Saturday 22 July 2017

Speech of Gianna Jessen at the 7th Annual Rome March for Life (in English)




Piazza Venezia, Rome, 20th May 2017.


          I’ll give you a brief summary of my life. It’s been complicated. But first I want to thank the brave presenters that spoke before me. I have great admiration for what you are doing and what you did. I have cerebral palsy because I survived an abortion. I didn’t have an abortion; I lived through one. My biological mother was seven and a half months pregnant and she had a saline abortion. This burns the baby. It burns the baby inside and out and blinds and suffocates the child, and then the baby is born dead within 24 hours. But instead of arriving dead, I arrived alive, and in an abortion clinic, not a hospital.
          So I love to say this: I am alive by the power of Jesus Christ. I am not ashamed of Jesus and I shout his Name in the streets of Rome, so everyone can hear: Gesu, Gesu, Gesu [i.e. Jesus, Jesus, Jesus]. I know that’s not popular. Sometimes pro-life people don’t even like to speak about Jesus, but I’m telling you: I’m not ashamed of the God who saved my life. How could I be? This is a battle between life and death, and we need God’s help. It’s a broken world, and broken people need real answers that come from God.
          So it says on my medical records: born during saline abortion, 6:00 am, April 6, 1977. It went on to record that she was 29 ½ weeks pregnant, and I was only two pounds. The nurse called an ambulance because the abortionist wasn’t at work yet. Had he been there, he would have ended my life with strangulation, suffocation, or leaving me there to die.
          You may wonder why I have no burns on my body or why I am not blind, and it’s just a simple answer: Jesus. But I do have cerebral palsy, and I was never supposed to leave the bed; I was never supposed to hold up my head. It was caused by a lack of oxygen to my brain while surviving an abortion. So I would like to gently ask the feminists that are listening, whether online, Facebook live, in the audience: if abortion is merely about women’s rights, then what were mine?
          I just have a few things to say in conclusion, and they are these: I was later adopted. As I just told you, I was told that I would never walk. But what I want to tell you is that no human being can ever tell you what your destiny is. Only God can. Also, I want to tell you: I have met my biological mother, and I have said, “I am a Christian and I forgive you.”
          I want to also say to anyone who has had an abortion, or more than one abortion, or any man who has paid for one or more abortions, and to anyone who doesn’t believe in God or Jesus: The only freedom any of us will ever find from our sin is Jesus. So just give him that abortion; tell him that you’re sorry, and ask him to forgive you, and he will set you free. And if you don’t believe in Jesus, tell him you don’t believe in Jesus and he will answer you. Just talk to Jesus and he will change your life.
          And the last thing, to the young people listening: listen to me, there is great honor in honoring the marriage bed. Women, young women: you are made to be loved and respected. We are not meant to be used and have the men walk away.
          Men: you are made to be courageous and honorable. You are meant to be faithful and kind. And guess what: I think men are wonderful. I love men. I don’t hate men like feminists do. I think men are great. God bless the men! Men: you can only be courageous if you know who you are, and you are made in the image of God, just as women are. So stand up and be who you are born to be: protectors of women and children, and be honorable.
          God bless you! Ciao, ciao.

Friday 21 July 2017

"Nao Tem Solução" by Dorival Caymmi and Carlos Guinle

Aconteceu um novo amor
Que nao podia acontecer
Nao era hora de amar
Agora o que vou fazer?

Nao tem soluçao
Este novo amor
Um amor a mais
Me tirou a paz
E eu que esperava
Nunca mais amar
Nao sei o que faça
Com esse amor demais.


 
"Nao Tem Solução" sung by Dorival Caymmi

Thursday 20 July 2017

"Apparecchio alla Morte" by St Alfonso Maria de Liguori (in Italian) – XXIII


CONSIDERAZIONE XXII - DEL MAL'ABITO
«Impius cum in profundum venerit, contemnit» (Prov. 18. 3).


PUNTO I
            Uno de' maggiori danni, che a noi cagionò il peccato di Adamo, fu la mala inclinazione al peccare. Ciò facea piangere l'Apostolo, in vedersi spinto dalla concupiscenza verso quegli stessi mali, ch'egli abborriva: «Video aliam legem in membris meis... captivantem me in lege peccati» (Rom. 7. 23). E quindi riesce a noi, infettati da questa concupiscenza, e con tanti nemici che ci spingono al male, sì difficile il giungere senza colpa alla patria beata. Or posta una tal fragilità che abbiamo, io dimando: Che direste voi d'un viandante, che dovesse passare il mare in una gran tempesta, con una barca mezza rotta, ed egli poi volesse caricarla di tal peso, che senza tempesta, e quantunque la barca fosse forte, anche basterebbe ad affondare? Che prognostico fareste della vita di costui? Or dite lo stesso d'un mal abituato che dovendo passare il mare di questa vita (mare in tempesta, dove tanti si perdono) con una barca debole e ruinata, qual'è la nostra carne, a cui stiamo uniti, questi volesse poi aggravarla di peccati abituati. Costui è molto difficile che si salvi, perché il mal'abito accieca la mente, indurisce il cuore, e con ciò facilmente lo rende ostinato sino alla morte.
            Per prima il mal'abito «accieca». E perché mai i santi sempre cercano lume a Dio, e tremano di diventare i peggiori peccatori del mondo? perché sanno che se in un punto perdon la luce, possono commettere qualunque scelleragine. Come mai tanti cristiani ostinatamente han voluto vivere in peccato, sino che finalmente si son dannati? «Excaecavit eos malitia eorum» (Sap. 2. 21). Il peccato ha tolto loro la vista, e così si son perduti. Ogni peccato porta seco la cecità; accrescendosi i peccati, si accresce l'accecazione. Dio è la nostra luce; quanto più dunque l'anima si allontana da Dio, tanto resta più cieca. «Ossa eius implebuntur vitiis» (Iob. 20. 11). Siccome in un vaso, ch'è pieno di terra, non può entrarvi la luce del sole, così in un cuore pieno di vizi non può entrarvi la luce divina.
            E perciò si vede poi che certi peccatori rilasciati perdono il lume, e vanno di peccato in peccato, e neppure pensano più ad emendarsi. «In circuitu impii ambulant» (Psal. 11.9). Caduti i miseri in quella fossa oscura, non sanno far altro che peccati, non parlano che di peccati, non pensano se non a peccare, e quasi non conoscono più che sia male il peccato. «Ipsa consuetudo mali (dice S. Agostino) non sinit peccatores videre malum, quod faciunt». Sicché vivono come non credessero più esservi Dio, paradiso, inferno, eternità.
            Ed ecco, che quel peccato che prima faceva orrore, col mal'abito non fa più orrore. «Pone illos, ut rotam et sicut stipulam ante faciem venti» (Psal. 82. 14). Vedete, dice S. Gregorio, con che facilità una pagliuccia è mossa da ogni vento anche leggiero; così vedrete ancora taluno che prima (avanti che cadesse) resisteva almeno per qualche tempo, e combatteva colla tentazione; fatto poi il mal'abito, subito cade ad ogni tentazione, ad ogni occasione che gli vien di peccare. E perché? perché il mal'abito gli ha tolta la luce. Dice S. Anselmo che 'l demonio fa con certi peccatori, come fa taluno che tiene qualche uccello ligato col filo, lo lascia volare, ma quando vuole torna a farlo cadere a terra; tali sono (come dice il santo) i mal abituati: «Pravo usu irretiti ab hoste tenentur, volantes in eadem vitia deiiciuntur» (Ap. Edinor. in Vita lib. 2). Taluni, aggiunge S. Bernardino da Siena (tom. 4. Serm. 15), seguiranno a peccare anche senz'occasione. Dice il santo che i mal abituati si fan simili a' molini a vento, i quali «rotantur omni vento», girano ad ogni aura di vento; e di più voltano, ancorché non vi stesse grano da macinare, e benché il padrone non volesse che voltino. Vedrai un abituato che senz'occasione va facendo mali pensieri, senza gusto, e quasi non volendo, tirato a forza dal mal'abito. S. Gio. Grisostomo: «Dura res est consuetudo, quae nonnunquam nolentes committere cogit illicita». Sì, perché (come dice S. Agostino) il mal'abito diventa poi una certa necessità: «Dum consuetudini non resistitur, facta est necessitas». E come aggiunge S. Bernardino, «usus vertitur in naturam»; ond'è che siccome all'uomo è necessario il respirare, così a' mal abituati, fatti schiavi del peccato, par che si renda necessario il peccare. Ho detto «schiavi»; vi sono i servi, che servono a forza colla paga; gli schiavi poi servono a forza senza paga; a questo giungono alcuni miserabili, giungono a peccare senza gusto.
            «Impius, cum in profundum venerit, contemnit» (Prov. 18. 3). Ciò lo spiega il Grisostomo appunto del mal abituato, il quale posto in quella fossa di tenebre, disprezza correzioni, prediche, censure, inferno, Dio, disprezza tutto, diventa il misero quale avoltoio, che per non lasciare il cadavere, su di quello più presto si contenta di farsi uccidere da' cacciatori. Narra il P. Recupito che un condannato a morte mentre andava alla forca, alzò gli occhi, vide una giovane, ed acconsentì ad un mal pensiero. Narra ancora il P. Gisolfo che un bestemmiatore, anche condannato a morte, mentre fu buttato dalla scala proruppe in una bestemmia. Giunge a dire S. Bernardo che per li mal'abituati non serve più a pregare, ma bisogna piangerli per dannati. Ma come vogliono uscire dal loro precipizio, se non ci vedono più? ci vuole un miracolo della grazia. Apriranno gli occhi i miserabili nell'inferno, quando non servirà più l'aprirli, se non per piangere più amaramente la loro pazzia.

Affetti e preghiere
            Mio Dio, Voi mi avete distinto co' vostri benefici, beneficandomi più degli altri; io vi ho distinto colle offese, ingiuriando più Voi, che ogni altra persona da me conosciuta. O Cuore addolorato del mio Redentore, che sulla croce foste così afflitto e tormentato dalla vista de' miei peccati, datemi Voi per li vostri meriti una viva cognizione e dolore delle mie colpe. Ah Gesù mio, io son pieno di vizi, ma voi siete onnipotente; ben potete farmi pieno del vostro santo amore. A voi dunque confido che siete una bontà, una misericordia infinita. Mi pento, o sommo bene, di avervi offeso. Oh fossi morto prima e non v'avessi dato mai disgusto! Io mi sono scordato di Voi, ma Voi non vi siete scordato di me: lo vedo con questa luce che ora mi date. Giacché dunque mi date la luce, datemi ancora la forza di esservi fedele. Io vi prometto prima di morire mille volte, che mai voltarvi più le spalle: ma al vostro aiuto stanno le mie speranze: «In te, Domine, speravi, non confundar in aeternum». A voi spero, Gesù mio, di non avermi a vedere più confuso nel peccato e privo della vostra grazia.
            A Voi mi rivolgo ancora, o Maria signora mia: «In te, Domina, speravi, non confundar in aeternum». Alla vostra intercessione confido, o speranza mia, di non avermi a vedere più nemico del vostro Figlio. Deh pregatelo che mi faccia prima morire, che mi abbandoni a questa somma disgrazia.



PUNTO II
            In oltre il mal'abito indurisce. «Cor durum efficit consuetudo peccandi», Cornelio a Lapide. E Dio giustamente il permette in pena delle resistenze fatte alle sue chiamate. Dice l'Apostolo che 'l Signore «cuius vult miseretur, et quem vult indurat» (Rom. 9. 18). Spiega S. Agostino: «Obduratio Dei est nolle misereri». Non è già che Iddio indurisce il mal abituato, ma gli sottrae la grazia, in pena dell'ingratitudine usata alle sue grazie; e così il di lui cuore resta duro e fatto come di pietra. «Cor eius indurabitur tanquam lapis, et stringetur quasi malleatoris incus» (Iob. 41. 15). Quindi avverrà che dove gli altri s'inteneriscono e piangono in sentir predicar il rigore del divino giudizio, le pene de' dannati, la passione di Gesu-Cristo, il mal abituato niente ne resterà commosso; ne parlerà e sentirà parlare con indifferenza, come fossero cose che a lui non appartenessero; e a tali colpi egli diventerà più duro. «Et stringetur quasi malleatoris incus».
            Anche le morti improvvise, i tremuoti, i tuoni, i fulmini più non lo spaventeranno: prima che svegliarlo e farlo ravvedere, più presto gli concilieranno quel sonno di morte, in cui dorme perduto. «Ab increpatione tua, Deus Iacob, dormitaverunt» (Ps. 75. 7). Il mal'abito a poco a poco fa perdere anche il rimorso della coscienza. Al mal abituato i peccati più enormi gli sembrano niente. S. Agostino: «Peccata quanvis horrenda, cum in consuetudinem veniunt, parva, aut nulla esse videntur». Il far male porta seco naturalmente un certo rossore, ma dice S. Girolamo che i mal abituati perdono anche il rossore peccando: «Qui ne pudorem quidem habent in delictis». S. Pietro paragona il mal abituato al porco, che si rivolta nel letame: «Sus lota in volutabro luti» (2. Petr. 2. 22). Siccome il porco, rivoltandosi nel loto, non ne sente egli il fetore; così accade al mal abituato: quel fetore che si fa sentire da tutti gli altri, egli solo non lo sente. E posto che il loto gli ha tolta anche la vista, che meraviglia, è, dice S. Bernardino, che non si ravveda, neppure mentre Dio lo flagella? «Populus immergit se in peccatis, sicut sus in volutabro luti; quid mirum si Dei flagellantis futura iudicia non cognoscit?» (S. Bern. Sen. p. 2. pag. 182). Onde avviene che in vece di rattristarsi de' suoi peccati, se ne rallegra, se ne ride e se ne vanta. «Laetantur, cum malefecerint» (Prov. 2. 14). «Quasi per risum stultus operatur scelus» (Prov. 10. 23). Che segni sono questi di tal diabolica durezza? Dice S. Tommaso di Villanova, sono segni tutti di dannazione: «Induratio, damnationis indicium». Fratello mio, trema che non ti avvenga lo stesso. Se mai hai qualche mal'abito, procura d'uscirne presto, ora che Dio ti chiama. E mentre ti morde la coscienza, sta allegramente perché è segno che Dio non t'ha abbandonato ancora. Ma emendati, ed esci presto; perché se no, la piaga si farà cancrena, e sarai perduto.

Affetti e preghiere
            O Signore, come potrò ringraziarvi come debbo, di tante grazie che mi avete fatte? Quante volte mi avete chiamato, ed io ho resistito? In vece di esservi grato e d'amarvi, per avermi liberato dall'inferno, e chiamato con tanto amore ho seguitato a provocarvi a sdegno, replicando a Voi le ingiurie. No, mio Dio, non voglio più oltraggiare la vostra pazienza; basta quanto vi ho offeso. Solo Voi che siete bontà infinita, avete potuto sinora sopportarmi. Ma già vedo che non potete sopportarmi più, avete ragione. Perdonatemi dunque, Signore mio e mio sommo bene, tutte l'ingiurie che v'ho fatte, delle quali mi pento con tutto il cuore; ch'io propongo per l'avvenire di non offendervi più. E che forse ho da seguire sempre ad irritarvi? Deh placatevi meco, o Dio dell'anima mia, non per li meriti miei, a cui non si aspetta altro che castighi ed inferno, ma per li meriti del vostro Figlio e mio Redentore, a' quali metto tutta la mia speranza. Per amore dunque di Gesu-Cristo ricevetemi nella vostra grazia, e datemi la perseveranza nel vostro amore. Staccatemi dagli affetti impuri, e tiratemi tutto a Voi. V'amo, o sommo Dio, o sommo amante dell'anime, che siete degno d'infinito amore. Oh vi avessi sempre amato.
            O Maria Madre mia, fate che questa vita che mi resta, non mi serva più per offendere il vostro Figlio, ma solo per amarlo e per piangere i disgusti che gli ho dati.



PUNTO III
            Perduta che sarà la luce, e indurito che sarà il cuore, moralmente ne nascerà che 'l peccatore faccia mal fine, e muoia ostinato nel suo peccato. «Cor durum habebit male in novissimo» (Eccli. 3. 27). I giusti sieguono a camminare per la via dritta. «Rectus callis iusti ad ambulandum» (Is. 26. 7). All'incontro i mal abituati van sempre in giro. «In circuitu impii ambulant» (Ps. 11. 9). Lasciano il peccato per un poco, e poi vi tornano. A costoro S. Bernardo annunzia la dannazione: «Vae homini qui sequitur hunc circuitum» (Serm. 12. Sup. Psal. 90). Ma dirà quel tale: Io voglio emendarmi prima della morte. Ma qui sta la diffìcoltà, che un mal abituato si emendi, ancorché giunga alla vecchiaia; dice lo Spirito Santo: «Adolescens iuxta viam suam, etiam cum senuerit, non recedet ab ea» (Prov. 22. 6). La ragione si è, come ci dice S. Tommaso da Villanova (Conc. 4. Dom. Quadr. 4), perché la nostra forza è molto debole. «Et erit fortitudo nostra ut favilla stupae» (Is. 1. 31). Dal che ne nasce, secondo dice il santo che l'anima priva della grazia non può stare senza nuovi peccati: «Quo fit, ut anima a gratia destituta diu evadere ulteriora peccata non possit». Ma oltre ciò, che pazzia sarebbe di taluno, se volesse giuocare e perdere volontariamente tutto il suo, sperando di rifarsi all'ultima partita? Questa è la pazzia di chi siegue a vivere tra' peccati, e spera poi nell'ultimo giorno della vita di rimediare al tutto. Può l'Etiope, o il pardo mutare il color della sua pelle? e come potrà far buona vita, chi ha fatto un lungo abito al male? «Si mutare potest Aethiops pellem suam, aut pardus varietates suas, et vos poteritis benefacere, cum didiceritis malum» (Ier. 13. 23). Quindi avviene che il male abituato in fine si abbandona alla disperazione, e così finisce la vita. «Qui vero mentis est durae, corruet in malum» (Prov. 28. 14).
            S. Gregorio su quel passo di Giobbe: «Concidit me vulnere super vulnus, irruit in me quasi gigas» (Iob. 16. 15): dice il santo così: Se taluno è assalito dal nemico, alla prima ferita che riceve resta forse anche abile a difendersi; ma quante più ferite riceve, tanto più perde le forze, sino che finalmente resta ucciso. Così fa il peccato; alla prima, alla seconda volta resta qualche forza al peccatore (s'intende sempre per mezzo della grazia che gli assiste), ma se poi egli seguita a peccare, il peccato si fa gigante, «irruit quasi gigas». All'incontro il peccatore, trovandosi più debole e con tante ferite, come potrà evitare la morte? Il peccato, al dire di Geremia, è come una gran pietra, che opprime l'anima: «Et posuerunt lapidem super me» (Thren. 3. 53). Or dice S. Bernardo esser sì difficile il risorgere ad un mal abituato, quando è difficile ad uno che sia caduto sotto un gran sasso, e che non ha forza di rimuoverlo per liberarsene: «Difficile surgit, quem moles malae consuetudinis premit».
            Dunque, dirà quel mal abituato, io son disperato? No, non sei disperato, se vuoi rimediare. Ma ben dice un autore che ne' mali gravissimi vi bisognano gravissimi rimedi: «Praestat in magnis morbis a magnis auxiliis initium medendi sumere» (Cardin. Meth. cap. 16). Se ad un infermo che sta in pericolo di morte e non vuol prender rimedi, perché non sa la gravezza del suo male, gli dicesse il medico: Amico, sei morto, se non prendi la tal medicina. Che risponderebbe l'infermo? Eccomi, direbbe, pronto a prender tutto; si tratta di vita. Cristiano mio, lo stesso dico a te, se sei abituato in qualche peccato: stai male, e sei di quell'infermi, che «raro sanantur» (come dice S. Tommaso da Villanova); stai vicino a dannarti. Se non però vuoi guarirti, vi è il rimedio; ma non hai d'aspettare un miracolo della grazia; hai da farti forza dal canto tuo a toglier le occasioni, a fuggire i mali compagni, a resistere con raccomandarti a Dio, quando sei tentato; hai da prendere i mezzi, con confessarti spesso, leggere ogni giorno un libretto spirituale, prendere la divozione a Maria SS., pregandola continuamente che t'impetri forza di non ricadere. Hai da farti forza, altrimenti ti coglierà la minaccia del Signore contro gli ostinati: «In peccato vestro moriemini» (Io. 8. 21). E se non rimedi, or che Dio ti dà questa luce, difficilmente potrai rimediare appresso. Senti Dio che ti chiama: «Lazare, exi foras». Povero peccatore già morto, esci da questa oscura fossa della tua mala vita. Presto rispondi; e datti a Dio; e trema che questa non sia l'ultima chiamata per te.

Affetti e preghiere
            Ah Dio mio, e che voglio aspettare che proprio mi abbandoniate e mi mandiate all'inferno? Ah Signore, aspettatemi, ch'io voglio mutar vita e darmi a Voi. Ditemi che ho da fare, che voglio farlo. O sangue di Gesù, aiutatemi. O avvocata de' peccatori Maria, soccorretemi. E Voi, Eterno Padre, per li meriti di Gesù e di Maria, abbiate pietà di me. Mi pento, o Dio di bontà infinita, di avervi offeso, e v'amo sopra ogni cosa. Perdonatemi per amore di Gesu-Cristo e datemi il vostro amore. Datemi ancora un gran timore della mia ruina, se di nuovo vi offendessi. Luce, mio Dio, luce e forza. Tutto spero dalla vostra misericordia. Voi mi avete fatte tante grazie, quand'io andava lontano da Voi, molto più spero, or che a Voi ritorno risoluto di non amare altro che Voi. V'amo, mio Dio, mia vita, mio tutto.
            Amo ancora Voi, Madre mia Maria; a Voi consegno l'anima mia; Voi preservatela colla vostra intercessione dal non tornare a cadere in disgrazia di Dio.

Wednesday 19 July 2017

Letter from Joan of Arc to the Inhabitants of Rion (in French)



Chers et bons amis, vous savez bien comment la ville de Saint-Pierre le Moustier a esté prinse d'assault; et, à l'aide de Dieu, ay entencion de faire vuider les autres places qui sont contraires au roy; mais pour ce que grant despense de pouldres, trait et autres habillemens de guerre a esté faicte devant ladicte ville, et que petitement les seigneurs qui sont en ceste ville et moy en sommes pourveuz pour aller mectre le siége devant la Charité, où nous alons présentement: je vous prie sur tant que vous aymez le bien et honneur du roy et aussi de tous les autres de par deçà, que veuillez incontinant envoyer et aider pour ledit siége, de pouldres, salpestre, souffre, trait, arbelestres fortes et d'autres habillemens de guerre. Et en ce faictes tant que, par faulte desdictes pouldres et autres habillemens de guerre, la chose ne soit longue, et que on ne vous puisse dire en ce estre négligens ou refusans. Chiers et bons amis, Nostre Sire soit garde de vous. Escript à Molins, le neufviesme jour de novembre.

Jehanne.


Sur l'adresse: “A mes chers et bons amis, les gens d'Église, bourgois et habitans de la ville de Rion.” (Procès, t. V, p. 147.)

Tuesday 18 July 2017

"The Book of Exodus" - Chapter XXXVI (translated into English)



Chapter 36

1 "Bezalel, therefore, will set to work with Oholiab and with all the experts whom the LORD has endowed with skill and understanding in knowing how to execute all the work for the service of the sanctuary, just as the LORD has commanded."
2 Moses then called Bezalel and Oholiab and all the other experts whom the LORD had endowed with skill, men whose hearts moved them to come and take part in the work. 3 They received from Moses all the contributions which the Israelites had brought for establishing the service of the sanctuary. Still, morning after morning the people continued to bring their voluntary offerings to Moses. 4 Thereupon the experts who were executing the various kinds of work for the sanctuary, all left the work they were doing, 5 and told Moses, "The people are bringing much more than is needed to carry out the work which the LORD has commanded us to do." 6 Moses, therefore, ordered a proclamation to be made throughout the camp: "Let neither man nor woman make any more contributions for the sanctuary." So the people stopped bringing their offerings; 7 there was already enough at hand, in fact, more than enough, to complete the work to be done.
8 The various experts who were executing the work, made the Dwelling with its ten sheets woven of fine linen twined, having cherubim embroidered on them with violet, purple and scarlet yarn. 9 The length of each sheet was twenty-eight cubits, and the width four cubits; all the sheets were of the same size. 10 Five of the sheets were sewed together, edge to edge; and the same for the other five. 11 Loops of violet yarn were made along the edge of the end sheet in the first set, and the same along the edge of the end sheet in the second set. 12 Fifty loops were thus put on one inner sheet, and fifty loops on the inner sheet in the other set, with the loops directly opposite each other. 13 Then fifty clasps of gold were made, with which the sheets were joined so that the Dwelling formed one whole.
14 Sheets of goat hair were also woven as a tent over the Dwelling. Eleven such sheets were made. 15 The length of each sheet was thirty cubits and the width four cubits; all eleven sheets were the same size. 16 Five of these sheets were sewed edge to edge into one set; and the other six sheets into another set. 17 Fifty loops were made along the edge of the end sheet in one set, and fifty loops along the edge of the corresponding sheet in the other set. 18 Fifty bronze clasps were made with which the tent was joined so that it formed one whole. 19 A covering for the tent was made of rams' skins dyed red, and above that, a covering of tahash skins.
20 Boards of acacia wood were made as walls for the Dwelling. 21 The length of each board was ten cubits, and the width one and a half cubits. 22 Each board had two arms, fastening them in line. In this way all the boards of the Dwelling were made. 23 They were set up as follows: twenty boards on the south side, 24 with forty silver pedestals under the twenty boards, so that there were two pedestals under each board, at its two arms; 25 twenty boards on the other side of the Dwelling, the north side, 26 with their forty silver pedestals, two under each board; 27 six boards at the rear of the Dwelling, to the west; 28 and two boards at the corners in the rear of the Dwelling. 29 These were double at the bottom, and likewise double at the top, to the first ring. That is how both boards in the corners were made. 30 Thus, there were in the rear eight boards, with their sixteen silver pedestals, two pedestals under each board. 31 Bars of acacia wood were also made, five for the boards on one side of the Dwelling, 32 five for those on the other side, and five for those at the rear, to the west. 33 The center bar, at the middle of the boards, was made to reach across from end to end. 34 The boards were plated with gold, and gold rings were made on them as holders for the bars, which were also plated with gold.
35 The veil was woven of violet, purple and scarlet yarn, and of fine linen twined, with cherubim embroidered on it. 36 Four gold-plated columns of acacia wood, with gold hooks, were made for it, and four silver pedestals were cast for them. 37 The curtain for the entrance of the tent was made of violet, purple and scarlet yarn, and of fine linen twined, woven in a variegated manner. 38 Its five columns, with their hooks as well as their capitals and bands, were plated with gold; their five pedestals were of bronze."