art by unknown artist - Eerie #13 - Avon Periodicals, Inc., October 1953.
Monday, 24 July 2017
Saturday, 22 July 2017
Speech of Gianna Jessen at the 7th Annual Rome March for Life (in English)
Piazza
Venezia, Rome, 20th May 2017.
I’ll give you a brief summary of my
life. It’s been complicated. But first I want to thank the brave presenters
that spoke before me. I have great admiration for what you are doing and what
you did. I have cerebral palsy because I survived an abortion. I didn’t have an
abortion; I lived through one. My biological mother was seven and a half months
pregnant and she had a saline abortion. This burns the baby. It burns the baby
inside and out and blinds and suffocates the child, and then the baby is born
dead within 24 hours. But instead of arriving dead, I arrived alive, and in an
abortion clinic, not a hospital.
So I love to say this: I am alive by
the power of Jesus Christ. I am not ashamed of Jesus and I shout his Name in
the streets of Rome, so everyone can hear: Gesu, Gesu, Gesu [i.e. Jesus, Jesus,
Jesus]. I know that’s not popular. Sometimes pro-life people don’t even like to
speak about Jesus, but I’m telling you: I’m not ashamed of the God who saved my
life. How could I be? This is a battle between life and death, and we need
God’s help. It’s a broken world, and broken people need real answers that come
from God.
So it says on my medical records: born
during saline abortion, 6:00 am, April 6, 1977. It went on to record that she
was 29 ½ weeks pregnant, and I was only two pounds. The nurse called an
ambulance because the abortionist wasn’t at work yet. Had he been there, he
would have ended my life with strangulation, suffocation, or leaving me there
to die.
You may wonder why I have no burns on
my body or why I am not blind, and it’s just a simple answer: Jesus. But I do
have cerebral palsy, and I was never supposed to leave the bed; I was never
supposed to hold up my head. It was caused by a lack of oxygen to my brain
while surviving an abortion. So I would like to gently ask the feminists that
are listening, whether online, Facebook live, in the audience: if abortion is
merely about women’s rights, then what were mine?
I just have a few things to say in
conclusion, and they are these: I was later adopted. As I just told you, I was
told that I would never walk. But what I want to tell you is that no human
being can ever tell you what your destiny is. Only God can. Also, I want to
tell you: I have met my biological mother, and I have said, “I am a Christian
and I forgive you.”
I want to also say to anyone who has
had an abortion, or more than one abortion, or any man who has paid for one or
more abortions, and to anyone who doesn’t believe in God or Jesus: The only
freedom any of us will ever find from our sin is Jesus. So just give him that abortion;
tell him that you’re sorry, and ask him to forgive you, and he will set you
free. And if you don’t believe in Jesus, tell him you don’t believe in Jesus
and he will answer you. Just talk to Jesus and he will change your life.
And the last thing, to the young
people listening: listen to me, there is great honor in honoring the marriage
bed. Women, young women: you are made to be loved and respected. We are not
meant to be used and have the men walk away.
Men: you are made to be courageous and
honorable. You are meant to be faithful and kind. And guess what: I think men
are wonderful. I love men. I don’t hate men like feminists do. I think men are
great. God bless the men! Men: you can only be courageous if you know who you
are, and you are made in the image of God, just as women are. So stand up and
be who you are born to be: protectors of women and children, and be honorable.
God bless you! Ciao, ciao.
Friday, 21 July 2017
"Nao Tem Solução" by Dorival Caymmi and Carlos Guinle
Aconteceu um novo amor
Que nao podia acontecer
Nao era hora de amar
Agora o que vou fazer?
Nao tem soluçao
Este novo amor
Um amor a mais
Me tirou a paz
E eu que esperava
Nunca mais amar
Nao sei o que faça
Com esse amor demais.
Que nao podia acontecer
Nao era hora de amar
Agora o que vou fazer?
Nao tem soluçao
Este novo amor
Um amor a mais
Me tirou a paz
E eu que esperava
Nunca mais amar
Nao sei o que faça
Com esse amor demais.
"Nao Tem Solução" sung by Dorival Caymmi
Thursday, 20 July 2017
"Apparecchio alla Morte" by St Alfonso Maria de Liguori (in Italian) – XXIII
CONSIDERAZIONE
XXII - DEL MAL'ABITO
«Impius cum in profundum venerit, contemnit» (Prov. 18.
3).
PUNTO I
Uno de' maggiori danni, che a noi
cagionò il peccato di Adamo, fu la mala inclinazione al peccare. Ciò facea
piangere l'Apostolo, in vedersi spinto dalla concupiscenza verso quegli stessi
mali, ch'egli abborriva: «Video aliam legem in membris meis... captivantem me
in lege peccati» (Rom. 7. 23). E quindi riesce a noi, infettati da questa
concupiscenza, e con tanti nemici che ci spingono al male, sì difficile il
giungere senza colpa alla patria beata. Or posta una tal fragilità che abbiamo,
io dimando: Che direste voi d'un viandante, che dovesse passare il mare in una
gran tempesta, con una barca mezza rotta, ed egli poi volesse caricarla di tal
peso, che senza tempesta, e quantunque la barca fosse forte, anche basterebbe
ad affondare? Che prognostico fareste della
vita di costui? Or dite lo stesso d'un mal abituato che dovendo passare il mare
di questa vita (mare in tempesta, dove tanti si perdono) con una barca debole e
ruinata, qual'è la nostra carne, a cui stiamo uniti, questi volesse poi aggravarla
di peccati abituati. Costui è molto difficile che si salvi, perché il mal'abito
accieca la mente, indurisce il cuore, e con ciò facilmente lo rende ostinato
sino alla morte.
Per prima il mal'abito «accieca». E
perché mai i santi sempre cercano lume a Dio, e
tremano di diventare i peggiori peccatori del mondo? perché sanno che se in un
punto perdon la luce, possono commettere
qualunque scelleragine. Come mai tanti cristiani ostinatamente han voluto
vivere in peccato, sino che finalmente si son dannati? «Excaecavit eos malitia
eorum» (Sap. 2. 21). Il peccato ha tolto loro la vista, e così si son perduti.
Ogni peccato porta seco la cecità; accrescendosi i peccati, si accresce
l'accecazione. Dio è la nostra luce; quanto più dunque l'anima si allontana da
Dio, tanto resta più cieca. «Ossa eius implebuntur vitiis» (Iob. 20. 11).
Siccome in un vaso, ch'è pieno di terra, non può entrarvi la luce del sole,
così in un cuore pieno di vizi non può entrarvi la luce divina.
E perciò si vede poi che certi
peccatori rilasciati perdono il lume, e vanno di peccato in peccato, e neppure pensano più ad emendarsi. «In circuitu
impii ambulant» (Psal. 11.9). Caduti i miseri in quella fossa oscura, non sanno
far altro che peccati, non parlano che di peccati, non pensano se non a
peccare, e quasi non conoscono più che sia male il peccato. «Ipsa consuetudo
mali (dice S. Agostino) non sinit peccatores
videre malum, quod faciunt». Sicché vivono come non credessero più esservi Dio,
paradiso, inferno, eternità.
Ed ecco, che quel peccato che prima
faceva orrore, col mal'abito non fa più orrore. «Pone illos, ut rotam et sicut
stipulam ante faciem venti» (Psal. 82. 14). Vedete, dice S. Gregorio, con che facilità una pagliuccia è mossa da ogni
vento anche leggiero; così vedrete ancora taluno che prima (avanti che cadesse)
resisteva almeno per qualche tempo, e combatteva colla tentazione; fatto poi il
mal'abito, subito cade ad ogni tentazione, ad ogni occasione che gli vien di
peccare. E perché? perché il mal'abito gli ha tolta la luce. Dice S. Anselmo che 'l demonio fa con certi peccatori, come fa
taluno che tiene qualche uccello ligato col
filo, lo lascia volare, ma quando vuole torna a farlo cadere a terra; tali sono
(come dice il santo) i mal abituati: «Pravo usu irretiti ab hoste tenentur,
volantes in eadem vitia deiiciuntur» (Ap. Edinor. in Vita lib.
2). Taluni, aggiunge S. Bernardino
da Siena (tom. 4. Serm. 15), seguiranno a
peccare anche senz'occasione. Dice il santo che i mal abituati si fan simili a'
molini a vento, i quali «rotantur omni vento», girano ad ogni aura di vento; e
di più voltano, ancorché non vi stesse grano da macinare, e benché il padrone
non volesse che voltino. Vedrai un abituato che senz'occasione va facendo mali
pensieri, senza gusto, e quasi non volendo, tirato a forza dal mal'abito. S.
Gio. Grisostomo: «Dura res est consuetudo,
quae nonnunquam nolentes committere cogit illicita». Sì, perché (come dice S.
Agostino) il mal'abito diventa poi una certa
necessità: «Dum consuetudini non resistitur, facta est necessitas». E come
aggiunge S. Bernardino, «usus vertitur in
naturam»; ond'è che siccome all'uomo è necessario il respirare, così a' mal
abituati, fatti schiavi del peccato, par che
si renda necessario il peccare. Ho detto «schiavi»; vi sono i servi, che
servono a forza colla paga; gli schiavi poi servono a forza senza paga; a
questo giungono alcuni miserabili, giungono a peccare senza gusto.
«Impius, cum in profundum venerit, contemnit» (Prov. 18.
3). Ciò lo spiega il Grisostomo appunto del mal abituato, il quale posto in quella
fossa di tenebre, disprezza correzioni, prediche, censure, inferno, Dio,
disprezza tutto, diventa il misero quale avoltoio, che per non lasciare il
cadavere, su di quello più presto si contenta di farsi uccidere da' cacciatori.
Narra il P. Recupito che un condannato a morte
mentre andava alla forca, alzò gli occhi, vide una giovane, ed acconsentì ad un
mal pensiero. Narra ancora il P. Gisolfo che
un bestemmiatore, anche condannato a morte, mentre fu buttato dalla scala
proruppe in una bestemmia. Giunge a dire S. Bernardo
che per li mal'abituati non serve più a pregare, ma bisogna piangerli per
dannati. Ma come vogliono uscire dal loro precipizio, se non ci vedono più? ci
vuole un miracolo della grazia. Apriranno gli occhi i miserabili nell'inferno,
quando non servirà più l'aprirli, se non per piangere più amaramente la loro
pazzia.
Affetti e preghiere
Mio Dio, Voi mi avete distinto co'
vostri benefici, beneficandomi più degli altri; io vi ho distinto colle offese,
ingiuriando più Voi, che ogni altra persona da me conosciuta. O Cuore
addolorato del mio Redentore, che sulla croce foste così afflitto e tormentato
dalla vista de' miei peccati, datemi Voi per li vostri meriti una viva
cognizione e dolore delle mie colpe. Ah Gesù mio, io son pieno di vizi, ma voi
siete onnipotente; ben potete farmi pieno del vostro santo amore. A voi dunque confido che siete una bontà, una
misericordia infinita. Mi pento, o sommo bene, di avervi offeso. Oh fossi morto
prima e non v'avessi dato mai disgusto! Io mi sono scordato di Voi, ma Voi non
vi siete scordato di me: lo vedo con questa luce che ora mi date. Giacché
dunque mi date la luce, datemi ancora la forza di esservi fedele. Io vi
prometto prima di morire mille volte, che mai voltarvi più le spalle: ma al vostro aiuto stanno le mie
speranze: «In te, Domine, speravi, non confundar in aeternum». A voi spero, Gesù
mio, di non avermi a vedere più confuso nel peccato e privo della vostra
grazia.
A Voi mi rivolgo ancora, o Maria
signora mia: «In te, Domina, speravi, non confundar in aeternum». Alla vostra
intercessione confido, o speranza mia, di non avermi a vedere più nemico del
vostro Figlio. Deh pregatelo che mi faccia prima morire, che mi abbandoni a
questa somma disgrazia.
PUNTO II
In oltre il mal'abito indurisce.
«Cor durum efficit consuetudo peccandi», Cornelio a Lapide. E Dio giustamente il permette in pena delle
resistenze fatte alle sue chiamate. Dice l'Apostolo che 'l
Signore «cuius vult miseretur, et quem vult indurat» (Rom. 9. 18). Spiega S. Agostino:
«Obduratio Dei est nolle misereri». Non è già che Iddio indurisce il mal
abituato, ma gli sottrae la grazia, in pena dell'ingratitudine usata alle sue
grazie; e così il di lui cuore resta duro e fatto come di pietra. «Cor eius
indurabitur tanquam lapis, et stringetur quasi malleatoris incus» (Iob. 41.
15). Quindi avverrà che dove gli altri s'inteneriscono e piangono in sentir
predicar il rigore del divino giudizio, le pene de' dannati, la passione di
Gesu-Cristo, il mal abituato niente ne resterà commosso; ne parlerà e sentirà
parlare con indifferenza, come fossero cose che a lui non appartenessero; e a
tali colpi egli diventerà più duro. «Et stringetur quasi malleatoris incus».
Anche le morti improvvise, i tremuoti, i tuoni, i fulmini più non lo spaventeranno: prima
che svegliarlo e farlo ravvedere, più presto gli concilieranno quel sonno di
morte, in cui dorme perduto. «Ab increpatione tua, Deus Iacob, dormitaverunt»
(Ps. 75. 7). Il mal'abito a poco a poco fa perdere anche il rimorso della
coscienza. Al mal abituato i peccati più enormi gli sembrano niente. S.
Agostino: «Peccata quanvis horrenda, cum in
consuetudinem veniunt, parva, aut nulla esse videntur». Il far male porta seco
naturalmente un certo rossore, ma dice S. Girolamo
che i mal abituati perdono anche il rossore
peccando: «Qui ne pudorem quidem habent in delictis». S. Pietro paragona il mal
abituato al porco, che si rivolta nel letame: «Sus lota in volutabro luti» (2.
Petr. 2. 22). Siccome il porco, rivoltandosi nel loto, non ne sente egli il
fetore; così accade al mal abituato: quel fetore che si fa sentire da tutti gli
altri, egli solo non lo sente. E posto che il loto gli ha tolta anche la vista,
che meraviglia, è, dice S. Bernardino, che non
si ravveda, neppure mentre Dio lo flagella? «Populus immergit se in peccatis,
sicut sus in volutabro luti; quid mirum si Dei flagellantis futura iudicia non
cognoscit?» (S. Bern. Sen. p. 2. pag. 182). Onde avviene che in vece di
rattristarsi de' suoi peccati, se ne rallegra, se ne ride e se ne vanta.
«Laetantur, cum malefecerint» (Prov. 2. 14). «Quasi per risum stultus operatur
scelus» (Prov. 10. 23). Che segni sono questi di tal diabolica durezza? Dice S.
Tommaso di Villanova, sono segni tutti di
dannazione: «Induratio, damnationis indicium». Fratello mio, trema che non ti
avvenga lo stesso. Se mai hai qualche mal'abito, procura d'uscirne presto, ora
che Dio ti chiama. E mentre ti morde la coscienza, sta allegramente perché è
segno che Dio non t'ha abbandonato ancora. Ma emendati, ed esci presto; perché
se no, la piaga si farà cancrena, e sarai perduto.
Affetti e preghiere
O Signore, come potrò ringraziarvi
come debbo, di tante grazie che mi avete fatte? Quante volte mi avete chiamato,
ed io ho resistito? In vece di esservi grato e d'amarvi, per avermi liberato
dall'inferno, e chiamato con tanto amore ho seguitato a provocarvi a sdegno,
replicando a Voi le ingiurie. No, mio Dio, non voglio più oltraggiare la vostra
pazienza; basta quanto vi ho offeso. Solo Voi che siete bontà infinita, avete
potuto sinora sopportarmi. Ma già vedo che non potete sopportarmi più, avete
ragione. Perdonatemi dunque, Signore mio e mio sommo bene, tutte l'ingiurie che
v'ho fatte, delle quali mi pento con tutto il cuore; ch'io propongo per
l'avvenire di non offendervi più. E che forse ho da seguire sempre ad
irritarvi? Deh placatevi meco, o Dio dell'anima mia, non per li meriti miei, a
cui non si aspetta altro che castighi ed inferno, ma per li meriti del vostro
Figlio e mio Redentore, a' quali metto tutta la
mia speranza. Per amore dunque di Gesu-Cristo ricevetemi nella vostra grazia, e
datemi la perseveranza nel vostro amore. Staccatemi dagli affetti impuri, e
tiratemi tutto a Voi. V'amo, o sommo Dio, o sommo amante dell'anime, che siete
degno d'infinito amore. Oh vi avessi sempre amato.
O Maria Madre mia, fate che questa vita che mi resta, non
mi serva più per offendere il vostro Figlio, ma solo per amarlo e per piangere
i disgusti che gli ho dati.
PUNTO III
Perduta che sarà la luce, e indurito
che sarà il cuore, moralmente ne nascerà che 'l peccatore faccia mal fine, e
muoia ostinato nel suo peccato. «Cor durum habebit male in novissimo» (Eccli.
3. 27). I giusti sieguono a camminare per la
via dritta. «Rectus callis iusti ad ambulandum»
(Is. 26. 7). All'incontro i mal abituati van
sempre in giro. «In circuitu impii ambulant» (Ps. 11. 9). Lasciano il peccato
per un poco, e poi vi tornano. A costoro S. Bernardo
annunzia la dannazione: «Vae homini qui sequitur hunc circuitum» (Serm. 12.
Sup. Psal. 90). Ma dirà quel tale: Io voglio emendarmi prima della morte. Ma
qui sta la diffìcoltà, che un mal abituato si emendi, ancorché giunga alla
vecchiaia; dice lo Spirito Santo: «Adolescens iuxta viam suam, etiam cum
senuerit, non recedet ab ea» (Prov. 22. 6). La ragione si è, come ci dice S.
Tommaso da Villanova (Conc. 4. Dom. Quadr. 4),
perché la nostra forza è molto debole. «Et erit fortitudo nostra ut favilla stupae» (Is. 1. 31). Dal che ne nasce,
secondo dice il santo che l'anima priva della grazia non può stare senza nuovi
peccati: «Quo fit, ut anima a gratia destituta diu evadere ulteriora peccata
non possit». Ma oltre ciò, che pazzia sarebbe di taluno, se volesse giuocare e
perdere volontariamente tutto il suo, sperando di rifarsi all'ultima partita?
Questa è la pazzia di chi siegue a vivere tra' peccati, e spera poi nell'ultimo
giorno della vita di rimediare al tutto. Può
l'Etiope, o il pardo mutare il color della sua pelle? e come potrà far buona
vita, chi ha fatto un lungo abito al male? «Si mutare potest Aethiops pellem
suam, aut pardus varietates suas, et vos poteritis benefacere, cum didiceritis malum»
(Ier. 13. 23). Quindi avviene che il male abituato
in fine si abbandona alla disperazione, e così finisce la vita. «Qui vero
mentis est durae, corruet in malum» (Prov. 28. 14).
S. Gregorio su quel passo di Giobbe: «Concidit me vulnere super
vulnus, irruit in me quasi gigas» (Iob. 16. 15): dice il santo così: Se taluno
è assalito dal nemico, alla prima ferita che riceve resta forse anche abile a
difendersi; ma quante più ferite riceve, tanto più perde le forze, sino che
finalmente resta ucciso. Così fa il peccato; alla prima, alla seconda volta
resta qualche forza al peccatore (s'intende sempre per mezzo della grazia che
gli assiste), ma se poi egli seguita a peccare, il peccato si fa gigante,
«irruit quasi gigas». All'incontro il peccatore, trovandosi più debole e con
tante ferite, come potrà evitare la morte? Il peccato, al dire di Geremia, è
come una gran pietra, che opprime l'anima: «Et posuerunt lapidem super me»
(Thren. 3. 53). Or dice S. Bernardo esser sì
difficile il risorgere ad un mal abituato, quando è difficile ad uno che sia
caduto sotto un gran sasso, e che non ha forza di rimuoverlo per liberarsene:
«Difficile surgit, quem moles malae consuetudinis premit».
Dunque, dirà quel mal abituato, io
son disperato? No, non sei disperato, se vuoi rimediare. Ma ben dice un autore
che ne' mali gravissimi vi bisognano gravissimi rimedi: «Praestat in magnis
morbis a magnis auxiliis initium medendi sumere» (Cardin. Meth. cap. 16). Se ad un infermo che sta in pericolo di morte e non
vuol prender rimedi, perché non sa la gravezza del suo male, gli dicesse il
medico: Amico, sei morto, se non prendi la tal medicina. Che risponderebbe
l'infermo? Eccomi, direbbe, pronto a prender tutto; si tratta di vita.
Cristiano mio, lo stesso dico a te, se sei abituato in qualche peccato: stai
male, e sei di quell'infermi, che «raro sanantur» (come dice S. Tommaso da
Villanova); stai vicino a dannarti. Se non
però vuoi guarirti, vi è il rimedio; ma non hai d'aspettare un miracolo della
grazia; hai da farti forza dal canto tuo a toglier le occasioni, a fuggire i
mali compagni, a resistere con raccomandarti a Dio, quando sei tentato; hai da
prendere i mezzi, con confessarti spesso, leggere ogni giorno un libretto
spirituale, prendere la divozione a Maria SS., pregandola continuamente che
t'impetri forza di non ricadere. Hai da farti forza, altrimenti ti coglierà la
minaccia del Signore contro gli ostinati: «In peccato vestro moriemini» (Io. 8.
21). E se non rimedi, or che Dio ti dà questa luce, difficilmente potrai
rimediare appresso. Senti Dio che ti chiama: «Lazare, exi foras». Povero peccatore già morto, esci da questa oscura
fossa della tua mala vita. Presto rispondi; e datti a Dio; e trema che questa
non sia l'ultima chiamata per te.
Affetti e preghiere
Ah Dio mio, e che voglio aspettare
che proprio mi abbandoniate e mi mandiate all'inferno? Ah Signore, aspettatemi,
ch'io voglio mutar vita e darmi a Voi. Ditemi che ho da fare, che voglio farlo.
O sangue di Gesù, aiutatemi. O avvocata de' peccatori Maria, soccorretemi. E
Voi, Eterno Padre, per li meriti di Gesù e di Maria, abbiate pietà di me. Mi
pento, o Dio di bontà infinita, di avervi offeso, e v'amo sopra ogni cosa.
Perdonatemi per amore di Gesu-Cristo e datemi il vostro amore. Datemi ancora un
gran timore della mia ruina, se di nuovo vi offendessi. Luce, mio Dio, luce e
forza. Tutto spero dalla vostra misericordia. Voi mi avete fatte tante grazie,
quand'io andava lontano da Voi, molto più spero, or che a Voi ritorno risoluto
di non amare altro che Voi. V'amo, mio Dio, mia vita, mio tutto.
Amo ancora Voi, Madre mia Maria; a
Voi consegno l'anima mia; Voi preservatela colla vostra intercessione dal non
tornare a cadere in disgrazia di Dio.
Wednesday, 19 July 2017
Letter from Joan of Arc to the Inhabitants of Rion (in French)
Chers et bons amis, vous savez bien comment la
ville de Saint-Pierre le Moustier a esté prinse d'assault; et, à l'aide de
Dieu, ay entencion de faire vuider les autres places qui sont contraires au
roy; mais pour ce que grant despense de pouldres, trait et autres habillemens
de guerre a esté faicte devant ladicte ville, et que petitement les seigneurs
qui sont en ceste ville et moy en sommes pourveuz pour aller mectre le siége
devant la Charité, où nous alons présentement: je vous prie sur tant que vous aymez
le bien et honneur du roy et aussi de tous les autres de par deçà, que veuillez
incontinant envoyer et aider pour ledit siége, de pouldres, salpestre, souffre,
trait, arbelestres fortes et d'autres habillemens de guerre. Et en ce faictes
tant que, par faulte desdictes pouldres et autres habillemens de guerre, la
chose ne soit longue, et que on ne vous puisse dire en ce estre négligens ou
refusans. Chiers et bons amis, Nostre Sire soit garde de vous. Escript à
Molins, le neufviesme jour de novembre.
Jehanne.
Sur l'adresse: “A mes chers
et bons amis, les gens d'Église, bourgois et habitans de la ville de Rion.”
(Procès, t. V, p. 147.)
Tuesday, 18 July 2017
"The Book of Exodus" - Chapter XXXVI (translated into English)
Chapter 36
1 "Bezalel, therefore, will set to work with
Oholiab and with all the experts whom the LORD has endowed with skill and
understanding in knowing how to execute all the work for the service of the
sanctuary, just as the LORD has commanded."
2 Moses then called Bezalel and Oholiab and all the
other experts whom the LORD had endowed with skill, men whose hearts moved them
to come and take part in the work. 3 They
received from Moses all the contributions which the Israelites had brought for
establishing the service of the sanctuary. Still, morning after morning the
people continued to bring their voluntary offerings to Moses. 4 Thereupon the experts who were executing the various
kinds of work for the sanctuary, all left the work they were doing, 5 and told Moses, "The people are bringing much
more than is needed to carry out the work which the LORD has commanded us to
do." 6 Moses, therefore, ordered a
proclamation to be made throughout the camp: "Let neither man nor woman
make any more contributions for the sanctuary." So the people stopped
bringing their offerings; 7 there was already
enough at hand, in fact, more than enough, to complete the work to be done.
8 The various experts who were executing the work,
made the Dwelling with its ten sheets woven of fine linen twined, having
cherubim embroidered on them with violet, purple and scarlet yarn. 9 The length of each sheet was twenty-eight cubits,
and the width four cubits; all the sheets were of the same size. 10 Five of the sheets were sewed together, edge to
edge; and the same for the other five. 11 Loops
of violet yarn were made along the edge of the end sheet in the first set, and
the same along the edge of the end sheet in the second set. 12 Fifty loops were thus put on one inner sheet, and
fifty loops on the inner sheet in the other set, with the loops directly
opposite each other. 13 Then fifty clasps of
gold were made, with which the sheets were joined so that the Dwelling formed
one whole.
14 Sheets of goat hair were also woven as a tent over
the Dwelling. Eleven such sheets were made. 15
The length of each sheet was thirty cubits and the width four cubits; all
eleven sheets were the same size. 16 Five of
these sheets were sewed edge to edge into one set; and the other six sheets
into another set. 17 Fifty loops were made along
the edge of the end sheet in one set, and fifty loops along the edge of the
corresponding sheet in the other set. 18 Fifty
bronze clasps were made with which the tent was joined so that it formed one
whole. 19 A covering for the tent was made of
rams' skins dyed red, and above that, a covering of tahash skins.
20 Boards of acacia wood were made as walls for the
Dwelling. 21 The length of each board was ten
cubits, and the width one and a half cubits. 22
Each board had two arms, fastening them in line. In this way all the boards of
the Dwelling were made. 23 They were set up as
follows: twenty boards on the south side, 24
with forty silver pedestals under the twenty boards, so that there were two
pedestals under each board, at its two arms; 25
twenty boards on the other side of the Dwelling, the north side, 26 with their forty silver pedestals, two under each
board; 27 six boards at the rear of the
Dwelling, to the west; 28 and two boards at the
corners in the rear of the Dwelling. 29 These
were double at the bottom, and likewise double at the top, to the first ring.
That is how both boards in the corners were made. 30
Thus, there were in the rear eight boards, with their sixteen silver pedestals,
two pedestals under each board. 31 Bars of
acacia wood were also made, five for the boards on one side of the Dwelling, 32 five for those on the other side, and five for
those at the rear, to the west. 33 The center
bar, at the middle of the boards, was made to reach across from end to end. 34 The boards were plated with gold, and gold rings
were made on them as holders for the bars, which were also plated with gold.
35 The veil was woven of violet, purple and scarlet
yarn, and of fine linen twined, with cherubim embroidered on it. 36 Four gold-plated columns of acacia wood, with gold
hooks, were made for it, and four silver pedestals were cast for them. 37 The curtain for the entrance of the tent was made
of violet, purple and scarlet yarn, and of fine linen twined, woven in a
variegated manner. 38 Its five columns, with
their hooks as well as their capitals and bands, were plated with gold; their
five pedestals were of bronze."
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