Tuesday, 21 November 2023

Tuesday's Serial: “Convivio” by Dante Alighieri (in Italian) - II

 

Capitolo IX.

1. Da tutte le tre sopra notate condizioni, che convegnono concorrere acciò che sia nel beneficio la pronta liberalitade, era lo comento latino [lontano], e lo volgare è con quelle, sì come si può manifestamente così contare. 2. Non avrebbe lo latino così servito a molti: chè se noi reducemo a memoria quello che di sovra è ragionato, li litterati fuori di lingua italica non averebbono potuto avere questo servigio, e quelli di questa lingua, se noi volemo bene vedere chi sono, troveremo che de' mille l'uno ragionevolmente non sarebbe stato servito; però che non l'averebbero ricevuto, tanto sono pronti ad avarizia che da ogni nobilitade d'animo li rimuove, la quale massimamente desidera questo cibo. 3. E a vituperio di loro dico che non si deono chiamare litterati, però che non acquistano la lettera per lo suo uso, ma in quanto per quella guadagnano denari o dignitate; sì come non si dee chiamare citarista chi tiene la cetera in casa per prestarla per prezzo, e non per usarla per sonare. 4. Tornando dunque al principale proposito, dico che manifestamente si può vedere come lo latino averebbe a pochi dato lo suo beneficio, ma lo volgare servirà veramente a molti. 5. Chè la bontà de l'animo, la quale questo servigio attende, è in coloro che per malvagia disusanza del mondo hanno lasciata la litteratura a coloro che l'hanno fatta di donna meretrice; e questi nobili sono principi, baroni, cavalieri, e molt'altra nobile gente, non solamente maschi ma femmine, che sono molti e molte in questa lingua, volgari e non litterati.

6. Ancora, non sarebbe lo latino stato datore d'utile dono, che sarà lo volgare. Però che nulla cosa è utile, se non in quanto è usata, nè è la sua bontade in potenza, che non è essere perfettamente; sì come l'oro, le margarite e li altri tesori che sono sotterrati...; però che quelli che sono a mano de l'avaro sono in più basso loco che non è la terra là dove lo tesoro è nascosto. 7. Lo dono veramente di questo comento è la sentenza de le canzoni a le quali fatto è, la qual massimamente intende inducere li uomini a scienza e a vertù, sì come si vedrà per lo pelago del loro trattato. 8. Questa sentenza non possono non avere in uso quelli ne li quali vera nobilità è seminata per lo modo che si dirà nel quarto trattato; e questi sono quasi tutti volgari, sì come sono quelli nobili che di sopra, in questo capitolo, sono nominati. 9. E non ha contradizione perchè alcuno litterato sia di quelli; chè, sì come dice il mio maestro Aristotile nel primo de l'Etica, «una rondine non fa primavera». È adunque manifesto che lo volgare darà cosa utile, e lo latino non l'averebbe data.

10. Ancora, darà lo volgare dono non dimandato, che non l'averebbe dato lo latino: però che darà se medesimo per comento, che mai non fu domandato da persona; e questo non si può dire de lo latino, che per comento e per chiose a molte scritture è già stato domandato, sì come ne' loro principii si può vedere apertamente in molte. 11. E così è manifesto che pronta liberalitade mi mosse al volgare anzi che a lo latino.

 

Capitolo X.

1. Grande vuole essere la scusa, quando a così nobile convivio per le sue vivande, a così onorevole per li suoi convitati, s'appone pane di biado e non di frumento; e vuole essere evidente ragione che partire faccia l'uomo da quello che per li altri è stato servato lungamente, sì come di comentare con latino. 2. E però vuole essere manifesta la ragione, che de le nuove cose lo fine non è certo; acciò che la esperienza non è mai avuta onde le cose usate e servate sono e nel processo e nel fine commisurate. 3. Però si mosse la Ragione a comandare che l'uomo avesse diligente riguardo ad entrare nel nuovo cammino, dicendo che 'ne lo statuire le nuove cose evidente ragione dee essere quella che partire ne faccia da quello che lungamente è usato'. 4. Non si maravigli dunque alcuno se lunga è la digressione de la mia scusa, ma, sì come necessaria, la sua lunghezza paziente sostenga. 5. La quale proseguendo, dico che - poi ch'è manifesto come per cessare disconvenevole disordinazione e come per prontezza di liberalitade io mi mossi al volgare comento e lasciai lo latino - l'ordine de la intera scusa vuole ch'io mostri come a ciò mi mossi per lo naturale amore de la propria loquela; che è la terza e l'ultima ragione che a ciò mi mosse. 6. Dico che lo naturale amore principalmente muove l'amatore a tre cose: l'una si è a magnificare l'amato; l'altra è ad esser geloso di quello; l'altra è a difendere lui, sì come ciascuno può vedere continuamente avvenire. E queste tre cose mi fecero prendere lui, cioè lo nostro volgare, lo qual naturalmente e accidentalmente amo e ho amato. 7. Mossimi prima per magnificare lui. E che in ciò io lo magnifico, per questa ragione vedere si può; avvegna che per molte condizioni di grandezze le cose si possono magnificare, cioè fare grandi, e nulla fa tanto grande quanto la grandezza de la propia bontade, la quale è madre e conservatrice de l'altre grandezze; 8. onde nulla grandezza puote avere l'uomo maggiore che quella de la virtuosa operazione, che è sua propia bontade, per la quale le grandezze de le vere dignitadi, de li veri onori, de le vere potenze, de le vere ricchezze, de li veri amici, de la vera e chiara fama, e acquistate e conservate sono: 9. e questa grandezza do io a questo amico, in quanto quello elli di bontade avea in podere e occulto, io lo fo avere in atto e palese ne la sua propria operazione, che è manifestare conceputa sentenza.

10. Mossimi secondamente per gelosia di lui. La gelosia de l'amico fa l'uomo sollicito a lunga provedenza. Onde pensando che lo desiderio d'intendere queste canzoni, a alcuno illitterato avrebbe fatto lo comento latino transmutare in volgare, e temendo che 'l volgare non fosse stato posto per alcuno che l'avesse laido fatto parere, come fece quelli che transmutò lo latino de l'Etica - ciò fu Taddeo ipocratista -, providi a ponere lui, fidandomi di me di più che d'un altro. 11. Mossimi ancora per difendere lui da molti suoi accusatori, li quali dispregiano esso e commendano li altri, massimamente quello di lingua d'oco, dicendo che è più bello e migliore quello che questo; partendose in ciò da la veritade. 12. Chè per questo comento la gran bontade del volgare di sì [si vedrà]; però che si vedrà la sua vertù, sì com'è per esso altissimi e novissimi concetti convenevolmente, sufficientemente e acconciamente, quasi come per esso latino, manifestare; [la quale non si potea bene manifestare] ne le cose rimate, per le accidentali adornezze che quivi sono connesse, cioè la rima e lo ri[tim]o e lo numero regolato: sì come non si può bene manifestare la bellezza d'una donna, quando li adornamenti de l'azzimare e de le vestimenta la fanno più ammirare che essa medesima. 13. Onde chi vuole ben giudicare d'una donna, guardi quella quando solo sua naturale bellezza si sta con lei, da tutto accidentale adornamento discompagnata: sì come sarà questo comento, nel quale si vedrà l'agevolezza de le sue sillabe, le proprietadi de le sue co[stru]zioni e le soavi orazioni che di lui si fanno; le quali chi bene agguarderà, vedrà essere piene di dolcissima e d'amabilissima bellezza. 14. Ma però che virtuosissimo è ne la 'ntenzione mostrare lo difetto e la malizia de lo accusatore, dirò, a confusione di coloro che accusano la italica loquela, perchè a ciò fare si muovono; e di ciò farò al presente speziale capitolo, perchè più notevole sia la loro infamia.

 

Capitolo XI.

1. A perpetuale infamia e depressione de li malvagi uomini d'Italia che commendano lo volgare altrui e lo loro proprio dispregiano, dico che la loro mossa viene da cinque abominevoli cagioni. 2. La prima è cechitade di discrezione; la seconda, maliziata escusazione; la terza, cupidità di vanagloria; la quarta, argomento d'invidia; la quinta e ultima, viltà d'animo, cioè pusillanimità. E ciascuna di queste retadi ha sì grande setta, che pochi sono quelli che siano da esse liberi.

3. De la prima si può così ragionare. Sì come la parte sensitiva de l'anima ha suoi occhi, con li quali apprende la differenza de le cose in quanto elle sono di fuori colorate, così la parte razionale ha suo occhio, con lo quale apprende la differenza de le cose in quanto sono ad alcuno fine ordinate: e questa è la discrezione. 4. E sì come colui che è cieco de li occhi sensibili va sempre secondo che li altri [il guidano, o] male [o] bene, così colui che è cieco del lume della discrezione sempre va nel suo giudicio secondo il grido, o diritto o falso; onde qualunque ora lo guidatore è cieco, conviene che esso e quello, anche cieco, ch'a lui s'appoggia, vegnano a mal fine. Però è scritto che «'l cieco al cieco farà guida, e così cadranno ambedue ne la fossa». 5. Questa grida è stata lungamente contro a nostro volgare, per le ragioni che di sotto si ragioneranno, appresso di questa. E li ciechi sopra notati, che sono quasi infiniti, con la mano in su la spalla a questi mentitori, sono caduti ne la fossa de la falsa oppinione, de la quale uscire non sanno. 6. De l'abito di questa luce discretiva massimamente le populari persone sono orbate; però che, occupate dal principio de la loro vita ad alcuno mestiere, dirizzano sì l'animo loro a quello per forza de la necessitate, che ad altro non intendono. 7. E però che l'abito di vertude, sì morale come intellettuale, subitamente avere non si può, ma conviene che per usanza s'acquisti, ed ellino la loro usanza pongono in alcuna arte e a discernere l'altre cose non curano, impossibile è a loro discrezione avere. 8. Per che incontra che molte volte gridano Viva la loro morte, e Muoia la loro vita, pur che alcuno cominci; e quest'è pericolosissimo difetto ne la loro cechitade. Onde Boezio giudica la populare gloria vana, perchè la vede sanza discrezione. 9. Questi sono da chiamare pecore, e non uomini; chè se una pecora si gittasse da una ripa di mille passi, tutte l'altre l'andrebbero dietro; e se una pecora per alcuna cagione al passare d'una strada salta, tutte l'altre saltano, eziandio nulla veggendo da saltare. 10. E io ne vidi già molte in uno pozzo saltare per una che dentro vi saltò, forse credendo saltare uno muro, non ostante che 'l pastore, piangendo e gridando, con le braccia e col petto dinanzi a esse si parava.

11. La seconda setta contra nostro volgare si fa per una maliziata scusa. Molti sono che amano più d'essere tenuti maestri che d'essere, e per fuggir lo contrario, cioè di non esser tenuti, sempre danno colpa a la materia de l'arte apparecchiata, o vero a lo strumento; sì come lo mal fabbro biasima lo ferro appresentato a lui, e lo malo citarista biasima la cetera, credendo dare la colpa del mal coltello e del mal sonare al ferro e alla cetera, e levarla a sè. 12. Così sono alquanti, e non pochi, che vogliono che l'uomo li tegna dicitori; e per scusarsi dal non dire o dal dire male accusano e incolpano la materia, cioè lo volgare proprio, e commendano l'altro lo quale non è loro richesto di fabbricare. 13. E chi vuole vedere come questo ferro è da biasimare, guardi che opere ne fanno li buoni artefici, e conoscerà la malizia di costoro che, biasimando lui, s[è] credono scusare. 14. Contra questi cotali grida Tullio nel principio d'un suo libro che si chiama Libro di Fine de' Beni, però che al suo tempo biasimavano lo latino romano e commendavano la gramatica greca per simiglianti cagioni che questi fanno vile lo parlare italico e prezioso quello di Provenza.

15. La terza setta contra nostro volgare si fa per cupiditate di vanagloria. Sono molti che per ritrarre cose poste in altrui lingua e commendare quella, credono più essere ammirati che ritraendo quelle de la sua. E sanza dubbio non è sanza loda d'ingegno apprendere bene la lingua strana; ma biasimevole è commendare quella oltre a la verità, per farsi glorioso di tale acquisto.

16. La quarta si fa da uno argomento d'invidia. Sì come è detto di sopra, la invidia è sempre dove è alcuna paritade. Intra li uomini d'una lingua è la paritade del volgare; e perchè l'uno quella non sa usare come l'altro, nasce invidia. 17. Lo invidioso poi argomenta, non biasimando colui che dice di non saper dire, ma biasima quello che è materia de la sua opera, per torre, dispregiando l'opera da quella parte, a lui che dice onore e fama; sì come colui che biasimasse lo ferro d'una spada, non per biasimo dare al ferro, ma a tutta l'opera del maestro.

18. La quinta e ultima setta si muove da viltà d'animo. Sempre lo magnanimo si magnifica in suo cuore, e così lo pusillanimo, per contrario, sempre si tiene meno che non è. 19. E perchè magnificare e parvificare sempre hanno rispetto ad alcuna cosa per comparazione a la quale si fa lo magnanimo grande e lo pusillanimo piccolo, avviene che 'l magnanimo sempre fa minori li altri che non sono, e lo pusillanimo sempre maggiori. 20. E però che con quella misura che l'uomo misura se medesimo, misura le sue cose, che sono quasi parte di se medesimo, avviene che al magnanimo le sue cose sempre paiono migliori che non sono, e l'altrui men buone: lo pusillanimo sempre le sue cose crede valere poco, e l'altrui assai; onde molti per questa viltade dispregiano lo proprio volgare, e l'altrui pregiano. 21. E tutti questi cotali sono li abominevoli cattivi d'Italia che hanno a vile questo prezioso volgare, lo quale, s'è vile in alcuna [cosa], non è se non in quanto elli suona ne la bocca meretrice di questi adulteri; a lo cui condutto vanno li ciechi de li quali ne la prima cagione feci menzione.

 

Capitolo XII.

1. Se manifestamente per le finestre d'una casa uscisse fiamma di fuoco, e alcuno dimandasse se là dentro fosse il fuoco, e un altro rispondesse a lui di sì, non saprei bene giudicare qual di costoro fosse da schernire di più. E non altrimenti sarebbe fatta la dimanda e la risposta di colui e di me, che mi domandasse se amore a la mia loquela propria è in me e io li rispondesse di sì, appresso le su proposte ragioni. 2. Ma tuttavia, e a mostrare che non solamente amore ma perfettissimo amore di quella è in me, e a biasimare ancora li suoi avversarii ciò mostrando a chi bene intenderà, dirò come a lei fui fatto amico, e poi come l'amistà è confermata. 3. Dico che, sì come vedere si può che s[crive] Tullio in quello De Amicitia, non discordando da la sentenza del Filosofo aperta ne l'ottavo e nel nono de l'Etica, naturalmente la prossimitade e la bontade sono cagioni d'amore generative; lo beneficio, lo studio e la consuetudine sono cagioni d'amore accrescitive. E tutte queste cagioni vi sono state a generare e a confortare l'amore ch'io porto al mio volgare, sì come brievemente io mosterrò.

4. Tanto è la cosa più prossima quanto, di tutte le cose del suo genere, altrui è più unita: onde di tutti li uomini lo figlio è più prossimo al padre; di tutte l'arti la medicina è la più prossima al medico, e la musica al musico, però che a loro sono più unite che l'altre; di tutta la terra è più prossima quella dove l'uomo tiene se medesimo, però che è ad esso più unita. 5. E così lo volgare è più prossimo quanto è più unito, che uno e solo è prima ne la mente che alcuno altro, e che non solamente per sè è unito, ma per accidente, in quanto è congiunto con le più prossime persone, sì come con li parenti e con li propri cittadini e con la propria gente. 6. E questo è lo volgare proprio; lo quale è non prossimo, ma massimamente prossimo a ciascuno. Per che, se la prossimitade è seme d'amistà, come detto è di sopra, manifesto è ch'ella è de le cagioni stata de l'amore ch'io porto a la mia loquela, che è a me prossima più che l'altre. 7. La sopra detta cagione, cioè d'essere più unito quello ch'è solo prima in tutta la mente, mosse la consuetudine de la gente, che fanno li primogeniti succedere solamente, sì come più propinqui e perchè più propinqui, più amati.

8. Ancora, la bontade fece me a lei amico. E qui è da sapere che ogni bontade propria in alcuna cosa, è amabile in quella: sì come ne la maschiezza essere ben barbuto, e nella femminezza essere ben pulita di barba in tutta la faccia; sì come nel bracco bene odorare, e sì come nel veltro ben correre. 9. E quanto ella è più propria, tanto ancora è più amabile; onde, avvegna che ciascuna vertù sia amabile ne l'uomo, quella è più amabile in esso che è più umana, e questa è la giustizia, la quale è solamente ne la parte razionale o vero intellettuale, cioè ne la volontade. 10. Questa è tanto amabile, che, sì come dice lo Filosofo nel quinto de l'Etica, li suoi nimici l'amano, sì come sono ladroni e rubatori; e però vedemo che 'l suo contrario, cioè la ingiustizia, massimamente è odiata, sì come è tradimento, ingratitudine, falsitade, furto, rapina, inganno e loro simili. 11. Li quali sono tanto inumani peccati, che ad iscusare sè de l'infamia di quelli, si concede da lunga usanza che uomo parli di sè, sì come detto è di sopra, e possa dire sè essere fedele e leale. 12. Di questa vertù innanzi dicerò più pienamente nel quartodecimo trattato; e qui lasciando, torno al proposito. Provato è adunque la bontà de la cosa più propria [più essere amabile in quella; per che, a mostrare quale in essa è più propria,] è da vedere quella che più in essa è amata e commendata, e quella è essa. 13. E noi vedemo che in ciascuna cosa di sermone lo bene manifestare del concetto sì è più amato e commendato: dunque è questa la prima sua bontade. E con ciò sia cosa che questa sia nel nostro volgare, sì come manifestato è di sopra in altro capitolo, manifesto è ched ella è de le cagioni stata de l'amore ch'io porto ad esso; poi che, sì come detto è, la bontade è cagione d'amore generativa.

 

Capitolo XIII.

1. Detto come ne la propria loquela sono quelle due cose per le quali io sono fatto a lei amico, cioè prossimitade a me e bontà propria, dirò come per beneficio e concordia di studio e per benivolenza di lunga consuetudine l'amistà è confermata e fatta grande.

2. Dico, prima, ch'io per me ho da lei ricevuto dono di grandissimi benefici. E però è da sapere che intra tutti i benefici è maggiore quello che più è prezioso a chi riceve; e nulla cosa è tanto preziosa, quanto quella per la quale tutte l'altre si vogliono; e tutte l'altre cose si vogliono per la perfezione di colui che vuole. 3. Onde con ciò sia cosa che due perfezioni abbia l'uomo, una prima e una seconda - la prima lo fa essere, la seconda lo fa essere buono -, se la propria loquela m'è stata cagione e de l'una e de l'altra, grandissimo beneficio da lei ho ricevuto. E ch'ella sia stata a me d'essere [cagione, e ancora di buono essere] se per me non stesse, brievemente si può mostrare.

4. Non è secondo [lo Filosofo impossibile, sì come dice ne la Fisica al libro secondo] a una cosa esser più cagioni efficienti, avvegna che una sia massima de l'altre; onde lo fuoco e lo martello sono cagioni efficienti de lo coltello, avvegna che massimamente è il fabbro. Questo mio volgare fu congiugnitore de li miei generanti, che con esso parlavano, sì come 'l fuoco è disponitore del ferro al fabbro che fa lo coltello; per che manifesto è lui essere concorso a la mia generazione, e così essere alcuna cagione del mio essere. 5. Ancora, questo mio volgare fu introduttore di me ne la via di scienza, che è ultima perfezione, in quanto con esso io entrai ne lo latino e con esso mi fu mostrato: lo quale latino poi mi fu via a più innanzi andare. E così è palese, e per me conosciuto, esso essere stato a me grandissimo benefattore.

6. Anche, è stato meco d'uno medesimo studio, e ciò posso così mostrare. Ciascuna cosa studia naturalmente a la sua conservazione: onde, se lo volgare per sè studiare potesse, studierebbe a quella; e quella sarebbe acconciare sè a più stabilitade, e più stabilitade non potrebbe avere che in legar sè con numero e con rime. 7. E questo medesimo studio è stato mio, sì come tanto è palese che non dimanda testimonianza. Per che uno medesimo studio è stato lo suo e 'l mio; per che di questa concordia l'amistà è confermata e accresciuta. 8. Anche c'è stata la benivolenza de la consuetudine, chè dal principio de la mia vita ho avuta con esso benivolenza e conversazione, e usato quello diliberando, interpetrando e questionando. 9. Per che, se l'amistà s'accresce per la consuetudine, sì come sensibilmente appare, manifesto è che essa in me massimamente è cresciuta, che sono con esso volgare tutto mio tempo usato. 10. E così si vede essere a questa amistà concorse tutte le cagioni generative e accrescitive de l'amistade: per che si conchiude che non solamente amore, ma perfettissimo amore sia quello ch'io a lui debbo avere e ho.

11. Così rivolgendo li occhi a dietro, e raccogliendo le ragioni prenotate, puotesi vedere questo pane, col quale si deono mangiare le infrascritte canzoni, essere sufficientemente purgato da le macule e da l'essere di biado; per che tempo è d'intendere a ministrare le vivande. 12. Questo sarà quello pane orzato del quale si satolleranno migliaia, e a me ne soperchieranno le sporte piene. Questo sarà luce nuova, sole nuovo, lo quale surgerà là dove l'usato tramonterà, e darà lume a coloro che sono in tenebre e in oscuritade per lo usato sole che a loro non luce.

Saturday, 18 November 2023

Good Reading: "Hamatreya" by Ralph W. Emerson (in English)

 HAMATREYA

Bulkeley, Hunt, Willard, Hosmer, Meriam, Flint,
Possessed the land which rendered to their toil
Hay, corn, roots, hemp, flax, apples, wool and wood.
Each of these landlords walked amidst his farm,
Saying, ''T is mine, my children's and my name's.
How sweet the west wind sounds in my own trees!
How graceful climb those shadows on my hill!
I fancy these pure waters and the flags
Know me, as does my dog: we sympathize;
And, I affirm, my actions smack of the soil.'


Where are these men? Asleep beneath their grounds:
And strangers, fond as they, their furrows plough.
Earth laughs in flowers, to see her boastful boys
Earth-proud, proud of the earth which is not theirs;
Who steer the plough, but cannot steer their feet
Clear of the grave.
They added ridge to valley, brook to pond,
And sighed for all that bounded their domain;
'This suits me for a pasture; that 's my park;
We must have clay, lime, gravel, granite-ledge,
And misty lowland, where to go for peat.
The land is well,—lies fairly to the south.
'T is good, when you have crossed the sea and back,
To find the sitfast acres where you left them.'
Ah! the hot owner sees not Death, who adds
Him to his land, a lump of mould the more.
Hear what the Earth says:—

EARTH-SONG

'Mine and yours;
Mine, not yours.
Earth endures;
Stars abide—
Shine down in the old sea;
Old are the shores;
But where are old men?
I who have seen much,
Such have I never seen.


'The lawyer's deed
Ran sure,
In tail,
To them, and to their heirs
Who shall succeed,
Without fail,
Forevermore.


'Here is the land,
Shaggy with wood,
With its old valley,
Mound and flood.
But the heritors?—
Fled like the flood's foam.
The lawyer, and the laws,
And the kingdom,
Clean swept herefrom.


'They called me theirs,
Who so controlled me;
Yet every one
Wished to stay, and is gone,
How am I theirs,
If they cannot hold me,
But I hold them?'

When I heard the Earth-song
I was no longer brave;
My avarice cooled
Like lust in the chill of the grave.

Friday, 17 November 2023

Friday's Sung Word: "Você é um Colosso (Pisando no Meu Calo)" by Noel and Hélio Rosa (in Portuguese)

Você é um colosso, andou no meu carro
Filou meu almoço, fumou meu cigarro!
Vestiu meu pijama, senti um abalo
Usou minha cama, pisou no meu calo!

E não adianta
Você me pedir perdão!
Depois de você pisar
Meu calo de estimação!

Você é um colosso e não faz chiquê
Enrolou no pescoço o meu cachenês!
Foi no galinheiro, matou o meu galo
Falou em dinheiro, pisou no meu calo!

Você é um colosso, comeu sanduíche
Falando bem grosso que samba é maxixe!
Eu disse: Caramba! Não sou seu vassalo
Falou mal do samba, pisou no meu calo!

 

You can listen "Você é um Colosso (Pisando no Meu Calo)" sung by Aracy de Almeida here.

Thursday, 16 November 2023

Thursday's Serial: “The Dark Other” by Stanley G. Weinbaum - II

 

4 - THE TRANSFIGURATION

The car slid smoothly along a straight white road that stretched ahead into the darkness like an earth-bound Milky Way. In the dim distance before them, red as Antares, glowed the tail-light of some automobile; except for this lone evidence of humanity, reflected Pat, they might have been flashing through the cosmic depths of interstellar space, instead of following a highway in the very shadow of Chicago. The colossal city of the lake-shore was invisible behind them, and the clustering suburbs with it.

"Queer, isn't it?" said Pat, after a silence, "how contented we can be with none of the purchased amusement people crave—shows, movies, dancing, and all that."

"It doesn't seem queer to me," answered Nick. "Not when I look at you here beside me."

"Nice of you!" retorted Pat. "But it's never happened to me before." She paused, then continued, "How do you like the Doctor?"

"How does he like me? That's considerably more to the point, isn't it?"

"He thinks you're nice, but—let's see—introverted, repressed, and ill-adjusted to your environment. I think those were the points."

"Well, I liked him, in spite of your manoeuvers, and in spite of his being a doctor."

"What's wrong with being a doctor?"

"Did you ever read 'Tristram Shandy'?" was Nick's irrelevant response.

"No, but I read the newspapers!"

"What's the connection, Pat?"

"Just as much connection as there is between the evils of being a doctor and reading 'Tristram Shandy'. I know that much about the book, at least."

"You're nearly right," laughed Nick. "I was just referring to one of Tristram's remarks on doctors and lawyers. It fits my attitude."

"What's the remark?"

"Well, he had the choice of professions, and it occurred to him that medicine and law were the vulture professions, since lawyers live by men's quarrels and doctors by men's misfortunes. So—he became a writer."

"And what do writers live by?" queried Pat mischievously. "By men's stupidity!"

"You're precious, Pat!" Nick chuckled delightedly. "If I'd created you to order, I couldn't have planned you more to taste—pepper, tabasco sauce, vinegar, spice, and honey!"

"And to be taken with a grain of salt," retorted the girl, puckering her piquant, impish features. She edged closer to him, locking her arm through his where it rested on the steering wheel.

"Nick," she said, her tones suddenly gentle, "I think I'm pretty crazy about you. Heaven knows why I should be, but it's a fact."

"Pat, dear!"

"I'm crazy about you in this meek, sensitive pose of yours, and I'm fascinated by those masterful moments you flash occasionally. Really, Nick, I almost wish you flamed out oftener."

"Don't!" he said sharply.

"Why not?"

"Let's not talk about me, Pat. It—embarrasses me."

"All right, Mr. Modesty! Let's talk about me, then. I'll promise we won't succeed in embarrassing me."

"And it's quite the most interesting subject in the world, Pat."

"Well, then?"

"What?"

"Why don't you start talking? The topic is all attention."

He chuckled. "How many men have told you you were beautiful, Pat?"

"I never kept account."

"And in many different ways?"

"Why? Have you, perchance, discovered a new way, Nick?"

"Not at all. The oldest way of any, the way of Sappho and Pindar."

"O-ooh!" She clapped her hands in mock delight. "Poetry!"

"The only medium that could possibly express how lovely you are," said Nick.

"Nicholas, have you gone and composed a poem to me?"

"Composed? No. It isn't necessary, with you here beside me."

"What's that? Some very subtle compliment?"

"Not subtle, Pat. You're the poem yourself; all I need do is look at you, listen to you, and translate."

"Neat!" applauded the girl. "Do I hear the translation?"

"You certainly do." He turned his odd amber-green eyes on her, then bent forward to the road. He began to speak in a low voice.

 

"In no far country's silent ways

Shall I forget one little thing—

The soft intentness of your gaze,

The sweetness of your murmuring

Your generously tender praise,

The words just hinted by a breath—

In no far country's silent way,

Unless that country's name be Death—"

 

He paused abruptly, and drove silently onward.

"Oh," breathed Pat. "Why don't you go on, Nick? Please."

"No. It isn't the mood for this night, Dear. Not this night, alone with you."

"What is, then?"

"Nothing sentimental. Something lighter, something—oh, Elizabethan. That's it."

"And what's stopping you?"

"Lack of an available idea. Or—wait. Listen a moment." He began, this time in a tone of banter.

 

"When mornings, you attire yourself

For riding in the city,

You're such a lovely little elf,

Extravagantly pretty!

And when at noon you deign to wear

The habit of the town,

I cannot call to mind as fair

A symphony in brown.

"Then evenings, you blithely don

A daintiness of white,

To flash a very paragon

Of lightsomeness—and light!

But when the rounds of pleasure cease,

And you retire at night,

The Godling on your mantelpiece

Must know a fairer sight!"

 

"Sweet!" laughed Pat. "But personal. And anyway, how do you know I've a godling on my mantel? Don't you credit me with any modesty?"

"If you haven't, you should have! The vision I mentioned ought to enliven even a statue."

"Well," said the girl, "I have one—a jade Buddha, and with all the charms I flash before him nightly, he's never batted an eyelash. Explain that!"

"Easily. He's green with envy, and frozen with admiration, and struck dumb by wonder."

"Heavens! I suppose I ought to be thankful you didn't say he was petrified with fright!" Pat laughed. "Oh Nick," she continued, in a voice gone suddenly dreamy, "this is marvelous, isn't it? I mean our enjoying ourselves so completely, and our being satisfied to be so alone. Why, we've never even danced together."

"So we haven't. That's a subterfuge we haven't needed, isn't it?"

"It is," replied the girl, dropping her glossy gleaming black head against his shoulder. "And besides, it's much more satisfactory to be held in your arms in private, instead of in the midst of a crowd, and sitting down, instead of standing up. But I should like to dance with you, Nick," she concluded.

"We'll go dancing, then, whenever you like."

"You're delightfully complaisant, Nick. But—you're puzzling." She glanced up at him. "You're so—so reluctant. Here we've been driving an hour, and you haven't tried to kiss me a single time, and yet I'm quite positive you care for me."

"Lord, Pat!" he muttered. "You never need doubt that."

"Then what is it? Are you so spiritual and ethereal, or is my attraction for you just sort of intellectual? Or—are you afraid?" As he made no reply, she continued, "Or are those poems you spout about my physical charms just—poetic license?"

"They're not, and you know it!" he snapped. "You've a mirror, haven't you? And other fellows than I have taken you around, haven't they?"

"Oh, I've been taken around! That's what perplexes me about you, Nick. I'd think you were actually afraid of kissing me if it weren't—" Her voice trailed into silence, and she stared speculatively ahead at the ribbon of road that rolled steadily into the headlights' glare.

She broke the interval of wordlessness. "What is it, Nick?" she resumed almost pleadingly. "You've hinted at something now and then. Please—you don't have to hesitate to tell me; I'm modern enough to forgive things past, entanglements, affairs, disgraces, or anything like that. Don't you think I should know?"

"You'd know," he said huskily, "if I could tell you."

"Then there is something, Nick!" She pressed his arm against her. "Tell me, isn't there?"

"I don't know." There was the suggestion of a groan in his voice.

"You don't know! I can't understand."

"I can't either. Please, Pat, let's not spoil tonight; if I could tell you, I would. Why, Pat, I love you—I'm terribly, deeply, solemnly in love with you."

"And I with you, Nick." She gazed ahead, where the road rose over the arch of a narrow bridge. The speeding car lifted to the rise like a zooming plane.

And suddenly, squarely in the center of the road, another car, until now concealed by the arch of the bridge, appeared almost upon them. There was a heart-stopping moment when a collision seemed inevitable, and Pat felt the arm against her tighten convulsively into a bar of steel. She heard her own sobbing gasp, and then, somehow, they had slipped unscathed between the other car and the rail of the bridge.

"Oh!" she gasped faintly, then with a return of breath, "That was nice, Nick!"

Beyond the bridge, the road widened once more; she felt the car slowing, edging toward the broad shoulder of the road.

"There was danger," said her companion in tones as emotionless as the rasping of metal. "I came to save it."

"Save what?" queried Pat as the car slid to a halt on the turf.

"Your body." The tones were still cold, like grinding wheels. "The beauty of your body!"

He reached a thin hand toward her, suddenly seized her skirt and snatched it above the silken roundness of her knees. "There," he rasped. "That is what I mean."

"Nick!" Pat half-screamed in appalled astonishment. "How—" She paused, shocked into abrupt silence, for the face turned toward her was but a remote, evil caricature of Nicholas Devine's. It leered at her out of blood-shot eyes, as if behind the mask of Nick's face peered a red-eyed demon.

 

5 - A FANTASY OF FEAR

The satyr beside pat was leaning toward her; the arm about her was tightening with a brutal ruthlessness, and while still staring in fascination at the incredible eyes, she realized that another arm and a white hand was moving relentlessly, exploratively, toward her body. It was the cold touch of this hand as it slipped over her silk-sheathed legs that broke the chilling spell of her fascination.

"Nick!" she screamed. "Nick!" She had a curious sensation of calling him back from far distances, the while she strove with both hands and all her strength to press him back from her. But the ruthless force of his arms was overcoming her resistance; she saw the red eyes a hand's breadth from her own.

"Nick!" she sobbed in terror.

There was a change. Abruptly, she was looking into Nick's eyes, blood-shot, frightened, puzzled, but indubitably Nick's eyes. The flaming orbs of the demon were no more; it was as if they had receded into Nick's head. The arm about her body relaxed, and they were staring at each other in a medley of consternation, amazement and unbelief. The youth drew back, huddled in his corner of the car, and Pat, breathing in sobs, smoothed out her rumpled apparel with a convulsive movement.

"Pat!" he gasped. "Oh, my God! He couldn't have—" He paused abruptly. The girl gazed at him without reply.

"Pat, Dear," he spoke in a low, tense murmur, "I'm—sorry. I don't know—I don't understand how—"

"Never mind," she said, regaining a vestige of her customary composure. "It's—all right, Nick."

"But—oh, Pat—!"

"It was that near accident," she said. "That upset you—both of us, I mean."

"Yes!" he said eagerly. "That's what it was, Pat. It must have been that, but Dear, can you forgive? Do you want to forgive me?"

"It's all right," she repeated. "After all, you just complimented my legs, and I guess I can stand that. It's happened before, only not quite so—convincingly!"

"You're sweet, Pat!"

"No; I just love you Nick." She felt a sudden pity for the misery in his face. "Kiss me, Nick—only gently."

He pressed his lips to hers, very lightly, almost timidly. She lay back against the seat for a moment, her eyes closed.

"That's you again," she murmured. "This other—wasn't."

"Please, Pat! Don't refer to it,—not ever."

"But it wasn't you, Nick. It was just the strain of that narrow escape. I don't hold it against you."

"You're—Lord, Pat, I don't deserve you. But you know that I—I myself—could never touch you except in tenderness, even in reverence. You're too dainty, too lovely, too spirited, to be hurt, or to be held roughly, against your will. You know I feel that way about you, don't you?"

"Of course. It was nothing, Nick. Forget it."

"If I can," he said somberly. He switched on the engine, backed out upon the pavement, and turned the car toward the glow that marked Chicago. Neither of them spoke as the machine hummed over the arching bridge and down the slope, where, so few minutes before, the threat of accident had thrust itself at them.

"We won't see a moon tonight," said Pat in a small voice, after an interval. "We'll never check up on Dr. Carl's astronomy."

"You don't want to tonight, Pat, do you?"

"I guess perhaps we'd better not," she replied. "We're both upset, and there'll be other nights."

Again they were silent. Pat felt strained, shaken; there was something uncanny about the occurrence that puzzled her. The red eyes that had glared out of Nick's face perplexed her, and the curious rasping voice he had used still sounded inhumanly in her memory. Out of recollection rose still another mystery.

"Nick," she said, "what did you mean—then—when you said there was danger and you came to save me?"

"Nothing," he said sharply.

"And then, afterwards, you started to say something about 'He couldn't have—'. Who's 'he'?"

"It meant nothing, I tell you. I was frantic to think you might have been hurt. That's all."

"I believe you, Honey," she said, wondering whether she really did. The thing was beginning to grow hazy; already it was assuming merely the proportions of an upheaval of youthful fervor. Such occurrences were not unheard of, though never before had it happened to Patricia Lane! Still, even that was conceivable, far more conceivable than the dark, unformed, inchoate suspicions she had been harboring. They hadn't even been definite enough to be called suspicions; indefinite apprehensions came closer.

And yet—that strange, wild face that had formed itself of Nick's fine features, and the terrible red eyes! Were they elements in a picture conjured out of her own imagination? They must be, of course. She had been frightened by that hairbreadth escape, and had seen things that didn't exist. And the rest of it—well, that might be natural enough. Still, there was something—she knew that; Nick had admitted it.

Horker's words concerning Nick's father rose in her mind. Suspected of being crazy! Was that it? Was that the cause of Nick's curious reluctance where she was concerned? Was the face that had glared at her the visage of a maniac? It couldn't be. It couldn't be, she told herself fiercely. Not her fine, tender, sensitive Nick! And besides, that face, if she hadn't imagined it, had been the face, not of a lunatic, but of a devil. She shook her head, as if to deny her thoughts, and placed her hand impulsively on Nick's.

"I don't care," she said. "I love you, Nick."

"And I you," he murmured. "Pat, I'm sorry about spoiling this evening. I'm sorry and ashamed."

"Never mind, Honey. There'll be others."

"Tomorrow?"

"No," she said. "Mother and I are going out to dinner. And Friday we're having company."

"Really, Pat? You're not just trying to turn me off gently."

"Really, Nick. Try asking me for Saturday evening and see!"

"You're asked, then."

"And it's a date." Then, with a return of her usual insouciance, she added. "If you're on good behavior."

"I will be. I promise."

"I hope so," said Pat. An inexplicable sense of foreboding had come over her; despite her self-given assurances, something unnameable troubled her. She gave a mental shrug, and deliberately relegated the unpleasant cogitations to oblivion.

The car turned into Dempster Road; the lights of the teeming roadhouses, dance halls, road-side hamburger and barbecue stands flashed by. There were many cars here; there was no longer any impression of solitude now, in the overflow from the vast city in whose shadow they moved. The incessant flow of traffic gave the girl a feeling of security; these were tangible things about her, and once more the memory of that disturbing occurrence became dim and dreamlike. This was Nick beside her, gentle, intelligent, kind; had he ever been otherwise? It seemed highly unreasonable, a fantasy of fear and the hysteria of the moment.

"Hungry?" asked Nick unexpectedly.

"I could use a barbecue, I guess. Beef."

The car veered to the graveled area before a brightly lit stand. Nick gave the order to an attendant. He chuckled as Pat, with the digestive disregard of youth attacked the greasy combination.

"That's like a humming bird eating hay!" he said. "Or better, like a leprechaun eating that horse-meat they can for dogs."

"You might as well discover that I don't live on honey and rose-petals," said Pat. "Not even on caviar and terrapin—at least, not exclusively. I leave the dainty palate for Mother to indulge."

"Which is just as well. Hamburger and barbecue are more easily budgeted."

"Nicholas," said the girl, tossing the paper napkin out of the car window, "is that an indirect and very evasive proposal of marriage?"

"You know it could be, if you wished it!"

"And do I?" she said, assuming a pensive air. "I wonder. Suppose we say I'll let you know later."

"And meanwhile?"

"Oh, meanwhile we can be sort of engaged. Just the way we've been."

"You're sweet, Pat," he murmured, as the car edged into the line of traffic. "I don't know just how to convey my appreciation, but it's there!"

The buildings drew more closely together; the road was suddenly a lighted street, and then, almost without realizing it, they were before Pat's home. Nick walked beside her to the door; he stood facing her hesitantly.

"Good night, Pat," he said huskily. He leaned down, kissing her very gently, turned, and departed.

The girl watched him from the open doorway, following the lights of his car until they vanished down the street. Dear, sweet Nick! Then the disturbing memory of that occurrence of the evening returned; she frowned in perplexity as the thought rose. That was all of a piece with the puzzling character of him, and the curious veiled references he'd made. References to what? She didn't know, couldn't imagine. Nick had said he didn't know either, which added still another quirk to the maze.

She thought of Dr. Horker's words. With the thought, she glanced at his house, adjacent to her own home. A light gleamed in the library; he was still awake. She closed the door behind her, and darted across the narrow strip of lawn to his porch. She rang the bell.

"Good evening, Dr. Carl," she said as the massive form of Horker appeared. She puckered her lips impudently at him as she slipped by him into the house.

 

6 - A QUESTION OF SCIENCE

"Not that I'm displeased at this visit, Pat," rumbled the Doctor, seating himself in one of the great chairs by the fireplace, "but I'm curious. I thought you were dating your ideal tonight, yet here you are, back alone a little after eleven. How come?"

"Oh," said the girl nonchalantly, dropping crosswise in the other chair, "we decided we needed our beauty sleep."

"Then why are you here, you young imp?"

"Thought you might be lonesome."

"I'll bet you did! But seriously, Pat, what is it? Any trouble?"

"No-o," she said dubiously. "No trouble. I just wanted to ask you a few hypothetical questions. About science."

"Go to it, then, and quickly. I was ready to turn in."

"Well," said Pat, "about Nick's father. He was a doctor, you said, and supposed to be cracked. Was he really?"

"Humph! That's curious. I just looked up a brochure of his tonight in the American Medical Journal, after our conversation of this afternoon. Why do you ask that?"

"Because I'm interested, of course."

"Well, here's what I remember about him, Pat. He was an M.D., all right, but I see by his paper there—the one I was reading—that he was on the staff of Northern U. He did some work at the Cook County Asylum, some research work, and there was a bit of talk about his maltreating the patients. Then, on top of that, he published a paper that medical men considered crazy, and that started talk of his sanity. That's all I know."

"Then Nick—."

"I thought so! So it's come to the point where you're investigating his antecedents, eh? With an eye to marriage, or what?"

"Or what!" snapped Pat. "I was curious to know, naturally."

"Naturally." The Doctor gave her a keen glance from his shrewd eyes. "Did you think you detected incipient dementia in your ideal?"

"No," said the girl thoughtfully. "Dr. Carl, is there any sort of craziness that could take an ordinarily shy person and make a passionate devil of him? I don't mean passionate, either," she added. "Rather cold, ruthless, domineering."

"None that I know of," said Horker, watching her closely. "Did this Nick of yours have one of his masterful moments?"

"Worse than that," admitted Pat reluctantly. "We had a near accident, and it startled both of us, and then suddenly, he was looking at me like a devil, and then—" She paused. "It frightened me a little."

"What'd he do?" demanded Horker sharply.

"Nothing." She lied with no hesitation.

"Were there any signs of Satyromania?"

"I don't know. I never heard of that."

"I mean, in plain Americanese, did he make a pass at you?"

"He—no, he didn't."

"Well, what did he do?"

"He just looked at me." Somehow a feeling of disloyalty was rising in her; she felt a reluctance to betray Nick further.

"What did he say, then? And don't lie this time."

"He just said—He just looked at my legs and said something about their being beautiful, and that was all. After that, the look on his face faded into the old Nick."

"Old Nick is right—the impudent scoundrel!" Horker's voice rumbled angrily.

"Well, they're nice legs," said Pat defiantly, swinging them as evidence. "You've said it yourself. Why shouldn't he say it? What's to keep him from it?"

"The code of a gentleman, for one thing!"

"Oh, who cares for your Victorian codes! Anyway, I came here for information, not to be cross-examined. I want to ask the questions myself."

"Pat, you're a reckless little spit-fire, and you're going to get burned some day, and deserve it," the Doctor rumbled ominously. "Ask your fool questions, and then I'll ask mine."

"All right," said the girl, still defiant. "I don't guarantee to answer yours, however."

"Well, ask yours, you imp!"

"First, then—Is that Satyro-stuff you mentioned intermittent or continuous?"

"It's necessarily intermittent, you numb-skull! The male organism can't function continuously!"

"I mean, does the mania lie dormant for weeks or months, and then flare up?"

"Not at all. It's a permanent mania, like any other psychopathic sex condition."

"Oh," said Pat thoughtfully, with a sense of relief.

"Well, go on. What next?"

"What are these dual personalities you read about in the papers?"

"They're aphasias. An individual forgets his name, and he picks, or is given, another, if he happens to wander among strangers. He forgets much of his past experience; the second personality is merely what's left of the first—sort of a vestige of his normal character. There isn't any such thing as a dual personality in the sense of two distinct characters living in one body."

"Isn't there?" queried the girl musingly. "Could the second personality have qualities that the first one lacked?"

"Not any more than it could have an extra finger! The second is merely a split off the first, a forgetfulness, a loss of memory. It couldn't have more qualities than the whole, or normal, character; it must have fewer."

"Isn't that just too interesting!" said Pat in a bantering tone. "All right, Dr. Carl. It's your turn."

"Then what's the reason for all this curiosity about perversions and aphasias? What's happened to your genius now?"

"Oh, I'm thinking of taking up the study of psychiatry," replied the girl cheerfully.

"Aren't you going to answer me seriously?"

"No."

"Then what's the use of my asking questions?"

"I know the right answer to that one. None!"

"Pat," said Horker in a low voice, "you're an impudent little hoyden, and too clever for your own good, but you and your mother are very precious to me. You know that."

"Of course I do, Dr. Carl," said the girl, relenting. "You're a dear, and I'm crazy about you, and you know that, too."

"What I'm trying to say," proceeded the other, "is simply that I'm trying to help you. I want to help you, if you need help. Do you?"

"I guess I don't, Dr. Carl, but you're sweet."

"Are you in love with this Nicholas Devine?"

"I think perhaps I am," she admitted softly.

"And is he in love with you?"

"Frankly, could he help being?"

"Then there's something about him that worries you. That's it, isn't it?"

"I thought there was, Dr. Carl. I was a little startled by the change in him right after we had that narrow escape, but I'm sure it was nothing—just imagination. Honestly, that's all that troubled me."

"I believe you, Pat," said the Doctor, his eyes fixed on hers. "But guard yourself, my dear. Be sure he's what you think he is; be sure you know him rightly."

"He's clean and fine," murmured the girl. "I am sure."

"But this puzzling yourself about his character, Pat—I don't like it. Make doubly sure before you permit your feelings to become too deeply involved. That's only common sense, child, not psychiatry or magic."

"I'm sure," repeated Pat. "I'm not puzzled or troubled any more. And thanks, Dr. Carl. You run along to bed and I'll do likewise."

He rose, accompanying her to the door, his face unusually grave.

"Patricia," he said, "I want you to think over what I've said. Be sure, be doubly sure, before you expose yourself to the possibility of suffering. Remember that, won't you?"

"I'll try to. Don't fret yourself about it, Dr. Carl; I'm a hard-boiled young modern, and it takes a diamond to even scratch me."

"I hope so," he said soberly. "Run along; I'll watch until you're inside."

Pat darted across the strip of grass, turned at her door to blow a goodnight kiss to the Doctor, and slipped in. She tiptoed quietly to her room, slipped off her dress, and surveyed her long, slim legs in the mirror.

"Why shouldn't he say they were beautiful?" she queried of the image. "I can't see any reason to get excited over a simple compliment like that."

She made a face over her shoulder at the green Buddha above the fireplace.

"And as for you, fat boy," she murmured, "I expect to see you wink at me tonight. And every night hereafter!"

She prepared herself for slumber, slipped into the great bed. She had hardly closed her lids before the image of a leering face with terrible bloody eyes flamed out of memory and set her trembling and shuddering.

Wednesday, 15 November 2023

Good Reading: "Testamento Espiritual" by Pope Benedict XVI (translated into Portuguese)

 

Nesta hora derradeira de minha vida, quando olho para as décadas por que passei, vejo antes de mais nada quanto tenho a agradecer. Agradeço em primeiro lugar a Deus, fonte de toda boa dádiva, que me deu a vida e me guiou por momentos de confusão, que sempre me levantou quando eu começava a vacilar e me devolveu tantas vezes a luz de sua face. Em retrospectiva, vejo e compreendo que até mesmo os trechos escuros e difíceis desse caminho serviram à minha salvação e que foi precisamente aí que Ele mais me guiou.

Agradeço a meus pais, que me deram a vida numa época difícil, e que, à custa de grandes sacrifícios, me proporcionaram um lar maravilhoso com o seu amor, que ilumina como luzeiro todos os meus dias até hoje. A fé clarividente de meu pai ensinou-nos a crer ainda meninos, e manteve-se firme como guia em meio a todas as minhas conquistas científicas; a piedade sincera e a grande bondade de minha mãe são um legado que nunca lhe poderei agradecer o bastante. Minha irmã tem-me servido há décadas, abnegada e afetuosa; meu irmão, com a clarividência de seus juízos, com sua poderosa determinação e com a serenidade de seu coração, soube sempre me aplainar o caminho; sem este constante preceder-me e acompanhar-me, eu não seria capaz de achar o caminho certo.

Agradeço a Deus do fundo do coração os muitos amigos, homens e mulheres, que Ele sempre pôs ao meu lado; os colegas de trabalho em todas as etapas de meu caminho; os professores e alunos que me deu. Com gratidão, confio-os todos à sua bondade. E quero agradecer ao Senhor por minha bela pátria nos Pré-Alpes bávaros, na qual sempre vi brilhar o esplendor do próprio Criador. Agradeço ao povo de minha terra natal por ter-me permitido experimentar inumeráveis vezes a beleza da fé. Rezo para que o nosso país continue a ser um país de fé, e peço-vos, caros compatriotas, que não vos deixeis afastar da fé. E, por fim, agradeço a Deus por toda a beleza que pude experimentar nas várias etapas de minha peregrinação, mas especialmente em Roma e na Itália, que têm sido minha segunda pátria.

A todos aqueles a quem de alguma forma prejudiquei, peço perdão de todo o coração.

O que disse antes a meus compatriotas, digo-o agora a todos quantos na Igreja foram confiados ao meu serviço: Permanecei firmes na fé! Não vos deixeis confundir! A ciência — tanto as ciências naturais como a investigação histórica (especialmente a exegese bíblica) — dá muitas vezes a impressão de oferecer soluções irrefutáveis contra a fé católica.

Testemunhei ao longo de muito tempo as transformações da ciência natural, e pude comprovar como aparentes certezas contra a fé se esvaíram, provando não ser ciência, mas apenas interpretações filosóficas com aparência científica; e como, por outro lado, é em diálogo com as ciências naturais que a fé tem aprendido a compreender melhor os limites do alcance de suas afirmações e, portanto, o que ela realmente é.

Há já sessenta anos que acompanho o caminho da Teologia, especialmente o dos estudos bíblicos, e tenho visto, no suceder das gerações, teses aparentemente inabaláveis desmoronarem-se, revelando-se meras hipóteses: a geração liberal (Harnack, Jülicher etc.), a geração existencialista (Bultmann etc.), a geração marxista. Vi e vejo como, do emaranhado de hipóteses, a razoabilidade da fé ressurgiu e está ressurgindo de novo. Jesus Cristo é verdadeiramente o Caminho, a Verdade e a Vida; e a Igreja, com todas as suas insuficiências, é verdadeiramente o seu Corpo.

Enfim, peço-vos humildemente que rezeis por mim, para que o Senhor, apesar de todos os meus pecados e deficiências, acolha-me às moradas eternas. A todos quantos me foram confiados, minhas sinceras orações dia após dia.