Wednesday 6 October 2021

Good Reading: Petition on Anthropic Global Warming by Several Italian Scientists to the Italian Government (in Italian)

Al Presidente della Repubblica

Al Presidente del Senato

Al Presidente della Camera dei Deputati

Al Presidente del Consiglio

 

PETIZIONE SUL RISCALDAMENTO GLOBALE ANTROPICO

 

I sottoscritti, cittadini e uomini di scienza, rivolgono un caloroso invito ai responsabili politici affinché siano adottate politiche di protezione dell’ambiente coerenti con le conoscenze scientifiche. In particolare, è urgente combattere l’inquinamento ove esso si presenti, secondo le indicazioni della scienza migliore. A tale proposito è deplorevole il ritardo con cui viene utilizzato il patrimonio di conoscenze messe a disposizione dal mondo della ricerca e destinate alla riduzione delle emissioni antropiche inquinanti diffusamente presenti nei sistemi ambientali sia continentali che marini.

Bisogna però essere consapevoli che l’anidride carbonica di per sé non è un agente inquinante. Al contrario essa è indispensabile per la vita sul nostro pianeta.

Negli ultimi decenni si è diffusa una tesi secondo la quale il riscaldamento della superficie terrestre di circa 0.9°C osservato a partire dal 1850 sarebbe anomalo e causato esclusivamente dalle attività antropiche, in particolare dalle immissioni in atmosfera di CO2 proveniente dall’utilizzo dei combustibili fossili. Questa è la tesi del riscaldamento globale antropico promossa dall’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) delle Nazione Unite, le cui conseguenze sarebbero modificazioni ambientali così gravi da paventare enormi danni in un imminente futuro, a meno che drastiche e costose misure di mitigazione non vengano immediatamente adottate. A tale proposito, numerose nazioni del mondo hanno aderito a programmi di riduzione delle emissioni di anidride carbonica e sono pressate, anche da una martellante propaganda, ad adottare programmi sempre più esigenti dalla cui attuazione, che comporta pesanti oneri sulle economie dei singoli Stati aderenti, dipenderebbe il controllo del clima e, quindi, la “salvezza” del pianeta.

L’origine antropica del riscaldamento globale è però una congettura non dimostrata, dedotta solo da alcuni modelli climatici, cioè complessi programmi al computer, chiamati General Circulation Models. Al contrario, la letteratura scientifica ha messo sempre più in evidenza l’esistenza di una variabilità climatica naturale che i modelli non sono in grado di riprodurre. Tale variabilità naturale spiega una parte consistente del riscaldamento globale osservato dal 1850. La responsabilità antropica del cambiamento climatico osservato nell’ultimo secolo è quindi ingiustificatamente esagerata e le previsioni catastrofiche non sono realistiche.

Il clima è il sistema più complesso presente sul nostro pianeta, per cui occorre affrontarlo con metodi adeguati e coerenti al suo livello di complessità. I modelli di simulazione climatica non riproducono la variabilità naturale osservata del clima e, in modo particolare, non ricostruiscono i periodi caldi degli ultimi 10.000 anni. Questi si sono ripetuti ogni mille anni circa e includono il ben noto Periodo Caldo Medioevale, il Periodo Caldo Romano, ed in genere ampi periodi caldi durante l’Ottimo dell’Olocene. Questi periodi del passato sono stati anche più caldi del periodo presente, nonostante la concentrazione di CO2 fosse più bassa dell’attuale, mentre sono correlati ai cicli millenari dell’attività solare. Questi effetti non sono riprodotti dai modelli.

Va ricordato che il riscaldamento osservato dal 1900 ad oggi è in realtà iniziato nel 1700, cioè al minimo della Piccola Era Glaciale, il periodo più freddo degli ultimi 10.000 anni (corrispondente a quel minimo millenario di attività solare che gli astrofisici chiamano Minimo Solare di Maunder). Da allora a oggi l’attività solare, seguendo il suo ciclo millenario, è aumentata riscaldando la superficie terrestre. Inoltre, i modelli falliscono nel riprodurre le note oscillazioni climatiche di circa 60 anni. Queste sono state responsabili, ad esempio, di un periodo di riscaldamento (1850-1880) seguito da un periodo di raffreddamento (1880-1910), da un riscaldamento (1910-40), ancora da un raffreddamento (1940-70) e da un nuovo periodo di riscaldamento (1970-2000) simile a quello osservato 60 anni prima. Gli anni successivi (2000-2019) hanno visto non l’aumento previsto dai modelli di circa 0.2°C per decennio, ma una sostanziale stabilità climatica che è stata sporadicamente interrotta dalle rapide oscillazioni naturali dell’oceano Pacifico equatoriale, conosciute come l’El Nino Southern Oscillations, come quella che ha indotto il riscaldamento momentaneo tra il 2015 e il 2016.

Gli organi d’informazione affermano anche che gli eventi estremi, come ad esempio uragani e cicloni, sono aumentati in modo preoccupante. Viceversa, questi eventi, come molti sistemi climatici, sono modulati dal suddetto ciclo di 60 anni. Se ad esempio si considerano i dati ufficiali dal 1880 riguardo i cicloni atlantici tropicali abbattutisi sul Nord America, in essi appare una forte oscillazione di 60 anni, correlata con l’oscillazione termica dell’Oceano Atlantico chiamata Atlantic Multidecadal Oscillation. I picchi osservati per decade sono tra loro compatibili negli anni 1880-90, 1940-50 e 1995-2005. Dal 2005 al 2015 il numero dei cicloni è diminuito seguendo appunto il suddetto ciclo. Quindi, nel periodo 1880-2015, tra numero di cicloni (che oscilla) e CO2 (che aumenta monotonicamente) non vi è alcuna correlazione.

Il sistema climatico non è ancora sufficientemente compreso. Anche se è vero che la CO2 è un gas serra, secondo lo stesso IPCC la sensibilità climatica ad un suo aumento nell’atmosfera è ancora estremamente incerta. Si stima che un raddoppio della concentrazione di CO2 atmosferica, dai circa 300 ppm preindustriali a 600 ppm, possa innalzare la temperatura media del pianeta da un minimo di 1°C fino a un massimo di 5°C. Questa incertezza è enorme. In ogni caso, molti studi recenti basati su dati sperimentali stimano che la sensibilità climatica alla CO2 sia notevolmente più bassa di quella stimata dai modelli IPCC.

Allora, è scientificamente non realistico attribuire all'uomo la responsabilità del riscaldamento osservato dal secolo passato ad oggi. Le previsioni allarmistiche avanzate, pertanto, non sono credibili, essendo esse fondate su modelli i cui risultati sono in contraddizione coi dati sperimentali. Tutte le evidenze suggeriscono che questi modelli sovrastimano il contributo antropico e sottostimano la variabilità climatica naturale, soprattutto quella indotta dal sole, dalla luna, e dalle oscillazioni oceaniche.

Infine, gli organi d’informazione diffondono il messaggio secondo cui, in ordine alla causa antropica dell’attuale cambiamento climatico, vi sarebbe un quasi unanime consenso tra gli scienziati e che quindi il dibattito scientifico sarebbe chiuso. Tuttavia, innanzitutto bisogna essere consapevoli che il metodo scientifico impone che siano i fatti, e non il numero di aderenti, che fanno di una congettura una teoria scientifica consolidata.

In ogni caso, lo stesso preteso consenso non sussiste. Infatti, c’è una notevole variabilità di opinioni tra gli specialisti – climatologi, meteorologi, geologi, geofisici, astrofisici – molti dei quali riconoscono un contributo naturale importante al riscaldamento globale osservato dal periodo preindustriale ed anche dal dopoguerra ad oggi. Ci sono state anche petizioni sottoscritte da migliaia di scienziati che hanno espresso dissenso con la congettura del riscaldamento globale antropico. Tra queste si ricordano quella promossa nel 2007 dal fisico F. Seitz, già presidente della National Academy of Sciences americana, e quella promossa dal Non-governmental International Panel on Climate Change (NIPCC) il cui rapporto del 2009 conclude che «La natura, non l’attività dell’Uomo governa il clima».

In conclusione, posta la cruciale importanza che hanno i combustibili fossili per l’approvvigionamento energetico dell’umanità, suggeriamo che non si aderisca a politiche di riduzione acritica della immissione di anidride carbonica in atmosfera con l’illusoria pretesa di governare il clima.

 

Roma, 17 Giugno 2019

 

COMITATO PROMOTORE

     Uberto Crescenti, Professore Emerito di Geologia Applicata, Università G. D’Annunzio, Chieti-Pescara, già Magnifico Rettore e Presidente della Società Geologica Italiana.

    Giuliano Panza, Professore di Sismologia, Università di Trieste, Accademico dei Lincei e dell’Accademia Nazionale delle Scienze, detta dei XL, Premio Internazionale 2018 dell’American Geophysical Union.

    Alberto Prestininzi, Professore di Geologia Applicata, Università La Sapienza, Roma, già Scientific Editor in Chief della rivista internazionale IJEGE e Direttore del Centro di Ricerca Previsione e Controllo Rischi Geologici.

    Franco Prodi, Professore di Fisica dell’Atmosfera, Università di Ferrara.

    Franco Battaglia, Professore di Chimica Fisica, Università di Modena; Movimento Galileo 2001.

    Mario Giaccio, Professore di Tecnologia ed Economia delle Fonti di Energia, Università G. D’Annunzio, Chieti-Pescara, già Preside della Facoltà di Economia.

    Enrico Miccadei, Professore di Geografia Fisica e Geomorfologia, Università G. D’Annunzio, Chieti-Pescara

    Nicola Scafetta, Professore di Fisica dell’Atmosfera e Oceanografia, Università Federico II, Napoli.

 

FIRMATARI

        9. Antonino Zichichi, Professore Emerito di Fisica, Università di Bologna, Fondatore e                Presidente del Centro di Cultura Scientifica Ettore Majorana di Erice.

      10. Renato Angelo Ricci, Professore Emerito di Fisica, Università di Padova, già                          Presidente della Società Italiana di Fisica e della Società Europea di Fisica;     Movimento Galileo 2001

      11. Aurelio Misiti, Professore di Ingegneria sanitaria-Ambientale, Università La      Sapienza di Roma, già Preside della Facoltà di Ingegneria, già Presidente del Consiglio Superiore ai Lavori Pubblici.

      12. Antonio Brambati, Professore di Sedimentologia, Università di Trieste, Responsabile Progetto Paleoclima-mare del PNRA, già Presidente Commissione Nazionale di Oceanografia.

      13. Cesare Barbieri, Professore Emerito di Astronomia, Università di Padova.

      14. Sergio Bartalucci, Fisico, Presidente Associazione Scienziati e Tecnolgi per la Ricerca Italiana.

      15. Antonio Bianchini, Professore di Astronomia, Università di Padova.

      16. Paolo Bonifazi, già Direttore Istituto di Fisica dello Spazio Interplanetario, Istituto Nazionale Astrofisica.

       17. Francesca Bozzano, Professore di Geologia Applicata, Università Sapienza di Roma, Direttore del Centro di Ricerca CERI.

       18. Marcello Buccolini, Professore di Geomorfologia, Università Università G. D’Annunzio, Chieti-Pescara.

       19. Paolo Budetta, Professore di Geologia Applicata, Università di Napoli.

       20. Monia Calista, Ricercatore di Geologia Applicata, Università G. D’Annunzio, Chieti-Pescara.

       21. Giovanni Carboni, Professore di Fisica, Università Tor Vergata, Roma; Movimento Galileo 2001.

       22. Franco Casali, Professore di Fisica, Università di Bologna e Accademia delle Scienze di Bologna.

       23. Giuliano Ceradelli, Ingegnere e climatologo, ALDAI.

       24. Domenico Corradini, Professore di Geologia Storica, Università di Modena.

       25. Fulvio Crisciani, Professore di Fluidodinamica Geofisica, Università di Trieste e Istituto Scienze Marine, Cnr, Trieste.

       26. Carlo Esposito, Professore di Telerilevamento, Università La Sapienza, Roma.

       27. Mario Floris, Professore di Telerilevamento, Università di Padova.

       28. Gianni Fochi, Chimico, Scuola Normale Superiore di Pisa; giornalista scientifico.

       29. Mario Gaeta, Professore di Vulcanologia, Università La Sapienza, Roma.

       30. Giuseppe Gambolati, Fellow della American Geophysica Union, Professore di Metodi Numerici, Università di Padova.

       31. Rinaldo Genevois, Professore di Geologia Applicata, Università di Padova.

       32. Carlo Lombardi, Professore di Impianti nucleari, Politecnico di Milano.

       33. Luigi Marino, Geologo, Centro Ricerca Previsione e Controllo Rischi Geologici, Università La Sapienza, Roma.

      34. Salvatore Martino, Professore di Microzonazione sismica, Università La Sapienza, Roma.

      35. Paolo Mazzanti, Professore di Interferometria satellitare, Università La Sapienza, Roma.

      36. Adriano Mazzarella, Professore di Meteorologia e Climatologia, Università di Napoli.

      37. Carlo Merli, Professore di Tecnologie Ambientali, Università La Sapienza, Roma.

      38. Alberto Mirandola, Professore di Energetica Applicata e Presidente Dottorato di Ricerca in Energetica, Università di Padova.

       39. Renzo Mosetti, Professore di Oceanografia, Università di Trieste, già Direttore del Dipartimento di Oceanografia, Istituto OGS, Trieste.

        40. Daniela Novembre, Ricercatore in Georisorse Minerarie e Applicazioni Mineralogiche-petrografiche, Università G. D’Annunzio, Chieti-Pescara.

        41. Sergio Ortolani, Professore di Astronomia e Astrofisica, Università di Padova

        42. Antonio Pasculli, Ricercatore di Geologia Applicata, Università G. D’Annunzio, Chieti-Pescara.

        43. Ernesto Pedrocchi, Professore Emerito di Energetica, Politecnico di Milano.

        44. Tommaso Piacentini, Professore di Geografia Fisica e Geomorfologia, Università G. D’Annunzio, Chieti-Pescara.

       45. Guido Possa, Ingegnere nucleare, già Vice Ministro Miur.

       46. Mario Luigi Rainone, Professore di Geologia Applicata, Università di Chieti-Pescara.

       47. Francesca Quercia, Geologo, Dirigente di ricerca, Ispra.

       48. Giancarlo Ruocco, Professore di Struttura della Materia, Università La Sapienza, Roma.

       49. Sergio Rusi, Professore di Idrogeologia, Università G. D’Annunzio, Chieti-Pescara.

       50. Massimo Salleolini, Professore di Idrogeologia Applicata e Idrologia Ambientale, Università di Siena.

       51. Emanuele Scalcione, Responsabile Servizio Agrometeorologico Regionale Alsia, Basilicata.

       52. Nicola Sciarra, Professore di Geologia Applicata, Università G. D’Annunzio, Chieti-Pescara.

        53. Leonello Serva, Geologo, Direttore Servizi Geologici d’Italia; Movimento Galileo 2001.

        54. Luigi Stedile, Geologo, Centro Ricerca Revisione e Controllo Rischi Geologici, Università La Sapienza, Roma.

        55. Giorgio Trenta, Fisico e Medico, Presidente Emerito dell’Associazione Italiana di Radioprotezione Medica; Movimento Galileo 2001.

 

        56. Gianluca Valenzise, Dirigente di Ricerca, Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, Roma.

         57. Corrado Venturini, Professore di Geologia Strutturale, Università di Bologna.

         58. Franco Zavatti, Ricercatore di Astronomia, Univesità di Bologna.

         59. Achille Balduzzi, Geologo, Agip-Eni.

         60. Claudio Borri, Professore di Scienze delle Costruzioni, Università di Firenze, Coordinatore del Dottorato Internazionale in Ingegneria Civile.

         61. Pino Cippitelli, Geologo Agip-Eni.

         62. Franco Di Cesare, Dirigente, Agip-Eni.

         63. Serena Doria, Ricercatore di Probabilità e Statistica Matematica, Università G. D’Annunzio, Chieti-Pescara.

         64. Enzo Siviero, Professore di Ponti, Università di Venezia, Rettore dell’Università e- Campus.

         65. Pietro Agostini, Ingegnere, Associazione Scienziati e Tecnolgi per la Ricerca Italiana.

         66. Donato Barone, Ingegnere.

         67. Roberto Bonucchi, Insegnante.

         68. Gianfranco Brignoli, Geologo.

         69. Alessandro Chiaudani, Ph.D. agronomo, Università G. D’Annunzio, Chieti-Pescara.

         70. Antonio Clemente, Ricercatore di Urbanistica, Università G. D’Annunzio, Chieti-Pescara.

          71. Luigi Fressoia, Architetto urbanista, Perugia.

          72. Sabino Gallo, Ingegnere nucleare.

          73. Daniela Giannessi, Primo Ricercatore, Ipcf-Cnr, Pisa.

          74. Roberto Grassi, Ingegnere, Amministratore G&G, Roma.

          75. Alberto Lagi, Ingegnere, Presidente di Società Ripristino Impianti Complessi Danneggiati.

           76. Luciano Lepori, Ricercatore Ipcf-Cnr, Pisa.

           77. Roberto Madrigali, Metereologo.

           78. Ludovica Manusardi, Fisico nucleare e Giornalista scientifico, Ugis.

           79. Maria Massullo, Tecnologa, Enea-Casaccia, Roma.

           80. Enrico Matteoli, Primo Ricercatore, Ipcf-Cnr, Pisa.

           81. Gabriella Mincione, Professore di Scienze e Tecniche di Medicina di Laboratorio, Università G. D’Annunzio, Chieti-Pescara.

           82. Massimo Pallotta, Primo Tecnologo, Istituto Nazionale Fisica Nucleare.

           83. Enzo Pennetta, Professore di Scienze naturali e divulgatore scientifico.

           84. Franco Puglia, Ingegnere, Presidente CCC, Milano.

           85. Nunzia Radatti, Chimico, Sogin.

           86. Vincenzo Romanello, Ingegnere nucleare, Centro Ricerca, Rez, Repubblica Ceca.

           87. Alberto Rota, Ingegnere, Ricercatore presso Cise e Enel.

           88. Massimo Sepielli, Direttore di Ricerca, Enea, Roma.

           89. Ugo Spezia, Ingegnere, Responsabile Sicurezza Industriale, Sogin; Movimento Galileo 2001.

           90. Emilio Stefani, Professore di Patologia vegetale, Università di Modena.

           91. Umberto Tirelli, Visiting Senior Scientist, Istituto Tumori d’Aviano; Movimento Galileo 2001.

            92. Roberto Vacca, Ingegnere e scrittore scientifico.

Tuesday 5 October 2021

Tuesday's Serial: "Turbilhão" by Coelho Neto (in Portuguese) - XI

Capítulo XIV

Paulo estava à janela quando uma carrocinha de mão parou à porta. O carroceiro adiantou-se e ele, antes que o homem falasse, disse: "É aqui mesmo." Era a bagagem de Ritinha: um baú de couro, uma pequena lata, dois caixotes e a gaiola do canário que esvoaçava, assustado. Justamente o carroceiro arrastava a baú pesado, tombando-o sobre a calçada, quando a mulata apareceu risonha. Paulo recebeu-a e, dizendo ao carroceiro que deixasse tudo na sala, levou-a para o sofá. Ela queixou-se de cansaço.

— Vieste a pé?

— Não, vim de bonde até o Largo da Lapa, mas de lá toquei-me numa batida até aqui e com este calor... E sua mãe?

— Está lá dentro. Nós precisamos conversar. Deixa o homem acabar o serviço. Temos uma combinaçãozinha. - E, voltando-se para o carroceiro, que deixara a gaiola a um canto: Pronto?

— Sim, senhor.

— Ajustaste? perguntou à Ritinha.

Ela disse-lhe o preço. Pagou, fechou a porta e tornou ao sofá sentando-se muito chegado à mulata que parecia examinar a sala, escura àquela hora da tarde.

— Ouve, eu falei à mamãe: disse-lhe que vinhas a mandado do Mamede. Tendo-lhe eu dito que ela estava sem uma pessoa de confiança em casa, ele fez questão de que viesses para tratá-la. Dormes no meu quarto, eu vou lá para dentro... Isto é só nas primeiras dias, já se vê; depois... fica por minha conta. - E beijou-a. - Agora vamos lá, quero apresentar-te á velha. Hás de gostar dela.

Ritinha estava receosa, e, no sofá, retorcendo o lenço, parecia meditar.

— Anda!

— Olhe lá! Veja bem o que vai fazer...!

— Não tenhas medo. Deixa de tolice. Mamãe está doente, não se levanta. Anda.

— Se ela me disser alguma coisa eu volto, vou-me embora. Isso tão certo...

— Ora... Vamos.

A mulata levantou-se e foram juntos pelo corredor escuro. Paulo acendeu o gás na sala de jantar e, chegando à porta da quarto, anunciou:

— Mamãe, está aqui a moça de que lhe falei. Ela pode entrar? A velha desculpou-se:

— Oh! meu filho, isto está num desarranjo... nem foi varrido. Pede desculpa.

— Ela sabe, mamãe.

— Não sou de cerimônia, - disse Ritinha já no quarto.

A luz da lamparina mal aclarava uma parte do aposento. A enferma sentou-se na cama e procurou ver a mulata que se adiantava, estendendo a mão. Houve um momento de travado silêncio - as duas mulheres pareciam examinar-se. Por fim Dona Júlia falou tranqüilizada, como se a fisionomia de Ritinha a houvesse serenado:

— É ainda muita mocinha.

— É o que parece. Então que é isso?

— Eu sei, minha filha?! Estou fazendo horas para seguir o meu destino. E queira Deus que não demore porque já estou cansada de sofrer.

— Qual! a senhora fica boa. Eu estou aqui para o que for preciso. Não valho muito, mas os meus préstimos ficam às suas ordens. Antes mesmo de Mamede me falar eu já tinha dito a seu filho que, se fosse preciso...

— Obrigada. Nem sei como a senhora vai se arranjar nesta barafunda. Isso lá por fora está que é uma vergonha. Eu imagino! A nossa criada, coitada! lá está na cozinha gemendo, gritando.

— Ainda!

— Ora!

— Se eu digo à mamãe que o melhor é pedir que a mandem tirar daqui...

— Tenho pena... - E tomando à Ritinha: A senhora compreende, foi uma criatura que sempre nos acompanhou com a maior dedicação, muita amiga de todos. Teve a infelicidade de ficar assim e eu, francamente, não tenho coração para tocá-la de casa.

— Aqui é que ela não pode ficar, mamãe. É impossível. Não há tanta gente boa no Hospício? Aquilo não é um presídio, é uma casa de caridade.

— Sim, mas a gente sempre tem pena. Enfim, tu é que sabes. Eu não digo nada.

Paulo convidou Ritinha para ver o quarto, ela devia querer ficar a gosto.

Levou-a à sala e, ligeiramente, atirando-lhe os braços ao pescoço, rosto contra rosto, perguntou:

— Então?

— Parece uma boa criatura.

E na sombra uniram as bocas demoradamente.

Instalando-se no quarto de Paulo, Ritinha pôs-se logo à vontade e, cheia de solicitude, muito carinhosa com a enferma, insistiu com ela para que tomasse alguma coisa: um pouco de chá, ao menos.

Dona Júlia cedeu ao carinho e a mulata entrou na despensa, acompanhada de Paulo, que fazia empenho em que ela tudo visse. Abria latas, pacotes, com uma grande vaidade de dono de casa a exibir a abundância. Foram à cozinha. A um canto, encolhida, Felícia resmungava como um animal medroso. Os seus olhos luziam na sombra, de quando em quando um suspiro subia-lhe do peito. Arrepanhava os molambos, fazia-se humilde, chegava-se à parede como se procurasse refúgio.

— Esta é que é a maluca? - perguntou Ritinha inclinando-se, com a vela muito chegada ao rosto da negra.

— É. Um diabo que só nos dá trabalho. É até capaz de morrer aqui. Não come, nem sei como vive. A noite é um horror.

— Coitada!

— Coitada!? Hás de ver logo mais: grita, sapateia, chora.

Ritinha pôs-se a acender o fogo juntando gravetos, Paulo ajudava e, passando por ela, sem importar-se com a louca que os olhava, beliscava-a, atirava-lhe beijos à nuca, emprazando-a para a noite alta, quando a velha dormisse.

— Olhe lá! não comece com imprudências. Eu não quero histórias comigo.

— Quê! pensas que eu hei de dormir sozinho tendo-te aqui em casa, minha, minha só?...

Num frenesi lúbrico agarrou-a, levantou-a nos braços e a sombra dos dois corpos enlaçados tremia nos muros negros da cozinha fuliginosa. Felícia foi-se arrastando, meteu-se debaixo da pia, sem sentir a umidade, ficou a olhar assombrada. Dona Júlia chamou:

— Paulo!

— Senhora!

— Dá-me um bocadinho d'água.

Ele foi pronto em servi-la. Depois de beber, a enferma perguntou:

— Que estás fazendo lá dentro?

— Fui mostrar a despensa, a cozinha.

Sentou-se e, meigo, perguntou:

— Então, que lhe parece?

A velha não respondeu; ele continuou:

— É uma excelente criatura e a senhora não imagina o que ela sofre do Mamede.

— Por quê?

— Ora! Não lhe dá vintém. Tudo quanto ganha é para o jogo; e ela, a bem dizer, quem sustenta a casa com o que faz lavando e engomando. A senhora há de gostar dela. Eu já lhe disse que vou tomar uma criada para o serviço pesado. Ela fica apenas para fazer-lhe companhia.

— E Violante? perguntou Dona Júlia.

— Que tem?

— Não tens tido notícias?

— Não. Talvez vá vê-la amanhã. Quer que ela venha cá?

— Sinto-me tão mal, esta falta de ar...

— Isso passa. É questão de dias. Foi uma felicidade acharmos esta moça, porque a senhora não imagina como ando agora cheio de trabalho. Se for feliz, como espero, em certos negócios em que me meti, talvez faça exame em março. Tudo depende de tranqüilidade.

Ritinha apareceu à porta perguntando onde estava o pão. Paulo precipitou-se, abriu o guarda-comida, solícito:

— Quer umas torradas, mamãe?

— Umas duas, não tenho fome.

A mulata tornou à cozinha. Pouco depois aparecia com a bandeja e, acendendo o gás no quarto, ficaram os dois juntos à enferma, vendo-a comer, animando-a. Distraíram-se em conversa. Ritinha a falar de uma moléstia que também a martirizara durante meses. Andara nas mãos de um bando de médicos e ficara boa com remédios caseiros.

— A gente não acredita, mas a verdade é que não é um caso nem dois, quantos!?

— Mas a minha moléstia não tem cura. Não imagina como estou inchada e esta aflição que me mata. As vezes, de noite, fico sem ar, levanto-me, abro as janelas. É uma agonia que só Deus sabe! Dizem que é o coração, não sei.

Palmas estrondaram na sala. Paulo saiu precipitadamente do quarto e, chegando ao corredor, viu a porta da rua escancarada e um vulto branco de pé no limiar: era a vizinha.

— A sua criada saiu correndo e deixou a porta aberta. Foi lá para baixo, atirando murros, desesperada.

— Há muito tempo?

— Não, senhor. Agora mesmo. Parece que ela não está muito boa da cabeça.

— Está perdida. Nós conservamo-la aqui por pena.

— Vai por aí à toa. São até capazes de prendê-la.

— Isso com certeza.

— Bom. Boa noite.

— Muito obrigado. Entrou, fechou a porta, exclamando: Melhor! Reaparecendo no quarto, deu logo a notícia de chofre: Felícia fugiu.

— Como? perguntou a enferma, emocionada.

— Sei lá. Foi a vizinha que bateu, porque a maluca deixou a porta escancarada.

— E agora, meu filho! - exclamou Dona Júlia de mãos postas.

— Agora o quê, mamãe?

— Que há de ser dela?

— Sei lá. Eu é que não me vou cansar por aí atrás de doidos. Foi melhor assim. Tinha de sair mesmo, se havia de ser com escândalo, à força, foi melhor assim. Acham-na, levam-na à polícia, mandam-na para o Hospício e está tudo acabado.

— Pobre coitada! - suspirou Dona Júlia e, voltando-se para Ritinha, murmurou: Filhos, vê a senhora? é o que eles fazem. Era uma criatura excelente, não imagina. Veio para aqui e, duma hora para outra, virou a cabeça. Deus tenha pena dela.

— Mas não se incomode. Que se há de fazer? Trate de descansar.

A velha revoltou-se contra a indiferença do filho.

— Ah! Paulo, tu não tens coração... Não sei a quem saíste assim.

— Hei de chorar?

— Não digo que chores, mas a gente tem pena: é uma infeliz.

Ele resmungou passando à sala e, sentando-se diante da janela, ficou a olhar a noite estrelada, ansioso pelo silêncio, pelo sono da enferma, para realizar o desejo tantas vezes sufocado no seu quarto quando, recolhendo ao leito, cansado da vida errante, excitado com o contato das mulheres que se roçavam lascivamente por ele, insone, punha-se a pensar em Ritinha, vivendo-a na imaginação.

 

 

Capítulo XV

No silêncio da casa, guiando-se por uma réstia de luz que vinha do quarto, cuja porta ficara entreaberta, Paulo, que se deitara na rede, armada no chamado quarto de Violante, levantou-se pé ante pé, contendo o hálito, as mãos estendidas, e atravessou a sala.

As suas articulações estalavam irritando-o - era o seu próprio corpo que o denunciava. Parava, apoiando-se às paredes, à escuta, e lá ia, vagaroso, cauteloso, excitado, como a farejar o almíscar lascivo da mulata. Seguiu pelo corredor. Na sala foi com o maior cuidado para evitar esbarros e, chegando à porta do quarto, empurrou-a de leve. Um estalo ríspido dos gonzos pareceu-lhe um estrondo; recuou, nervoso. A cama rangeu e Ritinha sussurrou no escuro:

— Que maluquice, meu Deus!

— Cala a boca!

Curvou-se, os braços estendidos, varrendo o vazio, a procurá-la; as mãos encontraram-se.

— E sua mãe?

— Está dormindo.

— Olhe lá.

Encolheu-se, chegando-se à parede. Ele meteu-se na cama. O mar rouquejava na praia. De espaço a espaço a casa estremecia, trepidava, à passagem de um elétrico.

Saiu cedo no dia seguinte. Sentiu-se como transfigurado - era outro, com outros gozos; homem, com uma mulher sua, inteiramente sua, vivendo sob as mesmas telhas.

Sentia necessidade de comunicar a sua ventura, de contá-la a todos, de ser invejado. As mesmas despesas, pelas quais se tornara responsável, como que lhe davam maior prestígio, engrandecendo-o aos seus próprios olhos. Mas a outra paixão chamava-o, atraía-o. Saciado um desejo, corria alucinadamente ao outro; mesmo porque o dinheiro começava a minguar. Era necessário refazer o maço, aumentá-lo, para que a mulata sentisse a sua superioridade sobre o amante que deixara.

Queria humilhar o outro, inutilizá-lo de vez, receoso de que ela pudesse vir a ter saudade do Mamede. Era necessário esmagá-lo, torná-lo esquecido, substituí-lo vantajosamente e ele havia de o fazer.

Já, então, conhecia os segredos da roleta, podia fazer jogo franco, dar um golpe de mestre que lhe assegurasse lucro de vulto e não miseriazinhas de contos de réis. Sabia de uma casa, na Rua Sete, onde se jogava forte durante o dia. Lá foi. Perdeu. Atirou-se ao dado: foi infeliz e, contendo-se, procurando justificativas para o caiporismo, descobriu um homem calvo, de casaco no fio, lenço ao pescoço, que seguia atentamente o seu jogo. Irritou-se. De ímpeto, deu a troco as fichas que lhe restavam e, resmungando, passou por diante do homem, carrancudo. Tomou o chapéu e saiu.

Na rua, sem destino, desesperado com o prejuízo, arrependido de haver entrado naquela "espelunca", seguiu direito ao Largo do Rócio, mas voltou à Rua do Teatro, dirigindo-se à do Ouvidor. Havia de encontrar amigos.

Entrou no Pascoal - todas as mesas estavam ocupadas; nenhum conhecido. Saiu, e depois de haver descido a rua, sempre a pensar no jogo que fizera, desconfiado da roleta, sem poder explicar a insistência do "pequeno", resolveu descansar um bocado para estar pronto, à noite, para a desforra. Mal entrou em casa, Ritinha, que demorara em abrir a porta, perguntou-lhe em tom receoso: "Se não vira o Mamede."

— Não. Por quê? Andou por aqui?

— Toda a manhã. Esteve muito tempo ali defronte, encostado ao cais, olhando para cá. Acho que me viu porque cheguei à janela para chamar um quitandeiro, quando ele vinha vindo. Tome cuidado. Mamede não é bom.

— Histórias...!

— Histórias!? O senhor pensa que ele é uma coisa e ele é outra. Eu é que posso falar. Basta que eu diga que vivi com ele dois anos, não foram dois dias.

Paulo sorriu; e ela ajuntou: que haviam aparecido duas criadas. Não ajustara por não saber o preço que convinha.

— É verdade! Nem me lembrei de prevenir-te. E... para onde foi ele?

— Não sei. Anda por aí rondando, com certeza. Mamede é mau; ouça o que lhe estou dizendo. Mamede tem maus bofes.

— Pois sim.

Fez-lhe uma festa no rosto e entrou para falar à mãe. Achou-a agitada, aflita, queixando-se de falta de ar, pedindo que abrissem largamente as portas do quarto; não podia respirar, sentia um peso enorme no peito.

— Quer que eu vá chamar o médico?

— Para que médico? Pede para me fazerem um pouco de chá.

Não lhe passou despercebido o mau humor de Dona Júlia, que evitava encará-lo, desviando o olhar. Teria ela desconfianças? Tê-lo-ia visto passar, à noite, sentido algum rumor através da parede que separava os dois quartos? Falou à Ritinha, comunicando o desejo da enferma e, para sondá-la, sem dar a perceber a sua suspeita, perguntou:

— Ela passou bem o dia?

— Não quis comer; está até agora com o café que tomou de manhã. Tem dormido muito; sempre que vou ao quarto encontro-a dormindo.

Paulo empalideceu, compreendendo que a velha descobrira a cena da noite e que começava a hostilizar a mulata. Resolveu defendê-la a pé firme, sustentá-la, custasse o que custasse. Não trocaram mais palavras toda a tarde. A noite, quando ele se foi despedir, ela mal o abençoou.

— A senhora está sentindo alguma coisa?

— Não.

— Eu tenho que fazer, mas se está incomodada, não saio.

— Não tenho nada.

— Então, até logo.

Ritinha não o acompanhou à porta, e ele, ao despedir-se, falou para que a mãe ouvisse:

— Pode dormir tranqüila, Dona Ritinha; eu levo o trinco. Boa noite.

 

 

Capítulo XVI

— Boa noite.

Eram 2 horas da manhã quando Dona Júlia, que não dormira, ouviu ranger de leve a porta da rua. Esperou atenta, o ouvido alerta ouviu os surdos passos do filho ao longo do corredor, sentiu-os junto ao quarto; compreendeu que ele a espreitava. A lamparina dava uma luz escassa que apenas manchava as paredes, fazendo bailar sinistramente as grandes sombras das imagens e dos mais objetos pousados na cômoda. Os passos continuaram, vagarosos, cautelosos, com um rangido de solas, e cessaram. Ela não se movia, decidida a certificar-se. Uma hora imensa passou, muda, no silêncio da casa escura e quieta.

Não sem cuidado, os olhos no quarto da velha, que parecia dormir tranqüila, Paulo atravessou devagarinho a sala e foi-se pelo corredor. Dona Júlia sentiu-o passar, chegou mesmo a mover-se, revoltada contra o desrespeito, mas conteve-se. Talvez se houvesse iludido. Tentou erguer-se e, com grande esforço, trêmula, sentou-se na cama, tocando o soalho frio com os pés nus. Custava-lhe acreditar que o filho a houvesse enganado, abusando do seu estado para meter em casa uma mulher perdida. Amparou-se à cama e ficou de pé. Sentia-se fraca, arvoada, oscilando. Sentou-se de novo, sem ânimo, mas a indignação impelia-a; fez o primeiro passo, chegou à porta e, no escuro, encaminhou-se para o quarto em que dormia o filho. Foi d’encontro a uma cadeira: com o rumor deteve-se, assustada; pensou em voltar e quedou hesitante, o ouvido atento, receosa de que o filho aparecesse e a encontrasse de pé, espionando.

Paulo, efetivamente, ouvira o barulho do esbarro e logo pensara nela. Sentando-se na cama, ficara à escuta, e os dois, mãe e filho, imóveis, temiam-se — um, sem coragem de deixar o leito em que se metera, outra sem ânimo de prosseguir. Ritinha perguntou baixinho:

— Que é?

Ele murmurou:

— Pareceu-me ter ouvido barulho lá dentro.

— Quem sabe se sua mãe precisa de alguma coisa?

Ele não respondeu. A velha atreveu-se a continuar na treva, mais cautelosa. As pernas tremiam-lhe violentamente, mal a sustinham. Quando chegou à porta do quarto, firmou-se ao umbral, respirando cansada, com o coração a bater sôfrego.

Entrou: os braços estendidos encontraram os punhos bambos da rede: não estava ali ninguém. Ainda curvou-se, apalpou e, convencida, aprumou-se e ficou inerte, em grande desânimo, de olhos muito abertos na escuridão.

Era a amante; ele lá estava com ela. Vivia com ela, trouxera-a para casa, instalara-a sob as mesmas telhas que a agasalhavam. Voltou-se e retrocedeu no mesmo passo cauteloso, entrou no quarto e deitou-se, chorando aflitivamente.

Estava explicada a repentina saída de Felícia. Fora ele que a expulsara para ficar à vontade, sem o testemunho incômodo da pobre louca. Onde andaria a infeliz? Pobrezinha!

Paulo não ousou sair da cama, certo de encontrar a mãe, porque era ela que andava lá dentro, tinha certeza. Ritinha, vendo-o indeciso, sentou-se também e ficaram os dois muito juntos, à escuta, como à espera de que se repetisse o rumor que os havia alarmado. Ela deitou-se, puxou-o.

— Não é nada. Deixa lá. Que pode ser? Se fosse ela, chamava.

— Não sei.

— Se quer, eu vou ver.

— Não; não vale a pena.

E deitou-se. Mas ficou imóvel, preocupado. Às vezes parecia-lhe ouvir passos no corredor, na sala; sentia empurrarem a porta do quarto; levantava vivamente a cabeça, atento.

— Que medo tolo!

— Não é medo.

— Então que é?

— Sei lá.

Falaram de Mamede: ela, pedindo que se acautelasse contra o mulato, que estava preparando alguma; ele, sempre indiferente, não ligando importância. Que havia ele de fazer? Se o ameaçasse, dava queixa à polícia e estava tudo acabado.

— Sim, mas ninguém se defende de uma traição.

— Qual traição! Mamede o que quer é dinheiro para jogar. Pensas que ele tem saudade de ti? Pois sim. Quem quer bem não faz o que ele fazia. Histórias!

— Eu não digo que ele me queira bem, nem que se vingue por amizade, mas por capricho é capaz de tudo, eu sei.

— Pois que venha!

— Eu aviso para que o senhor se previna. Quem anda avisado vale por dois. Ele não é bom, isso não é. Eu sei por que falo.

— Pois sim, mas deixemos Mamede; — e, lânguido, passou-lhe o braço por baixo da cabeça, atraindo-a.

Pela madrugada, voltando ao seu quarto, Paulo percebeu que a mãe estava acordada — sentia-a mexer-se na cama, voltar-se, arquejar na aflição. Esteve a embalar-se de leve na rede, preocupado, não com o que ela lhe pudesse dizer, mas com o que faria Ritinha se fosse maltratada.

A passividade da enferma, a resignação de que dava provas constantes tranqüilizaram-no.

“Ora! que há de fazer? Se duvidar digo-lhe tudo. Afinal quem paga a casa sou eu... Não posso ter liberdade? Não posso ter um gozo? Falta de respeito? Ainda faço muito em guardar reserva. Não sou uma criança. ”E adormeceu resolvido a manter a mulata, a lutar por ela, a defendê-la da mãe cuja animada aversão sentia. Despertou em sobressalto, com Ritinha que sacudia a rede, chamando-o.

— Sua mãe não está boa, venha vê-la.

— Que tem?

— Não sei.

Saltou da rede em ceroulas, descalço, correu ao quarto. Dona Júlia, imóvel, de olhos cerrados, a boca entreaberta, seca, deixando ver os dentes, ralava com o cirro. De instante a instante, com esforço, sorvia o ar que lhe passava pela garganta com um gargarejo rascante, difícil, estrangulado. As faces cavavam-se-lhe; as pomas do rosto, muito salientes, luziam; as têmporas afundavam; os olhos perdiam-se enterrados. Paulo ficou atordoado, e, com os olhos cheios d’água, arrependido, com um remorso a remordê-lo, inclinou-se sobre a moribunda, chamando-a:

— Mamãe! Mamãe!

Respondia-lhe, de espaço a espaço, a respiração estertorosa da agonia. Mamãe! Apalpou-lhe os pés, esfriavam; as mãos inertes, com os dedos encolhidos, repousavam no colo imenso que parecia crescer na angustia.

— Ah! Ritinha... Mas, como foi? Por que não me chamaste?

— Eu não sabia. Foi só agora que vi, entrando no quarto com o café. Pensei que estava dormindo, mas quando ouvi o cirro compreendi tudo e fui acordar o senhor. Não há uma vela?

Paulo chorava em silêncio e a moribunda, entre os dois, continuava a estertorar abrindo muito a boca para a respiração.

Ritinha acendeu uma vela e colocou-a à mesa de cabeceira, ao lado de um pequeno crucifixo. Paulo arrancava os cabelos, retorcia as mãos.

— Nem uma pessoa para avisar Violante, para chamar um médico. Eu não tenho coragem de sair deixando-a assim. Como há de ser, meu Deus! Se tu pudesses, Ritinha... É perto, na Praia de Botafogo. Minha pobre mãe, coitada! Morrer assim, tão só. Vai, minha velha, faze-me este favor.

Ela ficou indecisa, receando um encontro com Mamede; por fim resolveu-se e murmurou:

— Pois sim.

— Tem paciência.

A mulata dirigiu-se para a sala, foi direito à janela, entreabriu-a e espiou. Ao longo do cais, ao sol, um homem passeava olhando o mar. Era o mulato.

Fechando vagarosamente a janela, Ritinha tomou ao quarto e, indiferente ao transe lúgubre, inclinou-se ao ouvido de Paulo, que se sentara à cabeceira da cama e lentamente enxotava as moscas que teimavam em pousar no rosto da moribunda e sussurrou:

— Ele está ali defronte.

O rapaz encarou-a pálido, transido de medo, e, em voz surda, num sopro, perguntou:

— Onde?

— Venha ver. Eu não dizia?

Ele lançou um triste olhar à agonizante. O ruído estertoroso continuava rouco, e, de quando em quando, com o enrijamento túmido do pescoço, a cabeça derreava-se no travesseiro.

— Ela pode morrer.

— É um momento.

Ele passou ao seu quarto, vestiu-se ligeiramente e seguiu a mulata.

Segredavam, pisavam devagarinho, em pontas de pés. Ele entreabriu cautelosamente a janela e deu logo com o mulato junto ao cais, ao sol, guardando a casa.

— E agora?

— Eu não lhe dizia? Olhe, o melhor é eu ir-me embora.

Ele voltou-se de repelão:

— Por quê? isso não! Então és obrigada a viver com um homem de quem não gosta?

— Não vou viver com ele. Vou por aí.

— E se eu o chamasse?

— Para quê?

Sem uma idéia, acabrunhado pela covardia, Paulo sentou-se no sofá, abatido, e ficou raspando o soalho com os pés nus. De repente. fitando a mulata, lembrou:

— Há um meio, Ritinha. — Olharam-se em silêncio e ele expôs a sua idéia: Eu chamo-o, digo-lhe que tu vieste para cá a meu pedido porque eu não tinha quem ficasse com mamãe...

— Pois sim!... — interrompeu incrédula a mulata esticando o beiço. — Não vê que ele é tolo!

— Então não sei, resmungou. Que faça o que quiser. Tu é que não devias ter medo, afinal não és escrava, não tens obrigação de viver com ele. Se não fosse o estado de mamãe eu sei o que faria, assim não posso. Não hei de deixar a pobre coitada sozinha para dar trela a Mamede.

E tornou para junto da velha. Ritinha ficou na sala.

Saturday 2 October 2021

"Invicti Athletae" by Pope Pius XII (translated into English)

INVICTI ATHLETAE

 

ENCYCLICAL OF POPE PIUS XII

ON ST. ANDREW BOBOLA

TO THE VENERABLE BRETHREN, THE PATRIARCHS, PRIMATES,

ARCHBISHOPS, BISHIOPS, AND OTHER LOCAL ORDINARIES

IN PEACE AND COMMUNION WITH THE APOSTOLIC SEE

 

 

Venerable Brethren,

Greetings and Apostolic Benediction.

 

On the 300th anniversary of the death of Christ's unconquered athlete, Andrew Bobola, We desire to direct his martyrdom and holiness of life to the devout and reverent meditation of all Catholics throughout the world and particularly of the children of Our dearest Poland for whom the Saint is a glorious and shining example of Christian fortitude.

2. This happy occasion is inscribed in the Church's annals in letters of gold, and We would not wish to let it pass without some mention of his life and virtues, and without proposing him, through this Encyclical, to your imitation, Venerable Brethren, and that of the flocks committed to your care - in the measure that each one's occupation and state of life permits.

3. What seems to shine forth especially in the life of Andrew Bobola is his Catholic faith, whose vigor, nourished by divine grace, grew so much stronger with the passing of the years that it conferred on him a special mark of distinction, and spurred him on to undergo his martyrdom with courage.

4. "Now my just one lives by faith," as the Apostles of the Gentiles declares,[1] and in Bobola, faith shone with an unusual splendor. Whatever the Catholic Church teaches to be believed or done, he embraced with unwavering mind, and willingly endeavored to practice. Thus, from earliest youth, he considered it normal to check, control, and subdue all those disorderly inclinations which, since the unhappy fall of Adam, disturb our nature and easily attract it to what is forbidden. But at the same time, his every effort and all his strength were directed to the adornment of his soul with Christian virtues.

5. He was born in 1591 in the district of Sandomira, of parents distinguished by the nobility of their family, but even more so by the vigor and constancy of their Catholic faith. Endowed with a sound and ready intelligence, he received at home, from his tenderest years, a fine education and formation in Christian morality. He was later sent to the schools of the Society of Jesus, where he was remarkable for innocence of life and piety.

6. But since he spurned the pomps and vanities of the world, and earnestly strove after "the greater gifts,"[2] with the object of progressing more rapidly along the road to perfection, he gladly offered himself, when a youth of nineteen years, to the Society of Jesus, and was received into the noviceship, then at Vilna. He remembered that solemn warning of Jesus Christ, "If anyone wishes to come after Me, let him deny himself, and take up his cross daily, and follow Me,"[3] and so daily strove more eagerly to acquire the virtue of Christian humility by contempt of self.

7. But since he was by temperament proud, impatient, and sometimes obstinate, Bobola had to wage a very sharp contest against himself, and ascend his Calvary, as it were, laden with the cross, in order to reach the height of this virtue. There, at length, impelled and assisted by the grace he had obtained by constant and fervent prayers, he might be able to reach Christian perfection, for as St. Bernard wisely said, "the spiritual edifice cannot possibly stand except on the firm foundation of humility."[4]

8. Above all, Bobola was on fire with a great love of God and of his neighbors. As a result, he found nothing sweeter than to spend long hours, whenever possible, before the sacred tabernacle, and to assist the unfortunate in every way according to his means. He loved God above all, and far more than himself. He sought exclusively God's glory, according to the Rule of his Father, St. Ignatius. To this Saint, then, the words of the same holy Doctor (St. Bernard) can be applied, "He alone should be desired, Who alone fulfills desire."[5]

9. It is not surprising, then, that this athlete of Jesus Christ, adorned with these gifts of grace, should have achieved such notable progress in the apostolic field, and been able to gather rich fruits in the saving of souls. He was on fire to preserve, extend, and defend the Catholic faith. Thus, when serving as a teacher at Vilna, and later when living in other cities, he diligently taught the elements of Christian doctrine, and encouraged devotion to the Eucharist, and an ardent and filial love of the Virgin Mother of God.

10. But afterwards, when he was raised to the dignity of the priesthood - in the same year and on the same day that Ignatius and Francis Xavier were inscribed at Rome in the calendar of the Saints - he chose before all else to spare no labor, in ministerial journeys and by sermons on holy things, in order that he might spread everywhere a Catholic faith which would not be ineffective, but productive of good works.

11. But the Catholic Church, particularly in the countries to the East, was facing an extremely grave crisis owing to the efforts of the schismatics, who were striving by every device to draw the faithful away from the unity of the Church into their own errors. Andrew went, therefore, into those regions on the instruction and command of his Superiors, and by public sermons and private instruction through their cities, towns, and villages, and most of all by the fervor of his exceptional holiness and the burning zeal of his apostolate, he freed the wavering faith of a multitude of Christians from beguiling falsehood, brought them back to sound principles, and joyfully invited all he could to return to the one fold of Jesus Christ.

12. He did not merely restore and strengthen the faith of the Christians, languishing and on the verge of collapse, but roused them also to weep for their own sins, to settle their disputes, to heal their divisions, to restore true morality. It seemed that, like his Divine Master, wherever he passed by doing good, a new spring blossomed forth, bright with heavenly flowers and fruits of salvation. Consequently, as tradition has it, he received from all, even from the schismatics, the significant title of "hunter of souls."

13. This tireless apostle of Jesus Christ had lived by faith, had spread the faith, and had defended the faith; so too, he did not hesitate to die for the faith of his fathers.

14. Notable among almost countless others was the unforgettable and savage onslaught on the Catholic religion which flared up in the 17th century in the Eastern countries. The Cossack forces then invaded those lands, and directed their furious attack on Catholics and their pastors, and on the heralds of the truth of the Gospel. Temples dedicated to the divine worship were utterly destroyed; monasteries were consumed by fire; priests and their flocks were everywhere put to the sword; everything was laid waste; all that was sacred was scattered to the winds.

15. Andrew Bobola could apply to himself that saying, "Nothing that is known to belong to God, do I consider outside my interests."[6] He feared death and sufferings not at all. On fire with love for God and his neighbor, he entered the fray with all his resources, in order to draw back as many as he could from a foreswearing of the Catholic faith, and from the snares and errors of those who were separated from the Church, and in order to provide a valiant and rousing encouragement for the preservation of Christian teaching in all its integrity.

16. But on May 16, 1657, on the feast of our Lord's Ascension into heaven, he was seized near Janovia by the enemies of the Catholics. We do not think this filled him with fear, but rather with a heavenly joy. For We know that he had always prayed for martyrdom and had often recalled the words of the Divine Redeemer, "Blessed are you when men reproach you, and persecute you, and speaking falsely say all manner of evil against you, for my sake. Rejoice and exult, because your reward is great in heaven; for so did they persecute the prophets who were before you."[7]

17. The mind shudders as it recalls all the tortures which the athlete of Jesus Christ endured with unconquerable fortitude and a faith resolute and unbroken. For, "beaten with rods, struck with blows, dragged by a rope behind a horse on a painful and blood-stained path, he was brought to Janovia to be delivered to the final torture.

18. "In that contest, the Polish Martyr rose to the heights of the noblest triumphs which the Church commemorates. Andrew was asked if he were a priest of the Latin rite, and he replied, 'I am a Catholic priest; I was born in the Catholic faith; in that faith I wish to die. My faith is true; it leads to salvation. Do you rather repent; give place to sorrow for sin, else you will be unable, in your errors, to win salvation. By embracing my faith, you will acknowledge the true God, and will save your souls'."[8]

19. At these words, those wicked men, utterly devoid of humanity, were roused to a fiendish barbarity, and reached such a degree of cruelty that they inflicted still more horrible sufferings on the soldier of Christ. Once again, "he was scourged, a crown like that of Jesus Christ was bound about his head, he was struck heavy blows and lay wounded by a scimitar. Next, his right eye was gouged out, strips of skin were torn off, his wounds were savagely scorched and rubbed with prickly bundles of straw. Nor was that enough: his ears, nose and lips were cut off, his tongue torn out by the root, and finally, a weapon plunged into his heart. And, at long last, the valiant athlete, three hours after midday, displaying a truly marvelous example of fortitude, was pierced by a sword and achieved the glory of martyrdom."[9]

20. The victorious martyr, crimsoned in his own blood, has been received through his triumph into heaven, and on earth, the Church, when she beheld his resplendent holiness attested and confirmed by God Himself through truly remarkable miracles, proposed him for the devotion and imitation of the whole community of Christians. For in 1853, Our Predecessor of venerable memory, Pius IX, enrolled him among the Blessed in heaven, and in 1938, Our immediate Predecessor of immortal memory, Pius XI, solemnly placed him in the ranks of the Saints.

21. We have been pleased to sketch in brief outline, through this Encyclical Letter, the principal points in the life and holiness of Andrew Bobola, so that all sons of the Catholic Church throughout the world might not only admire, but also imitate with equal fidelity his sound religious teaching, his unwavering faith, his fortitude in defending the honor and glory of Christ even to martyrdom. Under your guidance and encouragement, Venerable Brothers, may all men contemplate his illustrious virtues, especially during these centenary celebrations. Let them understand that it is their duty to follow in his holy footsteps.

22. Today, to Our sorrow, there are places where the Christian faith either languishes in inert weakness, or is practically extinguished. The Gospel teaching is almost entirely ignored by many; by others - what is worse - it is totally repudiated. They consider the faith incongruous in men of this progressive age, who possess all things on this earth without God, through their own natural abilities: their ingenuity, their talents, their strength. By these powers they live, with these they labor, with these they dominate nature and reduce it to servitude for the common use and prosperity of their fellow citizens.

23. Some strive to tear out and entirely eradicate the Christian faith from the souls of others, especially of those who are unlettered and simple folk, poor people whose faith is their one solace in this mortal life. They promise them a wonderful happiness which we will never be able to fully attain in this earthly exile. For no matter where man looks, no matter how he strives, if he wanders far from God, he will not enjoy nature's tranquillity, which he seeks, nor harmony and peace of soul; he will be restless and harassed, as though tossed by fever.

24. In seeking earthly riches, conveniences, and pleasures, in putting his trust in these, man pursues what escapes him, clings to what is crumbling down. For without God and His most holy law no right order is given man, no happiness worthy of the name, since man then lacks that solid basic norm by which to order his life; men in civil authority lack the basic norm for governing; and the community lacks the very foundation of moderation. And as you well know, Venerable Brothers, only heavenly joys, which are eternal, and not what is in flux and transitory, can fill and satisfy the soul.

25. Nor may one assert, as many rashly contend, that Christian teaching is an obstacle to the light of human reason. For, in fact, this teaching rather adds splendor and strength to human reason, inasmuch as it steers human reason away from specious truth and opens to it a vaster and higher plane of knowledge.

26. We must not regard the divine Gospel - the teaching of Jesus Christ which He entrusted to the Catholic Church for interpretation - as something beyond us and finished. Rather must we realize that it is something living, something vigorous. The Gospel can show men the one certain path to truth, to justice, to all virtue; it can lead them to fraternal union and peace; it can be a strong and unshakable bulwark for their laws, their institutions, and their communities.

27. If prudent men will ponder these things, they will readily understand why Andrew Bobola willingly and with all his strength undertook so many labors and hardships to safeguard the Catholic faith of his fellow citizens, and to protect their moral life, besieged on all sides by many dangers and enticements, from snares of all kinds, and through his tireless labors to form that life in the mold of Christian virtue.

28. Today also, as We have said, Venerable Brothers, the Catholic religion in many places has been exposed to grave danger. It is necessary, therefore, to defend it by every available means, to explain it, to propagate it. In this great cause may not only those Sacred Ministers help you, who by the office entrusted to them must give you their trained assistance, but also the laity, who are most generous and ready to fight the battle of God for peace.

29. The more boldly haters of God and enemies of Christian teaching attack Jesus Christ and the Church He founded, the more readily must priests and all Catholics, by spoken word, popular writings, and good example, resist them, respectful ever of individuals, but defending the truth. And if to do this they must overcome many obstacles, and even sacrifice time and money, they must never refuse, mindful of the maxim that Christian virtue must do and suffer much, but God Himself will reward it most generously with everlasting happiness.

30. There is always a bit of martyrdom in such virtue if we really want to strive day by day for a greater perfection of Christian life. For not only by shedding of blood is the witness of our faith given to God, but also by courageous and constant resistance to the lure of evil, and by the complete and generous dedication of all that we are and have to Him Who is our Creator and Redeemer, and will one day be our never ending joy in heaven.

31. Let everyone, then, contemplate the strength of soul of St. Andrew Bobola, Martyr. Let them learn from his example, preserve intact his unconquered faith, and defend it by every means. Let them so imitate his apostolic zeal that they too will try, in every way they can, to strengthen the Kingdom of Christ on earth, and, so far as their state of life permits, to spread that Kingdom everywhere.

32. Though We wish to direct Our paternal urgings and hopes to all Shepherds and their flocks, We direct Our words in a special way to those dwelling in Poland. For Andrew Bobola is their great glory, since he was born of that nation, and honored it not only by the splendor of so many virtues, but with the crimson of his martyrdom. Following his example, then, may they continue to hold fast to their ancestral faith in the face of all attacks. May they strive earnestly to live up to the Christian moral code. They should attentively consider this the greatest glory of their country: to imitate the unbreakable constancy of their ancestors and make Poland ever faithful, the outer bastion of Christianity.

33. For as history teaches, "that witness of the ages, light of truth ... teacher of life,"[10] God Himself seems to have entrusted this special task to the Polish people. May they ever shoulder that responsibility with energetic and persevering hearts, parrying evil snares, conquering and vanquishing with God's help every difficulty and every distress. Let them look to the reward God promises to all who with perfect fidelity, unflagging readiness, and burning love live, labor, and strive to defend and spread throughout the world His Kingdom of peace.

34. On this occasion We cannot refrain from addressing in a special way through this Encyclical Letter all the beloved children of Poland, and, above all, those Bishops who for the sake of Christ have suffered pain and affliction. Act boldly, but with that Christian promptness of soul which goes hand in hand with prudence, knowledge, and wisdom. Keep Catholic faith and unity. Let faith be the cord that girds your loins[11]; let it be renowned throughout the whole world[12]; may it be for you and for everyone "the victory that overcomes the world."[13] But do this "looking toward the author and finisher of faith, Jesus, who for the joy set before him, endured a cross, despising shame, and sits at the right hand of the throne of God."[14]

35. Thus, too, you will ensure that all the citizens of heaven, especially those who sprang from your race and now enjoy eternal beatitude, together with Mary, the Virgin Mother of God and Queen of Poland, look down benignly on your beloved country, and guard and protect it.

36. That this may come to pass, We ardently desire, Venerable Brothers, that you, together with all Christians throughout the world, earnestly beseech God, during these centennial festivities, to shower His richest blessings and heavenly consolations above all on those who are in greater danger and are afflicted by more bitter trials. Together with these prayers let us beg the most merciful God that the long-desired harmony among nations be restored and flourish, and that the Church's sacred rights and activities, which contribute so mightily to the true good of even human society, may once again be dutifully recognized by all, and be everywhere lawfully and successfully put to use.

37. That these things may be speedily accomplished, We join Our own most fervent prayers to yours. And as a pledge of heavenly graces and mark of Our paternal good will, with burning love We impart to each and every one of you, Venerable Brothers, and to the whole Christian people, Our Apostolic Blessing.

 

Given at Rome, in St. Peter's, the 16th day of May - anniversary of the day when three hundred years ago St. Andrew Bobola won the Martyr's palm - 1957, the 19th of Our Pontificate.

 

 

PIUS XII

 

 

 

1. Hebr. 10.38.

2. 1 Cor. 12.31.

3. Luke 9.23.

4. Serm. on the Canticle 36, n. 5; PL 183.969 D.

5. On the Dedication of a Church, Serm. IV, n. 4; PL 183.528 D.

6. St. Bernard, Epis. 20, ad Card. Haimericum; PL 182.123 B.

7. Matt. 5.11-12.

8. Litt. decr. Pii XI "Ex aperto Christi latere": AAS XXX, 1938, p. 359.

9. Homilia Pii XI in canoniz. S. Andreae B.: AAS XXX, 1938, pp.152-3.

10. Cicero, De Or. 2.9, 36.

11. Cf. i... 11.5.

12. Cf. Rom. 1.8.

13. 1 John 5.4.

14. Hebr. 12.2.

Friday 1 October 2021

Friday's Sung Word: "Foi Ele" by Noel Rosa (in Portuguese)

 Parody of Ary Barroso's "Foi Ela" for the operetta "Ladrão de Galinha". 

 

Quem roubou o meu capão de estimação?
Foi ele...
Quem abriu o meu portão para o ladrão?
Foi ela...
Depois ele tropeçou... ô... ô
Mas meu galo não se machucou
Quem parou porque a carroça atropelou?
Foi ele...

Foi um galo que cantou... có... có...ró...có
Um cachorro que acordou... au, au, au, au, au...
Quem comeu sempre galinha na cozinha?
Foi ele! 


You can listen "Foi Ele" sung by Maria do Carmo here.