ATTO SECONDO
SCENA PRIMA - Messer Zenobio solo.
ZENOBIO - Io ho letto la lettera e ho
inteso quanto scrive Lelio ad Ardelia e come la prega a portarsi in pazienza
fin al suo ritorno, che subito ch'esso avrà finito di studiare, non mancherà di
fare quel tanto che lui gl'ha promesso, e molte altre belle paroline, come
s'usa tra gli amanti innamorati. Ma certo egli s'inganna, perché io già ho
fatto pratica per dargli moglie, quale è una figliola d'un mercante luchese, la
quale averà di dote diece millia scudi e piú; a tale che faranno altro che
mille e ducento, come ha questa sua Signora Ardelia; e costei è poi erede del
padre, dove che verranno ad essere circa venti millia scudi, di modo che, con
il patrimonio ch'io gli lasciarò, e queste facoltà, Lelio verrà ad esser uno
de' primi di questa città per ricchezza, e ancora per nobiltà. E però Messer
Pancrazio può ben maritare sua figliuola ad altri, senza avere speranza alcuna
in mio figliuolo, perché ogni suo dissegno gli andarà fallato: oh, questa è
stata la buona cosa per me a essere dato in quel balordo di Stramazzo, perché
questa lettera sarà causa che quanto prima io cercarò di tirare a fine questo
negozio. Io voglio andare a casa a scrivere la lettera a Lucca e quanto si può
piú presto dare rissoluzione a questa cosa, che io non vorrei che Lelio si
rissolvesse di non volere studiare, e che egli tornasse a casa e sposare
costei, che se bene ella è di buon sangue, questo non basta, perché da questi
tempi chi non ha moneta in cassa viene sprezzato da tutti: ché la povertà è un
brutto mostro da vedere, però bisogna fuggirla a piú non posso. Orsú, io non
voglio piú stare a perdere tempo, perché la posta si vuol partire; io andarò a
scrivere la lettera e mandarla via quanto prima; perché non bisogna dormire
sopra questo negozio, che la cosa importa troppo. A fè, Ardelia, tu non mi
verrai in casa a tutto mio potere. Ma io veggio Stramazzo, che mi ha dato la
lettera; io mi voglio retirare, che non mi veda, che la cosa non si scoprisse,
perché ei si crede aver dato la lettera a Messer Pancrazio, e l'ha data a me.
SCENA SECONDA - Stramazzo e Chiappino ragazzo di Flavio.
STRAMAZZO - A i ho fat una squaquarella a
colú, ma ol Noder m'ha dit ch'a faghi esaminà i testimoni; mo al no gh'ira mo
vergú oter che nu dú, a tal ch'a pens ch'a n'a
vrò fat vergot. Hosú pur, a voi tornà in gabella a vedí s'ol ghe da fà
per mi, perqué quant no se lavura ol nos
puol mangià.
CHIAPPINO - O fachino, o fachino.
STRAMAZZO - Che cosa vuot mo an ti? Di'.
CHIAPPINO - Avresti veduto per sorte una
mula in groppa ad un pagliaio?
STRAMAZZO - Becca su questa; te dí esser
imbriac an ti com' ira quell'oter poc fà, nevira?
CHIAPINO - Io non burlo, io cerco un
grillo che porta la lanterna di Genova a Milano.
STRAMAZZO - O che questa è la giornata de
i embriaghi? Con cancher un gril che porta una lanterna, o ti sí cot, ve', fradel.
CHIAPPINO - Tu non l'hai dunque veduto?
STRAMAZZO - Mo no mi.
CHIAPPINO - Dimmi dunque; quante miglia
sono da Roma al primo dí d'agosto?
STRAMAZZO - O ch' l'è mat, l'è mat costù.
CHIAPPINO - Di' il vero, sei tu nato o pur
fosti piantato?
STRAMAZZO - Sí, a dig esser un ravanel da
esser piantato. O poveraz, t'ha pers ol cervel ti, nevira?.
CHIAPPINO - Orsú, io non burlo certo; hai
tu veduto un uomo grande, lungo piú di mezo braccio, a cavallo d'una cimice
gravida, con un fagotto alle spalle pieno di malizie di putane, che le porta a
Comachio a barrattare in tante anguille affumate?
STRAMAZZO - Ah, ah, ah, o sí che questa è
da sgrignà. No 'l dissi a mi che questa ira la zornada de i mat o de imbriaghi?
Osú a m'arecomand, fradel, va' dorm' un sonet; va via, ti n arà mal nigú. Mo a
me voi levà de chilò, che 'l no fà per mi a stà a contrastà con i embriaghi. A
Dé.
CHIAPPINO - Fermati, fermati, odi una
parola; sí, sí, a Dio. El va che 'l vento il porta; orsú, io mi son preso un
poco burla di costui, io voglio mo andar a casa di Messer Sempronio, ch'il
Signor Flavio mio padrone mi manda a dire al Signor Lelio, il quale sta di
nascosto in casa sua, che non debbia moversi di là fin ch'esso non lo va a
tórre o non gli manda a dire una parola. Io voglio andar di qua, ch'io giongerò
piú presto là, e poi voglio passare dritto la casa di Gianettina, e s'io la
posso vedere gli voglio donare questo bel mazzetto de fiori, e raccordargli
ch'io gli son servitore; e so ch'ella non lo sprezzerà, perché ella mi vuol
bene, e l'altro giorno ella mi mandò a donare un bel collaro e certe
galanterie, ch'io le tengo molto care; infin l'è una bella cosa l'essere
innamorato, e massime di queste serve da cucina, ch'elle sono sempre pastose e
morbide per la lavattura delle scudelle, che le tiene sempre unte e grasse,
onde gli traluce la pelle come tanti specchi. Orsú, io vado.
SCENA TERZA - Madonna Simplicia e il Signor Flavio.
SIMPLICIA - Che mi commanda, V. S. mio
Signore?
FLAVIO - Vorrei ch'ella mi favorisce di prestarmi
un vestimento d'una delle vostre serventi, ch'io me ne voglio servire a fare
una burla a un vecchio balordo.
SIMPLICIA - Di grazia, ma perché non
volete voi uno di quelli che porto io, ch'è molto piú onorevole?
FLAVIO - Io voglio uno di quelli della
servente, perché torna piú a proposito per me, ch'io voglio poi che voi ridiate
quando saprete la burla.
SIMPLICIA - Io so che sempre il Signor
Flavio sta su le burle, e che ne sa fare delle belle, e questa ancora è forza,
che sia bella. Orsú, io vi darò uno di quelli di Gianettina mia serva.
FLAVIO - Questo sarà la vita per fare
quello ch'io voglio fare.
SIMPLICIA - Volete voi ch'io ve lo mandi
adesso, o lo mandarete a pigliar voi per qualcuno?
FLAVIO - Lo manderò a pigliar io per
Chiappino mio ragazzo, come sarà tornato d'un servizio, nel quale io l'ho
mandato poco fa, e non può fare che non torni a casa.
SIMPLICIA - Venghi quanto vuole, che sarà
servito di quello, e di maggior cosa, ché ben sapete che potete commandarmi
alla libera.
FLAVIO - Io son piú che sicuro della
vostra cortesia. Orsú, me le raccomando.
SIMPLICIA - Andate in pace. Che domin può voler fare costui d'uno vestimento della
mia serva? Qualche stratagemma certo esso deve avere in animo di fare. Orsú, io
non voglio stare a cercare piú oltre; io voglio entrar in casa, e preparare una
tonica, e 'l grembiale, e la scuffia di Gianettina, e quando verrà il suo
ragazzo glielo darò, ch'el Signor Flavio è gentil'uomo da servire.
SCENA QUARTA - Messer Pancrazio solo.
PANCRAZIO - Io pregai a gli giorni passati
il Signor Flavio che se esso avesse saputo una qualche fantesca da comodarsi a
patrone, che mi favorisce d'inviarmela, perché son senza moglie, e la serva
ch'io avea se n'è gita, e ho Ardelia mia figliuola la quale sta sola e brama
compagnia, e poi non sta bene che una giovane, com'è quella, stia sola in casa
per piú rispetti. Però io voglio andare verso la piazza, che forse io lo
trovarò al ridutto de gentil'uomini, che questa a punto è ora che vi siano, e
come avrò questa servente starò poi piú sicuro del onor mio e andarò fuori di
casa con manco dubbio che mi sia fatto qualche stravaganza alla casa, perché da
questi tempi non vi mancano de gli insolenti al mondo, che portano poco
rispetto a i cittadini, e loro pare avere fatto l'impresa di Costantinopoli
quando hanno levato l'onore e la fama a un uomo da bene. Orsú, il mondo camina
cosí al tempo d'adesso, e però bisogna aprire ben gli occhi. Orsú, io vado.
SCENA QUINTA - Chiappino e Gianettina.
CHIAPPINO - Oh che ventura, oh che ventura
è stata questa per me! Il mio padrone m'ha incontrato ch'io tornavo di quel
servizio dove esso mi avea mandato, e hammi detto ch'io venghi a casa di
Madonna Simplicia, ch'ella mi darà un vestimento di Gianettina. Or mira se 'l
formaggio m'è cascato (come si suol dire) suso i macheroni: io avevo fatto
pensiero di passare per di qua per vederla e donargli questo mazzetto di fiori,
e ora mi si appresenta tal occasione, che molto piú avrò causa di parlargli e
dirgli il fatto mio. Ma eccola, a fè, ch'ella vien in qua e ha il vestimento
sul braccio. Ah, Chiappino, adesso è tempo di stare in cervello. Io la voglio
salutare. A Dio, bella Gianettina, dove si va?
GIANETTINA - A Dio, Chiappino galante, io
venivo a casa del tuo padrone a portargli quest'abito, ché quando la madonna ha
veduto che tu non venivi, ha comesso a me che glielo porti fin là.
CHIAPPINO - E io venivo or ora a
pigliarlo, però tu lo darai a me, e non passerai piú inanzi. Ma dimmi,
Gianettina mi vuoi tu piú bene?
GIANETTINA - Piú che mai, il mio dolce Chiappinetto,
e adesso mi riputavo a gran ventura l'avere ora occasione di venir a casa del
tuo padrone solo per veder te.
CHIAPPINO - E io altro tanto mi reputo a
favore del Cielo, che io abbia avuto questa occasione di poterti parlare senza
sospetto, e ti portavo a donare questo mazzetto di fiori, il quale tu lo
porterai nel tuo bianco seno per amor mio. Te, piglialo, ben mio.
GIANETTINA - Ecco, io lo piglio; ma dimmi:
che altro bel fiorino è quello, che tu hai nel capello?
CHIAPPINO - È un fiore, che io ho trovato
per strada e me lo son posto qui, e te lo darò, se tu lo vuoi.
GIANETTINA - Io non lo voglio altramente;
tienlo pur per te.
CHIAPPINO - Perché non lo vuoi?
GIANETTINA - Perché te lo deve aver donato
qualche tua innamorata, e non te lo voglio levare, che 'l dovere non lo vuole.
CHIAPPINO - Non me l'ha dato nissuna
certo, ma io l'ho trovato, se tu credi che io ti sia servidore.
GIANETTINA - Io credo che tu sii servitore
di quante donne tu vedi, e che tutte le servi a un modo, e credo che questo fiore
e ancora questo mazzetto ti sia stato donato da qualcuna di quelle che tu vai
berlocchiando e che poi l'abbi portato a me per darmi la madre d'Orlando.
CHIAPPINO - Se io l'ho avuto da nissuna,
che poss'io perdere la grazia del mio padrone e la tua insieme, la quale io
apprezzo piú che tutto l'oro del mondo, e hai gran torto a dirmi queste parole,
che pur sai s'io ti son fidelissimo servitore.
GIANETTINA - Orsú, quanto piú me ne dici,
tanto manco io te ne credo. Piglia pur questi panni e portagli al tuo padrone,
e non mi venire mai piú inanzi, né sotto i balconi, che a fè io ti roversarò
una caldaia d'acqua calda o di brodo sul capello e ti adaquerò quel bel
fiorino, che v'hai dentro.
CHIAPPINO - Se io credessi che tu dicessi
da dovero, io mi rissentirei alquanto, ma io vedo che tu ti prendi spasso di
darmi la burla, e per questo io me ne rido.
GIANETTINA - Orsù, piglia pur questi panni
e non mi star qui a fare il buffone, che non v'è torta, e va su le fune, frasca
che sei.
CHIAPPINO - Vacci tu su le fune, massaraccia,
guataraccia, sporca, unta, bisunta, lordaccia, puzzolente; da' qua questi
panni, lavascodelle che tu sei.
GIANETTINA - Se io lavo le scodelle, e tu
lavi il cantaro del tuo padrone.
CHIAPPINO - Orsú, per ora io non ti voglio
dare altra risposta, ma come piú ti trovo, ti voglio rompere la testa.
GIANETTINA - Ohimè, la mia testa, lascia
prima guarire quelli che ha morti; o ch'avesse paura! Guarda che vuol fare il
bravo, e non darebbe una puina.
CHIAPPINO - Aspetta ch'io ti voglio
rompere la testa con questo sasso.
GIANETTINA - Orsú, fermati, Chiappino, che
io mi sono preso spasso di burlare cosí teco per provarti, e so che tu mi vuoi
bene, e io ancora a te, e so che tu non mi diresti una bugia per tutto l'oro
del mondo e che tu non ami altra che la tua cara Gianettina, sí come io amo il
mio caro Chiappino. Facciamo dunque la pace insieme; su, toccami la mano.
CHIAPPINO
- Io non la voglio fare, anzi mai piú non voglio passare per di qua per non ti
vedere.
GIANETTINA
- Orsú, non far mo il crudele, Chiappinetto mio bello, Chiappinetto mio caro,
Chiappinetto mio d'oro. Su, porgi la
mano alla tua cara Gianettina.
CHIAPPINO - Tu m'hai fatto tanto alterare,
che io duro fatica a fare la pace teco; pur non posso stare, che io non ti
porga la mano.
GIANETTINA - Orsú, la pace è fatta. Or
quando tornerai piú a vedermi?
CHIAPPINO - Come ti porterò i tuoi panni,
se non piú presto; intanto conservami nella tua buona grazia e non mi dar piú
tanta passione. A Dio.
GIANETTINA
- A Dio, va' in pace. Io mi son
preso spasso di far venire in còlera questo ragazzo, per vedere se quel fiore
gli era stato donato da qualche donna, ma mi son chiarita che egli l'ha
trovato, come m'ha detto; ma buono è stato che egli non m'ha rotto la testa con
quel sasso, perché egli è stizzoso, come un serpente. Orsú, io mi voglio
retirare in casa, che io son stata un pezzetto qui fuora, e Dio sa che la gatta non m'abbi fatto
qualche burla, perché l'altra mattina mi cavò la carne fuora della pignatta e
se l'andò a mangiare suso il granaio, che la piú ingorda bestia non è al mondo.
Orsú, io vado.
SCENA SESTA - Burasca solo.
BURASCA - Cancaro, colui m'era andato a
fare la querella lui, e era bella e caricata s'egli aveva testimoni, ma buono
per me, che non v'era altro che lui e me in questa barruffa, e ho fatto dare un
mezo scudo al notaro e ho accommodato ogni cosa. Oh, che fachino traditore! Ei
mi menava certi pugna, che le avriano accopato un bue. Orsú pur, la cosa è
passata bene; ma io non so quello che mi dire. Per conto del Signor Lelio io temo
di qualche stratagemma e dubito ch'egli non sia andato inanzi altramente, ma
che egli sia tornato indietro, perché essendo inamorato di costei so ch'ei si
partiva da casa malvolontieri; ma io starò ben tanto su l'aviso, che se esso
sarà tornato, io saprò dov'egli è. Lassa pur fare a Burasca. Io voglio andare
per di qua, perché tutti quei che vengono da Padova passano per questa strada,
e andarò addimandando a tutti se l'hanno visto. Gran fatto se egli sarà andato
a Padova, che qualcuno non l'abbi incontrato! Oh, malanno venga a quel oste con
quel suo vino, perché è stato causa con tanto bere, e quel vino cosí grande,
che io mi adormentai in iscambio di cavalcar via con il padrone. Orsú pur,
quello che è fatto non può essere non fatto; io sono ancora un poco
travagliato, però io voglio andare a dormire un sonetto e poi io farò quel
tanto, che s'ha da fare.
SCENA SETTIMA - Lelio in abito di serva, Flavio e Messer Pancrazio.
LELIO - Voi m'avete fatto porre in questo
abito, Signor Flavio, e il Cielo voglia che la cosa riuscisca in bene, che io
non sia conosciuto e che facciamo qualche farfallone.
FLAVIO - Non dubitate che voi state tanto
bene in quest'abito, che parete proprio una giovinetta, e se io non v'avessi
veduto vestire, certo non vi conoscerei.
LELIO - Or come vogliamo noi fare?
FLAVIO - Faremo a questo modo, che, come
già vi dissi, Messer Pancrazio, avendo bisogno di una fantesca e avendomi già
pregato a volere far opera di trovargliene una, voi andarete a stare con esso
lui, il quale vi crederà essere una serva; e con simile occasione voi vi
potrete scoprire ad Ardelia e fare le vostre cose commodissimamente. Lasciate
pur operare a me, che io tirerò bene a buon fine questo negozio.
LELIO - Ma credete voi ch'ella l'avrà per
male?
FLAVIO - Per male, eh? Anzi n'avrà sommo
contento, portandovi ella tanto amore, come fa.
LELIO - Orsú pur, quanto prima veniamo al
quia, che un'ora mi par mill'anni di essere con lei.
FLAVIO - Oh, ecco a punto Messer
Pancrazio. Tiratevi da banda e lassatemi negoziare il fatto a me. Buon giorno,
Messer Pancrazio.
PANCRAZIO - Ben trovato, il mio Signor
Flavio; che si fa?
FLAVIO - Bene, per servirla. Io veniva a
punto a ritrovarla, perché V. S. sa che già mi parlò d'una serva, che n'avea
bisogno, e io gliene avevo condotto qua una, la quale stava già con mia
sorella, buona memoria; e perché io so ch'ell'è fidata, mi è parso di condurla
a voi che sete gentil'uomo da bene, e so ch'ella sarà sicura dell'onore ché
questo importa piú che altro, e per questo ve la pongo in casa a voi. La giovane
è sofficiente e sa attender alla camera, e cucinare, e fare in somma quel tanto
che va fatto in una casa, sí che non avrete briga di dire: fa co sí, fa colà; ed è gagliarda, e so ch'ella vi
darà grandissima sodisfazzione, ed eccola qua.
PANCRAZIO - Mi piace assai la sua presenza
e credo che saremo d'accordo. E come si chiama il nome di questa giovane?
FLAVIO - Farinella, Signore, nome da
bandito.
PANCRAZIO - Mi piace questo nome di
Farinella, perché si vede ch'ella ha appunto una faccia da farinello.
FLAVIO - E tali saranno i fatti ancora se
occorrerà.
PANCRAZIO - Orsú, Farinella, ti basta
l'animo di fare quel tanto che dice il Signor Flavio?
FARINELLA - Signor sí, e s'io non facessi
cosí bene nel principio, io m'andarò accommodando a poco a poco, sí che io
spero co 'l tempo darvi sodisfazzione del fatto mio.
FLAVIO - Non dubitate di questo, ch'ella è
pratichissima, e ogni giorno sarete piú contento d'averla pigliata e piú
nell'ultimo, che nel principio.
PANCRAZIO - Ma in quanto a me poca fatica
sono per dargli, basta solo ch'ella sodisfaccia ad Ardelia mia figliuola, e
fargli buona compagnia, ch'io faccio piú per questo che per altro.
FLAVIO - Ed ella brama piú di servire la
Signora Ardelia che altro, e so ch'essa la servirà benissimo; non dubitate piú
di questo.
FARINELLA - Non abbiate dubbio alcuno
ch'io non la sodisfaccia, che per tutto ov'io son stata, mi son portata in
maniera, che quando mi son partita, ho lassato buon odore del fatto mio.
PANCRAZIO - Orsú, entriamo in casa,
Farinella, che non mi è mai aviso che Ardelia ti veda. Signor Flavio, io vi
ringrazio della fatica che avete fatta per me in avermi trovato questa
fantesca, e la prendo sotto la vostra parola, ch'io so che voi sete un
gentil'uomo da bene e che, s'ella non fusse cosa che non fusse buona, non me
l'avresti inviata.
FLAVIO - Il Cielo me ne scampi, pigliatela
pur sicuramente; e tu, Farinella, portati bene come hai fatto per il passato, e
servi la Signora Ardelia di quanto ella ti comandarà, e portagli onore e
riverenza.
FARINELLA - Tanto farò, Signor Flavio, e
m'ingegnerò per dare sodisfazzione a tutti, e dove io non saprò, avrò caro che
mi sia insegnato.
PANCRAZIO - Orsú, entra là in quella
porta, che fin a quest'ora io resto molto sodisfatto, e se i fatti
corrisponderanno alle parole, spero che le cose passeranno benissimo. Signor
Flavio, a Dio.
FLAVIO - A Dio, Messer Pancrazio; orsú, io
vi raccomando Farinella.
PANCRAZIO - Non dubitate ch'ella starà nel
latte, come si suol dire, e s'ella saprà reggersi, felice lei. A Dio.
FLAVIO - S'ella non si saprà governare,
suo danno. Orsú, io ho accommodato l'ova nel bacile; or vedi che Messer Zenobio
avrà un eccellente dottore. Or cosí si fa a questi vecchi avari, che non
lassano mai aver bene ai lor figliuoli. A fè che esso l'avrà in barba a questa
volta. Or sú, io voglio un poco andare a
vedere la Signora Silvia e dargli la nuova di quanto ho fatto, ché ciò gli sarà
di grande allegrezza e consolazione al cuore, essendo elle anima e corpo
insieme, come elle sono.
ATTO TERZO
SCENA PRIMA - Messer Zenobio e Burasca.
ZENOBIO - Tu hai dunque perduto Lelio?
BURASCA. - Signor sí.
ZENOBIO - E come hai fatto a perderlo?
BURASCA - Che so io; quel oste aveva un
certo vino, ch'io credo che fusse allopiato, perché non ne bevei piú che dieci
o dodeci bicchieri, che m'incominciaro a salire certi vapori al capo, ch'io fui
forzato gettarmi sul letto e fare un sonetto di ventiquattr'ore, e quando mi
son svegliato,l'oste m'ha detto che Lelio è cavalcato inanzi, onde me gli son
messo a correre dietro, né mai l'ho potuto giungere, né manco ho mai incontrato
nissuno che mi dica di averlo veduto, a tale che io non so come si possa stare
questa cosa.
ZENOBIO - Ah, forfante, sciagurato, in
cambio d'aver custodia del tuo padrone tu ti vai a imbriacare; ah, ma io ti castigherò
del certo, ribaldo va, rimonta a cavallo adesso adesso, e vattene a Padova,
perché egli vi deve esser andato del certo, ché, non avendoti potuto svegliare,
si deve essere rissoluto di andare al suo viaggio; e già l'oste t'ha detto
ch'egli è cavalcato innanzi, e tu in cambio di andare in là, sei tornato a
casa. Oh, povero pane, a chi ti lassi tu mangiare! a fè che tu sei un diligente
servitore.
BURASCA - S'ognuno mi dice che non l'ha
incontrato.
ZENOBIO. - Per qual strada sei gito tu?
BURASCA - Per la strada ordinaria.
ZENOBIO - Ed esso forsi sarà andato per la
strada dissotto, che traversa quei campi, e mette capo su quel argine che poi
ariva su la strada Romea.
BURASCA - Potrebbe essere questo
facilrnente. O diavolo, e io mi sono lasciato voltare il cervello e sono
tornato indietro.
ZENOBIO - Orsú, va' via quanto prima,
imbriacone; e come sei là, fa' il debito tuo e non andare ogni giorno
all'osteria, e servi come hai da servire, che, a fè, a fè, se non ti porti
bene, io mi lamentarò di te.
BURASCA - Non dubitate ch'io facci piú
simil pazzia; siatene pur sicuro.
ZENOBIO - Non stare dunque a perder piú
tempo in chiachiare; ma va' via, su presto levati di qua.
BURASCA - Io vado or ora a montare a
cavallo. Restate in pace.
ZENOBIO - Va' in buon'ora. Oh, che goffo è
costui: tornar indietro in cambio d'andare innanzi. Orsú, io voglio andare a
portare questa lettera alla posta, e dare una volta sin in piazza a vedere che
nuova vi è. Poi tornarò a casa, che presto sarà ora di pranzo.
SCENA SECONDA - Ardelia e Farinella, cioè Lelio.
ARDELIA - Mio padre mai non fece cosa,
ch'a me fusse piú grata, quanto avermi data te per compagna, Farinella mia
galante, e per due cause ti voglio bene: la prima perché tu sei
sofficientissima in tutte le cose, la seconda perché tu hai l'effigie propria
d'un mio caro innamorato, e tanto a lui t'assomigli nel volto, che, se non
fosti donna, io di certo crederei che tu fosti quel d'esso, perché non v'è
differenza alcuna dal tuo volto al suo.
FARINELLA - Gran favore m'ha dunque
concesso il Cielo, mia Signora, avendomi fatto rassomigliare a un vostro caro
amante, perché tanto piú vi sarò grata e cara. Ma ditemi, vi prego, chi è
questo vostro innamorato.
ARDELIA - Io te lo dirò poi un'altra
volta.
FARINELLA - Di grazia, ditemelo adesso.
ARDELIA - T'importa tanto di saperlo?
FARINELLA - S'io fossi buona da servirvi
in qualche cosa, che so io.
ARDELIA. Tu
non puoi servirmi in nulla.
FARINELLA - Perché, che ne sapete voi?
ARDELIA - Perché quel tale non è in questa
città.
FARINELLA - E dove si ritrova egli?
ARDELIA - È gito allo Studio di Padova, e
Dio sa quando tornerà.
FARINELLA - Oh, povera gentildonna, e come
si chiama questo gentil'uomo che voi tanto amate?
ARDELIA - Lelio s'addimanda, figliuolo di
Messer Zenobio Barbadoro.
FARINELLA - Oh, io lo conosco bene. Eh,
lasciatelo gire ch'egli è una frasca e gli gira il cervello come un molino, e
non gli darei credenza d'un mezo soldo. Oh, io so che vi sete innamorata di
qualche cosa di buono a esser vi
innamorata di lui, ch'egli è un penacchino, che fa il Ganimede, il bello, il
profumato, e fa professione d'invaghirsi di quante gentildonne sono in questa
città e di gabbarle tutte. Deh, non vi mettete affanno di costui, che felice
voi ch'egli sia andato via!
ARDELIA - Tu m'hai fatto una gran spiegata
di parole sopra questo fatto; ma che sai tu, ch'egli facci tal professione?
FARINELLA - Io lo so, perché io stavo con
una gentildonna, ch'era similmente innamorata di lui, e dopo molte promesse
fattegli e ciance, ei gli ha mancato, e la meschina è restata in asso, e è quasi
stato la rovina sua.
ARDELIA - E chi è questa gentildonna?
FARINELLA - Io non ve lo posso dire per
buon rispetto.
ARDELIA - Orsú, se tu non hai altro che
dire, io crederò che tu te l'abbi ordita da te, e non ne credo nulla, perché so
quanto egli è gentile e costumato, e sin ad ora egli s'è portato verso di me
tanto nobilmente e con tal creanza, ch'io non posso non solo cadere in sospetto
della sua fede, ma né anche averne un minimo pensiero; sí che parlami d'altro e
non mi biasimare il Signor Lelio, se vuoi starmi in grazia.
FARINELLA - Eh, Signora, io burlo cosí con
voi, e so molto bene che 'l Signor Lelio è un gentil'uomo d'onore, e se bene
egli è giovane, è però saggio e prudente, e che ciò sia la verità, l'esperienza
ne fa fede, avendo egli eletto voi per sua donna, come quello il quale ha
conosciuto le rare qualità che regnano in voi, che veramente sete un vaso di
grazie e di virtú, e degna de' piú nobili cavalieri del mondo. Voi sete bella,
anzi bellissima, e con le vostre gentilissime maniere sareste atta a far
innamorare di voi Amor istesso. E qual sarebbe quel core tanto aspro e villano
ch'a un sguardo solo de' vostri begli occhi non divenisse tutto amabile e
cortese? Io per me, se fussi uomo sí come son donna, non vorrei porre il mio
core ad amare altro soggetto che voi, perché in voi ha posto la natura tutte
quelle doti che pònno adornare gentildonna nobile e bella come sete voi.
ARDELIA - Tu mi poni troppo in alto con
queste tue parole, Farinella mia, e so ch'io non sono del merito che tu mi vai
descrivendo, ma so bene ch'io son degna d'essere amata dal Signor Lelio, perché
di fede e di sincerità non voglio ch'altra mi ponga il piede innanzi, e questo
mi basta. Ma quanto piú ti miro, piú ti rassomiglio a lui, e mi viene una
voglia d'abbracciarti e bacciarti ch'io muoio, e a pena posso trattenermi.
FARINELLA - Oh, questa sí sarebbe galante,
ch'io vi servissi per trattenimento in questo vostro amore! Ma ditemi, se 'l
Signor Lelio fosse qui alla vostra presenza, lo baciaresti voi dunque?
ARDELIA - Non lo farei per l'onestà mia,
ma bene n'avrei grandissimo desiderio; ma tu che sei donna perché non posso io
baciarti cosí per ischerzo in iscambio di lui?
FARINELLA - Perché con il pensiero ancora
si viene a corrompere alquanto l'onestà.
ARDELIA - Di grazia, fatti in qua, ch'io
ti baci una sol volta.
FARINELLA - Eh, fermatevi, Signora, non so
se dite da dovero io, o se burlate meco.
ARDELIA - Ahimè, ch'io sento mancarmi lo
spirito, e non so quello ch'io mi faccia. Di grazia, abbimi compassione, cara
Farinella, e fammi tanto servizio d'andare a trovare il Signor Flavio e
dimandargli se a sorte egli avesse qualche nova del Signor Lelio, acciò
intendendo qualche nuova di lui possa dare qualche refrigerio a questo mio
misero e affannato core.
FARINELLA - Questo farò piú che volentieri,
e mi rincresce che 'l Signor Lelio non sia nella città, ché mi darebbe l'animo
di tirare le cose a buon fine al dispetto di quel vecchio avaro di suo padre.
ARDELIA - Io ti ringrazio del tuo buon
animo. Orsú, va, fa' quanto t'ho commandato, che io mi voglio entrare in casa,
ché mio padre non mi trovi qui in strada e non mi gridi. Va' via.
FARINELLA - Io vado.
SCENA TERZA - Farinella e Messer Zenobio suo padre.
FARINELLA - Oh che nobile, oh che rara, oh
che degna invenzione è stata questa! Oh me felice, oh me fortunato, poi ch'io
vivo in compagnia della mia cara donna, la quale già m'ha assicurato della sua
rara e inviolabil fede; oh che galante tiro è stato questo, poi che a mio modo
posso mirare colei, la quale di rado potea vedere, e quando mi si appresentarà
opportuna occasione, io mi scoprirò a lei con mio e suo sommo contento; or vada
a spasso lo studio e le lettere. Io non so lo piú bel studio di questo; orsú,
voglio andar a trovare il Signor Flavio, e narrargli quanto è successo sin ad
ora. Ma ecco mio padre che viene in qua. O Dio, come farò io s'a sorte egli mi
conosce? Egli m'ha già veduto, io non posso piú nascondermi; pur non voglio
perdermi punto, ma andare innanzi animosamente. Forsi ch'esso non mi conoscerà.
ZENOBIO - A Dio, bella massarina, con chi
stai tu?
FARINELLA - Che volete saper voi, buon
vecchio? Andate a fare i fatti vostri.
ZENOBIO - Po far il mondo, non si può
parlare?
FARINELLA - Parlate con chi vi vuole
ascoltare, e non con me che ho bisogno d'andare a fare i fatti miei.
ZENOBIO - O tu sei rustica, potta de me!
FARINELLA
- Io son come mi pare, perché?
ZENOBIO - E se tu sei bella, non essere
scortese, odi una parola.
FARINELLA - Orsú, voi m'avete inteso,
lassatemi gire alla mia via.
ZENOBIO - Io non ti trattengo qua per mal
nessuno.
FARINELLA - Perché mi trattenete voi
dunque?
ZENOBIO - Perché, mentre io ti miro nel
volto, ti rassomiglio tutta a un mio figliuolo chiamato Lelio, il quale pochi
giorni sono mandai allo Studio a Padova, e se tu non fossi femina, io crederei
certo che tu fussi quel d'esso.
FARINELLA - II Cielo volesse ch'io fussi
maschio, ché non è la peggior cosa quanto esser femina; perché noi femine siamo
soggette a mille tristi accidenti; se non fusse mai altro ch'essere nella bocca
delle genti, che non potiamo fare tanto bene che non siamo tassate dell'onore,
e a desso, come una povera fanciulla
ragiona con un uomo, subito vien fatto cattivo giudizio sopra di lei.
ZENOBIO - Tu dici la verità; ma fa' pur
che tu sii da bene, e poi lassa dire alle male lingue quello ch'elle vogliono,
che poco ti possono nocere.
FARINELLA - Orsú, dite pur voi quello che
volete, che bisogna fuggire l'occasione di non dare da canzonare, e però non mi
trattenete piú qua, che non mi fate levare un capello, mentre io sto a
ragionare qui con esso voi.
ZENOBIO - Orsú, vattene in pace; ma pur
bramo sapere dove tu stai innanzi che tu te ne gissi.
FARINELLA - Lo saprete pur troppo quando
sarà tempo.
ZENOBIO. Perché
pur troppo? Parlami chiaro.
FARINELLA - Orsú, io non voglio piú darvi
udienza. Mi raccomando, il mio vecchietto da bene.
ZENOBIO - Vatene in bon'ora. Che domin può
voler dir costei, ch'io lo saprò pur troppo? Ella si deve pensar forsi di farmi
cadere alla rete e ch'io m'innamori di lei, ma ella s'inganna, ché la merla ha
passato il Po, come si suol dire; egli è ben vero che se ben son in questa
etade, che qualche volta ancora mi rissento, e credo s'io avessi comercio di
questa bella fanciulla, ch'io tornarei giovinetto. Oh, la mi piace, può fare il
Cielo! Ma se bene ella non m'ha voluto dire ov'ella si stia, io cercarò ben
tanto, e tanto m'ingegnarò, che troverò la casa; e come io l'averò trovata,
qualche cosa sarà. Io mi confido nella mia borsa che mi sarà adiutrice in
questo negozio; in tanto io voglio andare a vedere se Burasca è partito, e poi
tornare qua dietro a vedere s'ella passasse un'altra volta.
SCENA QUARTA - Messer Pancrazio, Farinella e Ardelia.
PANCRAZIO - E bene, Ardelia, come ti
sodisfa la Farinella?
ARDELIA - Benissimo, mio padre. Mi riesce
molto in ogni cosa.
PANCRAZIO - Chiamala un poco fuora, ch'io
gli voglio ordinare certe cose che mi bisognano, e ancora dargli denari da
spendere per il desinare di domattina.
ARDELIA - Ella non è in casa, io l'ho
mandata da Madonna Cassandra a pigliare una mostra di quei lavorieri ch'ella
ha, ch'io li voglio tórre giú, e non può fare ch'ella non giunga.
PANCRAZIO - Orsú, io andarò in questo
tempo fin alla piazza, e tu intanto tornatene in casa, e com'ella è tornata,
non la lasciar piú andar in nessun loco, perché me ne voglio servire in quello
ch'io t'ho detto.
ARDELIA - Tanto farò, andate pure. O Dio,
costei si rassomiglia pur tanto al Signor Lelio; io non posso saziarmi di
mirarla, e gli vado sopra la notte quando ella dorme e la contemplo a modo mio,
e quanto piú gli affisso il guardo, tanto piú pare ch'io scorga la sua bella
effigie. Deh, perché non intraviene a me, come si dice ch'intravenne alla bella
Fiordispina, cioè che costei diventasse il mio caro e amato Lelio? Oh, che
felicità sarebbe la mia! Ma io so bene che quelle sono favole e che ciò non può
essere; però andarò godendo questa sua bella somiglianza, aspettando con
speranza il vero ritratto del mio caro bene. Ma ecco che a punto ella ritorna a
casa; oh, come è vaga, e quanto camina ella leggiadramente e quanto
graziosamente porta ella la vita! Veramente ch'egli è un gran danno, ch'ella
non sia un uomo, tanto ha ella del
virile.
FARINELLA - Il Ciel vi salvi, la mia
graziosissima Signora.
ARDELIA - Ben tornata per mille volte, la
mia cara Farinella. E bene, mi porti tu buona nuova circa il negozio ch io ti
dissi?
FARINELLA - Eh, Signora, non troppo buona.
ARDELIA - Ohimè, perché?
FARINELLA - Io non vorrei altrimenti, che
mai m'avesti mandato in tal servizio.
ARDELIA - Dimmi la causa, ohimè! che sarà
questo?
FARINELLA - Io credea d'essere la colomba,
e sono il corvo: il Signor Lelio, da voi tanto amato e desiderato, il
poveretto... ohimè, io non ve lo vorrei dire.
ARDELIA - È morto forsi il mio caro Lelio
o gli è incontrato qualche gran disgrazia? Dimelo, ti prego.
FARINELLA - Poiché con tanta instanza mi
pregate, io son sforzata a dirlo: voi dovete sapere che, ohimè, ch'io non lo
posso dire, pure io ve lo dirò: il Signor Flavio m'ha detto ch'esso ha avuto
nuova ch'egli s'è annegato.
ARDELIA - Ohimè, che dici tu? E dove?
FARINELLA - Volendo passare il Po sopra
una barca, mentre ch'egli era grosso, e essendo carico il legno d'uomini e di
cavalli, e volendosi movere un cavallo da una banda, ha fatto piegare il legno
talmente, ch'egli s'è roversato, e tutti quelli che v'erano suso sono andati
giú a seconda, e non ve n'è restato vivo pur uno, e dicono che 'l Signor Lelio,
mentre l'acqua con rapido corso lo tirava giú, disse queste parole: " Oh,
Ardelia, questi sono i fini de i nostri amori, ecco ch'io muoio, e piú non mi
vedrai ". E detto questo, venne un'onda crudele e lo sommerse, e non si
vidde piú. Io ve l'ho detto al mio dispetto, ma forza saria stato che l'avesti
inteso da un altro, ché il Signor Flavio è tanto addolorato per aver perduto un
compagno tanto fidele, che non trova pace né loco. Ma queste sono cose che dà
il Cielo: bisogna far buon animo e sopportarle pazientemente; in ogni modo a
voi non sono per mancare altri amanti, e graziosi quanto lui.
ARDELIA - Ahi, misera e infelice Ardelia,
queste sono le tue speranze? Questo è il bene che tu aspettavi? Ahi, mondo
fallace, come ne tratti noi miseri mortali? Deh, perché non morsi io nelle
fascie, quando era picciola bambina, ch'ora non proverei tanto tormento? Oh
quanto è crudele e aspra questa nuova: come possibil fia ch'io resti in vita in
tante angoscie? Come puoi resistere, o mio misero cuore, a cosí crudi e
dispietati colpi? E tu, petto meschino, come non t'apri? E tu, anima mia
dolente, come in tal caso non spiri? O cieli, o terra, o crudeli pianetti,
perché sete tutti congiurati insieme contra la sfortunata Ardelia? Perché
m'avete levato ogni mio bene? E tu, onda spietata, perché m'hai cosí
ingordamente rubbato il mio caro tesoro? O Lelio mio dolcissimo, per me tu sei
privo di vita, per me tu sei gionto all'ultimo fine nel piú bel fiore de
gl'anni tuoi; ora avrà il padre tuo ogni contento, ora sarà sicuro che tu non
mi pigliarai per moglie. Orsú, dapoi che per me piú non splende il sole e che
la luna ha nascosto il suo lume, e che morte cruda m'ha spogliata d'ogni mio
bene, che debbo io piú fare in questa vita? Venghi dunque la morte e tolga a me
parimente questa terrena spoglia, acciò ch'io quanto prima possa accompagnare
il mio caro Lelio. Ohimè, ch'io vengo manco; ohimè, Farinella, aiutami, ch'io
non mi posso piú reggere in piedi, ohimè.
FARINELLA - Orsú, Signora mia, non
piangete piú, né v'affligete, ma state allegra, perché ho detto cosí per far
fede al Signor Flavio del sincero amore che voi portate al Signor Lelio, e
poiché ho veduto che l'amate di puro cuore e che sete di fede un saldo scoglio,
io vi voglio ora dare consolazione, la quale sarà altrettanta quanto è stato il
dolore e l'affanno che avete avuto: voi dovete sapere dunque che non è vero che
'l Signor Lelio sia morto, ma vive, ed è piú vicino a voi, che non vi pensate.
ARDELIA - Non è dunque morto il Signor
Lelio? E perché darmi tanto dolore? Ah, Farinella, tu sei quasi stato causa
ch'io son morta; ohimè, che ancora dubito che tu non dica cosí per consolarmi,
e che egli pur sia morto.
FARINELLA - Non è morto certo, ma vive
sano e allegro, e è in questa città.
ARDELIA - Come può essere nella cittá,
s'egli è gito allo Studio a Padova?
FARINELLA - Io vi dico ch'egli è qua, e
quando vi piacerà ch'io ve lo facci vedere, io lo farò. Che dite voi?
ARDELIA - Ohimè, tu mi fai tutta tramutare
a dirmi tal cose. E quando me lo farai tu vedere?
FARINELLA - Adesso adesso, se volete.
ARDELIA - Quanto prima tu farai questo, mi
sarà piú caro e grato.
FARINELLA - Fate conto di vederlo, mentre
mirate me.
ARDELIA - Il mirar te mi fa bene
ramembrare la bella imagine di lui, ma non essendo la sua, poca allegrezza
m'apporta, Farinella mia cara.
FARINELLA - Orsú, piú tempo non mi pare di
tenere occulto quello che appalesar si deve; ah, Signora Ardelia, sete voi cosí
cieca e priva di lume, che non conosciate il vostro caro e amato Lelio? Non
vedete s'io son quello che ragiono qua con voi? Quello il quale per amor vostro
si è coperto di feminil gonna, e a guisa d'Ercole ha preso la conocchia in vece
della spada, per venire a servirvi e onorarvi come sua Signora e singolar
patrona. Ecco qua le treccie posticcie, ecco qua la viril faccia, e in somma
ecco qua il vostro fidelissimo Lelio, non piú Farinella, non piú fantesca, ma
vostro carissimo consorte, ché tale ho designato che voi siate, se da voi non
manca, dolcissimo mio bene.
ARDELIA - Oh, Signor Lelio mio, quanta
grazia mi concede oggi il Cielo, avendomi fatto degna della sua cara e amata
vista; ora sí ch'io sono in tutto chiara della sua data fede, benché mai non ho
dubitato di mancamento alcuno. Eccovi dunque la vostra cara Ardelia, eccovi
quella che v'ha dato l'anima e 'l core insieme, e che sempre sarà vostra
umilissima servitrice, e in somma eccovi quella che sarà pronta e parata ad
ogni vostro commandamento, mentre ella avrà vita, e dopo morte ancora, se possibil sarà.
FARINELLA - Orsú, state di buona voglia, e
entriamo in casa che poi trattaremo fra noi il negozio, e vi dirò cosa che vi
sarà di sommo contento. Entriamo, vita mia.
ARDELIA - Entriamo pur, dolcissimo mio
bene. Oh, quanta contentezza sente il mio core! Adesso sí son sicura che le
cose nostre avranno buon fine. O Cielo, io ti ringrazio.