (Iob. 15. 21). Fugge sempre, senza veder chi lo perseguita. «Fugit impius, nemine persequente» (Prov. 28. 1). E chi lo perseguita? il medesimo suo peccato. Caino dopo che uccise il fratello Abele dicea: «Omnis igitur, qui invenerit me, occidet me» (Gen. 4. 14). E con tutto che il Signore l'assicurò che niuno l'avrebbe offeso: «Dixitque ei Dominus: Nequaquam ita fiet»; pure dice la Scrittura che Caino «habitavit profugus in terra» (Ibid.): andò sempre fuggendo da un luogo ad un altro. Chi era il persecutore di Caino, se non il suo peccato?
            In oltre il peccato porta seco il rimorso della coscienza, ch'è quel verme tiranno che sempre rode. Va il misero peccatore alla commedia, al festino, al banchetto: ma tu (gli dice la coscienza) stai in disgrazia di Dio; se muori, dove vai? Il rimorso della coscienza è una pena sì grande anche in questa vita, che taluni per liberarsene, son giunti a darsi volontariamente la morte. Uno di costoro fu Giuda, come si sa, che per disperazione da se stesso si appiccò. Si narra d'un altro, che avendo ucciso un fanciullo, per isfuggir la pena del rimorso andò a farsi religioso; ma neppure nella religione trovando pace, andò a confessare il suo delitto al giudice, e si fe' condannare a morte.
            Che cosa è un'anima che sta senza Dio? Dice lo Spirito Santo ch'è un mare in tempesta: «Impii autem quasi mare fervens, quod quiescere non potest» (Isa. 57. 20). Dimando, se taluno fosse portato ad un festino di musica, di balli e rinfreschi, e stesse ivi appeso co' piedi, colla testa in giù, potrebbe godere di questo spasso? Tàl'è quell'uomo che sta coll'anima sotto sopra, stando in mezzo a i beni di questo mondo, ma senza Dio. Egli mangerà, beverà, ballerà: porterà sì bene quella ricca veste, riceverà quegli onori, otterrà quel posto, quella possessione, ma non avrà mai pace. «Non est pax impiis». La pace solo da Dio si ottiene, e Dio la dà agli amici, non già a' nemici suoi.
            I beni di questa terra, dice S. Vincenzo Ferreri, vanno da fuori non entrano già nel cuore: «Sunt aquae, quae non intrant illuc, ubi est sitis». Porterà quel peccatore una bella veste ricamata, terrà un bel diamante al dito, si ciberà a suo genio; ma il suo povero cuore resterà pieno di spine e di fiele, perciò lo vedrai che con tutte le sue ricchezze, delizie e spassi, sta sempre inquieto, e ad ogni cosa contraria s'infuria, e si stizza, diventando come un cane arrabbiato. Chi ama Dio, nelle cose avverse si rassegna alla divina volontà, e trova pace; ma ciò non può farlo chi vive nemico alla volontà di Dio, e perciò non ha via di quietarsi. Serve il misero al demonio, serve ad un tiranno, che lo paga d'affanni e d'amarezze. E non possono venir meno le parole di Dio che dice: «Eo quod non servieris Deo tuo in gaudio, servies inimico tuo in fame, et siti, et nuditate, et omni penuria» (Deut. 28. 48). Che non patisce quel vendicativo, dopo che si è vendicato! quel disonesto dopo ch'è giunto al suo intento! quell'ambizioso! quell'avaro! Oh quanti, se patissero per Dio quel che patiscono per dannarsi, diventerebbero gran santi!

Affetti e preghiere
              Oh vita mia perduta! Oh se avessi, Dio mio, patite per servirvi le pene, che ho sofferto per offendervi, quanti meriti ora mi ritroverei per lo paradiso! Ah mio Signore, e perché vi lasciai, e perdei la vostra grazia? per gusti avvelenati e brevi, che appena avuti svanirono, e mi lasciarono il cuore pieno di spine e d'amarezze. Ah peccati miei, vi detesto, e vi maledico mille volte, e benedico la vostra pietà, mio Dio, che con tanta pazienza m'ha sopportato. V'amo, o mio Creatore e Redentore, che avete data la vita per me; e perché v'amo, mi pento con tutto il cuore di avervi offeso. Dio mio, Dio mio, e perché v'ho perduto? e perché v'ho cambiato? Ora conosco il male, che ho fatto, e risolvo di perdere ogni cosa, anche la vita, prima che l'amor vostro. Datemi luce, Eterno Padre, per amore di Gesu-Cristo; fatemi conoscere il gran bene che siete Voi, e la viltà de' beni, che mi presenta il demonio, per farmi perdere la grazia vostra. Io v'amo, ma desidero di più amarvi. Fate che Voi solo siate l'unico mio pensiero, l'unico mio desiderio, l'unico mio amore; tutto spero dalla vostra bontà per li meriti del vostro Figlio.
            Maria Madre mia, per l'amore che portate a Gesu-Cristo, vi prego ad impetrarmi luce e forza di servirlo e d'amarlo sino alla morte.


PUNTO III
            Dunque tutt'i beni e diletti del mondo non possono contentare il cuore dell'uomo, e chi può contentarlo? Solo Dio. «Delectare in Domino et dabit tibi petitiones cordis tui»(Ps. 36. 4). Il cuore dell'uomo va sempre cercando quel bene che lo contenti. Ottiene le ricchezze, i piaceri, gli onori, e non è contento; perché questi son beni finiti, ed egli è creato per un bene infinito; trovi egli Dio, s'unisca con Dio; ed eccolo già contento, niente più desidera. «Delectare in Domino, et dabit tibi petitiones cordis tui.» S. Agostino in tutta la sua vita menata fra' diletti del senso, non trovò mai pace. Quando poi si diede a Dio, allora confessava e diceva al Signore: «Inquietum est cor nostrum, donec requiescat in te». Dio mio, dicea, ora conosco che ogni cosa è vanità e pena, e Voi solo siete la vera pace dell'anima. «Dura sunt omnia, et tu solus requies». Ond'egli fatto poi maestro a sue spese, scrisse: «Quid quaeris homuncio, quaerendo bona? quaere unum bonum, in quo sunt omnia bona». Davide essendo re, mentre stava in peccato, andava alle cacce, ai giardini, alle mense, ed a tutte l'altre delizie regali, ma gli diceano le mense, i giardini e tutte l'altre creature di cui godea: Davide, tu da noi vuoi essere contentato? No, non possiamo noi contentarti: «Ubi est Deus tuus?» va, trova lo Dio tuo, ch'egli solo può contentarti; e perciò Davide in mezzo a tutte le sue delizie non faceva altro che piangere: «Lacrimae meae fuerunt panes die ac nocte, dum dicitur mihi quotidie, ubi est Deus tuus?» (Ps. 41. 4).
            Oh come all'incontro sa contentare Dio l'anime fedeli, che l'amano! S. Francesco d'Assisi, avendo lasciato tutto per Dio, benché si trovasse scalzo, con uno straccio sopra, morto di freddo e di fame, dicendo: «Deus meus et omnia», provava un paradiso. S. Francesco Borgia dopo che fu religioso, e gli toccava ne' viaggi a dormir sulla paglia, era tanta la consolazione, che per quella non potea prender sonno. S. Filippo Neri similmente, avendo lasciato tutto, quando andava a riposo, Iddio così lo consolava, ch'egli giungeva a dire: Ma, Gesu-Cristo mio, lasciatemi dormire. Il P. Carlo di Lorena Gesuita, de' principi di Lorena, ritrovandosi nella sua povera cella, talvolta per la contentezza si metteva a danzare. S. Francesco Saverio nelle campagne dell'Indie si slacciava il petto, dicendo: «Sat est, Domine», basta Signore, non più consolazione, che 'l mio cuore non è capace di sostenerla. Dicea S. Teresa che dà più contento una goccia di consolazione celeste, che tutt'i piaceri e spassi del mondo. Eh che non possono mancare le promesse di Dio, di dare a chi lascia i beni del mondo per suo amore, anche in questa vita il centuplo di pace e di contento. «Qui reliquerit domum, vel fratres, etc. propter nomen meum, centuplum accipiet, et vitam aeternam possidebit» (Matth. 19. 29).
            Che andiamo dunque cercando? andiamo a Gesu-Cristo che ci chiama e ci dice: «Venite ad me omnes, qui laboratis, et onerati estis, et ego reficiam vos» (Matth. 11. 28). Eh che un'anima che ama Dio, trova quella pace che avanza tutti i piaceri e soddisfazioni, che può dare il senso ed il mondo. «Pax Dei quae exsuperat omnem sensum» (Philip. 4. 7). È vero che in questa vita anche i santi patiscono, perché questa terra è luogo di meriti, e non si può meritare senza patire; ma dice S. Bonaventura che l'amore divino è simile al mele, che rende dolci, ed amabili le cose più amare. Chi ama Dio, ama la di Lui volontà, e perciò gode nello spirito anche nelle amarezze; poiché abbracciandole sa che lo compiace, e gli dà gusto. Oh Dio, i peccatori voglion disprezzare la vita spirituale, ma senza provarla! «Vident crucem, sed non vident unctionem», dice S. Bernardo; guardano solamente le mortificazioni che soffrono gli amanti di Dio, e i piaceri di cui si privano; ma non vedono le delizie spirituali, con cui l'accarezza il Signore. Oh se i peccatori assaggiassero la pace che gode un'anima che non vuole altro che Dio! «Gustate, et videte» (dice Davide), «quam suavis est Dominus» (Ps. 33). Fratello mio, comincia a far la meditazione ogni giorno, a comunicarti spesso, a trattenerti avanti il SS. Sagramento, comincia a lasciare il mondo e a fartela con Dio, e vedrai che il Signore ti consolerà più Egli in quel poco di tempo, in cui con esso ti tratterrai, che non ti ha consolato il mondo con tutti i suoi divertimenti. «Gustate, et videte». Chi non lo gusta, non può intendere, come sa contentare Dio un'anima che l'ama.

Affetti e preghiere
            Caro mio Redentore, come sono stato così cieco per lo passato, a lasciar Voi bene infinito, fonte di tutte le consolazioni per le misere e brevi soddisfazioni del senso! Ammiro la mia cecità, ma più ammiro la vostra misericordia, che con tanta bontà mi ha sopportato. Vi ringrazio che ora mi fate conoscere la mia pazzia e l'obbligo che ho d'amarvi. V'amo, Gesù mio, con tutta l'anima mia, e desidero di più amarvi. Accrescete Voi il desiderio e l'amore. Innamoratemi di Voi, o amabile infinito, che non avete più che fare per essere amato da me, e tanto desiderate l'amor mio. «Si vis, potes me mundare». Deh Redentore mio caro, purgatemi il cuore da tanti affetti impuri, che m'impediscono d'amarvi come vorrei. Non è forza la mia di fare che il mio cuore arda tutto verso di Voi, e non ami altro che Voi. Ha da esser forza della vostra grazia, che può tutto quanto vuole. Staccatemi da tutto, discacciate dall'anima mia ogni affetto che non è per Voi, e rendetemi tutto vostro. Io mi pento sopra ogni male di tutti i disgusti che vi ho dati. E risolvo di consagrar la vita che mi resta, tutta al vostro santo amore; ma Voi l'avete da fare. Fatelo per quel sangue che avete sparso per me con tanto dolore e con tanto amore. Sia gloria della vostra potenza far che il mio cuore, il quale un tempo è stato pieno di affetti terreni, ora sia tutto fiamme d'amore verso Voi, bene infinito.
            O Madre del bello amore, rendetemi colle vostre preghiere come foste sempre Voi, tutt'ardente di carità verso Dio.

Tuesday 11 July 2017

Letter from Stephen, Count of Blois and Chartres to his his Wife, Adele (translated into English)




Count Stephen to Adele, his sweetest and most amiable wife, to his dear children, and to all his vassals of all ranks - his greeting and blessing.

You may be very sure, dearest, that the messenger whom I sent to give you pleasure, left me be before Antioch safe and unharmed, and through God's grace in the greatest prosperity. And already at that time, together with all the chosen army of Christ, endowed with great valor by Him, we had been continuously advancing for twenty-three weeks toward the home of our Lord Jesus. You may know for certain, my beloved, that of gold, silver and many other kind of riches I now have twice as much your love had assigned to me when I left you. For all our princes with the common consent of the whole army, against my own wishes, have made me up to the present time the leader, chief and director of their whole expedition.
            You have certainly heard that after the capture of the city of Nicaea we fought a great battle with the Turks and by God's aid conquered them. Next we conquered for the Lord all Romania. And we learned that there was a certain Turkish prince Assam, dwelling in Cappadocia; thither we directed our course. All his castles we conquered by force and compelled him to flee to a certain very strong castle situated on a high rock. We also gave the land of that Assam to one of our chiefs and in order that he might conquer the above-mentioned Assam, we left there with him many soldiers of Christ. Thence, continually following the wicked Turks, we drove them through the midst of Armenia, as far as the great river Euphrates. Having left all their baggage and beasts of burden on the bank, they fled across the river into Arabia.
            The bolder of the Turkish soldiers, indeed, entering Syria, hastened by forced marches night and day, in order to be able to enter the royal city of Antioch before our approach. The whole army of God learning this gave due praise and thanks to the Lord. Hastening with great joy to the aforesaid chief city of Antioch, we besieged it and very often had many conflicts there with the Turks; and seven times with the citizens of Antioch and with the innumerable troops coming to its aid, whom we rushed to meet, we fought with the fiercest courage, under the leadership of Christ. And in all these seven battles, by the aid of the Lord God, we conquered and most assuredly killed an innumerable host of them. In those battles, indeed, and in very many attacks made upon the city, many of our brethren and followers were killed and their souls were borne to the joys of paradise.
            We found the city of Antioch very extensive, fortified with incredible strength and almost impregnable. In addition, more than 5,000 bold Turkish soldiers had entered the city, not counting the Saracens, Publicans, Arabs, Tulitans, Syrians, Armenians and other different races of whom an infinite multitude had gathered together there. In fighting against these enemies of God and of our own we have, by God's grace, endured many sufferings and innumerable evils up to the present time. Many also have already exhausted all their resources in this very holy passion. Very many of our Franks, indeed, would have met a temporal death from starvation, if the clemency of God and our money had not saved them. Before the above-mentioned city of Antioch indeed, throughout the whole winter we suffered for our Lord Christ from excessive cold and enormous torrents of rain. What some say about the impossibility of bearing the heat of the sun throughout Syria is untrue, for the winter there is very similar to our winter in the west.
            When truly Caspian [Bagi Seian], the emir of Antioch-that is, prince and lord-perceived that he was hard pressed by us, he sent his son Sensodolo [Chems Eddaulah] by name, to the prince who holds Jerusalem, and to the prince of Calep, Rodoam [Rodoanus], and to Docap [Deccacus Iba Toutousch], prince of Damascus. He also sent into Arabia to Bolianuth and to Carathania to Hamelnuth. These five emirs with 12,000 picked Turkish horsemen suddenly came to aid the inhabitants of Antioch. We, indeed, ignorant of all this, had sent many of our soldiers away to the cities and fortresses. For there are one hundred and sixty-five cities and fortresses throughout Syria which are in our power. But a little before they reached the city, we attacked them at three leagues' distance with 700 soldiers, on a certain plain near the "Iron Bridge." God, however, fought for us, His faithful, against them. For on that (lay, fighting in the strength that God gives, we conquered them and killed an innumerable multitude--God continually fighting for us-and we also carried back to the army more than two hundred of their heads, in order that the people might rejoice on that account. The emperor of Babylon also sent Saracen messengers to our army with letters and through these he established peace and concord with us.
            I love to tell you, dearest, what happened to us during Lent. Our princes had caused a fortress to he built before a certain gate which was between our camp and the sea. For the Turks daily issuing from this gate, killed some of our men on their way to the sea. The city of Antioch is about five leagues' distance from the Sea. For this reason they sent the excellent Bohemond and Raymond, count of St. Gilles, to the sea with only sixty horsemen, in order that they might bring mariners to aid in this work. When, however, they were returning to us with those mariners, the Turks collected an army, fell suddenly upon our two leaders and forced them to a perilous In that unexpected flight we lost more than 500 of our foot-soldiers--to the glory of God. Of our horsemen, however, we lost only two, for certain.
            On that same day truly, in order to receive our brethren with joy, and ignorant of their misfortunes, we went out to meet them. When, however, we approached the above-mentioned gate of the city, a mob of horsemen and foot-soldiers from Antioch, elated by the victory which they had won, rushed upon us in the same manner. Seeing these, our leaders sent to the camp of the Christians to order all to be ready to follow us into battle. In the meantime our men gathered together and the scattered leaders, namely, Bohemond and Raymond, with the remainder of their army came up and narrated the great misfortune which they had suffered.
            Our men, full of fury at these most evil tidings, prepared to die for Christ and, deeply grieved for their brethren, rushed upon the sacrilegious Turks. They, enemies of God and of us, hastily fled before us and attempted to enter their city. But by God's grace the affair turned out very differently: for, when they wanted to cross a bridge built over the great river Moscholum, we followed them closely as possible, killed many before they reached the bridge, forced many into the river, all of whom were killed, and we also slew many upon the bridge and very many at the narrow entrance the gate. I am telling you the truth, my beloved, and you may be very certain that in this battle we killed thirty emirs, that is princes, and three hundred other Turkish nobles, not counting the remaining Turks and pagans. Indeed, the number of Turks and Saracens killed is reckoned at 1,230, but of ours we did not lose a single man.
            While on the following day (Easter) my chaplain Alexander was writing this letter in great haste, a party of our men lying in wait for the Turks, fought a successful battle with them and killed sixty horse-men, whose heads they brought to the army.
            These which I write to you, are only a few things, dearest, of the many which we have done, and because I am not able to tell you, dearest, what is in my mind, I charge you to do right, to carefully watch over your land, to do your duty as you ought to your children and your vassals. You will certainly see me just as soon as I possibly return to you.

Farewell.


(Before Antioch, March 29,1098)

Monday 10 July 2017

"The Book of Exodus" - Chapter XXXV (translated into English)

Chapter 35


1 Moses assembled the whole Israelite community and said to them, "This is what the LORD has commanded to be done. 2 On six days work may be done, but the seventh day shall be sacred to you as the sabbath of complete rest to the LORD. Anyone who does work on that day shall be put to death. 3 You shall not even light a fire in any of your dwellings on the sabbath day."
4 Moses told the whole Israelite community, "This is what the LORD has commanded: 5 Take up among you a collection for the LORD. Everyone, as his heart prompts him, shall bring, as a contribution to the LORD, gold, silver and bronze; 6 violet, purple and scarlet yarn; fine linen and goat hair; 7 rams' skins dyed red, and tahash skins; acacia wood; 8 oil for the light; spices for the anointing oil and for the fragrant incense; 9 onyx stones and other gems for mounting on the ephod and on the breastpiece. 10 "Let every expert among you come and make all that the LORD has commanded: the Dwelling, 11 with its tent, its covering, its clasps, its boards, its bars, its columns and its pedestals; 12 the ark, with its poles, the propitiatory, and the curtain veil; 13 the table, with its poles and all its appurtenances, and the showbread; 14 the lampstand, with its appurtenances, the lamps, and the oil for the light; 15 the altar of incense, with its poles; the anointing oil, and the fragrant incense; the entrance curtain for the entrance of the Dwelling; 16 the altar of holocausts, with its bronze grating, its poles, and all its appurtenances; the laver, with its base; 17 the hangings of the court, with their columns and pedestals; the curtain for the entrance of the court; 18 the tent pegs for the Dwelling and for the court, with their ropes; 19 the service cloths for use in the sanctuary; the sacred vestments for Aaron, the priest, and the vestments worn by his sons in their ministry."
20 When the whole Israelite community left Moses' presence, 21 everyone, as his heart suggested and his spirit prompted, brought a contribution to the LORD for the construction of the meeting tent, for all its services, and for the sacred vestments. 22 Both the men and the women, all as their heart prompted them, brought brooches, earrings, rings, necklaces and various other gold articles. Everyone who could presented an offering of gold to the LORD. 23 Everyone who happened to have violet, purple or scarlet yarn, fine linen or goat hair, rams' skins dyed red or tahash skins, brought them. 24 Whoever could make a contribution of silver or bronze offered it to the LORD; and everyone who happened to have acacia wood for any part of the work, brought it. 25 All the women who were expert spinners brought hand-spun violet, purple and scarlet yarn and fine linen thread. 26 All the women who possessed the skill, spun goat hair. 27 The princes brought onyx stones and other gems for mounting on the ephod and on the breastpiece; 28 as well as spices, and oil for the light, anointing oil, and fragrant incense. 29 Every Israelite man and woman brought to the LORD such voluntary offerings as they thought best, for the various kinds of work which the LORD had commanded Moses to have done.
30 Moses said to the Israelites, "See, the LORD has chosen Bezalel, son of Uri, son of Hur, of the tribe of Judah, 31 and has filled him with a divine spirit of skill and understanding and knowledge in every craft: 32 in the production of embroidery, in making things of gold, silver or bronze, 33 in cutting and mounting precious stones, in carving wood, and in every other craft. 34 He has also given both him and Oholiab, son of Ahisamach, of the tribe of Dan, the ability to teach others. 35 He has endowed them with skill to execute all types of work: engraving, embroidering, the making of variegated cloth of violet, purple and scarlet yarn and fine linen thread, weaving, and all other arts and crafts."