Wednesday, 25 May 2022

"Menti Nostrae" by Pope Pius XII (translated into Italian)

 

Introduzione - Voci che non si spengono

Risuona sempre nell'animo Nostro la voce del Divin Redentore che dice a Pietro: " Simone di Giovanni, mi ami tu più di questi?... pasci i miei agnelli, pasci le mie pecorelle " (Gv 21, 15.17); e quella dello stesso Principe degli Apostoli che esorta i Vescovi ed i Sacerdoti del suo tempo: " Pascete il gregge di Dio, che da voi dipende . . . fatti sinceramente esemplari del gregge " (1 Pt 5, 2.3).

 

Principale necessità del nostro tempo

Meditando attentamente tali parole, stimiamo essere officio precipuo del Nostro supremo Ministero di adoperarCi affinché diventi sempre più efficace l'opera dei sacri Pastori e dei Sacerdoti, che devono guidare il popolo cristiano ad evitare il male, a superare i pericoli ed a conseguire la santità. Questa infatti è la principale necessità del nostro tempo, in cui i popoli, in conseguenza della recente immane guerra, non solo sono angustiati da gravi difficoltà materiali, ma sono anche spiritualmente sconvolti, mentre i nemici del nome cristiano, fatti insolenti dalle condizioni in cui versa la società, si sforzano, con odio satanico e con sottili insidie, di allontanare gli uomini da Dio e dal suo Cristo.

 

Paterna sollecitudine per i Sacerdoti

La necessità, che tutti i buoni avvertono, di una restaurazione cristiana, Ci spinge a rivolgere il Nostro pensiero e il Nostro affetto in modo speciale ai Sacerdoti di tutto il mondo, perché sappiamo che soprattutto la umile, vigile, fervida opera di essi, che vivono in mezzo al popolo e ne conoscono i disagi, le pene, le angustie spirituali e materiali, può rinnovare le coscienze e stabilire in terra il Regno di Gesù Cristo, " regno di giustizia, di amore e di pace ".

Non sarà però in alcun modo possibile che il ministero sacerdotale consegua pienamente il suo fine, così da rispondere adeguatamente ai bisogni del nostro tempo, se i Sacerdoti non risplenderanno in mezzo al popolo per insigne santità, come degni " Ministri di Cristo ", fedeli " dispensatori dei Misteri divini " (cf 1 Cor 4, 1), efficaci " collaboratori di Dio " (cf 1 Cor 3, 9), pronti ad ogni opera buona (cf 2 Tm 3, 17).

 

Manifestazione di gratitudine

Pensiamo pertanto che non potremmo in nessun modo manifestare meglio la Nostra gratitudine ai Sacerdoti del mondo intero, i quali, nel cinquantesimo anniversario del Nostro Sacerdozio, Ci hanno dato testimonianza del loro amore elevando per Noi preghiere a Dio, che rivolgendo a tutto il clero una paterna esortazione alla santità, senza la quale il ministero ad esso affidato non può essere fecondo. L'Anno Santo, che abbiamo indetto con la speranza di un generale risanamento dei costumi secondo gli insegnamenti del Vangelo, questo desideriamo che porti come primo frutto, che cioè quelli che sono la guida del popolo cristiano, attendano con maggiore impegno alla propria santificazione, perché così sarà assicurato il rinnovamento dei popoli nello spirito di Gesù Cristo.

E' tuttavia da ricordare che, se oggi gli accresciuti bisogni della Società cristiana esigono con più urgenza l'interna perfezione dai Sacerdoti, essi sono già obbligati per la stessa intima natura dell'altissimo ministero loro confidato da Dio, ad adoperarsi indefessamente, sempre ed ovunque, per la propria santificazione.

 

Il grande dono del Sacerdozio

Come hanno insegnato i Nostri Predecessori, e particolarmente Pio X e Pio XI, e come Noi stessi abbiamo accennato nelle Lettere Encicliche Mystici Corporis e Mediator Dei, il sacerdozio è veramente il grande dono del Divin Redentore, il quale, per rendere perenne l'opera di redenzione del genere umano da lui compiuta sulla Croce, trasmise i suoi poteri alla Chiesa, che volle partecipe del suo unico ed eterno sacerdozio. Il Sacerdote è un " alter Christus " perché è segnato con indelebile carattere che lo configura al Salvatore; il Sacerdote rappresenta Cristo, il quale disse: " Come il Padre ha mandato me, così io mando voi " (Gv 20, 21); " chi ascolta voi ascolta me " (Lc 10, 16). Iniziato, per divina vocazione, a questo augustissimo ministero " è preposto a pro degli uomini a tutte quelle cose che riguardano Dio, affinché offra doni e sacrifici per i peccati " (Eb 5, 1). A lui pertanto è necessario che ricorra chiunque vuol vivere la vita di Cristo e desidera ricevere forza, conforto ed alimento per l'anima; a lui chiederà la medicina necessaria chiunque desidera risorgere dal peccato e tornare sulla retta via. Per tal motivo, tutti i Sacerdoti possono applicare a se stessi le parole dell'Apostolo: " Siamo cooperatori di Dio " (1 Cor 3, 9).

 

Necessità della corrispondenza

Ma sì eccelsa dignità esige dai Sacerdoti che corrispondano con fedeltà somma al loro altissimo officio. Destinati a procurare la gloria di Dio in terra, ad alimentare ed accrescere il Corpo Mistico di Cristo, è assolutamente necessario che così eccellano per santità di costumi, che attraverso di essi si diffonda dovunque il " buon profumo di Cristo " (2 Cor 2, 15).

 

Il dovere fondamentale

Il giorno stesso in cui voi , diletti figli, foste innalzati alla dignità sacerdotale, il Vescovo, a nome di Dio, vi ha solennemente indicato quale fosse il vostro dovere fondamentale: " Comprendete ciò che fate, imitate ciò che trattate, affinché, celebrando il mistero della morte del Signore, procuriate di mortificare le vostre membra da tutti i vizi e le concupiscenze. Sia, la vostra dottrina, spirituale medicina al popolo di Dio; sia il profumo della vostra vita il diletto della Chiesa di Cristo, affinché con la predicazione e con l'esempio, edifichiate la casa, che è famiglia di Dio ".

Totalmente immune da peccato, la vostra vita, più di quella dei semplici fedeli, sia nascosta con Cristo in Dio (Col 3, 3). Soltanto adorni di quella esimia virtù che esige la vostra dignità, potrete attendere all'officio cui vi ha destinati la sacra ordinazione, di continuare e completare l'opera della redenzione.

Questo è il programma da voi liberamente e spontaneamente assunto; siate santi, perché santo è il vostro ministero.

 

 

Parte I

La santità della vita - La perfezione consiste nel fervore della carità

Secondo l'insegnamento del Divino Maestro, la perfezione della vita cristiana consiste nell'amore verso Dio e verso il prossimo (Mt 22, 37.38.39), amore che sia però veramente fervido, premuroso, attivo. Se esso ha queste doti, può dirsi veramente che abbraccia tutte le virtù (cf 1 Cor 13, 4s), ed a ragione può chiamarsi " vincolo di perfezione " (Col 3, 14). In qualunque stato pertanto l'uomo si trovi, a questo fine deve dirigere le sue intenzioni e le sue azioni.

 

Il Sacerdote è chiamato alla perfezione

A questo dovere tuttavia è tenuto in modo particolare il Sacerdote. Ogni sua azione sacerdotale infatti, per sua stessa natura - in quanto proprio a tal fine il Sacerdote è stato per divina vocazione chiamato, e destinato ad un divino officio ed insignito di un divino carisma - tende a questo; egli infatti deve prestare la sua cooperazione a Cristo, unico ed eterno Sacerdote; è necessario pertanto che segua ed imiti Colui il quale, durante la sua vita terrena, non ebbe altro scopo che dimostrare il suo ardentissimo amore verso il Padre e partecipare agli uomini gli infiniti tesori del suo Cuore.

 

Imitazione di Cristo - Intima unione con Gesù

Il primo impulso, dal quale deve esser mosso lo spirito sacerdotale, deve esser quello di unirsi strettamente al Divin Redentore, per accettare docilmente ed in tutta la loro integrità i divini insegnamenti, e per applicarli diligentemente in tutti i momenti della sua esistenza, di modo che la fede sia costantemente la luce della sua condotta e la sua condotta sia il riflesso della sua fede.

 

Tenere lo sguardo fisso in lui

Seguendo la luce di questa virtù, egli terrà fisso lo sguardo in Cristo, ne seguirà gli insegnamenti e gli esempi, intimamente persuaso che non è sufficiente per lui limitarsi a compiere i doveri cui sono tenuti i semplici fedeli, ma deve tendere con sempre maggior lena a quella santità che esige la dignità sacerdotale, secondo l'avvertimento della Chiesa: " I chierici devono condurre vita più santa dei laici, ed essere a questi di esempio nella virtù e nel retto operare ".

 

Vita cristocentrica

La vita sacerdotale, come deriva da Cristo, così tutta e sempre deve dirigersi a lui. Cristo è il Verbo di Dio, che non sdegnò di assumere la natura umana; che visse la sua vita terrena per compiere la volontà dell'Eterno Padre; che diffonde intorno a sé il profumo del giglio; che visse nella povertà; " che passò facendo del bene e sanando tutti " (At 10, 38); che infine si immolò ostia per la salvezza dei fratelli. Ecco, diletti figli, la sintesi di quella mirabile vita; studiatevi di riprodurla in voi, memori dell'esortazione: " Vi ho dato l'esempio, affinché, come io ho fatto, così facciate anche voi " (Gv 13, 15).

 

Pratica dell'umiltà

L'inizio della perfezione cristiana è nell'umiltà. " Imparate da me, che sono mite ed umile di cuore " (Mt 11, 29). Di fronte all'altezza della dignità alla quale siamo stati elevati con il Battesimo e l'Ordine Sacro, la consapevolezza della nostra miseria spirituale deve indurci a meditare la divina sentenza di Gesù Cristo: " Senza di me non potete far nulla " (Gv 15, 5).

 

Diffidenza di se stessi

Il Sacerdote non confidi nelle proprie forze, non si compiaccia delle proprie doti, non cerchi la stima e la lode degli uomini, non aspiri a posti elevati, ma imiti Cristo, il quale non venne " per essere servito, ma a servire " (Mt 20,28); e rinneghi se stesso secondo l'insegnamento del Vangelo (cf Mt 16, 24), distaccando l'animo dalle cose terrene per seguire più speditamente il Divino Maestro. Tutto ciò che egli ha, tutto ciò che è, viene dalla bontà e dalla potenza di Dio: se vuole dunque gloriarsi, ricordi le parole dell'Apostolo: " Quanto a me, di niente mi glorierò, se non delle mie debolezze " (2 Cor 12, 5).

 

Immolazione della volontà

Lo spirito di umiltà, illuminato dalla fede, dispone l'anima alla immolazione della volontà attraverso l'obbedienza. Cristo stesso, nella società da lui fondata, ha stabilito un'autorità legittima, che è una continuazione della sua. Perciò, chi obbedisce ai Superiori, obbedisce allo stesso Redentore.

 

Necessità dell'obbedienza

In un'età come la nostra, in cui il principio d'autorità è gravemente scosso, è assolutamente necessario che il Sacerdote, saldo nei principii della fede, consideri e accetti l'autorità non solo come baluardo dell'ordine sociale e religioso, ma anche come fondamento della sua stessa santificazione personale. Mentre i nemici di Dio, con criminosa astuzia, si sforzano di sobillare e solleticare le smoderate bramosie di qualcuno, per indurlo ad erigersi contro la Santa Madre Chiesa, Noi desideriamo dare la dovuta lode e sostenere con paterno animo quella larga schiera di Ministri di Dio, che per dimostrare apertamente la loro cristiana obbedienza e conservare intatta la propria fedeltà a Gesù ed alla legittima autorità da lui stabilita, " sono stati trovati degni di soffrire contumelie per il nome di Cristo " (At 5, 41), e non solo contumelie, ma persecuzioni e carceri e morte.

 

Rinunce del celibato

Il Sacerdote ha come campo della propria attività tutto ciò che si riferisce alla vita soprannaturale, ed è organo di comunicazione e di incremento della stessa vita nel Corpo Mistico di Cristo. Perciò è necessario che egli rinunci a " tutto ciò che è del mondo ", per curare solamente ciò " che è del Signore " (1 Cor 7, 32.33). Ed è appunto perché egli deve essere libero dalle preoccupazioni del mondo per dedicarsi tutto al divino servizio, che la Chiesa ha stabilito la legge del celibato, affinché fosse sempre più manifesto a tutti che il Sacerdote è Ministro di Dio e padre delle anime. Con la legge del celibato, il Sacerdote, piuttosto che perdere il dono e l'ufficio della paternità, lo accresce all'infinito, giacché se non genera una figliolanza a questa vita terrena e caduca, la genera a quella celeste ed eterna.

Quanto più rifulge la castità sacerdotale, tanto più il Sacerdote diventa insieme con Cristo " ostia pura, ostia santa, ostia immacolata ".

Per custodire integerrima, quale tesoro inestimabile, la purezza sacerdotale, è necessario attenersi fedelmente a quella esortazione del Principe degli Apostoli, che ogni giorno ripetiamo nel divino officio: " Siate sobrii, e vigilate " (1 Pt 5, 8).

 

Vigilanza e preghiera, custodi della castità

Sì, vigilate, diletti figli, poiché la castità sacerdotale è esposta a molti pericoli, sia per la dissolutezza dei costumi, sia per gli allettamenti del vizio che sono così frequenti ed insidiosi, sia infine per quella eccessiva libertà che s'introduce sempre più nei rapporti tra i due sessi e che tenta di penetrare anche nell'esercizio del sacro ministero. " Vigilate e pregate " (Mc 14, 38), memori che le vostre mani toccano le cose più sante, e che voi siete consacrati a Dio ed a lui solo dovete servire. L'abito stesso che portate vi ammonisce che non dovete vivere al mondo, ma a Dio. Adoperatevi dunque con ardore e con alacrità, confidando nella protezione della Vergine Madre di Dio, per conservarvi sempre " nitidi, mondi, puri, casti, come si conviene a Ministri di Cristo ed a dispensatori dei misteri di Dio ".

 

Evitare le familiarità

A tal proposito vi rivolgiamo una particolare esortazione perché nel dirigere le associazioni ed i sodalizi femminili, vi mostriate come si addice a Sacerdoti; evitate ogni familiarità; quando è necessario che diate la vostra opera, datela come sacri Ministri. Nel dirigere poi queste associazioni, la vostra parte si limiti a quanto richiesto dal sacro ministero.

 

Distacco dai beni terreni

Al distacco dalla vostra volontà e da voi stessi con la generosa obbedienza ai Superiori ed alla rinuncia ai piaceri terreni con la castità, dovete unire il distacco dell'animo dalle ricchezze e dalle cose terrene. Vi esortiamo ardentemente, o fratelli, a non attaccarvi con l'affetto alle cose di questa terra, transitorie e periture. Prendete ad esempio i grandi Santi degli antichi e nostri tempi, i quali, unendo il necessario distacco dai beni materiali ad una grandissima fiducia nella Provvidenza e ad un ardentissimo zelo sacerdotale, hanno compiuto opere mirabili, confidando unicamente in Dio, il quale non fa mai mancare il necessario. Anche il Sacerdote, che non fa professione di povertà con particolare voto, deve essere sempre guidato dallo spirito e dall'amore di questa virtù; amore che deve dimostrare con la semplicità e la modestia del tenore di vita, dell'abitazione e nella generosità verso i poveri. In modo particolarissimo poi aborrisca dall'immischiarsi in imprese economiche, imprese che gli impedirebbero di compiere i suoi doveri pastorali e gli diminuirebbero la dovuta considerazione dei fedeli. Il Sacerdote, poiché deve attendere con ogni impegno a procurare la salvezza delle anime, deve sempre poter applicare a se stesso il detto di San Paolo: " Non cerco le cose vostre ma voi " (2 Cor 12, 14).

 

Essere modelli di ogni virtù

Molto avremmo ancora da dire su tutte le virtù con le quali il Sacerdote deve riprodurre in se stesso, nel miglior modo possibile, l'esemplare divino che è Gesù Cristo. Abbiamo tuttavia preferito fermare la vostra attenzione su ciò che Ci sembra più necessario ai nostri tempi. Vi ricordiamo peraltro le parole dell'aureo libro dell'Imitazione di Cristo: " Il Sacerdote deve essere adorno di tutte le virtù, e dare agli altri esempio di retta vita. La sua conversazione non sia secondo le volgari e comuni vie degli uomini, ma con gli Angeli e gli uomini perfetti ".

 

Necessità della Grazia per la santificazione - Verità consolanti

Nessuno ignora, diletti figli, come non sia possibile ad alcun cristiano, ed in special modo ai Sacerdoti, di imitare i mirabili esempi del Divino Maestro, senza l'aiuto della grazia, e senza l'uso di quegli strumenti della grazia che egli stesso ha messo a nostra disposizione: uso che è tanto più necessario, quanto più alto è il grado di perfezione che noi dobbiamo conseguire e quanto più gravi sono le difficoltà, che derivano dalla nostra natura incline al male. Per questa ragione, giudichiamo opportuno passare alla considerazione di altre verità, quanto mai sublimi e consolanti, dalle quali ancor più chiaramente appare quanto profonda debba essere la santità sacerdotale e quanto efficaci siano gli aiuti datici dal Signore perché possiamo compiere in noi i disegni della divina misericordia.

 

Vita di sacrificio

Come tutta la vita del Salvatore fu ordinata al sacrificio di se stesso, così anche la vita del Sacerdote, che deve riprodurre in sé l'immagine di Cristo, deve essere con Lui, per Lui, ed in Lui, un accettevole sacrificio.

 

Ad esempio di Gesù sul Calvario

Difatti, l'offerta che il Signore fece sul Calvario, non fu soltanto l'immolazione del suo Corpo; Egli offrì se stesso, ostia di espiazione, come Capo dell'umanità, e perciò " mentre raccomanda il suo spirito nelle mani del Padre, raccomanda se stesso a Dio come uomo, per raccomandargli tutti gli uomini ".

 

Nella Santa Messa

La stessa cosa avviene nel Sacrificio Eucaristico, che è rinnovazione incruenta del sacrificio della Croce: Cristo offre se stesso al Padre per la sua gloria e per la nostra salute. Ed in quanto egli, sacerdote e vittima, agisce come Capo della Chiesa, offre ed immola non soltanto se stesso, ma tutti i fedeli, ed in certo qual modo tutti gli uomini.

 

I tesori del Sacrificio Eucaristico

Ora, se questo vale per tutti i fedeli, a maggior titolo vale per i Sacerdoti, i quali sono Ministri di Cristo, principalmente per la celebrazione del Sacrificio Eucaristico. Ed appunto nel Sacrificio Eucaristico, quando " in persona di Cristo ", consacra il pane ed il vino che diventano Corpo e Sangue di Cristo, il Sacerdote può attingere dalla stessa sorgente della vita soprannaturale gli inesauribili tesori della salvezza e tutti quegli aiuti che sono necessari a lui personalmente ed al compimento della sua missione.

 

Vivere la Santa Messa

Il Sacerdote, mentre è a così stretto contatto dei divini misteri, non può non aver fame e sete di giustizia (cf Mt 5, 6), o non sentire lo stimolo ad adeguare la sua vita alla sua eccelsa dignità e ad orientarla verso il sacrificio, dovendo offrire ed immolare se stesso con Cristo. Quindi egli non soltanto celebrerà la Santa Messa, ma la vivrà intimamente; così soltanto potrà attingere quella forza soprannaturale che lo trasformerà e lo farà partecipe della vita di sacrificio del Redentore.

 

Trasformazione in vittime con Gesù

San Paolo pone come principio fondamentale della perfezione cristiana il precetto: " Rivestitevi del Signore Nostro Gesù Cristo " (Rm 13, 14). Questo precetto, se vale per tutti i cristiani, vale in modo speciale per i Sacerdoti. Ma rivestirsi di Cristo non è soltanto ispirare il proprio pensiero alla sua dottrina, sibbene entrare in una nuova vita, la quale, per risplendere dei fulgori del Tabor, deve anche conformarsi alle sofferenze del Calvario. Ciò comporta un lavoro lungo ed arduo che trasformi l'anima allo stato di vittima, perché partecipi intimamente al sacrificio di Cristo. Questo arduo ed assiduo lavoro, non si compie con vane velleità, né si esaurisce in desideri e promesse, ma deve essere un esercizio indefesso e continuo, che porti al rinnovamento dello spirito; deve essere un esercizio di pietà, che riferisca tutto alla gloria di Dio; deve essere esercizio di penitenza, che freni e governi i moti dell'animo; deve essere atto di carità, che infiammi l'animo di amore verso Dio e verso il prossimo e stimoli ad opere di misericordia; deve essere infine volontà operosa di lotta e di fatica per fare tutto ciò che è bene.

 

Monito di San Pier Crisologo

Il Sacerdote deve dunque studiarsi di riprodurre nella sua anima tutto ciò che avviene sull'Altare. Come Gesù Cristo immola se stesso, così il suo Ministro deve immolarsi con Lui; come Gesù espia i peccati degli uomini, così egli, seguendo l'arduo cammino dell'ascetica cristiana, deve pervenire alla propria ed altrui purificazione. Così ammo- nisce San Pier Crisologo: " Sii sacrificio e Sacerdote di Dio; non perdere quel che ti diede la Divina Autorità. Rivestiti della stola della santità; cingiti della cintura della castità; sia Cristo, velo sulla tua testa; stia la Croce a baluardo sulla tua fronte; apponi al tuo petto il sacramento della scienza divina; brucia sempre il profumo della orazione; afferra la spada dello spirito; fa' del tuo cuore come un altare ed offri così sicuro il tuo corpo vittima a Dio... Offri la fede, in modo che sia punita la perfidia; immola il digiuno, perché cessi la voracità; offri in sacrificio la castità, perché muoia la libidine; poni sull'Altare la pietà, perché sia deposta l'empietà; invita la misericordia, perché sia distrutta l'avarizia; e perché scompaia la stoltezza, conviene immolare la santità: così il tuo corpo sarà la sua ostia, se non sarà ferito da alcun dardo del peccato ".

 

La mistica morte in Cristo

Vogliamo qui ripetere in modo particolare ai Sacerdoti quanto abbiamo già proposto alla meditazione di tutti i fedeli nella Enciclica Mediator Dei: " E' ben vero che Gesù Cristo è Sacerdote, ma non per se stesso, bensì per noi, presentando all'eterno Padre i voti ed i religiosi sensi di tutto il genere umano; Gesù è vittima, ma per noi, sostituendosi all'uomo peccatore; ora il detto dell'Apostolo: "Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Gesù Cristo", esige da tutti i cristiani di riprodurre in sé, per quanto è in potere dell'uomo, lo stesso stato d'animo che aveva il Divin Redentore quando faceva il sacrificio di sé: l'umile sottomissione dello spirito cioè, l'adorazione, l'onore, la lode ed il ringraziamento alla somma Maestà di Dio; richiede inoltre di riprodurre in se stessi le condizioni della vittima; l'abnegazione di sé secondo i precetti del Vangelo, il volontario e spontaneo esercizio della penitenza, il dolore e l'espiazione dei propri peccati. Esige, in una parola, la nostra mistica morte in croce col Cristo, in modo da poter dire con Paolo: "Sono confitto con Cristo in croce".

 

Valerci delle ricchezze del Sangue di Gesù

Sacerdoti e figli diletti, abbiamo nelle nostre mani un grande tesoro, una preziosissima margherita, le ricchezze inesauribili del Sangue di Gesù Cristo; avvaliamocene con la più grande larghezza per essere, con il sacrificio totale di noi stessi offerti al Padre con Gesù Cristo, i veri mediatori di giustizia " in quelle cose che riguardano Dio " (Eb 5, 1), e per meritare che le nostre preghiere siano accette ed impetrino grazie sovrabbondanti per tutta la Chiesa e per tutte le anime. Solo dopo che saremo divenuti una sola cosa con Cristo mediante la sua e nostra oblazione, ed avremo elevata la nostra voce con il coro degli abitanti della celeste Gerusalemme, " illi canentes iungimur almae Sionis aemuli ", solo allora corroborati dalla virtù del Salvatore, potremo scendere sicuri dal monte della santità che avremo conseguita, per portare a tutti gli uomini la vita e la luce di Dio attraverso il ministero sacerdotale.

 

Necessità della preghiera e della pietà - L'obbligo del Divin Ufficio

La santità perfetta richiede anche una continua comunicazione con Dio; e perché questo intimo contatto che l'anima sacerdotale deve stabilire con Dio non fosse mai interrotto nella successione dei giorni e delle ore, la Chiesa ha fatto obbligo al Sacerdote di recitare l'Ufficio Divino. Essa ha in tal modo raccolto fedelmente il precetto del Signore: " Bisogna pregare sempre e non stancarsi " (Lc 18, 1).

La Chiesa, come non cessa mai di pregare, così desidera ardentemente che i suoi figli facciano lo stesso, ripetendo la parola dell'Apostolo: " Per Lui adunque offriamo sempre a Dio l'ostia di lode, cioè il frutto delle labbra, che confessino il suo nome " (Eb 13, 15). Ai Sacerdoti essa ha commesso il compito particolare di consacrare a Dio, pregando anche a nome del popolo, tutto il tempo e tutte le circostanze.

 

Voce di Cristo e della Chiesa

Conformandosi a questa disposizione, il Sacerdote continua a fare nel corso dei secoli quello che fece Cristo, il quale " nei giorni della sua carne, avendo offerto preghiere e suppliche con grande grido... fu esaudito per la sua reverenza " (Eb 5, 7). Questa preghiera ha una efficacia singolare, perché è fatta in nome di Cristo " per il Signor Nostro Gesù Cristo " il quale è nostro mediatore presso il Padre, ed a Lui presenta incessantemente la sua soddisfazione, i suoi meriti, ed il prezzo sommo del suo Sangue. Essa è veramente la " voce di Cristo ", il quale " prega per noi quale nostro Sacerdote, prega in noi quale nostro Capo ". E' parimente sempre la " voce della Chiesa " che riassume i voti ed i desideri di tutti i fedeli, i quali, associati alla voce ed alla fede del Sacerdote, lodano Gesù Cristo e, per mezzo di Lui, ringraziano l'Eterno Padre e ne impetrano gli aiuti necessari nelle vicende di ogni giorno e di ogni ora. In tal modo si ripete per mezzo dei Sacerdoti quel che Mosè fece sul Monte Sinai, quando, levate le braccia al Cielo, parlava a Dio e ne otteneva misericordia a favore del suo popolo, che penava nella valle sottostante.

 

Mezzi efficienti di santificazione

L'Ufficio Divino è anche un mezzo quanto mai efficace di santificazione. Non è infatti soltanto una recita di formule, né di cantici da eseguirsi con arte; non si tratta soltanto del rispetto di certe norme, dette rubriche, o di cerimonie esterne del culto: ma si tratta piuttosto dell'elevazione della mente e dell'anima a Dio perché si uniscano all'armonia degli spiriti beati; elevazione che suppone quelle disposizioni interiori ricordate al principio dell'Ufficio Divino: " degnamente, attentamente, devotamente ".

 

Avere le intenzioni stesse di Gesù

E' perciò necessario che il Sacerdote preghi con la stessa intenzione del Redentore. E' dunque quasi la stessa voce del Signore, il quale, tramite il suo Sacerdote, continua ad implorare dalla clemenza del Padre i benefici della Redenzione; è la voce del Signore, cui si associano le schiere degli Angeli e dei Santi in Cielo e dei fedeli tutti sulla terra, per glorificare debitamente Dio; è la voce stessa di Cristo nostro avvocato, attraverso la quale ci vengono ottenuti gli immensi tesori dei suoi meriti.

 

La meditazione accurata del Breviario

Meditate perciò attentamente quelle verità feconde che lo Spirito Santo ci elargisce nelle Sacre Scritture e che gli scritti dei Padri e dei Dottori commentano. Mentre le vostre labbra ripetono le parole dettate dallo Spirito Santo, studiatevi di non perdere nulla di tanto tesoro e, affinché nella vostra anima sia viva l'eco della voce di Dio, allontanate con cura quanto può distrarvi e raccogliete i vostri pensieri, in modo da attendere più facilmente e con maggior frutto alla contemplazione delle verità eterne.

 

Seguire il ciclo liturgico

Nella Nostra Enciclica Mediator Dei, abbiamo diffusamente spiegato a quale scopo il ciclo liturgico rievochi e rappresenti ordinatamente, durante l'anno, i Misteri di Nostro Signor Gesù Cristo, e celebri le Feste della Beata Vergine e dei Santi. Quegli insegnamenti, che abbiamo impartito a tutti perché a tutti utilissimi, devono essere meditati specialmente da voi, o Sacerdoti; voi, che con il Sacrificio Eucaristico e con il Divino Ufficio, avete una parte tanto importante nello svolgimento del ciclo liturgico.

Perché progrediscano sempre più speditamente nella via della santità, la Chiesa raccomanda vivamente ai Sacerdoti, oltre che la celebrazione del Sacrificio Eucaristico e la recita del Divino Ufficio, anche altri esercizi di pietà. Intorno ad essi giova proporre qualche cosa alla vostra considerazione.

 

La contemplazione delle cose celesti...

La Chiesa ci esorta innanzi tutto alla meditazione, la quale solleva l'anima alla contemplazione delle cose celesti, la guida verso Dio, e la fa vivere in quell'atmosfera soprannaturale di pensieri e di affetti che costituiscono la migliore preparazione ed il più fruttuoso ringraziamento alla Santa Messa. La meditazione inoltre dispone l'anima a gustare e comprendere le bellezze della liturgia, e le fa contemplare le verità eterne ed i mirabili esempi ed insegnamenti del Vangelo. Ora a questo il Sacerdote deve continuamente mirare per riprodurre in se stesso le virtù del Redentore.

 

. . . e dei misteri della vita di Gesù

Ma come il cibo materiale non alimenta la vita, non la sostenta, non la accresce, se non è convenientemente assimilato, così il Sacerdote non può acquistare il dominio di se stesso e dei suoi sensi, né purificare il suo spirito, né tendere - come deve - alla virtù, né, infine, compiere con alacre fedeltà e con frutto i doveri del suo sacro ministero, se non avrà approfondito, con meditazione assidua ed incessante, i misteri del Redentore Divino, modello supremo della vita sacerdotale e fonte inesauribile di santità.

 

Danni gravi per chi la trascura

Stimiamo pertanto essere grave Nostro obbligo di esortarvi alla pratica della meditazione quotidiana, pratica raccomandata al Clero anche dal Codice di Diritto Canonico. Come infatti lo stimolo alla perfezione sacerdotale è alimentato e rinforzato dalla meditazione quotidiana, così dal trascurare e negligere questa pratica, trae origine la tiepidezza dello spirito, per cui la pietà diminuisce e langue, e non soltanto cessa od è ritardato l'impulso alla santificazione personale, ma tutto il ministero sacerdotale soffre non lievi danni. Perciò si deve con fondamento asserire che nessun altro mezzo ha l'efficacia particolare della meditazione, e che la pratica quotidiana di essa è quindi insostituibile.

 

Preghiere varie e spirito di orazione

Dall'orazione mentale non sia poi disgiunta l'orazione vocale e le altre forme di preghiera privata che, nella particolare condizione di ciascuno, giovino ad attuare l'unione dell'anima con Dio. Si deve però tener presente: più che le molteplici preghiere, vale la pietà ed il vero ed ardente spirito di orazione. Questo ardente spirito di orazione, se mai in altri tempi, oggi specialmente è necessario, quando il così detto " naturalismo " ha invaso le menti e gli animi, e la virtù è esposta a pericoli di ogni genere, pericoli che talvolta s'incontrano nell'esercizio dello stesso ministero. Che cosa vi potrà meglio premunire da queste insidie, che cosa potrà meglio elevare l'anima alle cose celesti e tenerla unita con Dio, che la assidua preghiera e la invocazione del divino aiuto?

 

Ardente devozione alla Madonna

E poiché i Sacerdoti possono essere chiamati a titolo tutto particolare figli di Maria, essi non potranno fare a meno di nutrire verso la Vergine un'ardente devozione, di invocarla con fiducia, di implorare con frequenza la sua valida protezione. Ogni giorno perciò, come la Chiesa stessa raccomanda, reciteranno il Santo Rosario, che proponendo alla nostra meditazione anche i misteri del Redentore, ci conduce " a Gesù per mezzo di Maria ".

 

La visita quotidiana al Santissimo Sacramento

Il Sacerdote poi, prima di chiudere la sua giornata di lavoro, si recherà presso il Tabernacolo ed ivi si tratterrà alquanto per adorare Gesù nel suo Sacramento di amore, per riparare alla ingratitudine di troppi verso così grande Sacramento, per accendersi sempre più dell'amore di Dio, e per rimanere in qualche modo anche durante il tempo del riposo notturno, che richiama alla mente il silenzio della morte, alla presenza del Cuore di Cristo.

 

L'esame di coscienza

Né ometta il cotidiano esame di coscienza, che è il mezzo più efficace sia per rendersi conto dell'andamento della vita spirituale durante il giorno, sia per rimuovere gli ostacoli che intralciano o ritardano il progresso nella virtù, sia infine per conoscere i mezzi più idonei ad assicurare al ministero sacerdotale maggiori frutti e per implorare dal Padre Celeste indulgenza sulle nostre miserie.

 

La Confessione frequente

Questa indulgenza ed il perdono dei peccati ci sono concessi nel Sacramento della Penitenza, capolavoro della bontà di Dio, per soccorrerci nella nostra fragilità. Non avvenga mai, diletti figli, che proprio il Ministro di questo Sacramento di riconciliazione si astenga da esso. La Chiesa, come sapete, in questa materia dispone: " Vigilino gli Ordinari perché i chierici tutti detergano frequentemente le macchie della propria coscienza con il Sacramento della Penitenza ". Benché Ministri di Cristo, siamo tuttavia deboli e miseri; come potremo dunque ascendere l'altare e trattare i sacri misteri, se non procureremo di purificarci il più spesso possibile? Con la Confessione frequente " si accresce la retta conoscenza di se stesso, si sviluppa la cristiana umiltà, si sradica la perversità dei costumi; si resiste alla negligenza ed al torpore spirituale, si purifica la coscienza, si rinvigorisce la volontà, si procura la salutare direzione delle coscienze e si aumenta la grazia in forza dello stesso sacramento ".

 

La direzione spirituale

E qui viene opportuna anche un'altra raccomandazione: che nell'affrontare e procedere nella vita spirituale non vi fidiate di voi stessi, ma con semplicità e docilità chiediate ed accettiate l'aiuto di chi con sapiente moderazione può guidare l'anima vostra, indicarvi i pericoli, suggerirvi i rimedi idonei, ed in tutte le difficoltà interne ed esterne vi può dirigere rettamente ed avviarvi a perfezione sempre maggiore, secondo l'esempio dei Santi e gli insegnamenti dell'ascetica cristiana. Senza questa prudente guida della coscienza, in via ordinaria è assai difficile assecondare convenientemente gli impulsi dello Spirito Santo e delle grazie divine.

 

Gli esercizi spirituali

Desideriamo ardentemente infine raccomandare a tutti la pratica degli esercizi spirituali. Quando noi ci segreghiamo per alcuni giorni dalle consuete occupazioni e dall'ambiente abituale e ci ritiriamo nella solitudine e nel silenzio, allora più attentamente prestiamo orecchio alla voce di Dio, e questa penetra più profondamente nell'animo nostro. Gli Esercizi, mentre ci richiamano ad un più diligente compi- mento dei doveri del nostro ministero, con la contemplazione dei Misteri del Redentore rafforzano la nostra volontà affinché " serviamo a Lui in santità e giustizia in tutti i nostri giorni " (Lc 1, 74.75).

 

II Parte

La santità nel Sacro Ministero

Sul monte Calvario è stato aperto al Redentore il Costato, dal quale fluì il suo Sangue sacro, che scorre nel corso dei secoli qual torrente inondante, per purificare le coscienze degli uomini, espiare i loro peccati ed impartire ad essi i tesori della salvezza.

 

Il Sacerdote dispensatore dei Misteri di Dio

Alla esecuzione di sì sublime ministero sono destinati i sacerdoti. Essi infatti non soltanto conciliano e comunicano la grazia di Cristo alle membra del suo Corpo mistico, ma sono anche gli organi di sviluppo del medesimo Corpo mistico, perché essi devono dare alla Chiesa sempre nuovi figli, educarli, coltivarli, guidarli. Essi sono " dispensatori dei misteri di Dio " (1 Cor 4, 1); devono perciò servire a Gesù Cristo con perfetta carità, e consacrare tutte le proprie forze alla salvezza dei fratelli. Essi sono gli apostoli della luce: devono perciò illuminare il mondo con la dottrina del Vangelo, ed essere così forti nella fede, da poterla comunicare agli altri, e seguire gli esempi e gli insegnamenti del Divino Maestro, per poter condurre tutti a Lui. Sono gli apostoli della grazia e del perdono; devono perciò consacrarsi totalmente alla salvezza degli uomini ed attirarli all'altare di Dio perché si nutrano del pane della vita eterna. Sono gli apostoli della carità: devono quindi promuovere le opere di carità, tanto più urgenti oggi che i bisogni degli indigenti sono enormemente cresciuti.

 

Le varie forme dell'apostolato moderno

Il Sacerdote deve inoltre adoperarsi affinché i fedeli comprendano giustamente la dottrina della " Comunione dei Santi ", la sentano, la vivano; si serva a tal fine di opere quali l'apostolato liturgico e l'apostolato della preghiera. Deve poi promuovere tutte quelle forme di apostolato, che oggi, per le speciali necessità del popolo cristiano, sono di tanta importanza e di tanta urgenza. Si adoperi pertanto per la diffusione dell'insegnamento catechistico, per lo sviluppo e la diffusione dell'Azione Cattolica e dell'Azione Missionaria: e, mediante l'opera di laici ben preparati e formati, dia incremento a quelle iniziative di apostolato sociale che il nostro tempo richiede.

 

Esercitare l'apostolato in unione con Cristo

Ricordi tuttavia il Sacerdote che il suo ministero sarà tanto più fecondo, quanto più strettamente egli sarà unito a Cristo e sarà guidato nell'azione dallo spirito di Cristo. Allora, la sua attività non si ridurrà ad un movimento e ad un'agitazione puramente naturali, che affatichino il corpo e lo spirito e che espongano lo stesso Sacerdote a deviazioni dannose a sé ed alla Chiesa: ma il suo lavoro e le sue fatiche saranno fecondati e corroborati da quei carismi di grazia che Dio nega ai superbi, ma concede largamente a coloro i quali, operando in umiltà nella " vigna del Signore ", non cercano se stessi ed il proprio tornaconto (cf 1 Cor 10, 33), sebbene la gloria di Dio e la salvezza delle anime. Pertanto, fedele all'insegnamento del Vangelo, non confidi in se stesso e nelle proprie forze, ma riponga la sua fiducia nell'aiuto del Signore: " Non è nulla né colui che pianta, né colui che irriga; ma Dio che dà il crescere " (1 Cor 3, 7).

 

Riproducendo in se stessi la sua immagine

Quando l'apostolato sia così ordinato ed ispirato, non potrà non avvenire che il Sacerdote attiri a sé, con forza quasi divina, gli animi di tutti. Riproducendo egli nei suoi costumi e nella sua vita quasi una viva immagine di Cristo, tutti coloro che a lui si rivolgono come a maestro, riconosceranno, spinti da interna persuasione, che egli non dice parole sue, ma parole di Dio, e non agisce per propria virtù, ma per virtù di Dio. " Chi parla, come parole di Dio; chi ha un ministero, come per una virtù comunicata da Dio " (1 Pt 4, 11). Nel tendere alla santità e nell'esercitare con somma diligenza il suo ministero, il Sacerdote deve sforzarsi di rappresentare Cristo così perfettamente da poter, con tutta modestia, ripetere le parole dell'Apostolo delle Genti: " Siate miei imitatori, come io lo sono di Cristo " (1 Cor 4, 16).

 

Guardarsi dall'eresia dell'azione

Per queste ragioni, mentre diamo la dovuta lode a quanti, nel faticoso assetto di questo dopoguerra, spinti dall'amore verso Dio e dalla carità verso il prossimo, sotto la guida e seguendo l'esempio dei loro Vescovi, hanno consacrato tutte le loro forze a sollievo di tante miserie, non possiamo astenerci dall'esprimere la Nostra preoccupazione, e la Nostra ansietà per coloro i quali, per le speciali circostanze del momento, si sono ingolfati nel vortice dell'attività esteriore, così da negligere il principale dovere del Sacerdote, che è la santificazione propria. Abbiamo già detto in pubblico documento che devono essere richiamati a più retto sentire quanti presumono che si possa salvare il mondo attraverso quella che è stata giustamente chiamata " l'eresia dell'azione ": di quell'azione, che non ha le sue fondamenta nell'aiuto della grazia, e non si serve costantemente dei mezzi necessari al conseguimento della santità, dataci da Cristo. Allo stesso modo abbiamo però stimolato alle opere di ministero coloro che, chiusi in se stessi e quasi diffidenti della efficacia del divino aiuto, non si adoperano, secondo le proprie possibilità, a far penetrare lo spirito cristiano nella vita quotidiana, in tutte quelle forme che sono richieste dai nostri tempi.

 

Impegnarsi interamente alla salvezza delle anime

Vi esortiamo quindi ardentemente affinché, strettamente uniti al Redentore, con il cui aiuto possiamo ogni cosa (cf Fil 4, 13), vi adoperiate con tutta sollecitudine per la salvezza di coloro che la Provvidenza ha affidato alle vostre cure. Come ardentemente desideriamo, o diletti figli, che emuliate quei santi i quali, nei tempi passati, con le loro grandi opere hanno dimostrato che cosa possa la potenza della grazia divina. Che tutti e ciascuno, in umiltà e sincerità possiate sempre attribuirvi - testimoni i vostri fedeli - il detto dell'Apostolo: " Io volentierissimo sacrificherò il mio, anzi me stesso per le anime vostre " (2 Cor 12, 15). Illuminate le menti, dirigete le coscienze, confortate e sostenete le anime che si dibattono nel dubbio e gemono nel dolore. A queste forme di apostolato, unite pure tutte quelle altre che le necessità dei tempi esigono. Ma sia sempre a tutti manifesto che il Sacerdote, in tutte le sue attività, niente altro cerca all'infuori del bene delle anime, non ad altro mira, che a Cristo, al quale consacra le sue forze e tutto se stesso.

 

Seguire gli esempi del Redentore

Al modo stesso che per spronarvi alla santificazione personale vi abbiamo esortato a riprodurre in voi stessi quasi la viva immagine di Cristo, così ora, per l'efficacia santificatrice del vostro ministero vi incitiamo a seguire gli esempi del Redentore. Egli, ripieno di Spirito Santo, " passò facendo del bene e sanando tutti coloro che erano oppressi dal demonio, perché Dio era con lui " (At 10, 38). Corroborati dallo stesso Spirito e spinti dalla sua forza, voi potrete esercitare un ministero che, alimentato dalla carità cristiana, sarà ricco della virtù divina e potrà comunicare la stessa virtù agli altri. Il vostro zelo sia vivificato da quella carità che sopporta tutto con animo sereno, che non si lascia vincere dalle avversità e che abbraccia tutti, poveri e ricchi, amici e nemici, fedeli ed infedeli. Questa diuturna fatica e questa quotidiana pazienza richiedono da voi le anime, per la salvezza delle quali il nostro Salvatore subì pazientemente dolori e tormenti fino alla morte, per restituirci all'amicizia divina. E' questo, e ben lo sapete, il più grande dei beni. Non fatevi perciò prendere da smoderato desiderio di successo, né lasciatevi disarmare se, dopo assiduo lavoro, non raccogliete i frutti desiderati: " Uno semina ed un altro raccoglie " (Gv 4, 37).

 

Con carità benigna

Splenda inoltre il vostro zelo di carità benigna. Se infatti è necessario - ed è dovere di tutti - combattere l'errore e respingere il vizio, l'animo del Sacerdote tuttavia deve essere sempre aperto alla compassione. Bisogna combattere con tutte le forze l'errore, ma amare intensamente il fratello che erra, e condurlo alla salvezza. Quanto bene non hanno fatto, quante mirabili opere non hanno compiuto i Santi con la loro benignità, anche in ambienti traviati dalla menzogna e degradati dal vizio. Certo, tradirebbe il suo ministero colui il quale, per piacere agli uomini, ne blandisse le malsane inclinazioni od indulgesse al loro non retto modo di pensare e di agire, con pregiudizio della dottrina cristiana e della integrità dei costumi. Quando tuttavia sono salvi gli insegnamenti del Vangelo, e gli erranti sono mossi da desiderio sincero di tornare sulla retta via, allora il Sacerdote deve ricordare la risposta del Signore a Pietro che gli domandava quante volte si sarebbe dovuto perdonare al fratello: " Non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette " (Mt 18, 22).

 

Essere disinteressati

Il vostro zelo deve aver per oggetto non le cose terrene e caduche, ma le eterne. Il proposito dei Sacerdoti che aspirano alla santità deve essere questo: lavorare unicamente per la gloria e la salvezza delle anime. Quanti Sacerdoti, anche nelle gravi strettezze del nostro tempo, hanno avuto come norma gli esempi ed i moniti dell'Apostolo delle Genti, il quale si teneva contento del minimo indispensabile: " Avendo gli alimenti e di che coprirci, contentiamoci di questo " (1 Tm 6, 8).

Per questo disinteresse e questo distacco dalle cose terrene, congiunti alla fiducia nella Divina Provvidenza, e che sono degni della massima lode, il ministero sacerdotale ha dato alla Chiesa frutti ubertosi di bene spirituale e sociale.

 

Perfezionare la propria cultura

Questo zelo operoso infine deve essere illuminato dalla luce della sapienza e della disciplina e infiammato dalla vampa della carità. Chiunque si prefigga la santificazione propria ed altrui, deve essere fornito di solida dottrina, che comprenda non soltanto la teologia, ma anche la sana cultura moderna profana, affinché, come buon padre di famiglia, possa trarre " dal suo tesoro cose nuove ed antiche " (cf Mt 13, 52), e rendere sempre più apprezzato e fecondo il suo ministero. Ed innanzi tutto la vostra attività si ispiri e sia fedelmente conforme alle prescrizioni di questa Sede Apostolica ed alle direttive dei Vescovi. Non avvenga mai, diletti figli, che rimangano morte, o per cattiva direzione non rispondano alle necessità dei fedeli, tutte quelle nuove forme di apostolato, che sono oggi tanto opportune specialmente nelle regioni dove il clero non è sufficientemente numeroso.

 

Rafforzare lo zelo operoso

Si accresca adunque ogni giorno questo vostro zelo operoso, sostenga la Chiesa di Dio, sia di esempio ai fedeli e costituisca un potente baluardo contro cui si infrangano gli attacchi dei nemici di Dio.

 

Compiacimento per i direttori di spirito

Desideriamo poi esprimere il Nostro compiacimento in modo particolare a quei Sacerdoti i quali, con umiltà e con ardente carità, attendono alla santificazione dei Confratelli, come consiglieri o come confessori o come direttori spirituali. Il bene incalcolabile che essi rendono alla Chiesa rimane per lo più nascosto, ma sarà un giorno manifesto nel regno della gloria divina.

 

Si modellino su San Giuseppe Cafasso

Noi che, non sono ancor molti anni, con intima soddisfazione dell'animo Nostro abbiamo decretato gli onori degli altari al Sacerdote torinese Giuseppe Cafasso - il quale in tempi difficilissimi fu guida spirituale, sapiente e santa, di non pochi Sacerdoti, che fece progredire nella virtù, e di cui rese particolarmente fecondo il sacro ministero - nutriamo piena fiducia che anche per il suo valido patrocinio, il Divin Redentore susciti numerosi Sacerdoti di pari santità, i quali sappiano condurre se stessi ed i propri Confratelli a così eccelsa perfezione di vita che i fedeli, ammirando i loro esempi, si sentano spontaneamente mossi ad imitarli.

 

Parte III

Norme pratiche

Abbiamo finora esposto le principali verità e le norme fondamentali, sulle quali si basano il sacerdozio cattolico e l'esercizio del suo ministero. A queste verità ed a queste norme si conformano diligentemente, nella loro pratica quotidiana, tutti i santi Sacerdoti, mentre hanno violato gli obblighi contratti con la sacra ordinazione tutti i disertori ed i transfughi.

 

Principio fondamentale: adattarsi ai tempi

Ora tuttavia, perché questa Nostra paterna esortazione sia più efficace, stimiamo opportuno indicare più partitamente alcune cose che hanno riferimento con la pratica della vita quotidiana. Ciò è tanto più necessario, perché nella vita moderna si verificano alcune situazioni e si presentano in modo nuovo alcune questioni, che richiedono più diligente studio e più attente cure. Intendiamo perciò esortare tutti i Sacerdoti, ed in modo particolare i Vescovi, affinché provvedano con ogni sollecitudine a promuovere tutto quanto è necessario nei nostri tempi ed a correggere quanto si allontani dalla giusta via.

 

Formazione del Clero - Sacerdoti Secolari e Religiosi uniti nell'intento del bene della Chiesa

Dopo le lunghe e varie traversie della recente guerra, il numero dei Sacerdoti, sia nei paesi cattolici, sia nelle Missioni, è divenuto impari alle sempre crescenti necessità. Esortiamo pertanto tutti i Sacerdoti, sia quelli del Clero diocesano, sia quelli appartenenti ad Ordini o Congregazioni religiose, affiché, stretti in vincoli di carità fraterna, procedano in unione di forze e di volontà verso la meta comune, che è il bene della Chiesa, la santificazione propria e dei fedeli. Tutti, anche i Religiosi che vivono nel ritiro e nel silenzio, devono contribuire alla efficacia dell'apostolato sacerdotale, con la preghiera e con il sacrificio: e quanti possono, anche con l'azione.

 

Reclutare nuovi operai

Ma è anche necessario reclutare, con l'aiuto della grazia divina, altri operai. Noi richiamiamo quindi l'attenzione specialmente degli Ordinari e di quanti sono in cura d'anime su questo importantissimo problema che è intimamente connesso con l'avvenire della Chiesa. E' vero che la Chiesa non mancherà mai dei Sacerdoti necessari alla sua missione; occorre tuttavia essere vigilanti, memori della parola del Signore: " La messe è molta, ma gli operai sono pochi " (Lc 10, 2), ed usare ogni diligenza per dare alla Chiesa numerosi e santi ministri.

 

Pregare per le vocazioni

Lo stesso Signor nostro ci indica la via più sicura per avere numerose vocazioni: " Pregate il padrone della messe, affinché mandi operai per la sua messe " (Lc 10, 2); la preghiera umile e fiduciosa a Dio.

 

Suscitare grande stima per il Sacerdozio

E' però necessario che gli animi di coloro che sono chiamati da Dio siano preparati all'impulso ed all'azione invisibile dello Spirito Santo; ed a questo fine è prezioso il contributo che possono dare i genitori cristiani, i parroci, i confessori, i superiori dei Seminari, i Sacerdoti e tutti i fedeli che hanno a cuore le necessità e l'incremento della Chiesa. I Ministri di Dio procurino, non soltanto nella predicazione e nell'istruzione catechistica, ma anche nelle private conversazioni, di dissipare i pregiudizi ora tanto diffusi contro lo stato sacerdotale, mostrandone la eccelsa dignità, la bellezza, la necessità e l'alto merito. Ogni padre e madre cristiani, a qualunque ceto sociale appartengano, devono pregare Dio affinché li faccia degni che almeno uno dei loro figlioli sia chiamato al suo servizio. Tutti i cristiani, infine, devono sentire il dovere di favorire ed aiutare coloro che si sentono chiamati al sacerdozio.

 

Specialmente con la santità della vita

La scelta dei candidati al sacerdozio, che il Codice di Diritto Canonico raccomanda ai pastori di anime, deve costituire l'impegno particolare di tutti i Sacerdoti, i quali, non solo devono rendere umili e generose grazie a Dio per il dono inestimabile ricevuto, ma devono altresì non aver niente di più caro e di gradito che di trovare e prepararsi un successore, tra quei giovani che conoscono forniti delle doti necessarie. Per riuscire più efficacemente in questo scopo, ogni Sacerdote deve sforzarsi di essere e di mostrarsi come un esempio di vita sacerdotale, che per i giovani che avvicina e nei quali scorga i segni della divina chiamata, possa costituire un ideale da imitare.

 

Selezione oculata e prudente

Questa selezione oculata e prudente si svolga sempre e dovunque; non soltanto tra i giovani che sono già nel Seminario, ma anche tra quelli che compiono altrove i loro studi, ed in modo particolare tra quelli che prestano la loro opera nelle varie attività dell'apostolato cattolico. Questi, anche se giungono al sacerdozio in età avanzata, sono spesso forniti di maggiori e più solide virtù, essendo stati sperimentati ed avendo rafforzato il loro animo al contatto delle difficoltà della vita ed avendo già collaborato in un campo che rientra nelle finalità dell'azione sacerdotale.

 

Esame delle vocazioni...

Bisogna però sempre esaminare con diligenza i singoli aspiranti al sacerdozio, per vedere con quali intenzioni e per quali cause abbiano preso questa risoluzione. In modo speciale, quando si tratta di fanciulli, bisogna indagare se essi siano forniti delle necessarie doti morali e fisiche, e se aspirino al sacerdozio unicamente per la sua dignità e per l'utilità spirituale propria ed altrui.

 

...e delle qualità fisiche dei candidati

Voi conoscete, Venerabili Fratelli, quali sono le condizioni di idoneità morale che la Chiesa richiede nei giovani che aspirino al sacerdozio, e reputiamo superfluo trattenerCi su questo argomento. Richiamiamo invece la vostra attenzione sulle condizioni di idoneità fisica; ciò tanto più che la recente guerra ha lasciato tracce funeste ed ha perturbato in vari modi la giovane generazione. Si esaminino dunque con particolare attenzione le qualità fisiche dei candidati, ricorrendo, se necessario, anche all'esame di un medico prudente.

Con questa scelta delle vocazioni, fatta con zelo e con prudenza, Noi confidiamo che sorga dovunque una eletta e folta schiera di candidati al sacerdozio.

 

Cura delle vocazioni - E' un grave dovere

Se molti sacri Pastori sono preoccupati della diminuzione delle vocazioni, da non minore preoccupazione essi sono presi quando si tratta di curare i giovani che sono già entrati in Seminario. Conosciamo, Venerabili Fratelli, quanto ardua sia quest'opera e quante difficoltà presenti; ma dal compimento di sì grave dovere avrete grandissima consolazione, in quanto, come ricorda il Nostro Predecessore Leone XIII, " dalle cure e dalle sollecitudini poste nel formare i Sacerdoti, avrete frutti sommamente desiderabili, e sperimenterete che il vostro officio episcopale sarà più facile ad essere esercitato, molto più fecondo di frutti ".

Stimiamo pertanto opportuno di darvi alcune norme, suggerite dalla necessità, oggi più sentita che mai, di educare santi Sacerdoti.

 

L'ambiente sia sano e sereno

Innanzi tutto bisogna ricordare che gli alunni dei Seminari minori sono adolescenti separati dall'ambiente naturale della famiglia. E' necessario dunque che la vita che i ragazzi conducono nei Seminari corrisponda, per quanto è possibile, alla vita normale dei ragazzi; sarà data quindi grande importanza alla vita spirituale, ma in forma adeguata alla loro capacità ed al loro grado di sviluppo, che tutto si svolga in un ambiente sano e sereno. Tuttavia anche in questo si osservi " la giusta misura e moderazione ", in modo che non accada che coloro i quali devono essere formati alla abnegazione ed alle virtù evangeliche, " vivano in case sontuose, nei piaceri e nei comodi ".

 

Formare il carattere al senso della responsabilità

Si deve curare in modo particolare la formazione del carattere di ciascun ragazzo, sviluppando in esso il senso di responsabilità, la capacità di giudizio, lo spirito di iniziativa. Perciò coloro che dirigono i Seminari, dovranno ricorrere con moderazione ai mezzi coercitivi, alleggerendo, man mano che i giovani crescono di età, il sistema della rigorosa sorveglianza e delle restrizioni, avviando i giovani stessi a guidarsi da sé ed a sentire la responsabilità delle proprie azioni. Concedano una certa libertà di azione in determinate iniziative, abituino gli alunni alla riflessione, perché divenga ad essi più facile l'assimilazione delle verità teoriche e pratiche; né temano di tenerli al corrente degli avvenimenti del giorno, che anzi, oltre a fornire loro gli elementi necessari perché possano formarsene ed esprimere un retto giudizio, non sfuggano le discussioni su di essi, per aiutarli ed abituarli a giudicare e valutare con equilibrio.

 

Istillare orrore per la doppiezza

In questo modo i giovani sono indirizzati all'onestà e alla lealtà, alla stima della fermezza e della dirittura del carattere ed alla avversione per ogni forma di doppiezza. Quanto più essi saranno sinceri e schietti, tanto meglio potranno essere conosciuti e ben guidati dai Superiori nel difficile esame della vocazione.

 

Non isolare interamente dal mondo

Se i giovani - specialmente quelli che sono entrati in Seminario in tenera età - sono formati in un ambiente troppo avulso dal mondo, quando poi usciranno dal Seminario potranno trovare serie difficoltà nelle relazioni sia col popolo, sia con il laicato colto, e può quindi succedere o che prendano un atteggiamento errato e falso verso i fedeli, o che considerino sfavorevolmente la fomazione ricevuta. Per questo motivo, bisogna diminuire gradatamente e con la dovuta prudenza, il distacco tra il popolo ed il futuro sacerdote, affinché quando egli, ricevuto il sacro Ordine, inizierà il suo ministero, non abbia a sentirsi disorientato: ciò che non soltanto sarebbe dannoso al suo spirito ma nuocerebbe anche all'efficacia del suo lavoro.

 

La formazione intellettuale, letteraria e scientifica . . .

Altra grave cura dei Superiori è la formazione intellettuale degli alunni. Voi avete presenti, Venerabili Fratelli, gli ordinamenti e le disposizioni che questa Sede Apostolica ha dato in proposito, e che Noi medesimi abbiamo raccomandato a tutti fin dal primo incontro che avemmo con gli alunni dei Seminari e dei Collegi di Roma all'inizio del Nostro Pontificato.

 

. . . non inferiore a quella dei laici

Qui vogliamo anzitutto raccomandare che la cultura letteraria e scientifica dei futuri Sacerdoti sia per lo meno non inferiore a quella dei laici che frequentano analoghi corsi di studi. In tal modo, non solo sarà assicurata la serietà della formazione intellettuale, ma sarà anche facilitata la selezione dei soggetti. I Seminaristi si sentiranno più liberi nella scelta dello stato, e sarà allontanato il pericolo che, per mancanza di una sufficiente preparazione culturale, la quale possa assicurare una sistemazione nel mondo, qualcuno si senta in certo modo spinto a proseguire una via che non è la sua, seguendo il ragionamento del fattore infedele: " Fodere non valeo, mendicare erubesco " (Lc 16, 3). Se poi accadesse che qualcuno, su cui si erano concepite buone speranze per la Chiesa, si allontani dal Seminario, ciò non deve preoccupare, perché il giovane che è riuscito a trovare la sua via, in seguito non potrà non ricordarsi dei benefici ricevuti in Seminario, e con la sua attività potrà arrecare un notevole contributo di bene alle opere del laicato cattolico.

 

Necessità della dottrina filosofica e teologica

Nella formazione intellettuale dei giovani seminaristi, pur non trascurando anche gli altri studi, fra cui ricordiamo quelli attinenti ai problemi sociali, oggi tanto necessari, si dia la massima importanza alla dottrina filosofica e teologica " a norma del Dottore Angelico ", adeguata ai tempi e informata degli errori moderni. Lo studio di tali discipline è di somma importanza e utilità sia per lo spirito dello stesso Sacerdote che per il popolo. I maestri di vita spirituale infatti affermano che lo studio delle scienze sacre, purché esse siano impartite nel debito modo e con retti sistemi, è un aiuto efficacissimo per conservare e alimentare lo spirito di fede, frenare le passioni, mantenere l'anima unita a Dio. Si aggiunga che il Sacerdote, il quale è " sale della terra " e " luce del mondo " (cf Mt 5, 13.14), deve prodigarsi nella difesa della fede predicando il Vangelo e confutando gli errori delle avverse dottrine che oggi vengono disseminate tra il popolo con ogni mezzo. Ma non si possono efficacemente combattere tali errori, se non si conoscono a fondo gli inconcussi principii della filosofia e della teologia cattolica.

 

Seguire il metodo scolastico

A tal proposito non è fuori luogo ricordare che il metodo scolastico ha una particolare efficacia per dare concetti chiari e mostrare come le dottrine affidate, qual sacro deposito, alla Chiesa maestra dei cristiani, siano tra loro organicamente connesse e coerenti. Non mancano oggi di quelli che, allontanandosi dagli insegnamenti del Magistero Ecclesiastico e trascurando la chiarezza e la precisione delle idee, non soltanto si allontanano dal sano metodo scolastico, ma aprono la via ad errori e confusioni, come una triste esperienza dimostra.

Ad impedire pertanto che negli studi ecclesiastici si debbano lamentare ondeggiamenti e incertezze, vi esortiamo, Venerabili Fratelli, a vigilare assiduamente affinché le norme precise date da questa Sede Apostolica per tali studi siano fedelmente accolte e tradotte in atto.

 

Formazione spirituale e morale - La scienza da sola può essere nociva

Se con tanta sollecitudine abbiamo raccomandato una valida preparazione intellettuale nel Clero, è facile comprendere quanto Ci debba stare a cuore la formazione spirituale e morale dei giovani chierici, senza la quale anche una scienza eminente rimane infruttuosa, anzi può produrre danni incalcolabili per la superbia e l'orgoglio che insinua nel cuore. Perciò la Chiesa ansiosamente e sopra ogni cosa vuole che nei Seminari si pongano solide fondamenta alla santità che il ministro di Dio dovrà poi sviluppare e praticare per tutta la vita.

 

I chierici si diano alla vita interiore

Come già abbiamo detto per i Sacerdoti, così ora raccomandiamo che i chierici abbiano una convinzione sincera e profonda della necessità della vita spirituale, e sentano quindi il dovere di fare ogni sforzo per acquistarla, per conservarla ed accrescerla continuamente.

 

La loro pietà sia convinta

Nel corso della giornata, con ritmo più o meno uniforme, secondo gli orari e i programmi, essi compiono varie pratiche religiose e partecipano a diversi esercizi di pietà. E' facile il pericolo che agli esercizi esterni di pietà non corrisponda un movimento interiore dell'animo, cosa che può diventare abituale e può anche aggravarsi quando, fuori di Seminario, il ministro di Dio sarà assillato dalla necessità dell'azione, spesso travolgente.

 

Compiano tutto con fede

Pertanto sia posta ogni cura nel formare i giovani alla vita interiore, che è la vita dello spirito e secondo lo spirito: che essi compiano tutto alla luce della fede ed in unione con Cristo, convinti che questo è un grave dovere di coscienza che incombe a chi un giorno dovrà ricevere il carattere sacerdotale e rappresentare il Divino Maestro nella Chiesa. La vita interiore sarà per i Seminaristi il mezzo più efficace per acquistare le virtù sacerdotali, la forza spontanea proveniente da intima persuasione che fa superare le difficoltà e spinge alla realizzazione dei santi propositi.

 

I direttori istillino in essi le virtù ecclesiastiche . . .

Coloro che attendono alla formazione morale dei Seminaristi abbiano sempre di mira il fine, che è quello di fare acquistare ad essi tutte le virtù che la Chiesa esige nei Sacerdoti. Di esse abbiamo già trattato in altra parte di questa Esortazione, e quindi non intendiamo di ritornare sull'argomento; non possiamo però non segnalare e raccomandare, fra tutte le altre virtù che gli aspiranti al sacerdozio devono possedere saldamente, quelle sulle quali poggia, come su saldi pilastri, l'edificio morale del Sacerdote.

 

. . . particolarmente la sottomissione . . .

E' necessario che i giovani acquistino lo spirito di obbedienza abituandosi a sottomettere sinceramente la propria volontà a quella di Dio, manifestata attraverso la legittima autorità dei Superiori. Nulla mai si dovrà lamentare nella condotta del futuro Sacerdote che non sia conforme ai voleri divini. Questa obbedienza sia sempre ispirata al modello perfetto del Divino Maestro, che in terra ebbe un solo ed unico programma: " Fare, o Dio, la tua volontà " (Eb 10, 7).

 

. . . sì che diventino veramente obbedienti al Vescovo

Il futuro Sacerdotale impari fin dal Seminario a prestare ai Superiori obbedienza filiale e sincera, per essere sempre pronto, in seguito, a ubbidire docilmente al suo Vescovo secondo l'insegnamento dell'invitto Confessore di Cristo, Ignazio di Antiochia: " Obbedite tutti al Vescovo, come Gesù Cristo al Padre ". " Chi onora il Vescovo, è onorato da Dio; chi opera di nascosto del Vescovo serve al demonio ". " Non fate niente senza il Vescovo, custodite il vostro corpo come tempio di Dio, amate l'unione, fuggite le discordie, siate imitatori di Gesù Cristo, come egli lo fu del Padre suo ".

 

La castità sia saldamente posseduta e lungamente provata

Sia usata inoltre ogni diligenza e sollecitudine affinché i Seminaristi apprezzino, amino e custodiscano la castità, perché la scelta dello stato sacerdotale e la perseveranza in esso dipendono in gran parte da tale virtù. Questa, essendo esposta a maggiori pericoli, deve essere saldamente posseduta e lungamente provata. Si illuminino dunque i Seminaristi sulla natura del celibato ecclesiastico, della castità che essi devono osservare, e sugli obblighi che ciò comporta, e si istruiscano poi circa i pericoli ai quali possono andare incontro. Si ammoniscano di premunirsi contro di essi fin dalla tenera età, ricorrendo fedelmente ai mezzi che offre l'ascetica cristiana per frenare le passioni; perché quanto più fermo ed efficace sarà il dominio di esse, tanto più l'anima potrà progredire nelle altre virtù e tanto più sicura sarà poi l'azione del loro ministero sacerdotale. Qualora poi i giovani leviti mostrino a questo riguardo delle tendenze malsane, e dopo la debita prova si mostrino incorreggibili, è assolutamente necessario dimetterli dal Seminario almeno prima che accedano agli Ordini Sacri.

 

Coltivino la divozione al Santissimo Sacramento e alla Madonna

Queste, e tutte le altre virtù del Sacerdote, potranno essere facilmente acquistate e tenacemente possedute dai Seminaristi, se fin dalla prima età essi avranno appresa e coltivata una sincera e tenera devozione a Gesù presente " veramente, realmente e sostanzialmente ", in mezzo a noi nel Sacramento del suo amore, faranno di Lui Sacramentato il movente e il fine di tutte le loro azioni, delle loro aspirazioni e dei loro sacrifici. E se alla devozione a Gesù Sacramentato uniranno una devozione filiale a Maria, che sia piena di fiducia e di abbandono in Lei, e che spinga l'anima alla imitazione delle sue virtù, allora la Chiesa si rallegrerà, perché non potrà mai mancare il frutto di un ministero ardente e zelante in un Sacerdote la cui adolescenza si è nutrita dell'amore verso Gesù e verso Maria.

 

Aver cura del giovane Clero

Qui non possiamo fare a meno di rivolgere a Voi, Venerabili Fratelli, una viva raccomandazione: di avere cioè una cura tutta particolare per il giovane clero.

 

Preparare santamente alla vita di ministero

Il passaggio dalla vita riparata e tranquilla del Seminario all'attività del ministero, può essere pericoloso per il Sacerdote che entra nel campo aperto dell'apostolato, se non sarà stato sufficientemente preparato al nuovo genere di vita. Tante speranze riposte in giovani Sacerdoti possono fallire, se essi non sono gradatamente introdotti al lavoro, sapientemente vigilati e paternamente guidati nei primi passi del loro ministero.

 

Promuovere istituti appositi

Noi approviamo pertanto che i giovani Sacerdoti, quando è possibile, siano raccolti, per alcuni anni in speciali Istituti, ove, sotto la guida di Superiori sperimentati, possono affinarsi nella pietà e perfezionarsi nelle sacre discipline, ed essere avviati al ministero che più corrisponderà alla loro indole ed alle loro attitudini.

Per tal motivo Noi vorremmo che per ogni diocesi, o, a seconda delle circostanze, per più diocesi insieme, fossero istituiti simili collegi.

 

Sul modello di quello di Sant'Eugenio in Roma

Per quanto riguarda la Nostra alma Città, Noi stessi abbiamo fatto ciò, quando al compiersi del 50 anniversario del Nostro sacerdozio, erigemmo l'Istituto di Sant'Eugenio per i giovani Sacerdoti.

 

Non lanciare nel ministero Sacerdoti inesperti

Vi esortiamo, Venerabili Fratelli, ad evitare, per quanto è possibile, di lanciare nel pieno dell'attività pastorale Sacerdoti ancora inesperti, e di mandarli in luoghi molto remoti dalla sede della diocesi o da altri centri maggiori. In simile situazione infatti, isolati, inesperti, esposti a pericoli, privi di maestri prudenti, ne avrebbero certamente danno per se stessi e per il loro ministero.

 

Affiancarli a Sacerdoti provetti...

E' cosa invece particolarmente raccomandabile che questi giovani sacerdoti siano posti a fianco di qualche parroco, perché in tal modo, mediante la guida di persone anziane, possono più facilmente essere addestrati al sacro ministero e perfezionare lo spirito di pietà.

 

. . . insigni per virtù e zelo

Ricordiamo a tutti i Pastori di anime che l'avvenire dei novelli Sacerdoti è, per gran parte, nelle loro mani. Lo zelo ardente ed i generosi propositi da cui essi sono animati nell'iniziare il loro ministero, possono essere spenti e certamente affievoliti dall'esempio degli anziani, se questi non rifulgano dello splendore della virtù, o se, con il pretesto di non mutare le vecchie consuetudini, si mostrassero amanti dell'ozio.

 

Si procuri la vita comune del Clero

Noi approviamo e raccomandiamo vivamente quanto è già nei voti della Chiesa, che cioè si introduca e si estenda la consuetudine della vita comune tra i Sacerdoti di una stessa parrocchia o di parrocchie limitrofe.

 

Immensi vantaggi che porta

Se questa pratica della vita comune comporta anche sacrificio, nessun dubbio tuttavia che da essa provengono grandi vantaggi; innanzi tutto alimenta quotidianamente lo zelo e lo spirito di carità tra i Sacerdoti, dà poi un mirabile esempio ai fedeli del distacco dei ministri di Dio dai propri interessi e dalla propria famiglia; è infine testimonianza della cura scrupolosa con cui essi salvaguardano la castità sacerdotale.

 

Non sospendere la vita di studio

I Sacerdoti devono inoltre coltivare lo studio, come sapientemente prescrive il Codice del Diritto Canonico: " I chierici non sospendano gli studi, specialmente quelli sacri, dopo ricevuto il sacerdozio ". Lo stesso Codice poi, oltre agli esami da farsi " almeno ogni anno, per un intero triennio " che richiede dai novelli Sacerdoti, prescrive altresì che il Clero tenga più volte l'anno adunanze ordinate " a promuovere la scienza e la pietà ".

 

Ridonare efficienza alle biblioteche per Sacerdoti . . .

Per favorire questi studi, resi talvolta difficili per le precarie condizioni economiche del Clero, sarebbe sommamente opportuno che gli Ordinari, secondo le luminose tradizioni della Chiesa, ridonassero dignità ed efficienza alle biblioteche, cattedrali, collegiali, parrocchiali.

Molte biblioteche ecclesiastiche, nonostante le spogliazioni e le dispersioni subite, posseggono non raramente una preziosa eredità di pergamene, di libri manoscritti e stampati, " testimonio eloquente così dell'attività ed influenza della Chiesa, come della fede e pietà generosa degli avi, dei loro studi e del loro buon gusto ".

 

. . . con sale di consultazione e di lettura opportunamente aggiornate

Non siano queste biblioteche negletti ricettacoli di libri, ma piuttosto strutture viventi, con una sala adatta alla consultazione dei libri ed alla lettura. Innanzi tutto però, siano esse aggiornate ed arricchite di opere di tutti i generi, specialmente di quelle relative alle questioni religiose e sociali dei nostri tempi, in modo che gli insegnanti, i parroci, e particolarmente i giovani Sacerdoti possano attingervi la dottrina necessaria per diffondere le verità del Vangelo e per combattere gli errori.

 

Parte IV

Problemi di attualità - Pericoli del nostro tempo

Stimiamo infine essere Nostro officio, Venerabili Fratelli, di rivolgervi un avvertimento sulle difficoltà che sono proprie del nostro tempo.

 

Lo spirito di novità

Avete già rilevato che tra i Sacerdoti, specialmente tra quelli meno forniti di dottrina e di vita meno severa, si va diffondendo, in modo sempre più grave e preoccupante, un certo spirito di novità.

 

Quando sia lodevole

La novità non è mai per se stessa un criterio di verità, e può essere lodevole soltanto quando conferma la verità e porta alla rettitudine ed alla virtù.

 

Novità perniciose contro cui stare in guardia

L'epoca in cui viviamo soffre di un grave smarrimento in ogni campo: sistemi filosofici che nascono e muoiono senza punto migliorare i costumi; mostruosità di certa arte che pure ha la pretesa di chiamarsi cristiana; criteri di governo in molti luoghi che riescono più all'oppressione del cittadino che al bene comune; metodi di vita e di rapporti economici e sociali in cui sono più in pericolo gli onesti che gli scaltri. Da ciò quasi naturalmente deriva che non manchino del tutto nei nostri tempi Sacerdoti infetti in qualche modo da simile contagio; e che manifestano opinioni e seguono un sistema di vita anche nel vestire e nella cura della persona, alieni sia dalla loro dignità che dalla loro missione; che si lasciano trascinare dalla smania di novità sia nel predicare ai fedeli sia nel combattere gli errori degli avversari; e che perciò compromettono non solo la loro coscienza, ma anche la loro buona fama e quindi l'efficacia del loro ministero.

 

Agli Ordinari spetta l'aggiornamento dei metodi di apostolato

Su tutto ciò, Venerabili Fratelli, richiamiamo vivamente la vostra vigilanza, sicuri che voi, tra la diffusa bramosia del nuovo e l'esagerato attaccamento al passato, userete quella prudenza che è sempre saggia e vigilante, anche quando tenta vie nuove di attività e di lotta per il trionfo della verità. Siamo ben lontani dal ritenere che l'apostolato non debba adeguarsi alla realtà della vita moderna e che non si debbano promuovere iniziative adatte ai bisogni del nostro tempo. Ma poiché tutto l'apostolato che svolge la Chiesa è essenzialmente gerarchico, non si introducano nuove forme se non con il beneplacito dell'Ordinario. Gli Ordinari di una stessa regione o di una stessa Nazione, procurino in questa materia di stabilire tra essi un'intesa allo scopo di provvedere alle necessità delle loro località e per studiare i metodi più idonei e consoni all'apostolato religioso. Così tutto si farà nell'ordine e nella disciplina e si potrà essere certi dell'efficacia dell'azione sacerdotale. Siano tutti persuasi di questo: che bisogna seguire la voce di Dio e non quella del mondo, e regolare l'attività dell'apostolato secondo le direttive della Gerarchia e non secondo opinioni personali. E' vana illusione credere di poter nascondere la propria povertà interiore a cooperare efficacemente alla diffusione del regno di Cristo con la stranezza dei modi esterni.

 

Il Clero e la questione sociale

Pari rettitudine di atteggiamento si richiede riguardo alle dottrine sociali del tempo presente.

 

Nessuna incertezza contro il comunismo

Vi sono alcuni i quali, di fronte all'iniquità del comunismo che mira a strappare la fede a quelli ai quali promette il benessere materiale, si mostrano pavidi ed incerti; ma questa Sede Apostolica, con documenti recenti, ha indicato con chiarezza la via da seguire, dalla quale nessuno dovrà allontanarsi se non vorrà mancare al proprio dovere.

 

Denunciare le conseguenze dannose del capitalismo

Altri si dimostrano non meno pavidi e incerti di fronte a quel sistema economico che è noto con il nome di capitalismo, del quale la Chiesa non ha mancato di denunciare le gravi conseguenze. La Chiesa infatti ha indicato non soltanto gli abusi del capitale e dello stesso diritto di proprietà che tale sistema promuove e difende, ma ha altresì insegnato che il capitale e la proprietà devono essere strumenti della produzione a vantaggio di tutta la società e mezzi di sostegno e di difesa della libertà e dignità della persona umana. Gli errori dei due sistemi economici e le dannose conseguenze che ne derivano devono convincere tutti e specialmente i Sacerdoti a mantenersi fedeli alla dottrina sociale della Chiesa e a diffonderne la conoscenza e l'applicazione pratica. Tale dottrina infatti è la sola che può rimediare ai mali denunciati e così dolorosamente diffusi: essa unisce e perfeziona le esigenze della giustizia e i doveri della carità e promuove un ordinamento sociale che non opprima i singoli e non li isoli in un egoismo cieco, ma tutti unisca nell'armonia dei rapporti e nel vincolo di fraterna solidarietà.

 

Andare incontro ai poveri e ai ricchi

Ad esempio del Divino Maestro, il Sacerdote vada incontro ai poveri, ai lavoratori, a tutti quelli che si trovano in angustia e in miseria, fra i quali sono anche molti della classe media e non pochi confratelli di sacerdozio. Ma non trascuri neppure coloro che, pur ricchi di beni di fortuna, sono spesso i più poveri nell'anima e hanno bisogno di essere chiamati a rinnovarsi spiritualmente per fare come Zaccheo: " Dò ai poveri la metà dei miei beni e se ho frodato qualcuno di qualche cosa, restituisco il quadruplo " (Lc 19, 8). Nel campo delle contese sociali dunque il Sacerdote non perda mai di vista lo scopo della sua missione. Con zelo, senza timore, deve esporre i principii cattolici circa la proprietà, le ricchezze, la giustizia sociale e la carità cristiana fra le diverse classi, e dare a tutti l'esempio manifesto della loro applicazione.

 

Formare i laici ai doveri sociali

In via ordinaria la realizzazione di questi principii sociali cristiani nella vita pubblica è officio dei laici, e dove non ve ne sono di capaci, il Sacerdote ponga ogni cura nel formarli adeguatamente.

 

Sollecitudine del Papa per il Clero povero

Questo argomento opportunamente Ci richiama a dire una parola sulle condizioni economiche nelle quali in questo dopo guerra si son venuti a trovare moltissimi Sacerdoti particolarmente di quelle regioni che maggiormente hanno risentito le conseguenze della guerra e della situazione politica determinatasi a causa del recente conflitto. Tale stato di cose Ci angustia profondamente e Noi non tralasciamo nulla per alleviare, secondo le Nostre possibilità, i disagi, la miseria e la estrema indigenza di molti.

 

Le straordinarie facoltà concesse ai Vescovi

Voi, specialmente, Venerabili Fratelli, ben conoscete come siamo intervenuti, nei luoghi dove si sentiva maggiormente bisogno, anche attraverso la Sacra Congregazione del Concilio, concedendo straordinarie facoltà ai Vescovi perché fossero eliminate stridenti sperequazioni nelle condizioni economiche tra Sacerdoti di una medesima Diocesi, e Ci consta che in molti luoghi i Sacerdoti hanno aderito all'invito dei loro Pastori in modo degno di encomio; altrove non è stato possibile mettere in pratica nella loro integrità le norme date, a causa di gravi difficoltà incontrate.

 

Notificare i frutti degli sforzi compiuti

Vi esortiamo pertanto a proseguire, con animo di padri, nella via intrapresa, ed a notificarCi i frutti dei vostri sforzi, perché non è ammissibile che manchi il pane quotidiano all'operaio che ha lavorato e lavora nella vigna del Signore.

 

Promuovere la previdenza sociale per i Sacerdoti

Noi vivamente lodiamo inoltre, Venerabili Fratelli, tutte quelle iniziative che prenderete di comune accordo, affinché non solo non manchi ai Sacerdoti il necessario per l'oggi, ma perché sia provveduto anche al futuro, con quel sistema di previdenza, che già vige e tanto lodiamo nelle altre classi, e che assicurano una conveniente assistenza nei casi di malattia, di invalidità e di vecchiaia. In tal modo voi solleverete i Sacerdoti dalle preoccupazioni derivanti dall'incertezza dell'avvenire.

 

Encomio del Clero che soccorre i confratelli di Sacerdozio

Al qual proposito, esprimiamo il Nostro paterno compiacimento a tutti quei Sacerdoti che, anche a costo di sacrifici, sono venuti e vengono incontro alle necessità dei Confratelli bisognosi, specialmente se malati o vecchi.

Così facendo, essi danno una prova luminosa di quella carità vicendevole che Gesù Cristo ha dato come segno distintivo dei suoi discepoli: " In questo tutti conosceranno che siete miei discepoli, se vi aiuterete a vicenda " (Gv 13, 35).

E Ci auguriamo che questi vincoli di fraterna carità si facciano sempre più stretti tra i Sacerdoti di tutte le Nazioni, affinché sia sempre più manifesto che essi, ministri di Dio padre universale, a qualsiasi gente appartengano, sono uniti tra sé dal vincolo della carità.

 

Educare i fedeli a soccorrere il Clero povero

Voi però comprenderete bene che un tale problema non può essere risolto adeguatamente se i fedeli non sentano intimamente il dovere di aiutare il Clero, ciascuno secondo le proprie possibilità, e non si adoperino tutti i mezzi necessari per raggiungere tale scopo.

Perciò fate comprendere ai fedeli commessi alle vostre cure, l'obbligo che essi hanno di venire in soccorso dei propri Sacerdoti che sono nel bisogno: vale sempre la parola del Signore: " L'operaio merita la sua mercede " (Lc 10, 7). Come si potrà attendere un'attività fervida ed alacre dai Sacerdoti quando essi mancano del necessario?

Del resto, i fedeli che trascurano tale dovere, spianano, anche involontariamente, la via ai nemici della Chiesa, che in non pochi paesi cercano appunto di affamare il Clero per poterlo separare dai legittimi Pastori.

 

Obbligo di farlo da parte dei Pubblici Poteri

Anche i Pubblici Poteri, secondo le diverse condizioni dei singoli Paesi, hanno l'obbligo di provvedere ai bisogni del Clero, dalla cui azione la società civile riceve incalcolabili benefici spirituali e morali.

 

Esortazione finale - Riassunto e programma di vita

Ponendo fine alla Nostra esortazione, non possiamo astenerCi dal riassumere e ripetere quanto desideriamo che si imprima sempre più profondamente nell'animo vostro, come programma della vostra vita e della vostra attività.

 

Portare tutte le anime a Gesù

Siamo sacerdoti di Cristo, dobbiamo perciò adoperarci con tutte le forze affinché la Redenzione da lui operata abbia la più efficace applicazione in tutte le anime. Considerate le immense necessità del nostro tempo, dobbiamo fare ogni sforzo per ricondurre a Cristo i fratelli deviati dall'errore od accecati dalle passioni; per illuminare i popoli con la luce della dottrina cristiana, per guidarli secondo i precetti del Vangelo e formarli ad una più perfetta coscienza cristiana, per incitarli infine alle lotte per il trionfo della verità e della giustizia.

 

Trasfondendo la vita attinta da Gesù

Avremo raggiunto la meta prefissa soltanto quando saremo pervenuti alla nostra santificazione, così che potremo trasfondere agli altri la vita che avremo attinto da Cristo.

 

Mostrandosi modelli di bontà

Ad ogni Sacerdote ripetiamo pertanto la parola dell'Apostolo: " Non trascurare la grazia che è in te, che ti è stata data... con l'imposizione delle mani del presbiterio " (1 Tm 4, 14); " mostra te stesso in tutto come modello di bene operare, nella dottrina, nell'integrità, nella gravità; il parlare (sia) sano, comprensibile, affinché l'avversario resti confuso, non avendo nulla da dire contro di noi " (Tt 2, 7.8).

 

Stimare la vocazione e viverla santamente

Diletti figli, fate sommo conto della grazia della vostra vocazione, e vivetela in modo ch'essa produca frutti copiosi in edificazione della Chiesa e per la conversione dei suoi nemici.

 

Rinnovarsi nello spirito in questo Anno Santo

E perché questa Nostra esortazione consegua lo scopo sperato, vi rivolgiamo con particolare affetto queste parole che, ricorrendo l'Anno Santo, sono quanto mai opportune: " Rinnovatevi nello spirito della vostra mente, e rivestitevi dell'uomo nuovo, creato secondo Dio nella giustizia e nella vera santità " (Ef 4, 23.24); " siate imitatori di Dio, come figli bennati, e camminate nell'amore, come Cristo ha amato noi ed ha dato per noi se stesso a Dio oblazione ed ostia " (Ef 5, 1.2); " siate pieni di Spirito Santo, parlando tra voi con inni e salmi e cantici spirituali, cantando e salmeggiando nei vostri cuori al Signore " (Ef 5, 18,19); " vegliando con tutta perseveranza e pregando per tutti i Santi " (Ef 6, 18).

 

Esortazione ad un corso straordinario di esercizi spirituali . . .

Meditando questi incitamenti dell'Apostolo delle Genti, Ci sembra opportuno suggerirvi che, nel corso di questo stesso Anno Santo, facciate un corso straordinaio di esercizi spirituali, in modo che pieni di nuovo fervore di pietà, possiate condurre anche le altre anime all'acquisto dell'indulgenza divina.

 

. .  . e alla fiducia in Maria madre dei Sacerdoti...

Ed infine, quando sperimentate più gravi le difficoltà nel cammino della santità e nell'esercizio del vostro ministero, volgete fiduciosi gli occhi e l'animo a Colei, che è Madre dell'Eterno Sacerdote ed è perciò madre di tutti i Sacerdoti Cattolici. Voi ben conoscete la bontà di questa Madre, anzi in molte regioni siete stati voi gli umili strumenti della misericordia del Cuore Immacolato di Maria nel risvegliare la fede e la carità del popolo cristiano.

Se Maria ama tutti di tenerissimo amore, in modo tutto particolare Essa predilige i Sacerdoti, che sono viva immagine del suo Gesù. Confortatevi al pensiero di questo amore della Madre Divina per ognuno di voi, e sentirete più facili le fatiche della vostra santificazione e del mistero sacerdotale.

 

. . . alla Quale il Santo Padre affida il Clero di tutto il mondo

All'Alma Madre di Dio, mediatrice delle grazie celesti, Noi affidiamo i Sacerdoti di tutto il mondo, affinché, per sua intercessione, Dio faccia scendere una larga effusione del suo Spirito, che spinga tutti i Ministri dell'Altare alla santità e, attraverso il loro ministero, rinnovi spiritualmente la faccia della terra.

 

Benedizione speciale per il Clero perseguitato

Fidenti nel valido patrocinio della Immacolata Vergine Maria per la realizzazione di questi voti, imploriamo l'abbondanza delle divine grazie su tutti, ma specialmente sui Vescovi e sui Sacerdoti i quali, per la doverosa difesa dei diritti e della libertà della Chiesa, soffrono persecuzioni, carceri ed esilio. Noi esprimiamo ad essi il Nostro vivissimo affetto, e li esortiamo con paterno animo perché continuino a dare esempio di fortezza e di virtù sacerdotale.

 

Benedizione per tutti i Sacerdoti

Sia auspicio di queste celesti grazie e testimonianza della Nostra paterna benevolenza, la Benedizione Apostolica che impartiamo di gran cuore a Voi tutti e singoli, Venerabili Fratelli, ed a tutti i vostri Sacerdoti.

 

Dato in Roma, presso San Pietro, il 23 settembre dell'Anno Santo 1950, decimosecondo del Nostro Pontificato.

 

PIUS PP. XII

 

Tuesday, 24 May 2022

Tuesday's Serial: “The Blind Spot” by Austin Hall and Homer Eon Flint (in English) - VI

XV. — AGAIN THE NERVINA

It was at this point that I began taking notes. There is something psychological to the Blind Spot, weird and touching on the spirit. I know not what it is; but I can feel it. It impinges on to life. I can sense the ecstasy of horror. I am not afraid. Whatever it is that is dragging me down, it is not evil. My sensations are not normal.

For the benefit of my successor, if there is to be one, I have made an elaborate detail of notes and comments. After all, the whole thing, when brought down to the end, must fall to the function of science. When Hobart arrives, whatever my fate, he will find a complete and comprehensive record of my sensations. I shall keep it up to the end. Such notes being dry and sometimes confusing I have purposely omitted them from this narrative. But there are some things that must be given to the world. I shall pick out the salient parts and give them chronologically.

Jerome stayed with me. Rather I should say he spent the nights with me. Most of the time he was on the elusive trail of the Rhamda. From the minute of our conversation with Kennedy he held to one conviction. He was positive of that chemist back in the nineties. He was certain of the Rhamda. Whatever the weirdness of his theory it would certainly bear investigation. When he was not on the trail over the city he was at work in the cellar. Here we worked together.

We dug up the concrete floor and did a bit of mining. I was interested in the formation.

From the words of Budge Kennedy the bit of jewel had been discovered at the original excavation. We found the blue clay that he spoke of, but nothing else. Jerome dissected every bit of earth carefully. We have spent many hours in that cellar.

But most of the time I was alone. When not too worn with the loneliness and weariness I worked at my notes. It has been a hard task from the beginning. Inertia, lack of energy! How much of our life is impulse! What is the secret that backs volition? It has been will—will-power from the beginning. I must thank my ancestors. Without the strength and character built up through generations, I would have succumbed utterly.

Even as it is I sometimes think I am wrong in following the dictates of Watson. If I were only sure. I have pledged my word and my honour. What did he know? I need all the reserve of character to hold up against the Nervina. From the beginning she has been my opponent. What is her interest in the Blind Spot and myself? Who is she? I cannot think of her as evil. She is too beautiful, too tender; her concern is so real. Sometimes I think of her as my protector, that it is she, and she alone who holds back the power which would engulf me. Once she made a personal appeal.

Jerome had gone. I was alone. I had dragged myself to the desk and my notes and data. It was along toward spring and in the first shadows of the early evening. I had turned on the lights. It was the first labour I had done for several days. I had a great deal of work before me. I had begun sometime before to take down my temperature. I was careful of everything now, as much as I could be under the depression. So far I had discerned nothing that could be classed as pathological.

There is something subtle about the Nervina. She is much like the Rhamda. Perhaps they are the same. I hear no sound, I have no notion of a door or entrance. Watson had said of the Rhamda, “Sometimes you see him, sometimes you don't.” It is so with the Nervina. I remember only my working at the data and the sudden movement of a hand upon my desk—a girl's hand. It was bewildering. I looked up.

I had not seen her since that night. It was now eight months—did I not know, I would have recorded them as years. Her expression was a bit more sad—and beautiful. The same wonderful glow of her eyes, night-black and tender; the softness that comes from passion, and love, and virtue. The same wistful droop of the perfect mouth. What a wondrous mass of hair she had! I dropped my pen. She took my hand. I could sense the thrill of contact; cool and magnetic.

“Harry!”

She said no more; I did not answer; I was too taken by surprise and wonder. I could feel her concern as I would a mother's. What was her interest in myself? The contact of her hand sent a strange pulse through my vitals; she was so beautiful. Could it be? Watson said he loved her. Could I blame him?

“Harry,” she asked, “how long is it to continue?”

So that was it. Merely an envoy to accept surrender. I was worn utterly, weary of the world, lonely. But I hadn't given up. I had strength still, and will enough to hold out to the end. Perhaps I was wrong. If I gave her the ring? what then?

“I am afraid,” I answered, “that I must go on. I have given my word. It has been much harder than I expected. This jewel? What has it to do with the Blind Spot?”

“It controls it.”

“Does the Rhamda desire it?”

“He does.”

“Why doesn't he call for it personally? Why doesn't he make a clean breast of it? It would be much easier. He knows and you know that I am after Dr. Holcomb and Watson. I might even forego the secret. Would he release the doctor?”

“No, Harry, he would not.”

“I see. If I gave up the ring it would be merely for my personal safety. I am a coward—”

“Oh,” she said, “don't say that. You must give the ring to me—not to the Rhamda. He must not control the Blind Spot.”

“What is the Blind Spot? Tell me.”

“Harry,” she spoke, “I cannot. It is not for you or any other mortal. It is a secret that should never have been uncovered. It might be the end. In the hands of the Rhamda it would certainly be the end of mankind.”

“Who is the Rhamda? Who are you? You are too beautiful to be merely woman. Are you a spirit?”

She pressed my hand ever so slightly. “Do I feel like a spirit? I am material as much as you are. We live, see—everything.”

“But you are not of this world?”

Her eyes grew sadder; a soft longing.

“Not exactly, Harry, not exactly. It is a long story and a very strange one. I may not tell you. It is for your own good. I am your friend”—her eyes were moist—“I—don't you see? Oh, I would save you!”

I did not doubt it. Somehow she was like a girl of dreams, pure as an angel; her wistfulness only deepened her beauty. It came like a shock at the moment. I could love this woman. She was—what was I thinking? My guilty mind ran back to Charlotte. I had loved her since boyhood. I would be a coward—then a wild fear. Perhaps of jealousy.

“The Rhamda? Is he your husband? You are the same—”

“Oh,” she answered, “why do you say it?” Her eyes snapped and she grew rigid. “The Rhamda! My husband! If you only knew. I hate him! We are enemies. It was he who opened the Blind Spot. I am here because he is evil. To watch him. I love your world, I love it all. I would save it. I love—”

She dropped her head. Whatever she was, she was not above sobbing.

I touched her hair; it was of the softest texture I have ever seen; the lustre was like all the beauty of night woven into silk. She loved, loved; I could love—I was on the point of surrender.

“Tell me,” I asked, “just one thing more. If I gave you this ring would you save the doctor and Chick Watson?”

She raised her head; her eyes glistened; but she did not answer.

“Would you?”

She shook her head. “I cannot,” she answered. “That cannot be. I can only save you for—for—Charlotte.”

Was it vanity in myself? I don't know. It seemed to me that it was hard for her to say it. Frankly, I loved her. I knew it. I loved Charlotte. I loved them both. But I held to my purpose.

“Are the professor and Watson living?”

“They are.”

“Are they conscious?”

She nodded. “Harry,” she said, “I can tell you that. They are living and conscious. You have seen them. They have only one enemy—the Rhamda. But they must never come out of the Blind Spot. I am their friend and yours.”

A sudden courage came upon me. I remembered my word to Watson. I had loved the old professor. I would save them. If necessary I would follow to the end. Either myself or Fenton. One of us would solve it!

“I shall keep the ring,” I said. “I shall avenge them. Somehow, somewhere, I feel that I shall do it. Even if I must follow—”

She straightened at that. Her eyes were frightened.

“Oh,” she said, “why do you say it? It must not be! You would perish! You shall not do it! I must save you. You must not go alone. Three—it may not be. If you go, I go with you. Perhaps—oh, Harry!”

She dropped her head again; her body shook with her sobbing; plainly she was a girl. No real man is ever himself in the presence of a woman's tears. I was again on the point of surrender. Suddenly she looked up.

“Harry,” she spoke sadly, “I have just one thing to ask. You must see Charlotte. You must forget me; we can never—you love Charlotte. I have seen her; she's a beautiful girl. You haven't written. She is worried. Remember what you mean to her happiness. Will you go?”

That I could promise.

“Yes, I shall see Charlotte.”

She rose from her chair. I held her hand. Again, as in the restaurant, I lifted it to my lips. She flushed and drew it away. She bit her lip. Her beauty was a kind I could not understand.

“You must see Charlotte,” she said, “and you must do as she says.”

With that she was gone. There was a car waiting; the last I saw was its winking tail-light dimming into the darkness.

 

 

XVI. — CHARLOTTE

Left alone, I began thinking of Charlotte. I loved her; of that I was certain. I could not compare her with the Nervina. She was like myself, human. I had known her since boyhood. The other was out of the ether; my love for her was something different; she was of dreams and moonbeams; there was a film about her beauty, illusion; she was of spirit.

I wrote a note to the detective and left it upon my desk. After that I packed a suitcase and hurried to the station. If I was going I would do it at once, I could not trust myself too far. This visit had been like a breath of air; for the moment I was away from the isolation. The loneliness and the weariness! How I dreaded it! I was only free from it for a few moments. On the train it came back upon me and in a manner that was startling.

I had purchased my ticket. When the conductor came through he passed me. He gathered tickets all about me; but he did not notice me. At first I paid no attention; but when he had gone through the car several times I held up my ticket. He did not stop. It was not until I had touched him that he gave me a bit of attention.

“Where have you been sitting?” he asked.

I pointed to the seat. He frowned slightly.

“There?” he asked. “Did you say you were sitting in that seat? Where did you get on?”

“At Townsend.”

“Queer,” he answered; he punched the ticket. “Queer. I passed that seat several times. It was empty!”

Empty! It was almost a shock. Could it be that my isolation was becoming physical as well as mental? What was this gulf that was widening between myself and my fellows?

It was the beginning of another phase. I have noticed it many times; on the street, in public places, everywhere. I thread in and out among men. Sometimes they see me, sometimes they don't. It is strange. I feel at times as though I might be vanishing out of the world!

It was late when I reached my old home; but the lights were still burning. My favourite dog, Queen, was on the veranda. As I came up the steps she growled slightly, but on recognition went into a series of circles about the porch. My father opened the door. I stepped inside. He touched me on the shoulder, his jaw dropped.

“Harry!” he exclaimed.

Was it as bad as that? How much meaning may be placed in a single intonation! I was weary to the point of exhaustion. The ride upon the train had been too much.

My mother came in. For some moments I was busy protesting my health. But it was useless; it wasn't until I had partaken of a few of the old nostrums that I could placate her.

“Work, work, work, my boy,” said my father, “nothing but work. It really won't do. You're a shadow. You must take a vacation. Go to the mountains; forget your practice for a short time.”

I didn't tell them. Why should I? I decided right then it was my own battle. It was enough for me without casting the worry upon others. Yet I could not see Charlotte without calling on my parents.

As soon as possible I crossed the street to the Fentons'. Someone had seen me in town. Charlotte was waiting. She was the same beautiful girl I had known so long; the blue eyes, the blonde, wavy mass of hair, the laughing mouth and the gladness. But she was not glad now. It was almost a repetition of what had happened at home, only here a bit more personal. She clung to me almost in terror. I didn't realise I had gone down so much. I knew my weariness; but I hadn't thought my appearance so dejected. I remembered Watson. He had been wan, pale, forlorn. After what brief explanation I could give, I proposed a stroll in the moonlight.

It was a full moon; a wonderful night; we walked down the avenue under the elm trees. Charlotte was beautiful, and worried; she clung to my arm with the eagerness of possession. I could not but compare her with Nervina. There was a contrast; Charlotte was fresh, tender, affectionate, the girl of my boyhood. I had known her all my life; there was no doubt of our love.

Who was the other? She was something higher, out of mystery, out of life—almost—out of the moonbeams. I stopped and looked up. The great full orb was shining. I didn't know that I spoke.

“Harry,” asked Charlotte, “who is the Nervina?”

Had I spoken?

“What do you know about the Nervina?” I asked.

“She has been to see me. She told me. She said you would be here tonight. I was waiting. She is very beautiful. I never saw anyone like her. She is wonderful!”

“What did she say?”

“She! Oh, Harry. Tell me. I have waited. Something has happened. Tell me. You have told me nothing. You are not like the old Harry.”

“Tell me about the Nervina. What did she say? Charlotte, tell me everything. Am I so much different from the old Harry?”

She clutched at my arm fearfully; she looked into my eyes.

“Oh,” she said, “how can you say it? You haven't laughed once. You are melancholy; you are pale, drawn, haggard. You keep muttering. You are not the old Harry. Is it this Nervina? At first I thought she loved you; but she does not. She wanted to know all about you, and about our love. She was so interested. What is this danger?”

I didn't answer.

“You must tell me. This ring? She said that you must give it to me. What is it?” she insisted.

“Did she ask that? She told you to take the ring? My dear,” I asked, “if it were the ring and it were so sinister would I be a man to give it to my loved one?”

“It would not hurt me.”

But I would not. Something warned me. It was a ruse to get it out of my possession. The whole thing was haunting, weird, ghostly. Always I could hear Watson. I still had a small quota of courage and will-power. I clung steadfastly to my purpose.

It was a sad three hours. Poor Charlotte! I shall never forget it. It is the hardest task on earth to deny one's loved one.

She had grown into my heart and into its possession. She clung to me tenderly, tearfully. I could not tell her. Her feminine instinct sensed disaster. In spite of her tears I insisted. When I kissed her goodnight she did not speak. But she looked up at me through her tears. It was the hardest thing of all for me to bear.

 

 

XVII. — THE SHEPHERD

When I returned to the city next morning I took my dog. It was a strange whim; but one which was to lead to a remarkable development. I have always been a lover of dogs. I was lonely. There is a bond between a dog and his master. It goes beyond definition; it roots down into nature. I was to learn much.

She was an Australian shepherd. She was of a tawny black and bob-tailed from birth.

What is the power that lies behind instinct? How far does it go? I had a notion that the dog would be outside the sinister clutch that was dragging me under.

Happily Jerome was fond of dogs. He was reading. When I entered with Queen tugging at the chain he looked up. The dog recognised the heart of the man; when he stooped to pet her she moved her stub tail in an effusion of affectionate acceptance. Jerome had been reading Le Bon's theory on the evolution of force. His researches after the mystery had led him into the depths of speculation; he had become quite a scholar. After our first greeting I unhooked the chain and let Queen have the freedom of the house. I related what had happened. The detective closed the book and sat down. The dog waited a bit for further petting; but missing that she began sniffing about the room. There was nothing strange about it of course. I myself paid not the slightest attention. But the detective was watching. While I was telling my story he was following every movement of the shepherd. Suddenly he held up one finger. I turned.

It was Queen. A low growl, guttural and suspicious. She was standing about a foot from the portieres that separated the library from the other room—where we had lost Watson, and where Jerome had had his experience with the old lady. Tense and rigid, one forepaw held up stealthily, her stub tail erect and the hair along her back bristled. Again the low growl. I caught Jerome's eyes. It was queer.

“What is it, Queen?” I spoke.

At the sound of my voice she wagged her tail and looked round, then stepped between the curtains. Just her head. She drew back; her lips drawn from her teeth, snarling. She was rigid, alert, vitalised. Somehow it made me cold. She was a brave dog; she feared nothing. The detective stepped forward and pulled the curtains apart. The room was empty. We looked into each other's faces. What is there to instinct? What is its range? We could see nothing.

But not to the dog. Her eyes glowed. Hate, fear, terror, her whole body rigid.

“I wonder,” I said. I stepped into the room. But I hadn't counted on the dog. With a yelp she was upon me, had me by the calf of the leg and was drawing me back. She stepped in front of me; a low, guttural growl of warning. But there was nothing in that room; of that we were certain.

“Beats me,” said the detective. “How does she know? Wonder if she would stop me?” He stepped forward. It was merely a repetition. She caught him by the trouser-leg and drew him back. She crowded us away from the curtain. It was almost magnetic. We could see nothing, neither could we feel; was it possible that the dog could see beyond us? The detective spoke first:

“Take her out of the room. Put her in the hall; tie her up.”

“What's the idea?”

“Merely this; I am going to examine the room. No, I am not afraid. I'll be mighty glad if it does catch me. Anything so long as I get results.”

But it did us no good. We examined the room many times that night; both of us. In the end there was nothing, only the weirdness and uncertainty and the magnetic undercurrent which we could feel, but could not fathom. When we called in the dog she stepped to the portieres and commenced her vigil. She crouched slightly behind the curtains, alert, ready, waiting, at her post of honour. From that moment she never left the spot except under compulsion. We could hear her at all times of the night; the low growl, the snarl, the defiance.

But there was a great deal more that we were to learn from the dog. It was Jerome who first called my attention. A small fact at the beginning; but of a strange sequence. This time it was the ring. Queen had the habit that is common to most dogs; she would lick my hand to show her affection. It was nothing in itself; but for one fact—she always chose the left hand. It was the detective who first noticed it. Always and every opportunity she would lick the jewel. We made a little test to try her. I would remove the ring from one hand to the other; then hold it behind me. She would follow.

It was a strange fact; but of course not inexplicable. A scent or the attraction of taste might account for it. However, these little tests led to a rather remarkable discovery.

One night we had called the dog from her vigil. As usual she came to the jewel; by chance I pressed the gem against her head. It was a mere trifle; yet it was of consequence. A few minutes before I had dropped a handkerchief on the opposite side of the room; I was just thinking about picking it up. It was only a small thing, yet it put us on the track of the gem's strangest potency. The dog walked to the handkerchief. She brought it back in her mouth. At first I took it for a pure coincidence. I repeated the experiment with a book. The same result. I looked up at Jerome.

“What's the matter?” Then when I explained: “The dickens! Try it again.”

Over and over again we repeated it, using different articles, pieces of which I was certain she didn't know the name. There was a strange bond between the gem and the intelligence, some strange force emanating from its lustre. On myself it was depressing; on the dog it was life itself. At last Jerome had an inspiration.

“Try the Rhamda,” he said; “think of him. Perhaps—”

It was most surprising. Certainly it was remarkable. It was too much like intelligence; a bit too uncanny. At the instant of the thought the dog leaped backward.

Such a strange transformation; she was naturally gentle. In one instant she had gone mad. Mad? Not in the literal interpretation; but figuratively. She sprang back, snapping; her teeth bared, her hair bristled. Her nostrils drawn. With one bound she leaped between the curtains.

Jerome jumped up. With an exclamation he drew the portieres. I was behind him. The dog was standing at the edge of the room, bristling.

The room was empty. What did she see? What?

One thing was certain. Though we were sure of nothing else we were certain of the Rhamda. We could trust the canine's instinct. Every previous experiment we had essayed had been crowned with success. We had here a fact but no explanation. If we could only put things together and extract the law.

It was late when we retired. I could not sleep. The restlessness of the dog held back my slumber. She would growl sullenly, then stir about for a new position; she was never quite still. I could picture her there in the library, behind the curtains, crouched, half resting, half slumbering, always watching. I would awaken in the night and listen; a low guttural warning, a sullen whine—then stillness. It was the same with my companion. We could never quite understand it. Perhaps we were a bit afraid.

But one can become accustomed to almost anything. It went on for many nights without anything happening, until one night.

It was dark, exceedingly dark, with neither moon nor starlight; one of those nights of inky intenseness. I cannot say just exactly what woke me. The house was strangely silent and still; the air seemed stretched and laden. It was summer. Perhaps it was the heat. I only knew that I woke suddenly and blinked in the darkness.

In the next room with the door open I could hear the heavy breathing of the detective. A heavy feeling lay against my heart. I had grown accustomed to dread and isolation; but this was different. Perhaps it was premonition. I do not know. And yet I was terribly sleepy; I remember that.

I struck a match and looked at my watch on the bureau—twelve thirty-five. No sound—not even Queen—not even a rumble from the streets. I lay back and dropped into slumber. Just as I drifted off to sleep I had a blurring fancy of sound, guttural, whining, fearful—then suddenly drifting into incoherent rumbling phantasms—a dream. I awoke suddenly. Someone was speaking. It was Jerome.

“Harry!”

I was frightened. It was like something clutching out of the darkness. I sat up. I didn't answer. It wasn't necessary. The incoherence of my dream had been external. The library was just below me. I could hear the dog pacing to and fro, and her snarling. Snarling? It was just that. It was something to arouse terror.

She had never growled like that—I was positive, I could hear her suddenly leap back from the curtains. She barked. Never before had she come to that. Then a sudden lunge into the other room—a vicious series of snapping barks, yelps—pandemonium—I could picture her leaping—at what? Then suddenly I leaped out of bed. The barks grew faint, faint, fainter—into the distance.

In the darkness I couldn't find the switch. I bumped into Jerome. We were lost in our confusion. It was a moment before we could find either a match or a switch to turn on the lights. But at last—I shall not forget that moment; nor Jerome. He was rigid; one arm held aloft, his eyes bulged out. The whole house was full of sound—full-toned—vibrant—magnetic. It was the bell.

I jumped for the stairway, but not so quick as Jerome. With three bounds we were in the library with the lights on. The sound was running down to silence. We tore down the curtains and rushed into the room. It was empty!

There was not even the dog. Queen had gone! In a vain rush of grief I began calling and whistling. It was an overwhelming moment. The poor, brave shepherd. She had seen it and rushed into its face.

It was the last night I was to have Jerome. We sat up until daylight. For the thousandth time we went over the house in detail, but there was nothing. Only the ring. At the suggestion of the detective I touched the match to the sapphire. It was the same. The colour diminishing, and the translucent corridors deepening into the distance; then the blur and the coming of shadows—the men, Watson and the professor—and my dog.

Of the men, only the heads showed; but the dog was full figure; she was sitting, apparently on a pedestal, her tongue was lolling out of her mouth and her face of that gentle intelligence which only the Australian shepherd is heir to. That is all—no more—nothing. If we had hoped to discover anything through her medium we were disappointed. Instead of clearing up, the whole thing had grown deeper.

I have said that it was the last night I was to have Jerome. I didn't know it then. Jerome went out early in the morning. I went to bed. I was not afraid in the daylight. I was certain now that the danger was localised. As long as I kept out of that apartment I had nothing to fear. Nevertheless, the thing was magnetic. A subtle weirdness pervaded the building. I did not sleep soundly. I was lonely; the isolation was crowding on me. In the afternoon I stepped out on the streets.

I have spoken of my experience with the conductor. On this day I had the certainty of my isolation; it was startling. In the face of what I was and what I had seen it was almost terrifying. It was the first time I thought of sending for Hobart. I had thought I could hold out. The complete suddenness of the thing set me to thinking. I thought of Watson. It was the last phase, the feebleness, the wanness, the inertia! He had been a far stronger man than I in the beginning.

I must cable Fenton. While I had still an ego in the presence of men, I must reach out for help. It was a strange thing and inexplicable. I was not invisible. Don't think that. I simply did not individualise. Men didn't notice me—till I spoke. As if I was imperceptibly losing the essence of self. I still had some hold on the world. While it remained I must get word to Hobart. I did not delay. Straight to the office I went and paid for the cable.

 

CANNOT HOLD OUT MUCH LONGER. COME AT ONCE.—HARRY.

 

I was a bit ashamed. I had hoped. I had counted upon myself. I had trusted in the full strength of my individuality. I had been healthy—strong—full blooded. On the fullness of vitality one would live forever. There is no tomorrow. It was not a year ago. I was eighty. It had been so with Watson. What was this subtle thing that ate into one's marrow? I had read of banshees, lemures and leprechauns; they were the ghosts and the fairies of ignorance but they were not like this. It was impersonal, hidden, inexorable. It was mystery. And I believed that it was Nature.

I know it now. Even as I write I can sense the potency of the force about me. Some law, some principle, some force that science has not uncovered.

What is that law that shall bridge the chaos between the mystic and the substantial? I am standing on the bridge; and I cannot see it. What is the great law that was discovered by Dr. Holcomb? Who is the Rhamda? Who is the Nervina?

Jerome has not returned. I cannot understand it. It has been a week. I am living on brandy—not much of anything else—I am waiting for Fenton. I have taken all my elaborations and notes and put them together. Perhaps I—

(This is the last of the strange document left by Harry Wendel. The following memorandum is written by Charlotte Fenton.)

Saturday, 21 May 2022

Good Reading: letter from Father Thomas R. D. Byles to Thomas Roussel (in English)

 Dear Roussel,

 

Thanks for your letter. I have ordered last weeks Church Times but it has not yet arrived...

I do not remember exactly what I said the other day, but I do not think you yet know the full extent of my difficulty.

My difficulty is something like this.--Our Lord taught 1900 yrs. ago in a country known as Palestine, for about the space of three years. After that time He ascended into Heaven, but before doing that He made provision for the teaching of posterity the words which He had spoken. A great many of these words have since been written down by Evangelists under the guidance of the Holy Ghost. That this is not sufficient of itself we see by the fact that whereas one man who receives the Holy Scripture as the inspired Word of God professes to find from that Scripture one thing, another man professes to find quite another thing, and yet both alike profess to find it after prayer, and under the guidance of the Holy Ghost. Take for instance the question of the Real Presence in the Most Blessed Sacrament of the Altar. Here, O'Bardsy, Vicar of St. Peter's, Bdfd., tells his congregation that in the Holy Eucharist they do not really & truly receive the Body and Blood of our Lord, whilst in the neighboring parish of St. Mary Magdalene's, Wm. Redhead, the Vicar, tells his congregation that in the Holy Eucharist they do really and truly receive the Body and the Blood of our Lord. Now both of these men profess to have found their respective doctrines from the same source, and under the same guidance. But it is perfectly obvious that one of them must be in the wrong. Which of them is it?

Now as I have said, our Lord did make provision for the teaching of His people after he was gone. He did establish a Church which should teach the world that which is contained in Holy Scripture, & should be able to decide, if necessary, what was the meaning of any disputed passage, and should be able to solve any doubts and difficulties of any of its members. Now this was a great work for Him to give to His Church, but He also made it able to do it. He did send it the promised Comforter whom he promised would remain with it always (St. John XIV. 16). And again, when He sent them out to preach, He promised that He Himself would be with them...

This Church then must be at the present time in existence & always have existed since the time when Our Lord founded it.

Nextly -- How are we to recognize it? We are told - By their fruits ye shall know them.

So I next try to find out what would the characteristics of such a Church be?

The first thing I find is that whatever it teaches must be absolutely true. The Holy Ghost dwells within it. Our Lord Himself abides with it -- therefore whatever it teaches is true, for if not it must be untrue, and God cannot back up what is not true, for if He did He would cease to be God. It must then be Infallible.

If then it is infallible it must be one, for ... It cannot be divided -- "A house that is divided against itself cannot stand." It must be absolutely uniform on all matters of Doctrine (F[athe]r['s] objection about Card. Newman's ..... does not touch this for it was not a matter of doctrine, but merely a policy).

It must be Catholic and Apostolic.

Now let me look at the different views on the Catholic Church held by those who call themselves Catholics.

The Anglicans maintain that the Church consists of different "branches". The "English Church" is one, the "Roman Church" another, and the "Eastern Churches" others. Now they admit that all these "branches" differ amongst each other on certain points of doctrine. For instance, on the question of Transubstantiation, or on the question of Purgatory & Indulgences. Are they then one? Yet no Anglican dares to say that his branch alone is Catholic, and others are heretical. Again, why does not the whole Church speak, and say which is right? Our Lord is still with it, for He promised to be with it always. The Holy Ghost still dwells in it, and animates it. Can the Church ever cease to teach whilst there are still doubts & difficulties to overcome?

Now the "Roman" view on the other hand, says that the Church must be one. But in order to secure it being one, Our Lord provided it with a visible Head, without which, the Roman Catholics claim there can be no true unity. Those who do not recognize this one Head are outside the Church, just as much as a branch cut off from a tree is no longer a part of the tree. Now when I look at this view I do find that the Church, according to the Roman view of it, has always been one, for it has always looked to the Pope for guidance, & has accepted as true what has been taught by the Pope. The Church, according to this view of it, must be one for the Pope cannot at some time make two directly opposite statements, nor, the Roman Catholics claim, can he at different times teach different doctrines, for he speaks only as the mouthpiece (so to speak) of the Church, and therefore at the bidding of the Holy Ghost who is the life & soul of the Church.

The Doctrine on infallibility of the Pope follows from the Doctrine on the Infallibility of the Church, once the Roman Catholic view of the Church is accepted. There can be no doubt, I think, that a Church bearing the characteristics which the Roman Catholics claim belong to the Church, has existed from the time of the Apostles themselves. And that this Church has always called itself the Catholic Church (& always did acknowledge the English Church to be part of it, until the English Church at the Reformation denied the Supremacy of the Pope.) And we know well enough that it does exist, and that it is in a flourishing condition at the present time.

It seems to me that Anglo-Catholics (so-called) profess that they teach what has been taught by the whole Church, but that each man is to use his own private judgement as to what has been taught by the Church.

Roman Catholics (so-called), on the other hand, look to their bishops to know what is the Church's teaching, and the Bishops to the Pope. So that according to the Roman Catholic view, a man has only to use his private judgment when he declares himself to be a Catholic or no.

Thus I find two views. -- If one be true, the Church is a disunited body. If the other is true, the Church is a United body. Which am I to accept?

The direct arguments as to the Supremacy of the Bp. of Rome, which have especially appealed to me, I think, I gave pretty fully in my last letter.

As to whether St. Peter was even Bp. of Rome seems to me to be sufficiently answered by the fact that it was never questioned until three or four centuries ago. There are other arguments -- perhaps better ones -- which I have not time to go into now.

 

With much love

Believe me,

Yr. very loving brother

Wm. Byles

Friday, 20 May 2022

Friday's Sung Word: "Nunca... Jamais" by Noel Rosa (in Portuguese)

Meu bem,
Não me faça sofrer
Tu queres ter
Liberdade demais
Os homens
Tu conquistas um por um
Sem amar nenhum
Não, não pode ser
Nunca... jamais
Em tempo algum

Qualquer dia eu morro de um acesso
Só por ver o teu processo
De iludir os coronéis
Qualquer dia eu perco a paciência
Digo uma inconveniência
E depois te meto os pés
E vou pagar vinte mil réis

Deste a todo mundo tua mão
E teu pobre coração
Mas parece uma estalagem
Para salvação o que desejo
É mandar fazer o despejo
Pra poder descer bagagem
Mas é preciso ter coragem

Nada de ti posso aproveitar
Nada tens para me dar
Nem tens nota pra pintura
Todo mundo sabe que és pobre
Não herdaste o sangue nobre
E abusaste da feiúra
Pra quem é pobre a lei é dura.

 

 You can listen "Nunca... Jamais" sung by Noel Rosa here.