Friday 12 May 2017

“The Bowman and Lion” by Aesop (translated into English)



    A very skillful bowman went to the mountains in search of game, but all the beasts of the forest fled at his approach. The Lion alone challenged him to combat. The Bowman immediately shot out an arrow and said to the Lion:  "I send thee my messenger, that from him thou mayest learn what I myself shall be when I assail thee."  The wounded Lion rushed away in great fear, and when a Fox who had seen it all happen told him to be of good courage and not to back off at the first attack he replied:  "You counsel me in vain; for if he sends so fearful a messenger, how shall I abide the attack of the man himself?' 


Be on guard against men who can strike from a distance.

Thursday 11 May 2017

"Apparecchio alla Morte" by St Alfonso Maria de Liguori (in Italian) – XIII



CONSIDERAZIONE XII - IMPORTANZA DELLA SALUTE
«Rogamus autem fratres, ut negotium vestrum agatis» (Thess. 4. 10).

PUNTO I
            Il negozio dell'eterna salute è certamente l'affare, che a noi importa più di tutti gli altri; ma questo è il più trascurato da' cristiani. Non si lascia diligenza, né si perde tempo per arrivare a quel posto, per vincer quella lite, per concludere quel matrimonio; quanti consigli, quante misure si prendono; non si mangia, non si dorme! E poi per accertare la salute eterna, che si fa? come si vive? Non si fa niente, anzi si fa tutto per perderla; e si vive dalla maggior parte de' cristiani, come la morte, il giudizio, l'inferno, il paradiso e l'eternità non fossero verità di fede, ma favole inventate da' poeti. Se si perde una lite, una raccolta, che pena non si sente? e che studio non si mette per riparare il danno avuto? Se si perde un cavallo, un cane, che diligenza non si fa per ritrovarlo? Si perde la grazia di Dio, e si dorme, e si burla, e si ride. Gran cosa! Ognuno si vergogna d'esser chiamato negligente ne' negozi del mondo; e poi tanti non si vergognano di trascurare il negozio dell'eternità, che importa tutto! Chiamano essi savi li santi, che hanno atteso solamente a salvarsi, e poi essi attendono a tutte l'altre cose del mondo e niente all'anima! Ma voi (dice S. Paolo), voi, fratelli miei, attendete solo al gran negozio che avete della vostra salute eterna, che questo è l'affare che a voi più importa. «Rogamus vos, ut vestrum negotium agatis». Persuadiamoci dunque che la salute eterna è per noi il negozio più «importante», il negozio «unico», ed è un negozio «irreparabile», se mai si sgarra.
            È il negozio il più «importante». Sì, perch'è l'affare di maggior conseguenza, trattandosi dell'anima, che perdendosi è perduto tutto. L'anima dee stimarsi da noi la cosa più preziosa, che tutti i beni del mondo.«Anima est toto mundo pretiosior», dice S. Gio. Grisostomo.
Per intendere ciò, basta sapere che lo stesso Dio ha dato il Figlio alla morte, per salvare l'anime nostre! «Sic Deus dilexit mundum, ut Filium suum unigenitum daret» (Io. 3. 16). E 'l Verbo eterno non ha ricusato di comprarle col suo medesimo sangue. «Emti enim estis pretio magno» (1. Cor. 19. 10). Talmente che (dice un santo Padre) par che l'uomo vaglia, quanto vale Dio: «Tam pretioso munere humana redemtio agitur, ut homo Deum valere videtur». Quindi disse Gesu-Cristo: «Quam dabit homo commutationem pro anima sua?» (Matth. 16. 26). Se l'anima dunque tanto vale, per qual bene mai del mondo un uomo la cambierà perdendola?
            Avea ragione S. Filippo Neri di chiamar pazzo chi non attende a salvarsi l'anima. Se mai nella terra vi fossero uomini mortali ed uomini immortali, ed i mortali vedessero gl'immortali tutti applicati alle cose del mondo, ad acquistare onori, beni e spassi di terra, direbbero certamente loro: Oh pazzi che siete! voi potete acquistarvi beni eterni e pensate a queste cose miserabili e passaggiere? e per queste vi condannate voi stessi a pene eterne nell'altra vita? Lasciate che a questi beni terreni ci pensiamo solamente noi sventurati, per cui nella morte finirà tutto per noi. Ma no, che siamo tutti immortali; e come va poi, che tanti per li miseri piaceri di questa terra perdono l'anima? Come va, dice Salviano, che i cristiani credono esservi giudizio, inferno, eternità, e poi vivono senza temerli? «Quid causae est, quod christianus, si futura credit, futura non timeat?»

Affetti e preghiere
            Ah mio Dio, a che ho spesi tanti anni, che Voi mi avete dati a fine di procurarmi l'eterna salute? Voi, mio Redentore, avete comprata l'anima mia col vostro sangue, e poi l'avete a me consegnata, acciocché io attendessi a salvarla, ed io non ho atteso che a perderla con offender Voi, che tanto mi avete amato. Vi ringrazio che ancora mi date tempo di poter rimediare alla gran perdita da me fatta. Ho perduta l'anima e la bella grazia vostra. Signore, me ne pento, me ne dispiace con tutto il cuore. Deh perdonatemi, ch'io risolvo da oggi avanti di perdere ogni cosa, anche la vita, prima che la vostra amicizia. V'amo sopra ogni bene, e risolvo di volervi sempre amare, o sommo bene degno d'infinito amore. Aiutatemi, Gesù mio, acciocché questa mia risoluzione non sia simile agli altri miei propositi passati, che sono stati tutti tradimenti. Fatemi prima morire, che io abbia da tornare di nuovo ad offendervi e lasciarvi d'amare.
            O Maria speranza mia, salvatemi Voi, con ottenermi la santa perseveranza.


PUNTO II
            Il negozio dell'eterna salute non solo è il più importante, ma è «l'unico» negozio che abbiamo in questa vita. «Porro unum est necessarium». Piange S. Bernardo la sciocchezza de' cristiani, che chiamano pazzia le pazzie de' fanciulli, e poi chiamano negozi i loro affari terreni. «Nugae puerorum, nugae vocantur, nugae maiorum, negotia vocatur?» Queste pazzie de' grandi sono pazzie più grandi. Ed a che serve (dice il Signore) guadagnarti tutto il mondo, e perdere l'anima? «Quid prodest homini, si mundum universum lucretur, animae vero suae detrimentum patiatur?» (Matth. 16. 26). Se ti salvi, fratello mio, non importa che in questa terra sii stato povero, afflitto e disprezzato: salvandoti, non avrai più guai, e sarai felice per tutta l'eternità. Ma se la sgarri e ti danni, che ti servirà nell'inferno l'averti presi tutti gli spassi del mondo, e l'essere stato ricco ed onorato? Perduta l'anima, si perdono gli spassi, gli onori, le ricchezze; si perde tutto.
            Che risponderai a Gesu-Cristo nel giorno de' conti? Se il re mandasse un suo ambasciadore a trattare qualche gran negozio in una città, e quegli in vece di attendere ivi all'affare commessogli, attendesse solamente a far banchetti, commedie e festini: e con ciò mandasse a male il negozio, qual conto ne darebbe al re nel suo ritorno? Ma oh Dio! che maggior conto darà al Signore nel giudizio colui, che posto sulla terra, non per divertirsi, non per farsi ricco, non per acquistare onori ma per salvarsi l'anima, ad ogni cosa avrà atteso, fuorché all'anima? Si pensa da' mondani solamente al presente, non al futuro. S. Filippo Neri parlando una volta in Roma ad un giovane di talento, chiamato Francesco Zazzera, che stava applicato al mondo, gli disse così: Figlio mio, tu farai gran fortuna, sarai buono avvocato, poi sarai prelato, poi forse anche cardinale, e chi sa, forse anche Papa. E poi? e poi? Va (gli disse in fine), pensa a queste due ultime parole. Se ne andò Francesco alla casa, e pensando a quelle due parole, «e poi? e poi?» lasciò le sue applicazioni mondane, lasciò anche il mondo, ed entrò nella stessa Congregazione di S. Filippo, e cominciò ad attendere solo a Dio.
            «Unico» negozio, perché un'anima abbiamo. Benedetto XII fu richiesto da un principe d'una grazia, che non potea concedersi senza peccato; il Papa rispose all'ambasciadore: Dite al vostro principe, che se io avessi due anime, potrei una perderla per lui e l'altra riservarla per me; ma perché ne ho una sola, non posso né voglio perderla. Dicea S. Francesco Saverio che un solo bene vi è nel mondo, e un solo male; l'unico bene è il salvarsi, l'unico male è il dannarsi. Ciò replicava ancora S. Teresa alle sue monache dicendo: «Sorelle mie, un'anima, un'eternità». Volendo dire: «Un'anima», perduta questa, è perduto tutto: «Una eternità», perduta l'anima una volta, è perduta per sempre. Perciò pregava Davide: «Unam petii, et hanc requiram, ut inhabitem in domo Domini» (Ps. 22. 6). Signore, una cosa vi chiedo, salvatemi l'anima, e non altro.
            «Cum metu, et tremore, vestram salutem operamini» (Phil. 2. 12). Chi non teme e non trema di perdersi, non si salverà; ond'è che per salvarsi, bisogna faticare e farsi violenza. «Regnum coelorum vim patitur, et violenti rapiunt illud» (Matth. 11). Per conseguir la salute è necessario che in morte la nostra vita si trovi simile a quella di Gesu-Cristo. «Praedestinavit uniformes fieri imaginis Filii sui» (Rom. 8. 29). E perciò dobbiam faticare in fuggir le occasioni da una parte, e dall'altra in avvalerci de' mezzi necessari a conseguir la salute. «Regnum non dabitur vagantibus (dice S. Bernardo), sed pro servitio Deo digne laborantibus». Tutti vorrebbero salvarsi senza incomodo. Gran cosa! dice S. Agostino, il demonio fa tanta fatica, e non dorme per farci perdere; e tu, trattandosi del tuo bene, o male eterno, sei così trascurato? «Vigilat hostis, dormis tu»?

Affetti e preghiere
            Ah mio Dio, vi ringrazio che a quest'ora mi fate stare a' piedi vostri, e non all'inferno, che tante volte mi ho meritato. Ma che mi servirebbe la vita che Voi mi conservate, s'io seguitassi a vivere privo della vostra grazia? Ah non sia mai. Io vi ho voltate le spalle, io v'ho perduto, o mio sommo bene; me ne dispiace con tutto il cuore. Fossi morto prima mille volte. Io vi ho perduto, ma il vostro profeta mi fa sentire che voi siete tutto buono, e ben vi fate trovare da un'anima che vi cerca: «Bonus est Dominus animae quaerenti illum» (Thren. 3. 25). Se per lo passato io son fuggito da voi, o Re del mio cuore, ora vi cerco, e non cerco altro che Voi. V'amo con tutto il mio affetto. Accettatemi, non isdegnate di farvi amare da quel cuore, che un tempo vi ha disprezzato. «Doce me facere voluntatem tuam». Insegnatemi che ho da fare per darvi gusto, che io tutto voglio eseguirlo. Deh Gesù mio, salvatemi quest'anima, per cui avete speso il sangue e la vita; e 'l salvarmi sia darmi la grazia di sempre amarvi in questa vita e nell'altra. Così spero a' meriti vostri.
            E così anche spero alla vostra intercessione, o Maria.


PUNTO III
            Negozio «importante», negozio «unico», negozio «irreparabile». «Sane supra omnem errorem est», dice S. Eucherio, «dissimulare negotium aeternae salutis». Non v'è errore simile all'errore di trascurare la salute eterna. A tutti gli altri errori vi è rimedio: se uno perde una roba, può acquistarla per altra via: se perde un posto, può esservi il rimedio a ricuperarlo: ancorché taluno perdesse la vita, se si salva, è rimediato a tutto. Ma per chi si danna, non vi è più rimedio. Una volta si muore; perduta l'anima una volta, è perduta per sempre. «Periisse semel, aeternum est». Altro non resta, che piangere eternamente cogli altri miseri pazzi nell'inferno: dove questa è la maggior pena, che li tormenta, il pensare che per essi è finito il tempo di rimediare alla loro miseria. «Finita est aestas, et nos salvati non sumus» (Ier. 8. 20). Dimandate a que' savi del mondo, che ora stanno in quella fossa di fuoco, dimandate quali sentimenti ora tengono? e se si trovan contenti di aver fatte le loro fortune in questa terra, ora che son dannati a quel carcere eterno? Udite come piangono e dicono: «Ergo erravimus!» Ma che serve loro conoscer l'errore fatto, ora che non v'è più rimedio alla loro eterna dannazione? Qual pena non sentirebbe taluno in questa terra, se avendo potuto rimediare con poca spesa alla rovina d'un suo palagio, un giorno poi lo trovasse caduto, e considerasse la sua trascuraggine, quando non può più rimediarvi?
            Questa è la maggior pena de' dannati il pensare che han perduta l'anima, e si son dannati per colpa loro. «Perditio tua, Israel, tantummodo in me auxilium tuum» (Os. 13. 9). Dice S. Teresa che se uno perde per colpa sua una veste, un anello, anche una bagattella, non trova pace, non mangia, non dorme. Oh Dio qual pena sarà al dannato in quel punto ch'entrerà nell'inferno, allorché vedendosi già chiuso in quella prigione di tormenti, anderà pensando alla sua disgrazia, e vedrà che per tutta l'eternità non vi sarà mai più riparo! Dunque dirà: Io ho perduta l'anima, il paradiso e Dio: ho perduto tutto per sempre, e perché? per colpa mia.
            Ma dirà taluno: Se io fo questo peccato, perché m'ho da dannare? può essere che ancora mi salvi. Io ripiglio: Ma può essere che ancora ti danni. Anzi ti dico esser più facile che ti danni, poiché le Scritture minacciano la dannazione a' traditori ostinati, come in questo punto sei tu:«Vae filii desertores, dicit Dominus» (Is. 30. 1) «Vae eis, quoniam recesserunt» (Os. 7. 13). Almeno con questo peccato, che fai, non metti in gran pericolo e dubbio la tua salute eterna? Ed è negozio questo da metterlo in pericolo? Non si tratta d'una casa, d'una villa, d'un posto, si tratta, dice S. Gio. Grisostomo, di subissare in un'eternità di tormenti e di perdere un paradiso eterno: «De immortalibus suppliciis, de coelestis regni amissione res agitur». E questo negozio che importa il tutto per te, vuoi arrischiarlo ad un «può essere?»
            Dici: Forse chi sa, non mi dannerò: spero che appresso Dio mi perdonerà. Ma frattanto? frattanto già da te stesso ti condanni all'inferno. Dimmi, ti butteresti in un pozzo con dire, forse chi sa, non morirò? No. E come poi puoi appoggiare la tua salute eterna ad una speranza così debole? ad un «chi sa?» Oh quanti con questa maledetta speranza si son dannati! Non sai che la speranza degli ostinati a voler peccare, non è speranza, ma inganno e presunzione, che muove Dio non a misericordia, ma a maggiore sdegno? Se ora dici che non ti fidi di resistere alla tentazione ed alla passione che ti domina, come resisterai appresso, quando non ti si aumenteranno, ma ti mancheranno le forze col commettere il peccato? poiché da una parte allora l'anima resterà più accecata, ed indurita dalla sua malizia, e dall'altra mancheranno gli aiuti divini. Forse speri che Dio abbia ad accrescere a te i lumi e le grazie, dopo che tu avrai accresciuti i peccati?

Affetti e preghiere
            Ah Gesù mio, ricordatemi sempre la morte che avete patita per me, e datemi confidenza. Tremo che nella mia morte il demonio abbia da farmi disperare alla vista di tanti tradimenti, che vi ho fatti. Quante promesse v'ho fatte di non volervi offendere più, a vista della luce che mi avete data, e poi ho ritornato a voltarvi le spalle, colla speranza del perdono? Dunque perché voi non mi avete castigato, per questo io vi ho ingiuriato tanto? Perché voi mi avete usata più misericordia, io vi ho fatti più oltraggi? Mio Redentore, datemi un gran dolore de' peccati miei, prima ch'io parta da questa vita. Mi pento, o sommo bene, di avervi offeso. Io vi prometto da ogg'innanzi di morire prima mille volte, che lasciarvi più. Ma frattanto fatemi sentire quel che diceste alla Maddalena: «Remittuntur tibi peccata tua;» con farmi sentire un gran dolore delle mie colpe, prima ch'io arrivi alla morte, altrimenti temo che la mia morte abbia a riuscirmi inquieta ed infelice. «Non sis tu mihi formidini, spes mea, in die afflictionis» (Ier. 17. 17). In quel punto estremo, o Gesù mio crocifisso, non mi siate di spavento. Se io morirò allora prima d'aver pianti i miei peccati, e prima d'avervi amato, allora le vostre piaghe e 'l vostro sangue mi daranno più presto terrore, che confidenza. Non vi cerco dunque consolazioni e beni di terra in questa vita che mi resta; vi chiedo dolore ed amore. Esauditemi, caro mio Salvatore, per quell'amore che vi fece sagrificare la vita per me sopra il Calvario.
            Maria Madre mia, impetratemi voi queste grazie insieme colla santa perseveranza sino alla morte.

Wednesday 10 May 2017

“Ao Dr. João Duarte Lisboa Serra” by Gonçalves Dias (in Portuguese)




Mais um pungir de acérrima saudade,
Mais um canto de lágrimas ardentes,
Oh! minha Harpa, - oh! minha Harpa desditosa.
Escuta, ó meu amigo: da minha alma
Foi uma lira outrora o instrumento;
Cantava nela amor, prazer, venturas,
Até que um dia a morte inexorável
Triste pranto de irmão veio arrancar-te!
As lágrimas dos olhos me caíram,
E a minha lira emudeceu de mágoa!
Então aventei eu que a vida inteira
Do bardo, era um perene sacerdócio
De lágrimas e dor; - tomei uma Harpa:
Na corda da aflição gemeu minha alma,
Foi meu primeiro canto um epicédio!
Minha alma batizou-se em pranto amargo,
Na frágua do sofrer purificou-se!
Lancei depois meus olhos sobre o mundo,
Cantor do sofrimento e da amargura;
E vi que a dor aos homens circundava,
Como em roda da terra o mar se estreita;
Que apenas desfrutamos, - miserandos!
Desbotado prazer entre mil dores,
- Uma rosa entre espinhos aguçados,
Um ramo entre mil vagas combatido.
Voltou-se então p’ra Deus o meu esp’rito,
E a minha voz queixosa perguntou-lhe:
- Senhor, porque do nada me tiraste,
Ou por que a tua voz onipotente
Não fez secar da minha vida a sebe,
Quando eu era principio e feto - apenas?
Outra voz respondeu-me dentro d’alma:
- Ardam teus dias como o feno, - ou durem
Como o fogo de tocha resinosa,
- Como rosa em jardim sejam brilhantes,
Ou baços como o cardo montesinho.
Não deixes de cantar, ó triste bardo. -
E as cordas da minha harpa - da primeira
À extrema - da maior à mais pequena,
Nas asas do tufão - entre perfumes,
Um cântico de amores exaltaram
Ao trono do Senhor; - e eu disse às turbas:
- Ele nos faz gemer porque nos ama;
Vem o perdão nas lágrimas contritas,
Nas asas do sofrer desce a demência;
Sobre quem chora mais ele mais vela!
Seu amor divinal é como a lâmpada,
Na abóbada dum templo pendurada,
Mais luz filtrando em mais opacas trevas.
Eu o conheço: - o cântico do bardo
É bálsamo ao que morre, - é lenitivo,
Mas doloroso, mas funéreo e triste
A quem lhe carpe infausto a morte crua.
Mas quando a alma do justo, espedaçando
O invólucro de lodo, aos céus remonta,
Como estrada de luz correndo os astros,
Seguindo o som dos cânticos dos anjos
Que na presença do Senhor se elevam;
Choro... tão bem Jesus chorou a Lázaro!
Mas na excelsa visão que se me antolha
Bebo consolações, - minha alma anseia
A hora em que também há de asilar-se
No seio imenso do perdão do Eterno.
Chora, amigo: porém quando sentires
O pranto nos teus olhos condensar-se,
Que já não pode mais banhar-te as faces,
Ergue os olhos ao céu, onde a luz mora,
Onde o orvalho se cria, onde parece
Que a tímida esperança nasce e habita.
E se eu - feliz! - puder inda algum dia
Ferir por teu respeito na minha harpa
A leda corda onde o prazer palpita,
A corda do prazer que ainda inteira,
Que virgem de emoção inda conservo,
Suspenderei minha harpa dalgum tronco
Em of’renda à fortuna; - ali sozinha,
Tangida pelo sopro só do vento,
Há de mistérios conversar co’a noite.
De acorde estreme perfumando as brisas:
Qual Harpa de Sião presa aos salgueiros
Que não há de cantar a desventura,
Tendo cantos gentis vibrado nela.

Tuesday 9 May 2017

"The Book of Exodus" - Chapter XXVI (translated into English)



Chapter 26

1 "The Dwelling itself you shall make out of sheets woven of fine linen twined and of violet, purple and scarlet yarn, with cherubim embroidered on them. 2 The length of each shall be twenty-eight cubits, and the width four cubits; all the sheets shall be of the same size.
3 Five of the sheets are to be sewed together, edge to edge; and the same for the other five. 4 Make loops of violet yarn along the edge of the end sheet in one set, and the same along the edge of the end sheet in the other set. 5 There are to be fifty loops along the edge of the end sheet in the first set, and fifty loops along the edge of the corresponding sheet in the second set, and so placed that the loops are directly opposite each other. 6 Then make fifty clasps of gold, with which to join the two sets of sheets, so that the Dwelling forms one whole.
            7 "Also make sheets woven of goat hair, to be used as a tent covering over the Dwelling. 8 Eleven such sheets are to be made; the length of each shall be thirty cubits, and the width four cubits: all eleven sheets shall be of the same size. 9 Sew five of the sheets, edge to edge, into one set, and the other six sheets into another set. Use the sixth sheet double at the front of the tent. 10 Make fifty loops along the edge of the end sheet in one set, and fifty loops along the edge of the end sheet in the second set. 11 Also make fifty bronze clasps and put them into the loops, to join the tent into one whole.
            12 There will be an extra half sheet of tent covering, which shall be allowed to hang down over the rear of the Dwelling. 13 Likewise, the sheets of the tent will have an extra cubit's length to be left hanging down on either side of the Dwelling to protect it.
14 Over the tent itself you shall make a covering of rams' skins dyed red, and above that, a covering of tahash skins.
            15 "You shall make boards of acacia wood as walls for the Dwelling. 16 The length of each board is to be ten cubits, and its width one and a half cubits. 17 Each board shall have two arms that shall serve to fasten the boards in line. In this way all the boards of the Dwelling are to be made. 18 Set up the boards of the Dwelling as follows: twenty boards on the south side, 19 with forty silver pedestals under the twenty boards, so that there are two pedestals under each board, at its two arms; 20 twenty boards on the other side of the Dwelling, the north side, 21 with their forty silver pedestals, two under each board; 22 six boards for the rear of the Dwelling, to the west; 23 and two boards for the corners at the rear of the Dwelling. 24 These two shall be double at the bottom, and likewise double at the top, to the first ring. That is how both boards in the corners are to be made. 25 Thus, there shall be in the rear eight boards, with their sixteen silver pedestals, two pedestals under each board.
            26 Also make bars of acacia wood: five for the boards on one side of the Dwelling, 27 five for those on the other side, and five for those at the rear, toward the west. 28 The center bar, at the middle of the boards, shall reach across from end to end. 29 Plate the boards with gold, and make gold rings on them as holders for the bars, which are also to be plated with gold. 30 You shall erect the Dwelling according to the pattern shown you on the mountain.
            31 "You shall have a veil woven of violet, purple and scarlet yarn, and of fine linen twined, with cherubim embroidered on it. 32 It is to be hung on four gold-plated columns of acacia wood, which shall have hooks of gold and shall rest on four silver pedestals. 33 Hang the veil from clasps. The ark of the commandments you shall bring inside, behind this veil which divides the holy place from the holy of holies. 34 Set the propitiatory on the ark of the commandments in the holy of holies. 35 "Outside the veil you shall place the table and the lampstand, the latter on the south side of the Dwelling, opposite the table, which is to be put on the north side. 36 For the entrance of the tent make a variegated curtain of violet, purple and scarlet yarn and of fine linen twined. 37 Make five columns of acacia wood for this curtain; have them plated with gold, with their hooks of gold; and cast five bronze pedestals for them.

Saturday 6 May 2017

"The Boasting Traveler" by Aesop (translated into English)

          A man who had traveled in foreign lands boasted very much, on returning to his own country, of the many wonderful and heroic feats he had performed in the different places he had visited. Among other things, he said that when he was at Rhodes he had leaped to such a distance that no man of his day could leap anywhere near him as to that, there were in Rhodes many persons who saw him do it and whom he could call as witnesses.  One of the bystanders interrupted him, saying:  "Now, my good man, if this be all true there is no need of witnesses.  Suppose this to be Rhodes, and leap for us."

                                                                                    He who does a thing well does not need to boast.