LETTERA ENCICLICA
MISERENTISSIMUS
REDEMPTOR
DEL SOMMO PONTEFICE
PIO XI
SULL'ATTO DI
RIPARAZIONE AL SACRATISSIMO CUORE DI GESÙ
Ai Reverendi Patriarchi,
Primati, Arcivescovi,
Vescovi e agli altri
Ordinari locali
che hanno pace e comunione
con l’Apostolica Sede.
Venerabili Fratelli, salute
e Apostolica Benedizione.
Il
misericordiosissimo nostro Redentore, dopo aver recato la salvezza al genere
umano sul legno della Croce, prima di salire da questo mondo al Padre, per
consolare i suoi mesti apostoli e discepoli, disse: « Ecco, io sono con voi
tutti i giorni, fino alla fine del mondo » [1]. Queste parole, in verità assai
gradite, sono motivo di ogni speranza e sicurezza. Esse Ci vengono facilmente
alla memoria, Venerabili Fratelli, tutte le volte che — per così dire — da
questa più alta specola guardiamo tutta l’umana famiglia afflitta da tanti
gravi mali, e la Chiesa pure, tormentata senza tregua da assalti e da insidie.
Infatti, tale divina promessa, come dapprima sollevò gli abbattuti animi degli
Apostoli e, così animati, li accese fervidamente a spargere per la terra i semi
della dottrina evangelica, così in seguito guidò alla vittoria la Chiesa contro
le potenze dell’inferno. Sempre, certamente, il Signore Gesù Cristo assistette
la sua Chiesa; ma con più valido aiuto e protezione specialmente quando fu
travagliata da pericoli e sciagure più gravi, dando proprio quei rimedi che
erano i più adatti alla condizione dei tempi e delle cose, con la sua divina
Sapienza che « arriva da una estremità all’altra con potenza, e con soavità
dispone tutte le cose » [2]. Ma neppure in tempi a noi più vicini « si è
accorciata la mano del Signore » [3], specialmente quando qualche errore si
introdusse, e abbastanza largamente si diffuse, così da doverne temere che si
inaridissero in qualche modo le fonti della vita cristiana per gli uomini
allontanatisi dall’amore di Dio e dalla sua consuetudine. E poiché alcuni del
popolo forse ignorano, altri trascurano i lamenti che l’amantissimo Gesù fece a
Maria Margherita Alacoque nelle sue apparizioni, come pure i desideri e le
volontà che manifestò agli uomini, alla fine, per il loro proprio vantaggio, Ci
piace, Venerabili Fratelli, trattener- Ci con Voi alquanto per parlare
dell’obbligo che Ci impone di fare ammenda onorevole al Sacratissimo Cuor di
Gesù, con questa intenzione: che ciascuno di Voi insegni con diligenza al
proprio gregge quanto Noi vi avremo comunicato, e lo ecciti alla esecuzione di
quanto stiamo per ordinare.
Tra tutti gli altri documenti della infinita bontà
del nostro Redentore, questo specialmente risplende: raffreddandosi l’amore dei
fedeli, la stessa divina carità fu proposta ad essere onorata con speciale
culto, e così le ricchezze della sua bontà furono largamente svelate con quella
forma di venerazione con cui onoriamo il Sacratissimo Cuore di Gesù « nel quale
sono nascosti tutti i tesori della sapienza e della scienza » [4]. Infatti,
come già al genere umano, che usciva dall’arca di Noè, la bontà di Dio volle
che riducesse il segno della contratta amicizia, « l’arcobaleno che appare tra
le nubi » [5], così negli agitatissimi tempi moderni, quando serpeggiava
l’eresia più scaltra di tutte, quella eresia giansenista — nemica all’amore e
alla pietà verso Dio — che predicava un Dio non tanto da amare come padre
quanto da temere come giudice implacabile, il benignissimo Gesù mostrò ai
popoli il suo Cuore Sacratissimo quale spiegato vessillo di pace e di carità,
assicurando indubbia vittoria nella battaglia. Perciò, ben a ragione, il Nostro
predecessore Leone XIII di felice memoria nella sua Enciclica « Annum sacrum »,
ammirando la grandissima opportunità del culto del Cuore Sacratissimo di Gesù,
non esitò ad affermare: « Allorché la Chiesa, alle origini, era oppressa dal
giogo dei Cesari, ad un giovane imperatore apparve, in alto, una croce, auspice
ad un tempo e realizzatrice della splendida vittoria che subito dopo seguì. Ora
vi è offerto davanti agli occhi un segno faustissimo e divinissimo, cioè il
Sacratissimo Cuore di Gesù, che porta su di sé la croce e che splende tra
fiamme di lucentissimo candore. In lui dobbiamo collocare ogni speranza: a lui
va richiesta e da lui va attesa la salvezza ».
E ciò ben a ragione, Venerabili Fratelli, perché in
quel felicissimo segno e nella forma che ne emana non sono forse contenute
tutta la sostanza della religione e specialmente la norma di una vita più
perfetta, come quella che guida per una via più facile le menti a conoscere
intimamente Gesù Cristo e induce i cuori ad amarlo più ardentemente e più
generosamente ad imitarlo? Nessuno dunque deve meravigliarsi che i Nostri
predecessori abbiano sempre difeso questa ottima forma di culto dalle accuse
dei denigratori e l’abbiano sommamente lodata e promossa con il massimo impegno
secondo che i tempi e le condizioni richiedevano. Certo per divina ispirazione
avvenne che il pio affetto dei fedeli verso il Sacratissimo Cuore di Gesù di
giorno in giorno andasse sempre crescendo; quindi sorsero dappertutto pie
associazioni per promuovere il culto del divin Cuore, e si diffuse l’usanza,
che oggi dappertutto già vige, della sacra Comunione fatta il primo venerdì di
ogni mese, secondo il desiderio di Gesù Cristo stesso.
È certo però che fra tutte le pratiche che spettano
propriamente al culto del Sacratissimo Cuore, primeggia, degna da ricordare, la
pia consacrazione con la quale offriamo al Cuore di Gesù noi e tutte le cose
nostre, riconoscendole ricevute dalla eterna carità di Dio. E avendo il
Salvator nostro manifestato alla innocentissima discepola del suo Cuore
Margherita Maria, quanto Egli, mosso meno dal suo diritto che dalla immensa
carità verso di noi, desiderasse che dagli uomini gli fosse reso questo tributo
di devozione, la Santa prima di tutti lo offerse insieme con il suo Padre
spirituale Claudio de la Colombière; seguirono poi, con l’andare del tempo, a
tributarlo le singole persone, poi le famiglie private e le Associazioni,
infine le stesse autorità, le città e i regni. Essendosi nel secolo scorso e in
questo nostro, per le macchinazioni degli empi, giunti a tal punto da
disprezzare l’impero di Cristo e da dichiarare pubblicamente guerra alla Chiesa
con leggi e mozioni dei popoli contrarie al diritto divino e naturale, anzi con
il grido di intere assemblee: «Non vogliamo che costui regni su di noi » [6],
appunto per la detta consacrazione erompeva quasi, e faceva forte contrasto, la
voce unanime dei devoti del Sacratissimo Cuore per rivendicarne la gloria e
difenderne i diritti: « Bisogna che Cristo regni [7]: Venga il regno tuo ». Ne
fu finalmente conseguenza felice che tutto il genere umano, che appartiene per
diritto nativo a Cristo, nel quale solo tutte le cose sono riunite [8],
all’inizio di questo secolo, dal Nostro predecessore Leone XIII di f.m., con il
plauso di tutto l’orbe cristiano, fosse consacrato al suo Sacratissimo Cuore.
Questi così fausti e lieti inizi, come dicemmo nella Nostra
Enciclica «Quas primas », Noi stessi, per somma bontà di Dio, portammo a pieno
compimento, quando, secondo i moltissimi desideri e voti di Vescovi e fedeli,
al termine dell’Anno giubilare istituimmo la festa di Cristo Re universale, da
celebrarsi solennemente in tutto il mondo cristiano. E ciò facendo, non
soltanto ponemmo in luce il sommo impero che Cristo tiene su tutte le cose,
sulla società civile e domestica, sugli individui singoli, ma fin d’allora
pregustammo insieme la gioia di quel giorno lietissimo, in cui il mondo intero
si sottometterà di buon grado e volonteroso al dominio dolcissimo di Cristo Re.
Perciò ordinammo allora contemporaneamente che, in occasione della festa
istituita, si rinnovasse questa medesima consacrazione ogni anno, per conseguire
più certo e più copioso il frutto della consacrazione stessa, e stringere nel
Cuore del Re dei re e del Sovrano dei sovrani i popoli tutti, con amore
cristiano nella comunione di pace.
Se non che a tutti questi ossequi, e particolarmente
alla tanto fruttuosa consacrazione, che mediante l’istituzione della festa di
Cristo Re venne, a dir così, riconfermata, conviene che se ne aggiunga un altro
di cui, Venerabili Fratelli, Ci è caro al presente intrattenervi alquanto più a
lungo: l’atto cioè di espiazione o riparazione, come suol dirsi, da prestarsi
al Cuore Sacratissimo di Gesù. Infatti, se nella consacrazione primeggia
l’intento di ricambiare l’amore del Creatore con l’amore della creatura, ne
segue naturalmente un altro, che dello stesso Amore increato, quando sia o per
dimenticanza trascurato o per offesa amareggiato, si debbano risarcire gli
oltraggi in qualsiasi modo recatigli; il qual dovere comunemente chiamiamo col
nome di riparazione.
Se all’uno e all’altro dovere siamo obbligati per le
stesse ragioni, al debito particolarmente della riparazione siamo tenuti da un
più potente motivo di giustizia e di amore: di giustizia, per espiare l’offesa
recata a Dio con le nostre colpe e ristabilire, con la penitenza, l’ordine
violato; di amore, per patire insieme con Cristo paziente e « saturato di
obbrobri » e recargli, secondo la nostra pochezza, qualche conforto. Infatti,
essendo noi tutti peccatori e gravati da molte colpe, dobbiamo onorare il
nostro Dio, non solo con il culto col quale adoriamo coi dovuti ossequi la
somma sua Maestà, o mediante la preghiera riconosciamo il suo supremo dominio,
o con i ringraziamenti lodiamo la sua generosità infinita; ma inoltre è
necessario che diamo soddisfazione alla giusta vendetta di Dio, « per gli
innumerevoli peccati e offese e negligenze » nostre. Dunque, alla consacrazione
con la quale ci offriamo a Dio e diventiamo sacri a Lui, per quella santità e
stabilità che sono proprie della consacrazione, come insegna l’Angelico [9], si
deve aggiungere l’espiazione, con cui estinguere del tutto le colpe, a meno che
la santità della somma giustizia rigetti la nostra proterva indegnità, e
anziché gradire il nostro dono, lo rifiuti piuttosto come sgradito.
Questo dovere di espiazione incombe a tutto il genere
umano poiché, secondo gli insegnamenti della fede cristiana, dopo la miseranda
caduta di Adamo, esso, macchiato di colpa ereditaria, soggetto alle passioni e
degradato nel modo più compassionevole, avrebbe meritato d’essere condannato
alla eterna perdizione. Negano, sì, questa verità, i superbi sapienti del
nostro secolo i quali, rinnovando la vecchia eresia di Pelagio, vantano una
bontà congenita della umana natura, che per virtù sua si spinge a sempre
maggiore perfezione. Ma queste false invenzioni della superbia umana sono
condannate dall’Apostolo, il quale ci ammonisce che « eravamo per natura
meritevoli d’ira »[10]. E in verità, già fin dal principio del mondo gli uomini
riconobbero in qualche modo il debito di tale comune espiazione, mentre per un
certo istinto naturale si diedero, anche con pubblici sacrifici, a placare la
divinità.
Se non che nessuna potenza creata era bastevole
all’espiazione delle colpe umane, se il figlio di Dio non avesse assunto la
natura umana da redimere. E ciò lo stesso Salvatore degli uomini annunziò per
bocca del Salmista: «Tu non hai voluto né vittime né oblazioni, ma mi hai
formato un corpo; non hai gradito né olocausti né sacrifici espiatori. Allora
io dissi: Ecco, io vengo » [11]. E in verità « egli prese le nostre infermità e
portò i nostri dolori; per le nostre iniquità fu ferito »[12] e « i peccati
nostri portò egli stesso nel proprio corpo sopra il legno …[13]… cancellando il
chirografo del decreto scritto contro di noi, ed Egli, affiggendolo alla croce,
lo tolse di mezzo …[14], affinché, morti al peccato, vivessimo per la giustizia
» [15].
Sebbene la copiosa redenzione di Cristo, con
sovrabbondanza « ci condonò tutti i peccati » [16], tuttavia, per quella
mirabile disposizione della divina Sapienza secondo la quale nel nostro corpo
si deve compiere quello che manca dei patimenti di Cristo a favore del corpo di
Lui, che è la Chiesa [17], noi possiamo, anzi dobbiamo aggiungere alle lodi e
soddisfazioni « che Cristo in nome dei peccatori tributò a Dio », anche le
nostre lodi e soddisfazioni. Ma conviene sempre ricordare che tutto il valore
espiatorio dipende unicamente dal cruento sacrificio di Cristo, il quale si
rinnova, senza interruzione, sui nostri altari in modo incruento, poiché « una
stessa è la Vittima, uno medesimo è ora l’oblatore mediante il ministero dei
sacerdoti, quello stesso che si offrì sulla croce, mutata solamente la maniera
dell’oblazione » [18]. Per tale motivo con questo augusto sacrificio
Eucaristico si deve congiungere l’immolazione dei ministri e degli altri
fedeli, affinché anche essi si offrano quali « vittime vive, sante, gradevoli a
Dio » [19]. Anzi, San Cipriano non esita ad affermare « che il sacrificio del
Signore non si compie con la dovuta santificazione se l’offerta e il sacrificio
nostro non corrisponderanno alla passione » [20]. Perciò l’Apostolo ci
ammonisce perché « portando nel nostro corpo la mortificazione di Gesù » [21] e
sepolti e innestati con Cristo in somiglianza con la sua morte [22], non solo
crocifiggiamo la nostra carne, i vizi e le passioni [23] « fuggendo la
corruzione della concupiscenza che è nel mondo » [24], ma « la vita di Gesù si
manifesti così nei corpi nostri » [25] e fatti partecipi del suo sacerdozio
eterno possiamo offrire « doni e sacrifici per i peccati » [26]. Non sono,
infatti, partecipi di questo arcano sacerdozio e dell’ufficio di offrire
soddisfazioni e sacrifici quelli solamente di cui il Pontefice nostro Cristo
Gesù si vale come di ministri per offrire a Dio un’oblazione monda in ogni
luogo dall’oriente all’occidente [27], ma anche tutta la moltitudine dei
cristiani, chiamata a ragione dal Principe degli Apostoli « Stirpe eletta,
Sacerdozio regale » [28], deve offrire sacrificio per i peccati per sé e per
tutto il genere umano [29], quasi non altrimenti che ogni sacerdote e pontefice
«preso fra gli uomini è preposto a pro degli uomini in tutte quelle cose che
riguardano Dio » [30].
Quando poi l’oblazione nostra e il nostro sacrificio
avranno più perfettamente corrisposto al sacrificio del Signore, ossia noi
avremo immolato l’amore proprio e le nostre passioni, e crocifisso la nostra
carne con quella mistica crocifissione di cui parla l’Apostolo, tanto più
copiosi frutti di propiziazione e di espiazione raccoglieremo per noi e per gli
altri. Mirabile legame stringe infatti i fedeli tutti con Cristo, come quello
che corre fra il capo e le altre membra del corpo, e similmente quella
misteriosa comunione dei Santi, che professiamo per fede cattolica, onde gli
individui e i popoli non solamente sono uniti fra loro, ma altresì con lo
stesso « capo che è Cristo, dal quale tutto il corpo, ben compaginato e
connesso mediante la collaborazione di ogni giuntura, secondo l’energia propria
di ogni membro, riceve forza per crescere in modo da edificare se stesso nella
carità » [31]. Questa fu la preghiera che lo stesso Cristo Gesù, mediatore tra
Dio e gli uomini, vicino a morte rivolse al Padre: « Io in essi e tu in me,
affinché siano consumati nell’unità » [32].
Pertanto, nella stessa maniera in cui la
consacrazione professa e conferma l’unione con Cristo, così l’espiazione,
purificando dalle colpe, incomincia l’unione stessa, e con la partecipazione
dei patimenti di Cristo la perfeziona, e con l’oblazione dei sacrifici a favore
dei fratelli la porta all’ultimo compimento. E tale appunto fu il disegno della
misericordia di Gesù quando, acceso della fiamma dell’amore, volle svelare a
noi il suo Cuore con i segni della sua passione, affinché noi, meditando da una
parte la malizia infinita del peccato e ammirando dall’altra la infinita carità
del Redentore, detestassimo più vivamente il peccato e più ardentemente
ricambiassimo l’amore.
E in verità lo spirito di
espiazione o di riparazione ebbe sempre le prime e principali parti nel culto
con cui si onora il Cuore Sacratissimo di Gesù, ed è certo il più consono
all’origine, alla natura, all’efficacia, alle pratiche proprie di questa
particolare devozione, come è confermato dalla storia e dalla pratica, dalla
sacra liturgia e dagli atti dei Sommi Pontefici. Infatti, nel manifestarsi a Margherita
Maria, Cristo, mentre insisteva sull’immensità del proprio amore, al tempo
stesso, in atteggiamento addolorato, si lamentò dei tanti e tanto gravi
oltraggi a sé fatti dall’ingratitudine degli uomini, con queste parole, che
dovrebbero sempre essere colpite nel cuore delle anime buone né mai cancellarsi
dalla memoria: « Ecco — disse — quel Cuore che ha tanto amato gli uomini e li
ha ricolmati di tutti i benefìci, ma in cambio del suo amore infinito, anziché
trovare gratitudine, incontrò invece dimenticanza, indifferenza, oltraggi, e
questi arrecatigli talora anche da anime a lui obbligate con il più stretto
debito di speciale amore ». E appunto in riparazione di tali colpe Egli, tra
molte altre raccomandazioni, fece queste specialmente come a sé graditissime:
che i fedeli con tale intento di riparazione si accostassero alla sacra mensa —
che si dice appunto « Comunione Riparatrice » — e per un’ora intera
praticassero atti e preghiere di riparazione, il che con tutta verità si dice
«Ora Santa »: devozioni, queste, che la Chiesa non solo ha approvato, ma ha
pure arricchito di copiosi favori spirituali.
Ma come potrà dirsi che Cristo regni beato nel Cielo
se può essere consolato da questi atti di riparazione? « Dà un’anima che ami e
comprenderà quello che dico » [33], rispondiamo con le parole di Agostino, che
fanno proprio al nostro proposito.
Ogni anima, infatti, veramente infiammata nell’amore
di Dio, se con la considerazione si volge al tempo passato, meditando vede e
contempla Gesù sofferente per l’uomo, afflitto, in mezzo ai più gravi dolori, «
per noi uomini e per la nostra salute », dalla tristezza, dalle angosce e dagli
obbrobri quasi oppresso, anzi « schiacciato dai nostri delitti » [34], e in
atto di risanarci con i suoi lividi. Con tanta maggior verità le anime pie
meditano queste cose, in quanto i peccati e i delitti degli uomini, in qualsiasi
tempo commessi, furono la causa per la quale il Figlio di Dio fosse dato a
morte, ed anche al presente cagionerebbero per sé a Cristo la morte,
accompagnata dagli stessi dolori e dalle medesime angosce, giacché ogni peccato
si considera rinnovare in qualche modo la passione del Signore: « Di nuovo in
loro stessi crocifiggono il Figlio di Dio, e lo espongono al ludibrio» [35].
Che se a causa anche dei nostri peccati futuri, ma previsti, l’anima di Gesù
divenne triste sino alla morte, non è a dubitare che qualche conforto non abbia
anche fin da allora provato per la previsione della nostra riparazione, quando
a « lui apparve l’Angelo dal cielo » [36] per consolare il suo cuore oppresso
dalla tristezza e dalle angosce.
E così anche ora in modo mirabile ma vero, noi
possiamo e dobbiamo consolare quel Cuore Sacratissimo che viene continuamente
ferito dai peccati degli uomini ingrati, giacché — come si legge anche nella
sacra liturgia — Cristo stesso si duole, per bocca del salmista, di essere
abbandonato dai suoi amici: « Smacco e dolore mi spezzano il cuore; mi
aspettavo compassione, ma non ce ne fu, qualche consolatore, e non l’ho trovato
» [37].
Si aggiunga che la passione espiatrice di Cristo si
rinnova e in certo qual modo continua nel suo corpo mistico, la Chiesa.
Infatti, per servirci nuovamente delle parole di Sant’Agostino [38]: «Cristo
patì tutto ciò che doveva patire; né al numero dei patimenti nulla più manca.
Dunque i patimenti sono compiuti, ma nel capo; rimanevano tuttora le sofferenze
di Cristo da compiersi nel corpo ». Ciò Gesù stesso dichiarò, quando a Saulo, «
spirante ancora minacce e stragi contro i discepoli » [39], disse: « Io sono
Gesù che tu perseguiti » [40], chiaramente significando che le persecuzioni
mosse alla Chiesa, vanno a colpire gravemente lo stesso suo Capo divino. A buon
diritto, dunque, Cristo sofferente ancora nel suo corpo mistico desidera averci
compagni della sua espiazione; così richiede pure la nostra unione con lui;
infatti, essendo noi « il corpo di Cristo e membra congiunte » [41], quanto
soffre il capo, tanto devono con esso soffrire anche le membra [42].
Quanto poi sia urgente, specialmente in questo nostro
secolo, la necessità della espiazione o riparazione, non può ignorarlo chiunque
con gli occhi e con la mente, come dicemmo prima, consideri questo mondo «
tutto sottoposto al maligno » [43]. Infatti, da ogni parte giunge a Noi il
grido dei popoli, i cui re o governi veramente si sono sollevati e hanno
congiurato insieme contro il Signore e contro la sua Chiesa [44]. Vedemmo in
quelle nazioni calpestati i diritti divini ed umani, i templi distrutti dalle
fondamenta, i religiosi e le sacre vergini cacciati dalle loro case,
imprigionati, affamati, afflitti da obbrobriose sevizie; le schiere dei
fanciulli e delle fanciulle strappate dal grembo della Madre Chiesa, spinte a
negare e bestemmiare Cristo, e condotte ai peggiori delitti della lussuria;
tutto il popolo cristiano minacciato, oppresso, in continuo pericolo di
apostasia dalla Fede, o di morte anche la più atroce. Cose tanto dolorose
sembrano, con tali sciagure preannunziare fin d’ora e anticipare « il principio
dei dolori » che apporterà « l’uomo iniquo che s’innalza su tutto quello che è
Dio e religione » [45].
E non è meno triste lo spettacolo, Venerabili Fratelli,
che fra gli stessi fedeli, lavati col battesimo nel sangue dell’Agnello
immacolato e arricchiti della grazia, anche si incontrino tanti, di ogni
classe, che, ignoranti delle cose divine, avvelenati da false dottrine, vivono
una vita viziosa, lontana dalla casa del Padre, senza la luce della vera fede,
senza la gioia della speranza nella futura beatitudine, privi del beneficio e
del conforto che deriva dall’ardore della carità, sicché davvero si può dire
che siano immersi nelle tenebre, e nelle ombre di morte. Inoltre cresce tra i
fedeli la noncuranza della disciplina ecclesiastica e dell’avita tradizione da
cui è sorretta tutta la vita cristiana, è regolata la società domestica, è
difesa la santità del matrimonio; l’educazione dei fanciulli è del tutto trascurata
o guastata da troppo effeminate cure, e perfino tolta alla Chiesa la facoltà di
educare cristianamente la gioventù; il pudore cristiano lacrimevolmente
dimenticato nel modo di vivere e di vestire, delle donne soprattutto; una
cupidigia insaziabile dei beni caduchi; un predominio sfrenato degli interessi
civili; una ricerca bramosa di favore popolare; un disprezzo della legittima
autorità e della parola di Dio, per cui è scossa la fede stessa o messa a grave
repentaglio.
Ma al complesso di tanti mali si aggiungono l’ignavia
e l’infingardaggine di coloro che, a somiglianza degli apostoli addormentati e
fuggitivi, malfermi nella fede, abbandonano miseramente Cristo, oppresso dai
dolori o assalito dai satelliti di Satana, e la perfidia di coloro che, seguendo
l’esempio di Giuda traditore, o con sacrilega temerità si accostano alla
Comunione o passano al campo nemico. E così corre alla mente, pur senza
volerlo, il pensiero che già siano giunti i tempi profetizzati da Nostro
Signore: « E poiché abbondò l’iniquità, si raffredderà la carità di molti »
[46].
A tutte queste considerazioni quanti fedeli
volgeranno piamente l’animo, accesi d’amore per Cristo sofferente, non potranno
non espiare le proprie e le altrui colpe con maggiore impegno, risarcire l’onore
di Cristo, promuovere l’eterna salvezza delle anime. E per certo possiamo
adattare, in qualche maniera, anche per descrivere questa età nostra, le parole
dell’Apostolo: «Dove abbondò il delitto, sovrabbondò la grazia » [47]. Infatti,
cresciuta di molto la perversità degli uomini, meravigliosamente va pure
aumentando, per favore dello Spirito Santo, il numero dei fedeli dell’uno e
dell’altro sesso, che con animo più volonteroso si sforzano di dar
soddisfazione al Divin Cuore per tante ingiurie recategli, ed anzi non temono
di offrire se stessi a Cristo come vittime. Poiché se qualcuno va con amore fra
sé ripensando a quanto sin qui abbiamo ricordato e, per così dire, se lo ha
impresso nell’intimo del cuore, dovrà senza dubbio non solo aborrire ogni peccato
come sommo male e fuggirlo, ma tutto offrirsi alla volontà di Dio e adoperarsi
a risarcire l’onore leso della Divina Maestà con l’assidua preghiera, con l’uso
di volontarie penitenze e con la paziente sofferenza di quelle prove che
incontrerà; infine: con la vita tutta, condotta secondo questo spirito di
riparazione.
Così nacquero anche molte famiglie religiose di
uomini e donne che, giorno e notte, con ambito servizio, si propongono di far
in qualche modo le veci dell’Angelo confortatore di Gesù nell’orto; così pure
le pie associazioni, approvate dalla Santa Sede e arricchite di indulgenze, che
con opportuni esercizi di pietà e di virtù si prefiggono lo scopo della
riparazione; così, per non parlare di altre pie pratiche, l’uso frequente di
solenni ammende, da parte non solo dei singoli fedeli, ma delle parrocchie,
delle diocesi, delle città.
Pertanto, Venerabili Fratelli, come la pratica della
consacrazione, cominciata da umili inizi, e poi largamente diffusasi, ebbe con
la Nostra conferma lo splendore e la corona desiderata, così grandemente
bramiamo che questa ammenda riparatrice, già da tempo santamente introdotta e
propagata, abbia il più fermo suggello dalla Nostra autorità apostolica, e ne
diventi universale e più solenne la pratica in mezzo al popolo cristiano.
Perciò stabiliamo e ordiniamo che tutti gli anni nella festa del Sacratissimo
Cuore di Gesù — la quale in questa occasione abbiamo voluto che si elevasse al
grado di doppio di prima classe con l’ottava — in tutte le chiese del mondo si
faccia con la stessa formula, secondo l’esemplare unito a questa Enciclica, una
solenne ammenda al nostro amantissimo Redentore, per riparare con essa le
nostre colpe e risarcire i violati diritti di Cristo Sommo Re e Signore
amantissimo.
Da questa pratica, poi santamente rinnovata ed estesa
a tutta la Chiesa, non è da dubitare, Venerabili Fratelli, che molti e
segnalati beni Ci ripromettiamo, tanto per i singoli individui, quanto per la
società religiosa, domestica e civile; avendo lo stesso Redentore nostro promesso
a Margherita Maria « che avrebbe arricchito con l’abbondanza delle sue grazie
coloro che avessero reso al Cuor Suo questo onore ». I peccatori certamente «
volgendo lo sguardo a Colui che trafissero » [48], commossi al pianto di tutta
la Chiesa, detestando le ingiurie recate al Sommo Re, « rientreranno in se
stessi » [49] perché non avvenga che ostinandosi nei peccati alla vista di
Colui che piagarono « venire sulle nubi del cielo » [50], piangano sé troppo
tardi e inutilmente sopra di lui [51]. I giusti poi, diventeranno più giusti e
più santi [52] e si consacreranno con rinnovato ardore al servizio del loro Re,
che vedono tanto disprezzato e combattuto e così gravemente ingiuriato,
soprattutto si accrescerà in essi lo zelo per la salvezza delle anime, al
sentire quel gemito della Vittima Divina « A che pro il mio sangue? » [53] e
riflettendo insieme al gaudio di questo Sacratissimo Cuore « per un peccatore
che torna a penitenza » [54]. E questo innanzi tutto Noi principalmente
speriamo e intensamente desideriamo che la giustizia di Dio, la quale per dieci
giusti avrebbe perdonato a Sodoma, molto più voglia usare misericordia a tutta
l’umana famiglia, al supplicarla e placarla che faranno i fedeli tutti, insieme
con Cristo Mediatore e Capo. Sia propizia ai Nostri voti e a queste Nostre
disposizioni la benignissima Madre di Dio, la quale, avendoci dato Gesù
Riparatore, avendolo nutrito e presso la croce offerto vittima per noi, per la
mirabile unione che ebbe con Lui e per grazia singolarissima, divenne anche
lei, come piamente è detta, Riparatrice. Confidando nella sua intercessione
presso Gesù, che essendo l’unico «Mediatore tra Dio e gli uomini » [55], volle
associarsi la Madre Sua come avvocata dei peccatori, dispensiera e mediatrice
di grazia, impartiamo di cuore, auspice dei divini favori e testimone della
paterna Nostra benevolenza, a Voi, Venerabili Fratelli, e a tutto il gregge
affidato alle vostre cure, l’Apostolica Benedizione.
Dato a Roma, presso San Pietro, l’8 maggio 1928,
anno settimo del Nostro Pontificato.
PIUS PP. XI
ATTO DI RIPARAZIONE AL SACRATISSIMO CUORE DI GESÙ
Gesù dolcissimo, il cui immenso amore per gli uomini
viene con tanta ingratitudine ripagato di oblìo, di trascuratezza, di
disprezzo, ecco che noi prostrati dinanzi ai tuoi altari intendiamo riparare
con particolari attestazioni di onore una così indegna freddezza e le ingiurie
con le quali da ogni parte viene ferito dagli uomini l’amantissimo tuo Cuore.
Ricordando però che noi pure altre volte ci
macchiammo di tanta indegnità e provandone vivissimo dolore, imploriamo
anzitutto per noi la tua misericordia, pronti a riparare con volontaria
espiazione, non solo i peccati commessi da noi, ma anche quelli di coloro che
errando lontano dalla via della salute, o ricusano di seguire Te come pastore e
guida ostinandosi nella loro infedeltà, o calpestando le promesse del Battesimo
hanno scosso il soavissimo giogo della tua legge.
E mentre intendiamo espiare tutto il cumulo di sì
deplorevoli delitti, ci proponiamo di ripararli ciascuno in particolare:
l’immodestia e le brutture della vita e dell’abbigliamento, le tante insidie
tese dalla corruttela alle anime innocenti, la profanazione dei giorni festivi,
le ingiurie esecrande scagliate contro Te e i tuoi Santi, gli insulti lanciati
contro il tuo Vicario e l’ordine sacerdotale, le negligenze e gli orribili
sacrilegi ond’è profanato lo stesso Sacramento dell’amore divino, e infine le
colpe pubbliche delle nazioni che osteggiano i diritti e il magistero della
Chiesa da Te fondata.
Oh! potessimo noi lavare col nostro sangue questi
affronti! Intanto, come riparazione dell’onore divino conculcato, noi Ti
presentiamo — accompagnandola con le espiazioni della Vergine Tua Madre, di
tutti i Santi e delle anime pie — quella soddisfazione che Tu stesso un giorno
offristi sulla croce al Padre e che ogni giorno rinnovi sugli altari:
promettendo con tutto il cuore di voler riparare, per quanto sarà in noi e con
l’aiuto della tua grazia, i peccati commessi da noi e dagli altri e
l’indifferenza verso sì grande amore con la fermezza della fede, l’innocenza
della vita, l’osservanza perfetta della legge evangelica specialmente della
carità, e d’impedire inoltre con tutte le nostre forze le ingiurie contro di
Te, e di attrarre quanti più potremo al tuo sèguito. Accogli, Te ne preghiamo,
o benignissimo Gesù, per intercessione della Beata Vergine Maria Riparatrice,
questo volontario ossequio di riparazione, e conservaci fedelissimi nella tua
ubbidienza e nel tuo servizio fino alla morte col gran dono della perseveranza,
mercé il quale possiamo tutti un giorno pervenire a quella patria, dove Tu col
Padre e con lo Spirito Santo vivi e regni, Dio, per tutti i secoli dei secoli. Così
sia.
[1] Matth., XXVIII, 20.
[2] Sap., VIII, 1.
[3] Is., LIX, 1.
[4] Coloss., II, 3.
[5] Gen., II, 14.
[6] Luc., XIX, 14.
[7] I Cor., XV, 25.
[8] Eph., I, 10.
[9] II, II, q. 81, a. 8. c.
[10] Eph., II, 3.
[11] Hebr., X, 5-7.
[12]Is., V, 3; IV, 5.
[13] I Petr., II, 24.
[14] Coloss., II, 14.
[15] I Petr., II, 24.
[16] Cf. Coloss., II, 13.
[17] Cf. Coloss., I, 24.
[18] Conc. Trid., sess. XXII, c. 2.
[19] Rom., XII, 1.
[20] Ep. 63,n. 381.
[21] II Cor., IV, 10.
[22] Cf. Rom.,VI, 4-5.
[23] Cf. Gal., V, 24.
[24] II Petr., I, 4.
[25] II Cor., IV, 10.
[26] Hebr., V, 1.
[27] Malach., I, 11.
[28] I Petr., II, 9.
[29] Cf. Hebr.,V, 2.
[30] Hebr., V, 1.
[31] Eph., IV, 15-16.
[32] Ioan., XVII, 23.
[33] In Ioannis evangelium, tract. XXVI, 4.
[34] Is. LIII, 5.
[35] Hebr., VI, 6.
[36] Luc., XXII, 43.
[37] Ps., LXVIII, 21.
[38] In Ps. 86.
[39] Act., IX, 1.
[40] Act., IX, 5.
[41] I Cor., XII, 27.
[42] Cf. I Cor., XII, 26.
[43] I Ioann., V, 19.
[44] Cf. Ps., II, 2.
[45] II Thessal., II, 4.
[46] Matth., XXIV, 12.
[47] Rom., V, 20.
[48] Ioann., XIX, 37.
[49] Is., XLVI, 8.
[50] Matth., XXVI, 64.
[51] Cf. Apoc., I, 7.
[52] Cf. Apoc., II, 11.
[53] Ps. 19, 10.
[54] Luc., XV, 4.
[55] I Tim., II, 5.