Thursday, 2 July 2020

Thursday's Serial: "La Farinella, commedia in cinque atti" by Giulio Cesare Crocce (in Italian) - II


ATTO SECONDO
SCENA PRIMA - Messer Zenobio solo.
ZENOBIO - Io ho letto la lettera e ho inteso quanto scrive Lelio ad Ardelia e come la prega a portarsi in pazienza fin al suo ritorno, che subito ch'esso avrà finito di studiare, non mancherà di fare quel tanto che lui gl'ha promesso, e molte altre belle paroline, come s'usa tra gli amanti innamorati. Ma certo egli s'inganna, perché io già ho fatto pratica per dargli moglie, quale è una figliola d'un mercante luchese, la quale averà di dote diece millia scudi e piú; a tale che faranno altro che mille e ducento, come ha questa sua Signora Ardelia; e costei è poi erede del padre, dove che verranno ad essere circa venti millia scudi, di modo che, con il patrimonio ch'io gli lasciarò, e queste facoltà, Lelio verrà ad esser uno de' primi di questa città per ricchezza, e ancora per nobiltà. E però Messer Pancrazio può ben maritare sua figliuola ad altri, senza avere speranza alcuna in mio figliuolo, perché ogni suo dissegno gli andarà fallato: oh, questa è stata la buona cosa per me a essere dato in quel balordo di Stramazzo, perché questa lettera sarà causa che quanto prima io cercarò di tirare a fine questo negozio. Io voglio andare a casa a scrivere la lettera a Lucca e quanto si può piú presto dare rissoluzione a questa cosa, che io non vorrei che Lelio si rissolvesse di non volere studiare, e che egli tornasse a casa e sposare costei, che se bene ella è di buon sangue, questo non basta, perché da questi tempi chi non ha moneta in cassa viene sprezzato da tutti: ché la povertà è un brutto mostro da vedere, però bisogna fuggirla a piú non posso. Orsú, io non voglio piú stare a perdere tempo, perché la posta si vuol partire; io andarò a scrivere la lettera e mandarla via quanto prima; perché non bisogna dormire sopra questo negozio, che la cosa importa troppo. A fè, Ardelia, tu non mi verrai in casa a tutto mio potere. Ma io veggio Stramazzo, che mi ha dato la lettera; io mi voglio retirare, che non mi veda, che la cosa non si scoprisse, perché ei si crede aver dato la lettera a Messer Pancrazio, e l'ha data a me.

SCENA SECONDA - Stramazzo e Chiappino ragazzo di Flavio.
STRAMAZZO - A i ho fat una squaquarella a colú, ma ol Noder m'ha dit ch'a faghi esaminà i testimoni; mo al no gh'ira mo vergú oter che nu dú, a tal ch'a pens ch'a n'a  vrò fat vergot. Hosú pur, a voi tornà in gabella a vedí s'ol ghe da fà per mi, perqué quant no se lavura ol nos  puol mangià.
CHIAPPINO - O fachino, o fachino.
STRAMAZZO - Che cosa vuot mo an ti? Di'.
CHIAPPINO - Avresti veduto per sorte una mula in groppa ad un pagliaio?
STRAMAZZO - Becca su questa; te dí esser imbriac an ti com' ira quell'oter poc fà, nevira?
CHIAPINO - Io non burlo, io cerco un grillo che porta la lanterna di Genova a Milano.
STRAMAZZO - O che questa è la giornata de i embriaghi? Con cancher un gril che porta una lanterna, o ti sí cot,  ve', fradel.
CHIAPPINO - Tu non l'hai dunque veduto?
STRAMAZZO - Mo no mi.
CHIAPPINO - Dimmi dunque; quante miglia sono da Roma al primo dí d'agosto?
STRAMAZZO - O ch' l'è mat, l'è mat costù.
CHIAPPINO - Di' il vero, sei tu nato o pur fosti piantato?
STRAMAZZO - Sí, a dig esser un ravanel da esser piantato. O poveraz, t'ha pers ol cervel ti, nevira?.
CHIAPPINO - Orsú, io non burlo certo; hai tu veduto un uomo grande, lungo piú di mezo braccio, a cavallo d'una cimice gravida, con un fagotto alle spalle pieno di malizie di putane, che le porta a Comachio a barrattare in tante anguille affumate?
STRAMAZZO - Ah, ah, ah, o sí che questa è da sgrignà. No 'l dissi a mi che questa ira la zornada de i mat o de imbriaghi? Osú a m'arecomand, fradel, va' dorm' un sonet; va via, ti n arà mal nigú. Mo a me voi levà de chilò, che 'l no fà per mi a stà a contrastà con i embriaghi. A Dé.
CHIAPPINO - Fermati, fermati, odi una parola; sí, sí, a Dio. El va che 'l vento il porta; orsú, io mi son preso un poco burla di costui, io voglio mo andar a casa di Messer Sempronio, ch'il Signor Flavio mio padrone mi manda a dire al Signor Lelio, il quale sta di nascosto in casa sua, che non debbia moversi di là fin ch'esso non lo va a tórre o non gli manda a dire una parola. Io voglio andar di qua, ch'io giongerò piú presto là, e poi voglio passare dritto la casa di Gianettina, e s'io la posso vedere gli voglio donare questo bel mazzetto de fiori, e raccordargli ch'io gli son servitore; e so ch'ella non lo sprezzerà, perché ella mi vuol bene, e l'altro giorno ella mi mandò a donare un bel collaro e certe galanterie, ch'io le tengo molto care; infin l'è una bella cosa l'essere innamorato, e massime di queste serve da cucina, ch'elle sono sempre pastose e morbide per la lavattura delle scudelle, che le tiene sempre unte e grasse, onde gli traluce la pelle come tanti specchi. Orsú, io vado.

SCENA TERZA - Madonna Simplicia e il Signor Flavio.
SIMPLICIA - Che mi commanda, V. S. mio Signore?
FLAVIO - Vorrei ch'ella mi favorisce di prestarmi un vestimento d'una delle vostre serventi, ch'io me ne voglio servire a fare una burla a un vecchio balordo.
SIMPLICIA - Di grazia, ma perché non volete voi uno di quelli che porto io, ch'è molto piú onorevole?
FLAVIO - Io voglio uno di quelli della servente, perché torna piú a proposito per me, ch'io voglio poi che voi ridiate quando saprete la burla.
SIMPLICIA - Io so che sempre il Signor Flavio sta su le burle, e che ne sa fare delle belle, e questa ancora è forza, che sia bella. Orsú, io vi darò uno di quelli di Gianettina mia serva.
FLAVIO - Questo sarà la vita per fare quello ch'io voglio fare.
SIMPLICIA - Volete voi ch'io ve lo mandi adesso, o lo mandarete a pigliar voi per qualcuno?
FLAVIO - Lo manderò a pigliar io per Chiappino mio ragazzo, come sarà tornato d'un servizio, nel quale io l'ho mandato poco fa, e non può fare che non torni a casa.
SIMPLICIA - Venghi quanto vuole, che sarà servito di quello, e di maggior cosa, ché ben sapete che potete commandarmi alla libera.
FLAVIO - Io son piú che sicuro della vostra cortesia. Orsú, me le raccomando.
SIMPLICIA - Andate in pace. Che domin  può voler fare costui d'uno vestimento della mia serva? Qualche stratagemma certo esso deve avere in animo di fare. Orsú, io non voglio stare a cercare piú oltre; io voglio entrar in casa, e preparare una tonica, e 'l grembiale, e la scuffia di Gianettina, e quando verrà il suo ragazzo glielo darò, ch'el Signor Flavio è gentil'uomo da servire.

SCENA QUARTA - Messer Pancrazio solo.
PANCRAZIO - Io pregai a gli giorni passati il Signor Flavio che se esso avesse saputo una qualche fantesca da comodarsi a patrone, che mi favorisce d'inviarmela, perché son senza moglie, e la serva ch'io avea se n'è gita, e ho Ardelia mia figliuola la quale sta sola e brama compagnia, e poi non sta bene che una giovane, com'è quella, stia sola in casa per piú rispetti. Però io voglio andare verso la piazza, che forse io lo trovarò al ridutto de gentil'uomini, che questa a punto è ora che vi siano, e come avrò questa servente starò poi piú sicuro del onor mio e andarò fuori di casa con manco dubbio che mi sia fatto qualche stravaganza alla casa, perché da questi tempi non vi mancano de gli insolenti al mondo, che portano poco rispetto a i cittadini, e loro pare avere fatto l'impresa di Costantinopoli quando hanno levato l'onore e la fama a un uomo da bene. Orsú, il mondo camina cosí al tempo d'adesso, e però bisogna aprire ben gli occhi. Orsú, io vado.

SCENA QUINTA - Chiappino e Gianettina.
CHIAPPINO - Oh che ventura, oh che ventura è stata questa per me! Il mio padrone m'ha incontrato ch'io tornavo di quel servizio dove esso mi avea mandato, e hammi detto ch'io venghi a casa di Madonna Simplicia, ch'ella mi darà un vestimento di Gianettina. Or mira se 'l formaggio m'è cascato (come si suol dire) suso i macheroni: io avevo fatto pensiero di passare per di qua per vederla e donargli questo mazzetto di fiori, e ora mi si appresenta tal occasione, che molto piú avrò causa di parlargli e dirgli il fatto mio. Ma eccola, a fè, ch'ella vien in qua e ha il vestimento sul braccio. Ah, Chiappino, adesso è tempo di stare in cervello. Io la voglio salutare. A Dio, bella Gianettina, dove si va?
GIANETTINA - A Dio, Chiappino galante, io venivo a casa del tuo padrone a portargli quest'abito, ché quando la madonna ha veduto che tu non venivi, ha comesso a me che glielo porti fin là.
CHIAPPINO - E io venivo or ora a pigliarlo, però tu lo darai a me, e non passerai piú inanzi. Ma dimmi, Gianettina mi vuoi tu piú bene?
GIANETTINA - Piú che mai, il mio dolce Chiappinetto, e adesso mi riputavo a gran ventura l'avere ora occasione di venir a casa del tuo padrone solo per veder te.
CHIAPPINO - E io altro tanto mi reputo a favore del Cielo, che io abbia avuto questa occasione di poterti parlare senza sospetto, e ti portavo a donare questo mazzetto di fiori, il quale tu lo porterai nel tuo bianco seno per amor mio. Te, piglialo, ben mio.
GIANETTINA - Ecco, io lo piglio; ma dimmi: che altro bel fiorino è quello, che tu hai nel capello?
CHIAPPINO - È un fiore, che io ho trovato per strada e me lo son posto qui, e te lo darò, se tu lo vuoi.
GIANETTINA - Io non lo voglio altramente; tienlo pur per  te.
CHIAPPINO - Perché non lo vuoi?
GIANETTINA - Perché te lo deve aver donato qualche tua innamorata, e non te lo voglio levare, che 'l dovere non lo vuole.
CHIAPPINO - Non me l'ha dato nissuna certo, ma io l'ho trovato, se tu credi che io ti sia servidore.
GIANETTINA - Io credo che tu sii servitore di quante donne tu vedi, e che tutte le servi a un modo, e credo che questo fiore e ancora questo mazzetto ti sia stato donato da qualcuna di quelle che tu vai berlocchiando e che poi l'abbi portato a me per darmi la madre d'Orlando.
CHIAPPINO - Se io l'ho avuto da nissuna, che poss'io perdere la grazia del mio padrone e la tua insieme, la quale io apprezzo piú che tutto l'oro del mondo, e hai gran torto a dirmi queste parole, che pur sai s'io ti son fidelissimo servitore.
GIANETTINA - Orsú, quanto piú me ne dici, tanto manco io te ne credo. Piglia pur questi panni e portagli al tuo padrone, e non mi venire mai piú inanzi, né sotto i balconi, che a fè io ti roversarò una caldaia d'acqua calda o di brodo sul capello e ti adaquerò quel bel fiorino, che v'hai dentro.
CHIAPPINO - Se io credessi che tu dicessi da dovero, io mi rissentirei alquanto, ma io vedo che tu ti prendi spasso di darmi la burla, e per questo io me ne rido.
GIANETTINA - Orsù, piglia pur questi panni e non mi star qui a fare il buffone, che non v'è torta, e va su le fune, frasca che sei.
CHIAPPINO - Vacci tu su le fune, massaraccia, guataraccia, sporca, unta, bisunta, lordaccia, puzzolente; da' qua questi panni, lavascodelle che tu sei.
GIANETTINA - Se io lavo le scodelle, e tu lavi il cantaro del tuo padrone.
CHIAPPINO - Orsú, per ora io non ti voglio dare altra risposta, ma come piú ti trovo, ti voglio rompere la testa.
GIANETTINA - Ohimè, la mia testa, lascia prima guarire quelli che ha morti; o ch'avesse paura! Guarda che vuol fare il bravo, e non darebbe una puina.
CHIAPPINO - Aspetta ch'io ti voglio rompere la testa con questo sasso.
GIANETTINA - Orsú, fermati, Chiappino, che io mi sono preso spasso di burlare cosí teco per provarti, e so che tu mi vuoi bene, e io ancora a te, e so che tu non mi diresti una bugia per tutto l'oro del mondo e che tu non ami altra che la tua cara Gianettina, sí come io amo il mio caro Chiappino. Facciamo dunque la pace insieme; su, toccami la mano.
CHIAPPINO - Io non la voglio fare, anzi mai piú non voglio passare per di qua per non ti vedere.
GIANETTINA - Orsú, non far mo il crudele, Chiappinetto mio bello, Chiappinetto mio caro, Chiappinetto mio d'oro. Su, porgi la mano alla tua cara Gianettina.
CHIAPPINO - Tu m'hai fatto tanto alterare, che io duro fatica a fare la pace teco; pur non posso stare, che io non ti porga la mano.
GIANETTINA - Orsú, la pace è fatta. Or quando tornerai piú a vedermi?
CHIAPPINO - Come ti porterò i tuoi panni, se non piú presto; intanto conservami nella tua buona grazia e non mi dar piú tanta passione. A Dio.
GIANETTINA - A Dio, va' in pace. Io mi son preso spasso di far venire in còlera questo ragazzo, per vedere se quel fiore gli era stato donato da qualche donna, ma mi son chiarita che egli l'ha trovato, come m'ha detto; ma buono è stato che egli non m'ha rotto la testa con quel sasso, perché egli è stizzoso, come un serpente. Orsú, io mi voglio retirare in casa, che io son stata un pezzetto qui  fuora, e Dio sa che la gatta non m'abbi fatto qualche burla, perché l'altra mattina mi cavò la carne fuora della pignatta e se l'andò a mangiare suso il granaio, che la piú ingorda bestia non è al mondo. Orsú, io vado.

SCENA SESTA - Burasca solo.
BURASCA - Cancaro, colui m'era andato a fare la querella lui, e era bella e caricata s'egli aveva testimoni, ma buono per me, che non v'era altro che lui e me in questa barruffa, e ho fatto dare un mezo scudo al notaro e ho accommodato ogni cosa. Oh, che fachino traditore! Ei mi menava certi pugna, che le avriano accopato un bue. Orsú pur, la cosa è passata bene; ma io non so quello che mi dire. Per conto del Signor Lelio io temo di qualche stratagemma e dubito ch'egli non sia andato inanzi altramente, ma che egli sia tornato indietro, perché essendo inamorato di costei so ch'ei si partiva da casa malvolontieri; ma io starò ben tanto su l'aviso, che se esso sarà tornato, io saprò dov'egli è. Lassa pur fare a Burasca. Io voglio andare per di qua, perché tutti quei che vengono da Padova passano per questa strada, e andarò addimandando a tutti se l'hanno visto. Gran fatto se egli sarà andato a Padova, che qualcuno non l'abbi incontrato! Oh, malanno venga a quel oste con quel suo vino, perché è stato causa con tanto bere, e quel vino cosí grande, che io mi adormentai in iscambio di cavalcar via con il padrone. Orsú pur, quello che è fatto non può essere non fatto; io sono ancora un poco travagliato, però io voglio andare a dormire un sonetto e poi io farò quel tanto, che s'ha da fare.

SCENA SETTIMA - Lelio in abito di serva, Flavio e Messer Pancrazio.
LELIO - Voi m'avete fatto porre in questo abito, Signor Flavio, e il Cielo voglia che la cosa riuscisca in bene, che io non sia conosciuto e che facciamo qualche farfallone.
FLAVIO - Non dubitate che voi state tanto bene in quest'abito, che parete proprio una giovinetta, e se io non v'avessi veduto vestire, certo non vi conoscerei.
LELIO -  Or come vogliamo noi fare?
FLAVIO - Faremo a questo modo, che, come già vi dissi, Messer Pancrazio, avendo bisogno di una fantesca e avendomi già pregato a volere far opera di trovargliene una, voi andarete a stare con esso lui, il quale vi crederà essere una serva; e con simile occasione voi vi potrete scoprire ad Ardelia e fare le vostre cose commodissimamente. Lasciate pur operare a me, che io tirerò bene a buon fine questo negozio.
LELIO - Ma credete voi ch'ella l'avrà per male?
FLAVIO - Per male, eh? Anzi n'avrà sommo contento, portandovi ella tanto amore, come fa.
LELIO - Orsú pur, quanto prima veniamo al quia, che un'ora mi par mill'anni di essere con lei.
FLAVIO - Oh, ecco a punto Messer Pancrazio. Tiratevi da banda e lassatemi negoziare il fatto a me. Buon giorno, Messer Pancrazio.
PANCRAZIO - Ben trovato, il mio Signor Flavio; che si fa?
FLAVIO - Bene, per servirla. Io veniva a punto a ritrovarla, perché V. S. sa che già mi parlò d'una serva, che n'avea bisogno, e io gliene avevo condotto qua una, la quale stava già con mia sorella, buona memoria; e perché io so ch'ell'è fidata, mi è parso di condurla a voi che sete gentil'uomo da bene, e so ch'ella sarà sicura dell'onore ché questo importa piú che altro, e per questo ve la pongo in casa a voi. La giovane è sofficiente e sa attender alla camera, e cucinare, e fare in somma quel tanto che va fatto in una casa, sí che non avrete briga di dire: fa co  sí, fa colà; ed è gagliarda, e so ch'ella vi darà grandissima sodisfazzione, ed eccola qua.
PANCRAZIO - Mi piace assai la sua presenza e credo che saremo d'accordo. E come si chiama il nome di questa giovane?
FLAVIO - Farinella, Signore, nome da bandito.
PANCRAZIO - Mi piace questo nome di Farinella, perché si vede ch'ella ha appunto una faccia da farinello.
FLAVIO - E tali saranno i fatti ancora se occorrerà.
PANCRAZIO - Orsú, Farinella, ti basta l'animo di fare quel tanto che dice il Signor Flavio?
FARINELLA - Signor sí, e s'io non facessi cosí bene nel principio, io m'andarò accommodando a poco a poco, sí che io spero co 'l tempo darvi sodisfazzione del fatto mio.
FLAVIO - Non dubitate di questo, ch'ella è pratichissima, e ogni giorno sarete piú contento d'averla pigliata e piú nell'ultimo, che nel principio.
PANCRAZIO - Ma in quanto a me poca fatica sono per dargli, basta solo ch'ella sodisfaccia ad Ardelia mia figliuola, e fargli buona compagnia, ch'io faccio piú per questo che per altro.
FLAVIO - Ed ella brama piú di servire la Signora Ardelia che altro, e so ch'essa la servirà benissimo; non dubitate piú di questo.
FARINELLA - Non abbiate dubbio alcuno ch'io non la sodisfaccia, che per tutto ov'io son stata, mi son portata in maniera, che quando mi son partita, ho lassato buon odore del fatto mio.
PANCRAZIO - Orsú, entriamo in casa, Farinella, che non mi è mai aviso che Ardelia ti veda. Signor Flavio, io vi ringrazio della fatica che avete fatta per me in avermi trovato questa fantesca, e la prendo sotto la vostra parola, ch'io so che voi sete un gentil'uomo da bene e che, s'ella non fusse cosa che non fusse buona, non me l'avresti inviata.
FLAVIO - Il Cielo me ne scampi, pigliatela pur sicuramente; e tu, Farinella, portati bene come hai fatto per il passato, e servi la Signora Ardelia di quanto ella ti comandarà, e portagli onore e riverenza.
FARINELLA - Tanto farò, Signor Flavio, e m'ingegnerò per dare sodisfazzione a tutti, e dove io non saprò, avrò caro che mi sia insegnato.
PANCRAZIO - Orsú, entra là in quella porta, che fin a quest'ora io resto molto sodisfatto, e se i fatti corrisponderanno alle parole, spero che le cose passeranno benissimo. Signor Flavio, a Dio.
FLAVIO - A Dio, Messer Pancrazio; orsú, io vi raccomando Farinella.
PANCRAZIO - Non dubitate ch'ella starà nel latte, come si suol dire, e s'ella saprà reggersi, felice lei. A Dio.
FLAVIO - S'ella non si saprà governare, suo danno. Orsú, io ho accommodato l'ova nel bacile; or vedi che Messer Zenobio avrà un eccellente dottore. Or cosí si fa a questi vecchi avari, che non lassano mai aver bene ai lor figliuoli. A fè che esso l'avrà in barba a questa volta. Or  sú, io voglio un poco andare a vedere la Signora Silvia e dargli la nuova di quanto ho fatto, ché ciò gli sarà di grande allegrezza e consolazione al cuore, essendo elle anima e corpo insieme, come elle sono.


ATTO TERZO
SCENA PRIMA - Messer Zenobio e Burasca.
ZENOBIO - Tu hai dunque perduto Lelio?
BURASCA. - Signor sí.
ZENOBIO - E come hai fatto a perderlo?
BURASCA - Che so io; quel oste aveva un certo vino, ch'io credo che fusse allopiato, perché non ne bevei piú che dieci o dodeci bicchieri, che m'incominciaro a salire certi vapori al capo, ch'io fui forzato gettarmi sul letto e fare un sonetto di ventiquattr'ore, e quando mi son svegliato,l'oste m'ha detto che Lelio è cavalcato inanzi, onde me gli son messo a correre dietro, né mai l'ho potuto giungere, né manco ho mai incontrato nissuno che mi dica di averlo veduto, a tale che io non so come si possa stare questa cosa.
ZENOBIO - Ah, forfante, sciagurato, in cambio d'aver custodia del tuo padrone tu ti vai a imbriacare; ah, ma io ti castigherò del certo, ribaldo va, rimonta a cavallo adesso adesso, e vattene a Padova, perché egli vi deve esser andato del certo, ché, non avendoti potuto svegliare, si deve essere rissoluto di andare al suo viaggio; e già l'oste t'ha detto ch'egli è cavalcato innanzi, e tu in cambio di andare in là, sei tornato a casa. Oh, povero pane, a chi ti lassi tu mangiare! a fè che tu sei un diligente servitore.
BURASCA - S'ognuno mi dice che non l'ha incontrato.
ZENOBIO. - Per qual strada sei gito tu?
BURASCA - Per la strada ordinaria.
ZENOBIO - Ed esso forsi sarà andato per la strada dissotto, che traversa quei campi, e mette capo su quel argine che poi ariva su la strada Romea.
BURASCA - Potrebbe essere questo facilrnente. O diavolo, e io mi sono lasciato voltare il cervello e sono tornato indietro.
ZENOBIO - Orsú, va' via quanto prima, imbriacone; e come sei là, fa' il debito tuo e non andare ogni giorno all'osteria, e servi come hai da servire, che, a fè, a fè, se non ti porti bene, io mi lamentarò di te.
BURASCA - Non dubitate ch'io facci piú simil pazzia; siatene pur sicuro.
ZENOBIO - Non stare dunque a perder piú tempo in chiachiare; ma va' via, su presto levati di qua.
BURASCA - Io vado or ora a montare a cavallo. Restate in pace.
ZENOBIO - Va' in buon'ora. Oh, che goffo è costui: tornar indietro in cambio d'andare innanzi. Orsú, io voglio andare a portare questa lettera alla posta, e dare una volta sin in piazza a vedere che nuova vi è. Poi tornarò a casa, che presto sarà ora di pranzo.

SCENA SECONDA - Ardelia e Farinella, cioè Lelio.
ARDELIA - Mio padre mai non fece cosa, ch'a me fusse piú grata, quanto avermi data te per compagna, Farinella mia galante, e per due cause ti voglio bene: la prima perché tu sei sofficientissima in tutte le cose, la seconda perché tu hai l'effigie propria d'un mio caro innamorato, e tanto a lui t'assomigli nel volto, che, se non fosti donna, io di certo crederei che tu fosti quel d'esso, perché non v'è differenza alcuna dal tuo volto al suo.
FARINELLA - Gran favore m'ha dunque concesso il Cielo, mia Signora, avendomi fatto rassomigliare a un vostro caro amante, perché tanto piú vi sarò grata e cara. Ma ditemi, vi prego, chi è questo vostro innamorato.
ARDELIA - Io te lo dirò poi un'altra volta.
FARINELLA - Di grazia, ditemelo adesso.
ARDELIA - T'importa tanto di saperlo?
FARINELLA - S'io fossi buona da servirvi in qualche cosa, che so io.
ARDELIA.             Tu non puoi servirmi in nulla.
FARINELLA - Perché, che ne sapete voi?
ARDELIA - Perché quel tale non è in questa città.
FARINELLA - E dove si ritrova egli?
ARDELIA - È gito allo Studio di Padova, e Dio sa quando tornerà.
FARINELLA - Oh, povera gentildonna, e come si chiama questo gentil'uomo che voi tanto amate?
ARDELIA - Lelio s'addimanda, figliuolo di Messer Zenobio Barbadoro.
FARINELLA - Oh, io lo conosco bene. Eh, lasciatelo gire ch'egli è una frasca e gli gira il cervello come un molino, e non gli darei credenza d'un mezo soldo. Oh, io so che vi sete innamorata di qualche cosa di buono a esser  vi innamorata di lui, ch'egli è un penacchino, che fa il Ganimede, il bello, il profumato, e fa professione d'invaghirsi di quante gentildonne sono in questa città e di gabbarle tutte. Deh, non vi mettete affanno di costui, che felice voi ch'egli sia andato via!
ARDELIA - Tu m'hai fatto una gran spiegata di parole sopra questo fatto; ma che sai tu, ch'egli facci tal professione?
FARINELLA - Io lo so, perché io stavo con una gentildonna, ch'era similmente innamorata di lui, e dopo molte promesse fattegli e ciance, ei gli ha mancato, e la meschina è restata in asso, e è quasi stato la rovina sua.
ARDELIA - E chi è questa gentildonna?
FARINELLA - Io non ve lo posso dire per buon rispetto.
ARDELIA - Orsú, se tu non hai altro che dire, io crederò che tu te l'abbi ordita da te, e non ne credo nulla, perché so quanto egli è gentile e costumato, e sin ad ora egli s'è portato verso di me tanto nobilmente e con tal creanza, ch'io non posso non solo cadere in sospetto della sua fede, ma né anche averne un minimo pensiero; sí che parlami d'altro e non mi biasimare il Signor Lelio, se vuoi starmi in grazia.
FARINELLA - Eh, Signora, io burlo cosí con voi, e so molto bene che 'l Signor Lelio è un gentil'uomo d'onore, e se bene egli è giovane, è però saggio e prudente, e che ciò sia la verità, l'esperienza ne fa fede, avendo egli eletto voi per sua donna, come quello il quale ha conosciuto le rare qualità che regnano in voi, che veramente sete un vaso di grazie e di virtú, e degna de' piú nobili cavalieri del mondo. Voi sete bella, anzi bellissima, e con le vostre gentilissime maniere sareste atta a far innamorare di voi Amor istesso. E qual sarebbe quel core tanto aspro e villano ch'a un sguardo solo de' vostri begli occhi non divenisse tutto amabile e cortese? Io per me, se fussi uomo sí come son donna, non vorrei porre il mio core ad amare altro soggetto che voi, perché in voi ha posto la natura tutte quelle doti che pònno adornare gentildonna nobile e bella come sete voi.
ARDELIA - Tu mi poni troppo in alto con queste tue parole, Farinella mia, e so ch'io non sono del merito che tu mi vai descrivendo, ma so bene ch'io son degna d'essere amata dal Signor Lelio, perché di fede e di sincerità non voglio ch'altra mi ponga il piede innanzi, e questo mi basta. Ma quanto piú ti miro, piú ti rassomiglio a lui, e mi viene una voglia d'abbracciarti e bacciarti ch'io muoio, e a pena posso trattenermi.
FARINELLA - Oh, questa sí sarebbe galante, ch'io vi servissi per trattenimento in questo vostro amore! Ma ditemi, se 'l Signor Lelio fosse qui alla vostra presenza, lo baciaresti voi dunque?
ARDELIA - Non lo farei per l'onestà mia, ma bene n'avrei grandissimo desiderio; ma tu che sei donna perché non posso io baciarti cosí per ischerzo in iscambio di lui?
FARINELLA - Perché con il pensiero ancora si viene a corrompere alquanto l'onestà.
ARDELIA - Di grazia, fatti in qua, ch'io ti baci una sol volta.
FARINELLA - Eh, fermatevi, Signora, non so se dite da dovero io, o se burlate meco.
ARDELIA - Ahimè, ch'io sento mancarmi lo spirito, e non so quello ch'io mi faccia. Di grazia, abbimi compassione, cara Farinella, e fammi tanto servizio d'andare a trovare il Signor Flavio e dimandargli se a sorte egli avesse qualche nova del Signor Lelio, acciò intendendo qualche nuova di lui possa dare qualche refrigerio a questo mio misero e affannato core.
FARINELLA - Questo farò piú che volentieri, e mi rincresce che 'l Signor Lelio non sia nella città, ché mi darebbe l'animo di tirare le cose a buon fine al dispetto di quel  vecchio avaro di suo padre.
ARDELIA - Io ti ringrazio del tuo buon animo. Orsú, va, fa' quanto t'ho commandato, che io mi voglio entrare in casa, ché mio padre non mi trovi qui in strada e non mi gridi. Va' via.
FARINELLA - Io vado.

SCENA TERZA - Farinella e Messer Zenobio suo padre.
FARINELLA - Oh che nobile, oh che rara, oh che degna invenzione è stata questa! Oh me felice, oh me fortunato, poi ch'io vivo in compagnia della mia cara donna, la quale già m'ha assicurato della sua rara e inviolabil fede; oh che galante tiro è stato questo, poi che a mio modo posso mirare colei, la quale di rado potea vedere, e quando mi si appresentarà opportuna occasione, io mi scoprirò a lei con mio e suo sommo contento; or vada a spasso lo studio e le lettere. Io non so lo piú bel studio di questo; orsú, voglio andar a trovare il Signor Flavio, e narrargli quanto è successo sin ad ora. Ma ecco mio padre che viene in qua. O Dio, come farò io s'a sorte egli mi conosce? Egli m'ha già veduto, io non posso piú nascondermi; pur non voglio perdermi punto, ma andare innanzi animosamente. Forsi ch'esso non mi conoscerà.
ZENOBIO - A Dio, bella massarina, con chi stai tu?
FARINELLA - Che volete saper voi, buon vecchio? Andate a fare i fatti vostri.
ZENOBIO - Po far il mondo, non si può parlare?
FARINELLA - Parlate con chi vi vuole ascoltare, e non con me che ho bisogno d'andare a fare i fatti miei.
ZENOBIO - O tu sei rustica, potta de me!
FARINELLA - Io son come mi pare, perché?
ZENOBIO - E se tu sei bella, non essere scortese, odi una  parola.
FARINELLA - Orsú, voi m'avete inteso, lassatemi gire alla mia via.
ZENOBIO - Io non ti trattengo qua per mal nessuno.
FARINELLA - Perché mi trattenete voi dunque?
ZENOBIO - Perché, mentre io ti miro nel volto, ti rassomiglio tutta a un mio figliuolo chiamato Lelio, il quale pochi giorni sono mandai allo Studio a Padova, e se tu non fossi femina, io crederei certo che tu fussi quel d'esso.
FARINELLA - II Cielo volesse ch'io fussi maschio, ché non è la peggior cosa quanto esser femina; perché noi femine siamo soggette a mille tristi accidenti; se non fusse mai altro ch'essere nella bocca delle genti, che non potiamo fare tanto bene che non siamo tassate dell'onore, e a  desso, come una povera fanciulla ragiona con un uomo, subito vien fatto cattivo giudizio sopra di lei.
ZENOBIO - Tu dici la verità; ma fa' pur che tu sii da bene, e poi lassa dire alle male lingue quello ch'elle vogliono, che poco ti possono nocere.
FARINELLA - Orsú, dite pur voi quello che volete, che bisogna fuggire l'occasione di non dare da canzonare, e però non mi trattenete piú qua, che non mi fate levare un capello, mentre io sto a ragionare qui con esso voi.
ZENOBIO - Orsú, vattene in pace; ma pur bramo sapere dove tu stai innanzi che tu te ne gissi.
FARINELLA - Lo saprete pur troppo quando sarà tempo.
ZENOBIO.            Perché pur troppo? Parlami chiaro.
FARINELLA - Orsú, io non voglio piú darvi udienza. Mi raccomando, il mio vecchietto da bene.
ZENOBIO - Vatene in bon'ora. Che domin può voler dir costei, ch'io lo saprò pur troppo? Ella si deve pensar forsi di farmi cadere alla rete e ch'io m'innamori di lei, ma ella s'inganna, ché la merla ha passato il Po, come si suol dire; egli è ben vero che se ben son in questa etade, che qualche volta ancora mi rissento, e credo s'io avessi comercio di questa bella fanciulla, ch'io tornarei giovinetto. Oh, la mi piace, può fare il Cielo! Ma se bene ella non m'ha voluto dire ov'ella si stia, io cercarò ben tanto, e tanto m'ingegnarò, che troverò la casa; e come io l'averò trovata, qualche cosa sarà. Io mi confido nella mia borsa che mi sarà adiutrice in questo negozio; in tanto io voglio andare a vedere se Burasca è partito, e poi tornare qua dietro a vedere s'ella passasse un'altra volta.

SCENA QUARTA - Messer Pancrazio, Farinella e Ardelia.
PANCRAZIO - E bene, Ardelia, come ti sodisfa la Farinella?
ARDELIA - Benissimo, mio padre. Mi riesce molto in ogni cosa.
PANCRAZIO - Chiamala un poco fuora, ch'io gli voglio ordinare certe cose che mi bisognano, e ancora dargli denari da spendere per il desinare di domattina.
ARDELIA - Ella non è in casa, io l'ho mandata da Madonna Cassandra a pigliare una mostra di quei lavorieri ch'ella ha, ch'io li voglio tórre giú, e non può fare ch'ella non giunga.
PANCRAZIO - Orsú, io andarò in questo tempo fin alla piazza, e tu intanto tornatene in casa, e com'ella è tornata, non la lasciar piú andar in nessun loco, perché me ne voglio servire in quello ch'io t'ho detto.
ARDELIA - Tanto farò, andate pure. O Dio, costei si rassomiglia pur tanto al Signor Lelio; io non posso saziarmi di mirarla, e gli vado sopra la notte quando ella dorme e la contemplo a modo mio, e quanto piú gli affisso il guardo, tanto piú pare ch'io scorga la sua bella effigie. Deh, perché non intraviene a me, come si dice ch'intravenne alla bella Fiordispina, cioè che costei diventasse il mio caro e amato Lelio? Oh, che felicità sarebbe la mia! Ma io so bene che quelle sono favole e che ciò non può essere; però andarò godendo questa sua bella somiglianza, aspettando con speranza il vero ritratto del mio caro bene. Ma ecco che a punto ella ritorna a casa; oh, come è vaga, e quanto camina ella leggiadramente e quanto graziosamente porta ella la vita! Veramente ch'egli è un gran danno, ch'ella non sia un uomo,  tanto ha ella del virile.
FARINELLA - Il Ciel vi salvi, la mia graziosissima Signora.
ARDELIA - Ben tornata per mille volte, la mia cara Farinella. E bene, mi porti tu buona nuova circa il negozio ch io ti dissi?
FARINELLA - Eh, Signora, non troppo buona.
ARDELIA - Ohimè, perché?
FARINELLA - Io non vorrei altrimenti, che mai m'avesti mandato in tal servizio.
ARDELIA - Dimmi la causa, ohimè! che sarà questo?
FARINELLA - Io credea d'essere la colomba, e sono il corvo: il Signor Lelio, da voi tanto amato e desiderato, il poveretto... ohimè, io non ve lo vorrei dire.
ARDELIA - È morto forsi il mio caro Lelio o gli è incontrato qualche gran disgrazia? Dimelo, ti prego.
FARINELLA - Poiché con tanta instanza mi pregate, io son sforzata a dirlo: voi dovete sapere che, ohimè, ch'io non lo posso dire, pure io ve lo dirò: il Signor Flavio m'ha detto ch'esso ha avuto nuova ch'egli s'è annegato.
ARDELIA - Ohimè, che dici tu? E dove?
FARINELLA - Volendo passare il Po sopra una barca, mentre ch'egli era grosso, e essendo carico il legno d'uomini e di cavalli, e volendosi movere un cavallo da una banda, ha fatto piegare il legno talmente, ch'egli s'è roversato, e tutti quelli che v'erano suso sono andati giú a seconda, e non ve n'è restato vivo pur uno, e dicono che 'l Signor Lelio, mentre l'acqua con rapido corso lo tirava giú, disse queste parole: " Oh, Ardelia, questi sono i fini de i nostri amori, ecco ch'io muoio, e piú non mi vedrai ". E detto questo, venne un'onda crudele e lo sommerse, e non si vidde piú. Io ve l'ho detto al mio dispetto, ma forza saria stato che l'avesti inteso da un altro, ché il Signor Flavio è tanto addolorato per aver perduto un compagno tanto fidele, che non trova pace né loco. Ma queste sono cose che dà il Cielo: bisogna far buon animo e sopportarle pazientemente; in ogni modo a voi non sono per mancare altri amanti, e graziosi quanto lui.
ARDELIA - Ahi, misera e infelice Ardelia, queste sono le tue speranze? Questo è il bene che tu aspettavi? Ahi, mondo fallace, come ne tratti noi miseri mortali? Deh, perché non morsi io nelle fascie, quando era picciola bambina, ch'ora non proverei tanto tormento? Oh quanto è crudele e aspra questa nuova: come possibil fia ch'io resti in vita in tante angoscie? Come puoi resistere, o mio misero cuore, a cosí crudi e dispietati colpi? E tu, petto meschino, come non t'apri? E tu, anima mia dolente, come in tal caso non spiri? O cieli, o terra, o crudeli pianetti, perché sete tutti congiurati insieme contra la sfortunata Ardelia? Perché m'avete levato ogni mio bene? E tu, onda spietata, perché m'hai cosí ingordamente rubbato il mio caro tesoro? O Lelio mio dolcissimo, per me tu sei privo di vita, per me tu sei gionto all'ultimo fine nel piú bel fiore de gl'anni tuoi; ora avrà il padre tuo ogni contento, ora sarà sicuro che tu non mi pigliarai per moglie. Orsú, dapoi che per me piú non splende il sole e che la luna ha nascosto il suo lume, e che morte cruda m'ha spogliata d'ogni mio bene, che debbo io piú fare in questa vita? Venghi dunque la morte e tolga a me parimente questa terrena spoglia, acciò ch'io quanto prima possa accompagnare il mio caro Lelio. Ohimè, ch'io vengo manco; ohimè, Farinella, aiutami, ch'io non mi posso piú reggere in piedi, ohimè.
FARINELLA - Orsú, Signora mia, non piangete piú, né v'affligete, ma state allegra, perché ho detto cosí per far fede al Signor Flavio del sincero amore che voi portate al Signor Lelio, e poiché ho veduto che l'amate di puro cuore e che sete di fede un saldo scoglio, io vi voglio ora dare consolazione, la quale sarà altrettanta quanto è stato il dolore e l'affanno che avete avuto: voi dovete sapere dunque che non è vero che 'l Signor Lelio sia morto, ma vive, ed è piú vicino a voi, che non vi pensate.
ARDELIA - Non è dunque morto il Signor Lelio? E perché darmi tanto dolore? Ah, Farinella, tu sei quasi stato causa ch'io son morta; ohimè, che ancora dubito che tu non dica cosí per consolarmi, e che egli pur sia morto.
FARINELLA - Non è morto certo, ma vive sano e allegro, e è in questa città.
ARDELIA - Come può essere nella cittá, s'egli è gito allo Studio a Padova?
FARINELLA - Io vi dico ch'egli è qua, e quando vi piacerà ch'io ve lo facci vedere, io lo farò. Che dite voi?
ARDELIA - Ohimè, tu mi fai tutta tramutare a dirmi tal cose. E quando me lo farai tu vedere?
FARINELLA - Adesso adesso, se volete.
ARDELIA - Quanto prima tu farai questo, mi sarà piú caro e grato.
FARINELLA - Fate conto di vederlo, mentre mirate me.
ARDELIA - Il mirar te mi fa bene ramembrare la bella imagine di lui, ma non essendo la sua, poca allegrezza m'apporta, Farinella mia cara.
FARINELLA - Orsú, piú tempo non mi pare di tenere occulto quello che appalesar si deve; ah, Signora Ardelia, sete voi cosí cieca e priva di lume, che non conosciate il vostro caro e amato Lelio? Non vedete s'io son quello che ragiono qua con voi? Quello il quale per amor vostro si è coperto di feminil gonna, e a guisa d'Ercole ha preso la conocchia in vece della spada, per venire a servirvi e onorarvi come sua Signora e singolar patrona. Ecco qua le treccie posticcie, ecco qua la viril faccia, e in somma ecco qua il vostro fidelissimo Lelio, non piú Farinella, non piú fantesca, ma vostro carissimo consorte, ché tale ho designato che voi siate, se da voi non manca, dolcissimo mio bene.
ARDELIA - Oh, Signor Lelio mio, quanta grazia mi concede oggi il Cielo, avendomi fatto degna della sua cara e amata vista; ora sí ch'io sono in tutto chiara della sua data fede, benché mai non ho dubitato di mancamento alcuno. Eccovi dunque la vostra cara Ardelia, eccovi quella che v'ha dato l'anima e 'l core insieme, e che sempre sarà vostra umilissima servitrice, e in somma eccovi quella che sarà pronta e parata ad ogni vostro commandamento, mentre ella avrà vita, e dopo morte ancora, se  possibil sarà.
FARINELLA - Orsú, state di buona voglia, e entriamo in casa che poi trattaremo fra noi il negozio, e vi dirò cosa che vi sarà di sommo contento. Entriamo, vita mia.
ARDELIA - Entriamo pur, dolcissimo mio bene. Oh, quanta contentezza sente il mio core! Adesso sí son sicura che le cose nostre avranno buon fine. O Cielo, io ti ringrazio.

Wednesday, 1 July 2020

"Sub Tuum Praesidium" by unknown writer (Greek original text with translations into Latin,English, and Portuguese)



Ὑπὸ τὴν σὴν εὐσπλαγχνίαν,
καταφεύγομεν, Θεοτόκε.
Τὰς ἡμῶν ἱκεσίας, μὴ παρίδῃς ἐν περιστάσει,
ἀλλ᾽ ἐκ κινδύνων λύτρωσαι ἡμᾶς,
μόνη Ἁγνή, μόνη εὐλογημένη.
                                                (ca. 250C.E.)
   
Sub tuum praesidium
confugimus,
Sancta Dei Genetrix.
Nostras deprecationes ne despicias
in necessitatibus nostris,
sed a periculis cunctis
libera nos semper,
Virgo gloriosa et benedicta.

Beneath your
Compassion
We take refuge,
Theotokos (Mother of God). Our
Petitions do not despise
In time of trouble
But from danger
Rescue us,
Only holy,
Only blessed.


Sob a vossa proteção nos refugiamos,
Santa Mãe de Deus;
não desprezeis as nossas súplicas
em nossas necessidades;
mas livrai-nos sempre
de todos os perigos,
ó Virgem gloriosa e bendita.
Amém.