Tuesday 5 December 2023

Tuesday's Serial: “Convivio” by Dante Alighieri (in Italian) - IV

 

Capitolo V [vi].

1. Detto è che per difetto d'ammaestramento li antichi la veritade non videro de le creature spirituali, avvegna che quello popolo d'Israel fosse in parte da li suoi profeti ammaestrato, «ne li quali, per molte maniere di parlare e per molti modi, Dio avea loro parlato», sì come l'Apostolo dice. 2. Ma noi semo di ciò ammaestrati da colui che venne da quello, da colui che le fece, da colui che le conserva, cioè da lo Imperadore de l'universo, che è Cristo, figliuolo del sovrano Dio e figliuolo di Maria Vergine, femmina veramente e figlia di Ioacchino e d'Adamo: uomo vero, lo quale fu morto da noi, per che ci recò vita. 3. 'Lo qual fu luce che allumina noi ne le tenebre', sì come dice Ioanni Evangelista, e disse a noi la veritade di quelle cose che noi sapere sanza lui non potavamo, nè veder veramente.

4. La prima cosa e lo primo secreto che ne mostrò fu una de le creature predette: ciò fu quello suo grande legato che venne a Maria, giovinetta donzella di tredici anni, da parte del Sanator celestiale. Questo nostro Salvatore con la sua bocca disse che 'l Padre li potea dare molte legioni d'angeli; questi non negò, quando detto li fu che 'l Padre avea comandato a li angeli che li ministrassero e servissero. 5. Per che manifesto è a noi quelle creature [essere] in lunghissimo numero; per che la sua sposa e secretaria Santa Ecclesia - de la quale dice Salomone: «Chi è questa che ascende del diserto, piena di quelle cose che dilettano, appoggiata sopra l'amico suo?» - dice, crede e predica quelle nobilissime creature quasi innumerabili. E partele per tre gerarchie, che è a dire tre principati santi o vero divini, e ciascuna gerarchia ha tre ordini; sì che nove ordini di creature spirituali la Chiesa tiene e afferma. 6. Lo primo è quello de li Angeli, lo secondo de li Arcangeli, lo terzo de li Troni; e questi tre ordini fanno la prima gerarchia: non prima quanto a nobilitade, non a creazione (chè più sono l'altre nobili e tutte furono insieme create), ma prima quanto al nostro salire a loro altezza. Poi sono le Dominazioni; appresso le Virtuti; poi li Principati: e questi fanno la seconda gerarchia. Sopra questi sono le Potestati e li Cherubini, e sopra tutti sono li Serafini: e questi fanno la terza gerarchia. 7. Ed è potissima ragione de la loro speculazione e lo numero in che sono le gerarchie e quello in che sono li ordini. Chè con ciò sia cosa che la Maestà divina sia in tre persone, che hanno una sustanza, di loro si puote triplicemente contemplare. 8. Chè si può contemplare de la potenza somma del Padre; la quale mira la prima gerarchia, cioè quella che è prima per nobilitade e che ultima noi annoveriamo. E puotesi contemplare la somma sapienza del Figliuolo; e questa mira la seconda gerarchia. E puotesi contemplare la somma e ferventissima caritade de lo Spirito Santo; e questa mira l'ultima gerarchia, la quale, più propinqua, a noi porge de li doni che essa riceve. 9. E con ciò sia cosa che ciascuna persona ne la divina Trinitade triplicemente si possa considerare, sono in ciascuna gerarchia tre ordini che diversamente contemplano. Puotesi considerare lo Padre, non avendo rispetto se non ad esso; e questa contemplazione fanno li Serafini, che veggiono più de la Prima Cagione che nulla angelica natura. 10. Puotesi considerare lo Padre secondo che ha relazione al Figlio, cioè come da lui si parte e come con lui sè unisce; e questo contemplano li Cherubini. Puotesi ancora considerare lo Padre secondo che da lui procede lo Spirito Santo, e come da lui si parte e come con lui sè unisce; e questa contemplazione fanno le Potestadi. 11. E per questo modo si puote speculare del Figlio e de lo Spirito Santo: per che convengono essere nove maniere di spiriti contemplativi, a mirare ne la luce che sola se medesima vede compiutamente.

12. E non è qui da tacere una parola. Dico che di tutti questi ordini si perderono alquanti tosto che furono creati, forse in numero de la decima parte; a la quale restaurare fu l'umana natura poi creata. Li numeri, li ordini, le gerarchie narrano li cieli mobili che sono nove, e lo decimo annunzia essa unitade e stabilitade di Dio. E però dice lo Salmista: «Li cieli narrano la gloria di Dio, e l'opere de le sue mani annunzia lo fermamento». 13. Per che ragionevole è credere che li movitori del cielo de la Luna siano de l'ordine de li Angeli, e quelli di Mercurio siano li Arcangeli, e quelli di Venere siano li Troni; li quali, naturati de l'amore del Santo Spirito, fanno la loro operazione, connaturale ad essi, cioè lo movimento di quello cielo, pieno d'amore, dal quale prende la forma del detto cielo uno ardore virtuoso per lo quale le anime di qua giuso s'accendono ad amore, secondo la loro disposizione. 14. E perchè li antichi s'accorsero che quello cielo era qua giù cagione d'amore, dissero Amore essere figlio di Venere, sì come testimonia Vergilio nel primo de lo Eneida, ove dice Venere ad Amore: «Figlio, vertù mia, figlio del sommo padre, che li dardi di Tifeo non curi»; e Ovidio, nel quinto di Metamorphoseos, quando dice che Venere disse ad Amore: «Figlio, armi mie, potenzia mia». 15. E sono questi Troni, che al governo di questo cielo sono dispensati, in numero non grande, de lo quale per li filosofi e per li astrologi diversamente è sentito, secondo che diversamente sentiro de le sue circulazioni; avvenga che tutti siano accordati in questo, che tanti sono quanti movimenti esso fae. 16. Li quali, secondo che nel libro de l'Aggregazion[i] de le Stelle epilogato si truova da la migliore dimostrazione de li astrologi, sono tre: uno, secondo che la stella si muove per lo suo epiciclo; l'altro, secondo che lo epiciclo si muove con tutto il cielo igualmente con quello del Sole; lo terzo, secondo che tutto quello cielo si muove seguendo lo movimento de la stellata spera, da occidente a oriente, in cento anni uno grado. Sì che a questi tre movimenti sono tre movitori. 17. Ancora si muove tutto questo cielo e rivolgesi con lo epiciclo da oriente in occidente, ogni dì naturale una fiata: lo qual movimento, se esso è da intelletto alcuno, o se esso è da la rapina del Primo Mobile, Dio lo sa; che a me pare presuntuoso a giudicare. 18. Questi movitori muovono, solo intendendo, la circulazione in quello subietto propio che ciascuno muove. La forma nobilissima del cielo, che ha in sè principio di questa natura passiva, gira, toccata da vertù motrice che questo intende: e dico toccata, non corporalmente, per tatto di vertù la quale si dirizza in quello. E questi movitori sono quelli a li quali s'intende di parlare, ed a cui io fo mia dimanda.

 

Capitolo VI [vii].

[vii]. 1. Secondo che di sopra, nel terzo capitolo di questo trattato, si disse, ch'a bene intendere la prima parte de la proposta canzone convenia ragionare di quelli cieli e de li loro motori, ne li tre precedenti capitoli è ragionato. Dico adunque a quelli ch'io mostrai sono movitori del cielo di Venere: O voi che 'ntendendo - cioè con lo intelletto solo, come detto è di sopra, - lo terzo cielo movete, Udite il ragionare; e non dico udite perch'elli odano alcuno suono, ch'elli non hanno senso, ma dico udite, cioè con quello udire ch'elli hanno, ch'è intendere per intelletto. 2. Dico: Udite il ragionar lo quale è nel mio core: cioè dentro da me, chè ancora non è di fuori apparito. E da sapere è che in tutta questa canzone, secondo l'uno senso e l'altro lo 'core' si prende per lo secreto dentro, e non per altra spezial parte de l'anima e del corpo.

3. Poi li ho chiamati ad udire quello ch'io voglio, assegno due ragioni per che io convenevolemente deggio loro parlare. L'una si è la novitade de la mia condizione, la quale, per non essere da li altri uomini esperta, non sarebbe così da loro intesa come da coloro che 'ntendono li loro effetti ne la loro operazione; e questa ragione tocco quando dico: Ch'io nol so dire dire altrui, sì mi par novo. 4. L'altra ragione è: quand'uomo riceve beneficio, o vero ingiuria, prima de' quello retraere a chi liele fa, se può, che ad altri; acciò che se ello è beneficio, esso che lo riceve si mostri conoscente inver lo benefattore; e s'ella è ingiuria, induca lo fattore a buona misericordia con le dolci parole. 5. E questa ragione tocco, quando dico: El ciel che segue lo vostro valore, Gentili creature che voi sete, Mi tragge ne lo stato ov'io mi trovo. Ciò è a dire: l'operazione vostra, cioè la vostra circulazione, è quella che m'ha tratto ne la presente condizione. Però conchiudo e dico che 'l mio parlare a loro dee essere, sì come detto è; e questo dico qui: Onde 'l parlar de la vita ch'io provo, Par che si drizzi degnamente a vui. E dopo queste ragioni assegnate, priego loro de lo 'ntendere quando dico: Però vi priego che lo mi 'ntendiate. 6. Ma però che in ciascuna maniera di sermone lo dicitore massimamente dee intendere a la persuasione, cioè a l'abbellire, de l'audienza sì come a quella ch'è principio di tutte l'altre persuasioni come li rettorici [s]anno; e potentissima persuasione sia, a rendere l'uditore attento, promettere di dire nuove e grandissime cose; seguito io, a la preghiera fatta de l'audienza, questa persuasione, cioè, dico, abbellimento, annunziando loro la mia intenzione, la quale è di dire nuove cose, cioè la divisione ch'è ne la mia anima, e grandi cose, cioè lo valore de la loro stella. E questo dico in quelle ultime parole di questa prima parte: Io vi dirò del cor la novitate, Come l'anima trista piange in lui, E come un spirto contra lei favella, Che vien pe' raggi de la vostra stella.

7. E a pieno intendimento di queste parole, dico che questo [spirito] non è altro che uno frequente pensiero a questa nuova donna commendare e abbellire; e questa anima non è altro che un altro pensiero accompagnato di consentimento, che, repugnando a questo, commenda e abbellisce la memoria di quella gloriosa Beatrice. 8. Ma però che ancora l'ultima sentenza de la mente, cioè lo consentimento, si tenea per questo pensiero che la memoria aiutava, chiamo lui anima e l'altro spirito; sì come chiamare solemo la cittade quelli che la tengono, e non coloro che la combattono, avvegna che l'uno e l'altro sia cittadino. 9. Dico anche che questo spirito viene per li raggi de la stella: per che sapere si vuole che li raggi di ciascuno cielo sono la via per la quale discende la loro vertude in queste cose di qua giù. E però che li raggi non sono altro che uno lume che viene dal principio de la luce per l'aere infino a la cosa illuminata, e luce non sia se non ne la parte de la stella, però che l'altro cielo è diafano, cioè transparente, non dico che vegna questo spirito, cioè questo pensiero, dal loro cielo in tutto, ma da la loro stella. 10. La quale per la nobilità de li suoi movitori è di tanta vertute, che ne le nostre anime e ne le altre nostre cose ha grandissima podestade, non ostante che essa ci sia lontana, qual volta più c'è presso, cento sessanta sette volte tanto quanto è, e più, al mezzo de la terra, che ci ha di spazio tremilia dugento cinquanta miglia. E questa è la litterale esposizione de la prima parte de la canzone.

 

Capitolo VII [vii].

1. Inteso può essere sofficientemente, per le prenarrate parole, de la litterale sentenza de la prima parte; per che a la seconda è da intendere, ne la quale si manifesta quello che dentro io sentia de la battaglia. 2. E questa parte ha due divisioni: che in prima, cioè nel primo verso, narro la qualitade di queste diversitadi secondo la loro radice, ch'erano dentro a me; poi narro quello che dicea l'una e l'altra diversitade, e però, prima, quello che dicea la parte che perdea, cioè nel verso ch'è lo secondo di questa parte e lo terzo de la canzone.

3. Ad evidenza dunque de la sentenza de la prima divisione, è da sapere che le cose deono essere denominate da l'ultima nobilitade de la loro forma; sì come l'uomo da la ragione, e non dal senso nè d'altro che sia meno nobile. Onde, quando si dice l'uomo vivere, si dee intendere l'uomo usare la ragione, che è sua speziale vita e atto de la sua più nobile parte. 4. E però chi da la ragione si parte, e usa pur la parte sensitiva, non vive uomo, ma vive bestia; sì come dice quello eccellentissimo Boezio: «Asino vive». Dirittamente dico, però che lo pensiero è propio atto de la ragione, perchè le bestie non pensano, che non l'hanno: e non dico pur de le minori bestie, ma di quelle che hanno apparenza umana e spirito di pecora o d'altra bestia abominevole. 5. Dico adunque che vita del mio core, cioè del mio dentro, suole essere un pensiero soave ('soave' è tanto quanto 'suaso', cioè abbellito, dolce, piacente e dilettoso), questo pensiero, che se ne gìa spesse volte a' piedi del sire di costoro a cu' io parlo, ch'è Iddio: ciò è a dire, che io pensando contemplava lo regno de' beati. 6. E dico la final cagione incontanente per che là su io saliva pensando, quando dico: Ove una donna gloriar vedia; a dare a intendere ch'è perchè io era certo, e sono, per sua graziosa revelazione, che ella era in cielo. Onde io pensando spesse volte come possibile m'era, me n'andava quasi rapito.

7. Poi sussequentemente dico l'effetto di questo pensiero, a dare a intendere la sua dolcezza, la quale era tanta che mi facea disioso de la morte, per andare là dov'elli gìa, e ciò dico quivi: Di cui parlava me sì dolcemente, Che l'anima dicea: Io men vo' gire. E questa è la radice de l'una de le diversitadi ch'era in me. 8. Ed è da sapere, che qui si dice 'pensiero' e non 'anima', di quello che salia a vedere quella beata, perchè era spezial pensiero a quello atto. L'anima s'intende, come detto è nel precedente capitolo, per lo generale pensiero col consentimento.

9. Poi quando dico: Or apparisce chi lo fa fuggire, narro la radice de l'altra diversitade, dicendo, sì come questo pensiero di sopra suol esser vita di me, così un altro apparisce che fa quello cessare. E dico 'fuggire', per mostrare quello essere contrario, chè naturalmente l'uno contrario fugge l'altro, e quello che fugge mostra per difetto di vertù di fuggire. 10. E dico che questo pensiero, che di nuovo apparisce, è poderoso in prender me e in vincere l'anima tutta, dicendo che esso segnoreggia sì che 'l cuore, cioè lo mio dentro, triema, e lo mio di fuori lo dimostra in alcuna nuova sembianza.

11. Sussequentemente mostro la potenza di questo pensiero nuovo per suo effetto, dicendo che esso mi fa mirare una donna, e dicemi parole di lusinghe, cioè ragiona dinanzi a li occhi del mio intelligibile affetto per meglio inducermi, promettendomi che la vista de li occhi suoi è sua salute. 12. E a meglio fare ciò credere a l'anima esperta, dice che non è da guardare ne li occhi di questa donna per persona che tema angoscia di sospiri. Ed è bel modo rettorico, quando di fuori pare la cosa disabbellirsi, e dentro veramente s'abbellisce. Più non potea questo novo pensero d'amore inducere la mia mente a consentire, che ['n] ragionare de la vertù de li occhi di costei profondamente.

 

Capitolo VIII [ix].

1. Ora ch'è mostrato come e perchè nasce amore, e la diversitade che mi combattea, procedere si conviene ad aprire la sentenza di quella parte ne la quale contendono in me diversi pensamenti. 2. Dico che prima si conviene dire de la parte de l'anima, cioè de l'antico pensiero, e poi de l'altro, per questa ragione, che sempre quello che massimamente dire intende lo dicitore sì dee riservare di dietro; però che quello che ultimamente si dice, più rimane ne l'animo de lo uditore. 3. Onde con ciò sia cosa che io intenda più a dire e a ragionare quello che l'opera di costoro a cu' io parlo fa, che quello che essa disfà, ragionevole fu prima dire e ragionare la condizione de la parte che si corrompea, e poi quella de l'altra che si generava.

4. Veramente qui nasce un dubbio, lo qual non è da trapassare sanza dichiarare. Potrebbe dire alcuno: 'Con ciò sia cosa che amore sia effetto di queste intelligenze a cu' io parlo, e quello di prima fosse amore così come questo di poi, perchè la loro vertù corrompe l'uno e l'altro genera? con ciò sia cosa che innanzi dovrebbe quello salvare, per la ragione che ciascuna cagione ama lo suo effetto e, amando quello, salva quell'altro.' 5. A questa questione si può leggermente rispondere che lo effetto di costoro è amore, com'è detto; e però che salvare nol possono se non in quelli subietti che sono sottoposti a la loro circulazione, esso transmutano di quella parte che è fuori di loro podestade in quella che v'è dentro, cioè de l'anima partita d'esta vita in quella ch'è in essa. 6. Sì come la natura umana transmuta, ne la forma umana, la sua conservazione di padre in figlio, perchè non può in esso padre perpetualmente [ta]l suo effetto conservare. Dico 'effetto', in quanto l'anima col corpo, congiunti, sono effetto di quella; chè [l'anima, poi che] è partita, perpetualmente dura in natura più che umana. E così è soluta la questione.

7. Ma però che de la immortalità de l'anima è qui toccato, farò una digressione, ragionando di quella; perchè, di quella ragionando, sarà bello terminare lo parlare di quella viva Beatrice beata, de la quale più parlare in questo libro non intendo per proponimento. 8. Dico che intra tutte le bestialitadi quella è stoltissima, vilissima e dannosissima, chi crede dopo questa vita non essere altra vita; però che, se noi rivolgiamo tutte le scritture, sì de' filosofi come de li altri savi scrittori, tutti concordano in questo, che in noi sia parte alcuna perpetuale. 9. E questo massimamente par volere Aristotile in quello de l'Anima; questo par volere massimamente ciascuno Stoico; questo par volere Tullio, spezialmente in quello libello de la Vegliezza; questo par volere ciascuno poeta che secondo la fede de' Gentili hanno parlato; questo vuole ciascuna legge, Giudei, Saracini, Tartari, e qualunque altri vivono secondo alcuna ragione. 10. Che se tutti fossero ingannati, seguiterebbe una impossibilitade, che pure a ritraere sarebbe orribile. Ciascuno è certo che la natura umana è perfettissima di tutte l'altre nature di qua giù; e questo nullo niega, e Aristotile l'afferma quando dice nel duodecimo de li Animali che l'uomo è perfettissimo di tutti li animali. 11. Onde con ciò sia cosa che molti che vivono interamente siano mortali, sì come animali bruti, e siano sanza questa speranza tutti mentre che vivono, cioè d'altra vita; se la nostra speranza fosse vana, maggiore sarebbe lo nostro difetto che di nullo altro animale, con ciò sia cosa che molti già sono stati che hanno data questa vita per quella: e così seguiterebbe che lo perfettissimo animale, cioè l'uomo, fosse imperfettissimo - ch'è impossibile -, e che quella parte, cioè la ragione, che è sua perfezione maggiore, fosse a lui cagione di maggiore difetto - che del tutto diverso pare a dire -. 12. Ancora, seguiterebbe che la natura contra se medesima questa speranza ne la mente umana posta avesse, poi che detto è che molti a la morte del corpo sono corsi, per vivere ne l'altra vita; e questo è anche impossibile.

13. Ancora, vedemo continua esperienza de la nostra immortalitade ne le divinazioni de' nostri sogni, le quali essere non potrebbono se in noi alcuna parte immortale non fosse; con ciò sia cosa che immortale convegna essere lo rivelante, [o corporeo] o incorporeo che sia, se bene si pensa sottilmente - e dico 'corporeo o incorporeo' per le diverse oppinioni ch'io truovo di ciò -, e quello ch'è mosso o vero informato da informatore immediato debba proporzione avere a lo informatore, e da lo mortale a lo immortale nulla sia proporzione. 14. Ancora, n'accerta la dottrina veracissima di Cristo, la quale è via, verità e luce: via, perchè per essa sanza impedimento andiamo a la felicitade di quella immortalitade; verità, perchè non soffera alcuno errore; luce, perchè allumina noi ne la tenebra de la ignoranza mondana. 15. Questa dottrina dico che ne fa certi sopra tutte altre ragioni, però che quello la n'hae data che la nostra immortalitade vede e misura. La quale noi non potemo perfettamente vedere mentre che 'l nostro immortale col mortale è mischiato; ma vedemolo per fede perfettamente, e per ragione lo vedemo con ombra d'oscuritade, la quale incontra per mistura del mortale con l'immortale. 16. E ciò dee essere potentissimo argomento che in noi l'uno e l'altro sia; e io così credo, così affermo e così certo sono ad altra vita migliore dopo questa passare, là dove quella gloriosa donna vive de la quale fu l'anima mia innamorata quando contendea, come nel seguente capitolo si ragionerà.

 

Capitolo IX [x].

1. Tornando al proposito, dico che in questo verso che comincia: Trova contraro tal che lo distrugge, intendo manifestare quello che dentro a me l'anima mia ragionava, cioè l'antico pensiero contra lo nuovo. E prima brievemente manifesto la cagione del suo lamentevole parlare, quando dico: Trova contraro tal che lo distrugge L'umil pensero, che parlar mi sole D'un'angela che 'n cielo è coronata. Questo è quello speziale pensiero, del quale detto è di sopra che solea esser vita de lo cor dolente. 2. Poi quando dico: L'anima piange, sì ancor len dole, manifesto l'anima mia essere ancora da la sua parte, e con tristizia parlare: e dico che dice parole lamentandosi, quasi come si maravigliasse de la subita transmutazione, dicendo: Oh lassa a me, come si fugge Questo piatoso che m'ha consolata! Ben può dire 'consolata', chè ne la sua grande perdita questo pensiero, che in cielo salia, le avea data molta consolazione. 3. Poi appresso, ad iscusa di sè dico che si volge tutto lo mio pensiero, cioè l'anima, de la quale dico questa affannata, e parla contra gli occhi; e questo si manifesta quivi: De li occhi miei dice questa affannata. E dico ch'ella dice di loro e contra loro tre cose. 4. La prima è che bestemmia l'ora che questa donna li vide. E qui si vuol sapere che avvegna che più cose ne l'occhio a un'ora possano venire, veramente quella che viene per retta linea ne la punta de la pupilla, quella veramente si vede, e ne la imaginativa si suggella solamente. 5. E questo è però che 'l nervo per lo quale corre lo spirito visivo, è diritto a quella parte; e però veramente l'occhio l'altro occhio non può guardare, sì che esso non sia veduto da lui; chè, sì come quello che mira riceve la forma ne la pupilla per retta linea, così per quella medesima linea la sua forma se ne va in quello ch'ello mira: e molte volte, nel dirizzare di questa linea, discocca l'arco di colui al quale ogni arme è leggiere. Però quando dico che tal donna li vide, è tanto a dire quanto che li occhi suoi e li miei si guardaro.

6. La seconda cosa che dice, si è che riprende la sua disobedienza, quando dice: E perchè non credeano a me di lei? Poi procede a la terza cosa, e dice che non dee sè riprendere di provvedimento, ma loro di non ubbidire; però che dice che alcuna volta, di questa donna ragionando, dicesse: Ne li occhi di costei doverebbe esser virtù sopra me, se ella avesse aperta la via di venire; e questo dice quivi: Io dicea: Ben ne li occhi di costei. 7. E ben si dee credere che l'anima mia conoscea la sua disposizione atta a ricevere l'atto di questa donna, e però ne temea; chè l'atto de l'agente si prende nel disposto paziente, sì come dice lo Filosofo nel secondo de l'Anima. E però se la cera avesse spirito da temere, più temerebbe di venire a lo raggio del sole che non farebbe la pietra, però che la sua disposizione riceve quello per più forte operazione.

8. Ultimamente manifesta l'anima nel suo parlare la presunzione loro pericolosa essere stata, quando dice: E non mi valse ch'io ne fossi accorta Che non mirasser tal, ch'io ne son morta. Non là mirasser, dice, colui di cui prima detto avea: Colui che le mie pari ancide. E così termina le sue parole, a le quali risponde lo novo pensiero, sì come nel seguente capitolo si dichiarerà.

 

Capitolo X [xi].

1. Dimostrata è la sentenza di quella parte ne la qual parla l'anima, cioè l'antico pensiero che si corruppe. Ora seguentemente si dee mostrare la sentenza de la parte ne la qual parla lo pensiero nuovo avverso; e questa parte si contiene tutta nel verso che comincia: Tu non se' morta. 2. La qual parte, a bene intendere, si vuole in due partire: che ne la prima [lo pensiero avverso riprende l'anima di viltade; e appresso comanda quello che far dee quest'anima ripresa, cioè ne la seconda] parte, che comincia: Mira quant'ell'è pietosa.

3. Dice adunque, continuandosi a l'ultime sue parole: Non è vero che tu sie morta; ma la cagione per che morta ti pare essere, si è uno smarrimento nel quale se' caduta vilmente per questa donna che è apparita: - e qui è da notare che, sì come dice Boezio ne la sua Consolazione, «ogni subito movimento di cose non avviene sanza alcuno discorrimento d'animo» -; e questo vuol dire lo riprendere di questo pensiero. 4. Lo quale si chiama 'spiritello d'amore' a dare a intendere che lo consentimento mio piegava inver di lui; e così si può questo intendere maggiormente, e conoscere la sua vittoria, quando dice già 'anima nostra', facendosi familiare di quella. 5. Poi, com'è detto, comanda quello che far dee quest'anima ripresa per venir lei a sè, e lei dice: Mira quant'ell'è pietosa e umile; chè sono proprio rimedio a la temenza, de la qual parea l'anima passionata, due cose, e sono queste che, massimamente congiunte, fanno de la persona bene sperare, e massimamente la pietade, la quale fa risplendere ogni altra bontade col lume suo. Per che Virgilio, d'Enea parlando, in sua maggiore loda pietoso lo chiama. 6. E non è pietade quella che crede la volgar gente, cioè dolersi de l'altrui male, anzi è questo uno suo speziale effetto, che si chiama misericordia ed è passione; ma pietade non è passione, anzi è una nobile disposizione d'animo, apparecchiata di ricevere amore, misericordia e altre caritative passioni.

7. Poi dice: Mira anco quanto è saggia e cortese ne la sua grandezza. Or dice tre cose, le quali, secondo quelle che per noi acquistar si possono, massimamente fanno la persona piacente. Dice 'saggia': or che è più bello in donna che savere? Dice 'cortese': nulla cosa sta più bene in donna che cortesia. E non siano li miseri volgari anche di questo vocabulo ingannati, che credono che cortesia non sia altro che larghezza; e larghezza è una speziale, e non generale, cortesia! 8. Cortesia e onestade è tutt'uno: e però che ne le corti anticamente le vertudi e li belli costumi s'usavano, sì come oggi s'usa lo contrario, si tolse quello vocabulo da le corti, e fu tanto a dire cortesia quanto uso di corte. Lo qual vocabulo se oggi si togliesse da le corti, massimamente d'Italia, non sarebbe altro a dire che turpezza. 9. Dice ne la sua grandezza. La grandezza temporale, de la quale qui s'intende, massimamente sta bene accompagnata con le due predette bontadi, però ch'ell'apre lume che mostra lo bene e l'altro de la persona chiaramente. E quanto savere e quanto abito virtuoso non si pare per questo lume non avere! e quanta matterìa e quanti vizii si discernono per aver questo lume! 10. Meglio sarebbe a li miseri grandi, matti, stolti e viziosi, essere in basso stato, chè nè in mondo nè dopo la vita sarebbero tanto infamati. Veramente per costoro dice Salomone ne lo Ecclesiaste: «E un'altra infermitade pessima vidi sotto lo sole, cioè ricchezze conservate in male del loro signore». 11. Poi sussequentemente impone a lei, cioè a l'anima mia, che chiami omai costei sua donna, promettendo a lei che di ciò assai si contenterà, quando ella sarà de le sue adornezze accorta; e questo dice quivi: Chè se tu non t'inganni, tu vedrai. Nè altro dice infino a la fine di questo verso. E qui termina la sentenza litterale di tutto quello che in questa canzone dico, parlando a quelle intelligenze celestiali.

 

Capitolo XI [xii].

1. Ultimamente, secondo che di sopra disse la littera di questo commento quando partio le parti principali di questa canzone, io mi rivolgo con la faccia del mio sermone a la canzone medesima, e a quella parlo. 2. E acciò che questa parte più pienamente sia intesa, dico che generalmente si chiama in ciascuna canzone 'tornata', però che li dicitori che prima usaro di farla, fenno quella perchè, cantata la canzone, con certa parte del canto ad essa si ritornasse. 3. Ma io rade volte a quella intenzione la feci, e, acciò che altri se n'accorgesse, rade volte la puosi con l'ordine de la canzone, quanto è a lo numero che a la nota è necessario; ma fecila quando alcuna cosa in adornamento de la canzone era mestiero a dire, fuori de la sua sentenza, sì come in questa e ne l'altre veder si potrà. 4. E però dico al presente che la bontade e la bellezza di ciascuno sermone sono intra loro partite e diverse; chè la bontade è ne la sentenza, e la bellezza è ne l'ornamento de le parole; e l'una e l'altra è con diletto, avvenga che la bontade sia massimamente dilettosa. 5. Onde con ciò sia cosa che la bontade di questa canzone fosse malagevole a sentire per le diverse persone che in essa s'inducono a parlare, dove si richeggiono molte distinzioni, e la bellezza fosse agevole a vedere, parvemi mestiero a la canzone che per li altri si ponesse più mente a la bellezza che a la bontade. E questo è quello che dico in questa parte.

6. Ma però che molte fiate avviene che l'ammonire pare presuntuoso, per certe condizioni suole lo rettorico indirettamente parlare altrui, dirizzando le sue parole non a quello per cui dice, ma verso un altro. E questo modo si tiene qui veramente; chè a la canzone vanno le parole, e a li uomini la 'ntenzione. 7. Dico adunque: Io credo, canzone, che radi sono, cioè pochi, quelli che intendano te bene. E dico la cagione, la quale è doppia. Prima: però che faticosa parli - 'faticosa' dico per la cagione che detta è -; poi: però che forte parli - 'forte' dico quanto a la novitate de la sentenza.- 8. Ora appresso ammonisco lei e dico: Se per avventura incontra che tu vadi là dove persone siano che dubitare ti paiano ne la tua ragione, non ti smarrire, ma dì loro: Poi che non vedete la mia bontade, ponete mente almeno la mia bellezza. 9. Che non voglio in ciò altro dire, secondo ch'è detto di sopra, se non: O uomini, che vedere non potete la sentenza di questa canzone, non la rifiutate però; ma ponete mente la sua bellezza, ch'è grande sì per construzione, la quale si pertiene a li gramatici, sì per l'ordine del sermone, che si pertiene a li rettorici, sì per lo numero de le sue parti, che si pertiene a li musici. Le quali cose in essa si possono belle vedere, per chi ben guarda. 10. E questa è tutta la litterale sentenza de la prima canzone, che è per prima vivanda intesa innanzi.

 

Capitolo XII [xiii].

1. Poi che la litterale sentenza è sufficientemente dimostrata, è da procedere a la esposizione allegorica e vera. E però, principiando ancora da capo, dico che, come per me fu perduto lo primo diletto de la mia anima, de la quale fatta è menzione di sopra, io rimasi di tanta tristizia punto, che conforto non mi valeva alcuno. 2. Tuttavia, dopo alquanto tempo, la mia mente, che si argomentava di sanare, provide, poi che nè 'l mio nè l'altrui consolare valea, ritornare al modo che alcuno sconsolato avea tenuto a consolarsi; e misimi a leggere quello non conosciuto da molti libro di Boezio, nel quale, cattivo e discacciato, consolato s'avea. 3. E udendo ancora che Tullio scritto avea un altro libro, nel quale, trattando de l'Amistade, avea toccate parole de la consolazione di Lelio, uomo eccellentissimo, ne la morte di Scipione amico suo, misimi a leggere quello. 4. E avvegna che duro mi fosse ne la prima entrare ne la loro sentenza, finalmente v'entrai tanto entro, quanto l'arte di gramatica ch'io avea e un poco di mio ingegno potea fare; per lo quale ingegno molte cose, quasi come sognando, già vedea, sì come ne la Vita Nuova si può vedere. 5. E sì come essere suole che l'uomo va cercando argento e fuori de la 'ntenzione truova oro, lo quale occulta cagione presenta, non forse sanza divino imperio; io, che cercava di consolarme, trovai non solamente a le mie lagrime rimedio, ma vocabuli d'autori e di scienze e di libri: li quali considerando, giudicava bene che la filosofia, che era donna di questi autori, di queste scienze e di questi libri, fosse somma cosa. 6. E imaginava lei fatta come una donna gentile, e non la poteva imaginare in atto alcuno se non misericordioso; per che sì volentieri lo senso di vero la mirava, che appena lo potea volgere da quella. 7. E da questo imaginare cominciai ad andare là dov'ella si dimostrava veracemente, cioè ne le scuole de li religiosi e a le disputazioni de li filosofanti. Sì che in picciol tempo, forse di trenta mesi, cominciai tanto a sentire de la sua dolcezza, che lo suo amore cacciava e distruggeva ogni altro pensiero. 8. Per che io, sentendomi levare dal pensiero del primo amore a la virtù di questo, quasi maravigliandomi apersi la bocca nel parlare de la proposta canzone, mostrando la mia condizione sotto figura d'altre cose: però che de la donna di cu' io m'innamorava non era degna rima di volgare alcuna palesemente po[e]tare; nè li uditori erano tanto bene disposti, che avessero sì leggiere le [non] fittizie parole apprese; nè sarebbe data loro fede a la sentenza vera, come a la fittizia, però che di vero si credea del tutto che disposto fosse a quello amore, che non si credeva di questo. 9. Cominciai dunque a dire: Voi che 'ntendendo il terzo ciel movete. E perchè, sì come detto è, questa donna fu figlia di Dio, regina di tutto, nobilissima e bellissima Filosofia, è da vedere chi furono questi movitori, e questo terzo cielo. E prima del cielo, secondo l'ordine trapassato. 10. E non è qui mestiere di procedere dividendo, e a littera esponendo; chè, volta la parola fittizia di quello ch'ella suona in quello ch'ella 'ntende, per la passata sposizione questa sentenza fia sufficientemente palese.

 

Capitolo XIII [xiv].

1. A vedere quello che per lo terzo cielo s'intende, prima si vuol vedere che per questo solo vocabulo 'cielo' io voglio dire; e poi si vedrà come e perchè questo terzo cielo ci fu mestiere. 2. Dico che per cielo intendo la scienza e per cieli le scienze, per tre similitudini che li cieli hanno con le scienze massimamente; e per l'ordine e numero in che paiono convenire, sì come trattando quello vocabulo, cioè 'terzo', si vedrà.

3. La prima similitudine si è la revoluzione de l'uno e de l'altro intorno a uno suo immobile. Chè ciascuno cielo mobile si volge intorno al suo centro, lo quale, quanto per lo suo movimento, non si muove; e così ciascuna scienza si muove intorno al suo subietto, lo quale essa non muove, però che nulla scienza dimostra lo proprio subietto, ma suppone quello. 4. La seconda similitudine si è lo illuminare de l'uno e de l'altro; chè ciascun cielo illumina le cose visibili, e così ciascuna scienza illumina le intelligibili. 5. E la terza similitudine si è lo inducere perfezione ne le disposte cose. De la quale induzione, quanto a la prima perfezione, cioè de la generazione sustanziale, tutti li filosofi concordano che li cieli siano cagione, avvegna che diversamente questo pongano: quali da li motori, sì come Plato, Avicenna e Algazel; quali da esse stelle, spezialmente l'anime umane, sì come Socrate, e anche Plato e Dionisio Academico; e quali da vertude celestiale che è nel calore naturale del seme, sì come Aristotile e li altri Peripatetici. 6. Così de la induzione de la perfezione seconda le scienze sono cagione in noi; per l'abito de le quali potemo la veritade speculare, che è ultima perfezione nostra, sì come dice lo Filosofo nel sesto de l'Etica, quando dice che 'l vero è lo bene de lo intelletto. Per queste, con altre similitudini molte, si può la scienza 'cielo' chiamare. Ora perchè 'terzo' cielo si dica è da vedere. 7. A che è mestiere fare considerazione sovra una comparazione che è ne l'ordine de li cieli a quello de le scienze. Sì come adunque di sopra è narrato, li sette cieli primi a noi sono quelli de li pianeti; poi sono due cieli sopra questi, mobili, e uno sopra tutti, quieto. 8. A li sette primi rispondono le sette scienze del Trivio e del Quadruvio, cioè Gramatica, Dialettica, Rettorica, Arismetrica, Musica, Geometria e Astrologia. A l'ottava spera, cioè a la stellata, risponde la scienza naturale, che Fisica si chiama, e la prima scienza, che si chiama Metafisica; a la nona spera risponde la scienza morale; ed al cielo quieto risponde la scienza divina, che è Teologia appellata. E ragione per che ciò sia, brievemente è da vedere.

9. Dico che 'l cielo de la Luna con la Gramatica si somiglia [per due proprietadi], per che ad esso si può comparare. Che se la Luna si guarda bene, due cose si veggiono in essa proprie, che non si veggiono ne l'altre stelle: l'una si è l'ombra che è in essa, la quale non è altro che raritade del suo corpo, a la quale non possono terminare li raggi del sole e ripercuotersi così come ne l'altre parti; l'altra sì è la variazione de la sua luminositade, che ora luce da uno lato, e ora luce da un altro, secondo che lo sole la vede. 10. E queste due proprietadi hae la Gramatica: chè, per la sua infinitade, li raggi de la ragione in essa non si terminano, in parte spezialmente de li vocabuli; e luce or di qua or di là in tanto quanto certi vocabuli, certe declinazioni, certe construzioni sono in uso che già non furono, e molte già furono che ancor saranno: sì come dice Orazio nel principio de la Poetria quando dice: «Molti vocabuli rinasceranno che già caddero».

11. E lo cielo di Mercurio si può comparare a la Dialettica per due proprietadi: che Mercurio è la più picciola stella del cielo, chè la quantitade del suo diametro non è più che di dugento trentadue miglia, secondo che pone Alfagrano, che dice quello essere de le ventotto parti una del diametro de la terra, lo quale è sei milia cinquecento miglia: l'altra proprietade si è che più va velata de li raggi del Sole che null'altra stella. 12. E queste due proprietadi sono ne la Dialettica: chè la Dialettica è minore in suo corpo che null'altra scienza, chè perfettamente è compilata e terminata in quello tanto testo che ne l'Arte vecchia e ne la Nuova si truova; e va più velata che nulla scienza, in quanto procede con più sofistici e probabili argomenti più che altra.

13. E lo cielo di Venere si può comparare a la Rettorica per due proprietadi: l'una sì è la chiarezza del suo aspetto, che è soavissima a vedere più che altra stella; l'altra sì è la sua apparenza, or da mane or da sera. 14. E queste due proprietadi sono ne la Rettorica: chè la Rettorica è soavissima di tutte le altre scienze, però che a ciò principalmente intende; e appare da mane, quando dinanzi al viso de l'uditore lo rettorico parla, appare da sera, cioè retro, quando da lettera, per la parte remota, si parla per lo rettorico.

15. E lo cielo del Sole si può comparare a l'Arismetrica per due proprietadi: l'una si è che del suo lume tutte l'altre stelle s'informano; l'altra si è che l'occhio nol può mirare. 16. E queste due proprietadi sono ne l'Arismetrica: chè del suo lume tutte s'illuminano le scienze, però che li loro subietti sono tutti sotto alcuno numero considerati, e ne le considerazioni di quelli sempre con numero si procede. 17. Sì come ne la scienza naturale è subietto lo corpo mobile, lo quale corpo mobile ha in sè ragione di continuitade, e questa ha in sè ragione di numero infinito; e la sua considerazione principalissima è considerare li principii de le cose naturali, li quali sono tre, cioè materia, privazione e forma, ne li quali si vede questo numero. 18. Non solamente in tutti insieme, ma ancora in ciascuno è numero, chi ben considera sottilmente; per che Pittagora, secondo che dice Aristotile nel primo de la Fisica, poneva li principii de le cose naturali lo pari e lo dispari, considerando tutte le cose esser numero. 19. L'altra proprietade del Sole ancor si vede nel numero, del quale è l'Arismetrica: che l'occhio de lo 'ntelletto nol può mirare; però che 'l numero, quant'è in sè considerato, è infinito, e questo non potemo noi intendere.

20. E lo cielo di Marte si può comparare a la Musica per due proprietadi: l'una si è la sua più bella relazione, chè, annumerando li cieli mobili, da qualunque si comincia o da l'infimo o dal sommo, esso cielo di Marte è lo quinto, esso è lo mezzo di tutti, cioè de li primi, de li secondi, de li terzi e de li quarti. 21. L'altra si è che esso Marte, [sì come dice Tolomeo nel Quadripartito], dissecca e arde le cose, perchè lo suo calore è simile a quello del fuoco; e questo è quello per che esso pare affocato di colore, quando più e quando meno, secondo la spessezza e raritade de li vapori che 'l seguono: li quali per lor medesimi molte volte s'accendono, sì come nel primo de la Metaura è diterminato. 22. E però dice Albumasar che l'accendimento di questi vapori significa morte di regi e transmutamento di regni; però che sono effetti de la segnoria di Marte. E Seneca dice però, che ne la morte d'Augusto imperadore vide in alto una palla di fuoco; e in Fiorenza, nel principio de la sua destruzione, veduta fu ne l'aere, in figura d'una croce, grande quantità di questi vapori seguaci de la stella di Marte. 23. E queste due proprietadi sono ne la Musica, la quale è tutta relativa, sì come si vede ne le parole armonizzate e ne li canti, de' quali tanto più dolce armonia resulta, quanto più la relazione è bella: la quale in essa scienza massimamente è bella, perchè massimamente in essa s'intende. 24. Ancora, la Musica trae a sè li spiriti umani, che quasi sono principalmente vapori del cuore, sì che quasi cessano da ogni operazione: sì è l'anima intera, quando l'ode, e la virtù di tutti quasi corre a lo spirito sensibile che riceve lo suono.

25. E lo cielo di Giove si può comparare a la Geometria per due proprietadi: l'una sì è che muove tra due cieli repugnanti a la sua buona temperanza, sì come quello di Marte e quello di Saturno; onde Tolomeo dice, ne lo allegato libro, che Giove è stella di temperata complessione, in mezzo de la freddura di Saturno e de lo calore di Marte; l'altra sì è che intra tutte le stelle bianca si mostra, quasi argentata. E queste cose sono ne la scienza de la Geometria. 26. La Geometria si muove intra due repugnanti a essa, sì come 'l punto e lo cerchio - e dico 'cerchio' largamente ogni ritondo, o corpo o superficie -; chè, sì come dice Euclide, lo punto è principio di quella, e, secondo che dice, lo cerchio è perfettissima figura in quella, che conviene però avere ragione di fine. 27. Sì che tra 'l punto e lo cerchio sì come tra principio e fine si muove la Geometria, e questi due a la sua certezza repugnano; che lo punto per la sua indivisibilità è immensurabile, e lo cerchio per lo suo arco è impossibile a quadrare perfettamente, e però è impossibile a misurare a punto. E ancora la Geometria è bianchissima, in quanto è sanza macula d'errore e certissima per sè e per la sua ancella, che si chiama Perspettiva.

28. E lo cielo di Saturno hae due proprietadi per le quali si può comparare a l'Astrologia: l'una sì è la tardezza del suo movimento per li dodici segni, chè ventinove anni e più, secondo le scritture de li astrologi, vuole di tempo lo suo cerchio; l'altra sì è che sopra tutti li altri pianeti esso è alto. 29. E queste due proprietadi sono ne l'Astrologia: chè nel suo cerchio compiere, cioè ne lo apprendimento di quella, volge grandissimo spazio di tempo, sì per le sue [dimostrazioni], che sono più che d'alcuna de le sopra dette scienze, sì per la esperienza che a ben giudicare in essa si conviene. 30. E ancora è altissima di tutte le altre, però che, sì come dice Aristotile nel cominciamento de l'Anima, la scienza è alta di nobilitade per la nobilitade del suo subietto e per la sua certezza; e questa più che alcuna de le sopra dette è nobile e alta per nobile e alto subietto, ch'è de lo movimento del cielo; e alta e nobile per la sua certezza, la quale è sanza ogni difetto, sì come quella che da perfettissimo e regolatissimo principio viene. E se difetto in lei si crede per alcuno, non è da la sua parte, ma, sì come dice Tolomeo, è per la negligenza nostra, e a quella si dee imputare.

Saturday 2 December 2023

"Bis Saeculari" by Pope Pius XII (translated into Portuguese)

1. Ocorrendo o auspicioso bicentenário do dia em que Bento XIV confirmou com novos benefícios, por meio da bula áurea "Gloriosae Dominae", as congregações marianas, perpetuamente erigidas e instituídas por Gregório XIII [1], entendemos ser do nosso munus apostólico não só congratular-nos paternalmente com os diretores e membros das mesmas congregações, mas declarar que confirmamos e ratificamos os privilégios e as amplíssimas graças com que, no decurso de quase quatro séculos, muitos predecessores nossos [2] e nós próprios enriquecemos as ditas congregações por tantos e tão grandes méritos para com a Igreja.

 

I. EFICÁCIA E ATUALIDADE DAS CONGREGAÇÕES MARIANAS

2. É que sabemos muito bem não só quão grande "utilidade ― para usarmos as palavras de Bento XIV na citada bula áurea ― derivou desta piedosa e louvável instituição para os homens de todas as classes sociais", [3] nos tempos passados, mas também o grande empenho e esforço de ânimo, com que, em nossos dias, estas falanges marianas, seguindo as gloriosas pegadas dos antepassados e obedecendo religiosamente às suas leis, se colocam nas primeiras filas, sob os auspícios e a direção da hierarquia eclesiástica, apoiando e suportando com constância trabalhos para a maior glória de Deus e para o bem das almas; de tal maneira que devem ser consideradas como aguerridas cortes e forças espirituais, prontas a defender, assegurar e propagar o catolicismo. [4] E isso por muitas razões

1) Produziram e produzem magníficos frutos: 

a) Pelo seu número sempre crescente

3. De fato, quem recorda a história das congregações marianas, terá de confessar que, embora elas apareçam sempre florescentes em fileiras bem compactas, contudo não podem comparar-se com as mais recentes em número de membros, ainda que sim no fervor das obras; pois, quando nos séculos anteriores o número das agregações à Prima-Primária, por ano, não ia nunca além da dezena, desde o princípio do século XX essas agregações anuais facilmente se contam pelo milhar.

b) Pela eficácia espiritual de suas regras

4. Mas ― e é o principal, ― muito mais que o número de membros se hão de ter em conta as regras e leis pelas quais os congregados são como que levados pela mão àquela excelência de vida espiritual [5] que os torna capazes de subir aos cumes da santidades principalmente com o auxílio [6]daqueles meios com os quais é utilíssimo que estejam apetrechados os perfeitos e íntegros seguidores de Cristo: o uso dos exercícios espirituais, [7] a meditação diária das coisas divinas e o exame de consciência; [8] a freqüência aos sacramentos; [9] a dócil e filial dependência de um diretor espiritual certo; [10] pleníssima e perpétua consagração da própria pessoa à bem-aventurada Virgem Mãe de Deus; [11] e, finalmente, o firme propósito de procurar a perfeição cristã para si e para os outros. [12]

c) Pela pujante vitalidade interior da qual viceja o espírito apostólico

5. Tudo isso destina-se a acender nos congregados de Maria aquelas chamas da divina caridade e a alimentar e fortalecer aquela vida interior, necessária sobremaneira nesta nossa idade, em que, como noutra ocasião com dor advertimos, tantas multidões de homens padecem "vazio de alma e profunda indigência espiritual". [13]

6. E que essas coisas não só são prescritas em sapientíssimas leis, mas levadas felizmente à prática da vida de cada dia nas congregações marianas, conclui-se abundantemente do fato de que, onde quer que elas prosperem, e uma vez que observem santamente o seu espírito e as suas leis, se vê logo florescer e vigorar a inocência dos costumes e uma inabalável fidelidade à religião. Mais ainda: sob o impulso do Espírito Santo, muitas vezes falanges de congregados que, ou no estado eclesiástico ou no religioso, aspiram à perfeição cristã para si e para a comunicar aos outros. E não são tão raros os que atingem, com seguro voo, os próprios árduos cimos da santidade.[14] "Desse fervoroso anseio da vida interior brota, como que espontaneamente, aquela completa formação apostólica dos congregados, acomodada sempre às novas e variadas necessidades e circunstâncias da sociedade humana, de tal maneira que não hesitamos um momento em asseverar que o modelo do homem católico, qual a congregação mariana, já desde os princípios, costumou formá-lo com não menor adequação que às necessidades dos passados tempos, corresponde às dos nossos, dado que hoje, talvez, mais que outrora, são precisos homens solidamente formados na vida cristã.[15]

 

II. A SANTA SÉ LOUVA E DEFINE A POSIÇÃO  DAS CONGREGAÇÕES MARIANAS

1) Louva:

a) Pelos seus trabalhos em prol da Igreja e das almas

7. Pelo que, contemplando do alto desta sede de Pedro, como de elevada atalaia donde se descortina o mundo, o admirável esforço de tantos féis cristãos em toda parte, na conservação, defesa e aumento da religião, julgamos dignas de particular louvor as hostes das congregações marianas, as quais, logo desde a sua origem, se propuseram tomar a cargo, como coisa própria sua e muito em consonância com as suas leis, [16] todas as obras apostólicas recomendadas pela santa madre Igreja, [17] tendo como guias os pastores sagrados, [18] e isso não só individual, mas coletivamente. Quão bem tenham satisfeito a esse encargo e dever, e com que felicíssimos incrementos para a religião, declararam-no eloquentissimamente os reiterados encômios dos romanos pontífices. [19] E na época atual, agitada por tantas calamidades, é para nós suavíssima consolação contemplar em espírito como os congregados de Maria, em todas as partes do mundo, empenham forças valorosa e eficazmente, em todo gênero de apostolado, seja em levar à virtude e incitar ao desejo de uma vida cristã mais pujante, por meio dos exercícios espirituais, os homens de todas as classes, principalmente os adolescentes e os operários, seja em aliviar as misérias espirituais e materiais dos pobres. E isso fazem-no, não só por iniciativa particular e movidos por sentimentos de bondade inata, mas também promovendo leis conformes com os princípios do evangelho e da justiça social, nas assembleias públicas dos Estados e até mesmo desde os mais altos cargos do Estado. [20]

8. Também se não devem passar em silêncio as associações que as congregações marianas fundaram ou consolidaram com o seu esforço, para reprimir as representações teatrais e os espetáculos cinematográficos obscenos, e preservar os bons costumes da aluvião de livros e periódicos perversos. Nem se hão de esquecer as inúmeras escolas gratuitas abertas pelas congregações para os meninos e adultos mais desprotegidos da fortuna; os institutos técnicos para melhor formação dos operários na arte de cada qual, [21] e sobretudo os que visam a uma maior especialização nas várias classes e gêneros de profissões e disciplinas.[22] Essa forma de apostolado, tão necessária em nossos dias, é praticada por numerosas congregações, sobretudo pelas chamadas interparoquiais, em proveito de grupos de pessoas unidas entre si pela maior semelhança dos respectivos misteres e ofícios.[23]

b) Pela sua colaboração fraterna com as demais associações católicas

9. Na verdade, essas obras são numerosas e utilíssimas à causa católica. Ainda na mesma ordem de idéias, se deve tributar o louvor às congregações marianas de terem sempre, e mais ainda nos últimos tempos, desejado do fundo da alma colaborar íntima e fraternalmente com outras associações católicas; para que, pela união de forças e sob a autoridade e direção dos bispos, se colham, dos trabalhos suportados pelo reino de Cristo, frutos mais abundantes. Mais ainda, como noutro lugar fazíamos ver acerca da Ação católica italiana, [24] os primeiros núcleos destas associações em algumas nações foram fundados por congregações de Maria, os quais, sucedendo-lhes depois outros e outros que fervorosamente lhes foram juntando o seu esforço, mostraram dever ser tidos, com verdade e justiça entre os principais fautores da Ação católica.

c) Pelo seu apego à hierarquia: papa e bispos

10. Além disso, assentando toda a força dos católicos na união de todos como num só esquadrão em ordem de batalha sob a autoridade e obediência dos pastores da Igreja, quem não vê quão oportunos instrumentos de apostolado sejam as congregações marianas, não só em virtude da sua fervorosa e incondicional sujeição a esta Sé Apostólica, cabeça e fundamento de toda a hierarquia eclesiástica, [25] mas também pela humilde e dócil submissão às ordens e conselhos dos ordinários,[26] segundo a sua índole e capacidade.

11. E quem examina a íntima constituição das congregações, facilmente verificará que umas dependem dos bispos e párocos; outras, por especial privilégio, de nós mesmo, e, por delegação de nós recebida, do prepósito geral da Companhia de Jesus. Todas, porém, quanto aos trabalhos apostólicos a organizar e a executar, estão sujeitas à autoridade do próprio bispo ou ainda, por vezes, a do pároco. Por isso, visto serem recebidas entre os esquadrões da milícia apostólica pela hierarquia eclesiástica, e dela inteiramente dependerem na iniciativa e realização das suas atividades, com razão, como noutra ocasião advertimos, [27] se devem denominar cooperadoras do apostolado hierárquico. E, na verdade, nos congregados de Maria, esta como que ingênita "reverência e humilde submissão aos pastores sagrados" brota necessariamente das suas próprias regras. Segundo elas, o congregado há de professar incondicionalmente, na vida e nos costumes, tudo o que ensina a Igreja católica, "louvando o que ela louva, e reprovando o que ela reprova, sentindo como ela sente em todas as coisas, não se envergonhando nunca, seja na vida particular, seja na pública, de proceder como filho obediente e fiel de tão santa mãe" [28].

12. A essa estreita e quase militar união dos católicos, de modo nenhum se opõe o fato de que as congregações, fundadas pela Companhia de Jesus, pareçam como renovos e derivações da mesma, dado sobretudo o serem parte delas, embora pequena, dirigidas por sacerdotes da mesma Companhia, por delegação nossa, como dissemos. Pelo contrário, uma vez que as congregações marianas tomaram como lema, logo desde a fundação, as regras "para sentir com a Igreja", parece terem adquirido certa como que inclinação natural de obedecer aos ditames daqueles que "o Espírito Santo pôs como bispos a regerem a Igreja de Deus" (At 20,28); donde resulta que prestaram e prestarão valiosíssimo auxílio aos mesmos bispos na dilatação do reino de Cristo. O mais irrefragável testemunho de que elas não buscaram nunca o interesse de qualquer causa particular, mas sempre o bem comum da Igreja, está naquele brilhantíssimo esquadrão de congregados marianos, a quem a mesma santa madre Igreja decretou as supremas honras dos altares, com cuja glória se ilustra não apenas a Companhia de Jesus, mas o próprio clero secular e não poucas famílias religiosas, pois que das congregações marianas saíram dez fundadores e patriarcas de novas ordens ou congregações Religiosas.

2) Define:

a) São associações apostólicas

13. De tudo isso, portanto, claramente se conclui que as congregações marianas, como as suas regras aprovadas pela Igreja altamente proclamam, são associações imbuídas de espírito apostólico, [29] que, ao incitar os seus membros, por vezes arrebatados até aos cumes da santidade, [30] a procurar também a perfeição da vida cristã e a salvação eterna dos outros, sob a direção dos pastores sagrados, [31] e a defender os direitos da Igreja, [32] conseguem também preparar incansáveis arautos da Virgem Mãe de Deus e adestradíssimos propagadores do reino de Cristo [33].

b) Têm todas as condições para serem consideradas verdadeira Ação católica

14. Sendo isso assim, às congregações marianas, quer se considerem as suas Regras, quer a sua natureza, objetivos, empreendimentos e história, não se lhes pode negar nenhuma das características de que a Ação católica está adornada, já que esta, como tantas vezes declarou o nosso predecessor de feliz memória, Pio XI, exatamente se define: "O apostolado dos fiéis, que prestam a sua cooperação à Igreja e em certo modo a auxiliam no desempenho do seu múnus pastoral" [34].

c) Não obstam suas características peculiares, antes pelo contrário são e devem ser o que sempre têm sido 

15. Nem a natureza e características peculiares das congregações marianas obstam a que se possa chamar de pleno direito "Ação católica executada sob os auspícios e proteção da bem-aventurada Virgem Maria" ; [35] antes, como o foram no passado, assim "são no presente e serão no futuro, defesa e garantia de uma mais esclarecida formação católica das almas". [36] De fato, como muitas vezes declarou esta Sé Apostólica, "a Ação católica não se exerce num círculo fechado", [37] como que circunscrita rigidamente dentro de determinados limites invioláveis, nem pelo fato de "ter um objetivo, faz por alcançá-lo por um caminho e processo exclusivo", [38] a ponto de suprimir e absorver as outras associações ativas dos católicos; pelo contrário, deve ter como dever seu "unir e amistosamente coordenar estas associações de tal forma que umas beneficiem o progresso das outras, com inteira concórdia de ânimos, união e caridade". [39] Pois, como recentemente advertimos, "neste exímio fervor de apostolado, que nos é tão grato, deve haver precaução contra o erro de alguns que desejam reduzir a uma única forma de apostolado tudo o que se faz para bem das almas". [40] Este procedimento é inteiramente contrário ao pensamento e sentir da Igreja, [41] a qual de modo nenhum aprova esta espécie de "coarctação da vida que espontaneamente brota e floresce" [42], coarctação que leva a confiar todas as obras de apostolado apenas a uma determinada associação ou a paróquia. A Igreja, pelo contrário, favorece a multiforme unidade, [43] na direção dessas obras, por meio da colaboração fraterna, sob a orientação dos prelados, na união e conjugação de todas as forças para um único fim. [44] E esta "concorde harmonia de sentimentos, ordenada colaboração e entendimento mútuo, que inúmeras vezes recomendamos", [45] tanto mais facilmente a conseguirão essas associações, quanto mais profundamente se persuadirem de que então se avantajarão às demais, quando aprenderem a dar-lhes o primeiro lugar, [46] desterrando qualquer contenda acerca de primazias, [47] "amando-se uns aos outros com fraterna caridade e dando-se mutuamente a preferência", [48] procurando só a glória de Deus.

 

III. NOTAS ESSENCIAIS A TODAS AS CONGREGAÇÕES MARIANAS

16. Ponderadas, pois, cuidadosamente todas essas razões e com o desejo veementíssimo de que essas escolas vivas de piedade e vida cristã operante se desenvolvam e robusteçam, cada dia, mais e mais, [49] indicamos sumariamente aos congregados marianos, com a nossa autoridade apostólica, alguns pontos aplicáveis em todo o mundo, que deverão ser religiosamente observados por todos aqueles a quem disser respeito:

I.

17. As congregações marianas, devidamente agregadas à Prima-Primária do Colégio Romano, são associações religiosas erigidas e instituídas [50] pela própria Igreja, e cumuladas por ela de abundantes privilégios, para mais facilmente realizarem a missão que lhes foi confiada[51].

II.

18. Só deve ser considerada congregação mariana a que seja erigida pelo ordinário competente, a saber: nos locais próprios da Companhia de Jesus ou a ela confiados, pelo prepósito geral dela, [52] e nos outros pelo bispo da diocese, ou, com o consentimento formal deste, pelo sobredito prepósito geral. [53] Porém, para que a congregação assim erigida goze dos privilégios concedidos à Prima-Primária, é necessário ser-lhe devidamente agregada. [54] Contudo, esta agregação, que deve ser pedida com o consentimento do ordinário do lugar, e que é concedida única e exclusivamente pelo prepósito geral da Companhia de Jesus, [55] nenhum direito confere à Prima-Primária nem à Companhia de Jesus sobre a congregação [56].

III.

19. As congregações marianas, que plenamente correspondem às atuais necessidades da Igreja,[57] devem, por vontade dos sumos pontífices, conservar intactas as suas regras, métodos, índole própria [58].

IV.

20. As regras comuns ― cuja observância, ao menos no essencial, é requerida [59] para impetrar a agregação, são calorosamente recomendadas a todas as congregações, como sumário e documento da disciplina observada pelos antigos congregados e consagrada pelo uso constante [60].

V.

21. Todas as congregações marianas dependem da hierarquia eclesiástica, por modos acidentalmente diversos, mas substancialmente idênticos, exatamente como as outras agremiações dedicadas a obras de apostolado [61].

VI.

22. Para não dar-se o caso de as fileiras e as forças da milícia cristã se dispersarem e enfraquecerem na propagação do reino de Deus e na defesa dos direitos da religião, os congregados de Maria, seguindo fielmente as pegadas dos antepassados e amoldando-se à praxe hodierna, ao empreender e prosseguir obras apostólicas, tenham presente:

a) Que o ordinário do lugar:

1) segundo a norma dos sagrados cânones e salvas sempre as prescrições e documentos da Sé Apostólica, tem poder sobre absolutamente todas as congregações que estão no território da sua jurisdição, quanto ao exercício do apostolado externo;

2) tem poder sobre as congregações constituídas fora dos recintos da Companhia de Jesus, e pode dar-lhes normas próprias, contanto que não se altere a substância das regras comuns.[62]

b) que o pároco:

1) é o diretor nato das congregações paroquiais, as quais, portanto, governa como as demais associações da freguesia;

2) goza, em todas as congregações que exercem obras de apostolado no seu território, do poder que lhe é concedido pelos sagrados cânones e pelos estatutos diocesanos, para a boa organização do apostolado externo. [63]

VII.

23. O diretor de qualquer congregação mariana, legitimamente nomeado, e que há de ser sempre sacerdote, ainda que esteja sob a completa dependência dos legítimos superiores eclesiásticos, contudo na vida interna da congregação goza, segundo a norma das regras comuns, de pleno poder, que ordinariamente convém que exerça por meio de congregados que tomará como auxiliares do seu cargo.[64]

VIII.

24. Essas congregações devem chamar-se marianas, não só porque da bem-aventurada Virgem Maria assumem o título, [65] mas muito principalmente porque todos os seus membros professam uma singular devoção para com a Mãe de Deus, [66] e a ela se ligam com total consagração, [67] em virtude da qual se comprometem, ainda que não sob pecado, [68] a combater com todo o esforço, sob a bandeira da santíssima Virgem, pela perfeição cristã e salvação eterna própria e dos outros. [69] Por essa consagração, o congregado fica para sempre obrigado para com a santíssima Virgem, a não ser que seja despedido por indigno, ou que, por ligeireza de ânimo, ele mesmo abandone a congregação [70].

IX.

25. No recrutamento dos Congregados, escolham-se cuidadosamente [71] os que, não contentes com um gênero de vida vulgar e trivial [72], se empenhem em "dispor no seu coração ascensões" (Cf. Sl 83,6) para o mais alto,[73] segundo as normas ascéticas e os exercícios de piedade propostos nas regras.[74]

X.

26. É, por conseguinte, dever das congregações marianas formar de tal modo os congregados, segundo a condição de cada um, que possam ser propostos aos seus iguais como exemplo, na vida cristã e na atividade apostólica [75].

XI.

27. Entre os fins primários das congregações,[76] há de contar-se o apostolado de todo o gênero (omnímodo), principalmente o social ― apostolado que, para propagar o reino de Cristo e defender os direitos da Igreja," [77] lhes é confiado por mandato (demandatus) [78] pela própria hierarquia eclesiástica. "Para prestar essa verdadeira e completa cooperação com o apostolado hierárquico,[79] de modo nenhum é preciso variar ou inovar as normas próprias das congregações referentes aos métodos dessa cooperação[80].

XII.

28. Por último, as congregações marianas devem ser consideradas na mesma categoria das outras associações de caráter apostólico, [81] quer estejam federadas com elas, quer adiram coletivamente ao órgão central da Ação católica. Além disso, como as congregações devem, sob a orientação e autoridade dos prelados, [82] empenhar todo o seu esforço e zelo [83] em ajudar qualquer outra associação, não é necessário que cada congregado dê individualmente o nome a mais outro agrupamento [84].

 

CONCLUSÃO 

29. Essas coisas mandamos e fazemos saber, decretando que as presentes Letras sejam e permaneçam sempre estáveis e firmes, válidas e eficazes, e surtam e obtenham os seus efeitos plena e integralmente, e plenissimamente favoreçam aqueles em favor dos quais se escreveram; e que assim exatamente se haja de julgar e definir; e seja desde já írrito e nulo quanto porventura alguém, fosse quem fosse, e fosse qual fosse a sua autoridade, cientemente ou por ignorância, viesse a atentar de diferente modo ou contra as presentes, nesta matéria. Não obstante quaisquer coisas em contrário.

 

Dado em Castel Gandolfo, junto a Roma, aos 27 do mês de setembro do ano de 1948, 200° da Bula Áurea "Gloriosae Dominae", X do nosso pontificado.

PIO PP. XII

 

Notas

[1] Bula Omnipotentis Dei, 5 Dec.1584.

[2] Xisto V, Bula Superna dispositione, 5 de Jan. de 1587. ― Bula Romanum decet, 29 de Set. de 1587. ― Clemente VIII, Breve Cum sicut Nobis, 30 de Aug. de 1602. ― Gregório XV, Bula Alias pro parte, 15 de Abril de 1621. ― Bento XIV, Breve Praeclaris Romanorum Pontificum, 24 de de Abril de 1748; Bula Aurea Gloriosae Dominae, 27 de Set. de 1748; Breve Quemadmodum Presbyteri, 15 de Jul. de 1749; Breve Quo Tibi, 8 de Set. de 1751; Breve Laudabile Romanorum, 15 de Fev. de 1758. ― Clemente XIII, Bula Apostolicum, 7 de Jan. de 1765. ― Pio VI, Decretos 2 de Maio de 1775, Dez.1775, 20 de Março de 1776. ― Leão XII, Breve Cum multa, 17 de Maio de1824. ― Pio IX, Decreto 8 de Jul. de 1848; Breve Exponendum, 10 de Fev. de 1863. ― Leão XIII, Breve Frugiferas, 27 de Maio de 1884; Breve Nihil adeo, 8 de Jan. de 1886. ― Pio X, Decretos 10 de Maio de 1910 e 21 de Jul. de 1910. ― Bento XV, Discurso 19 de Dez. de 1915, i n quadragesimo anniversario Suae in Sodalitatem coaptationis. ― Pio XI Praesertim: Discurso 30 de Março de 1930; Discurso 29 de Agosto de 1935.

[3] Bento XIV, Bula Aurea Gloriosae Dominae, 27 de Set. de 1748.

[4] Pio XII, Epist. ao Card. Leme, 21 de Jan. de 1942.

[5] Cf. Reg. Comm., 1, 33.

[6]Cf. Reg. Comm., 12. 

[7] Cf. Reg. Comm., 9. 

[8] Cf. Reg. Comm., 34.

[9] Cf. Reg. Comm., 37, 38, 39.

[10] Cf. Reg. Comm., 36.

[11] Cf. Reg. Comm., 27,1, 40, 43. 

[12] Cf. Reg. Comm., 1.

[13] Pio XII, Carta enc. Summi Pontificatus, 20 de Out. de 1939; AAS 31, p. 415.

[14] Pio XII, Discurso aos Congreg, marian., 21 Jan.1945.

[15] Pio  XII, Discurso aos Congreg. marian., 21 de Jan. de 1945.

[16] Pio XI, Discurso aos Congreg. marian., 30 de Março de 1930. 

[17] Cf. Pio XII, Carta ao P D. Lord, 24 de Jan. de 1948.

[18] Cf. Pio XII, Carta ao Card. Leme, 21 de Jan, de 1942. 8

[19] Cf. Reg. Comm.,1,12, 43. -Bento XIV, Bula Auream Gloriosae Dominae, 27 de Set. de 1748 ― Bento XV, Discurso aos Congreg. marian., 19 de Dez. de 1915. ― Pio XI, Carta ad Adm. Apost. Oenip., 2 Ago.1927; Carta aos Congr. Mar. da Alemanha, 8 de Set. de 1928. ― Pio XII, Carta apost. Nosti profecto, 6 de Jul. de 1940; Discurso à A. C. Ital., 4 de Set. de 1940; Carta ao Card. Leme, 21 de Jan. de 1942; Carta ao P S. Ilundáin, 26 de Ago. de 1946; Mens. radiof. ao Congresso de Barcelona, 7 de Dez. de 1947.

[20] Cf. Pio XII, Carta ao E D. Lord, 24 de Jan. de 1948; Discurso aos Congreg. marian. da "Conférence Olivaint", 27 de Março de 1948.

[21] Cf. Pio XII, Carta ao P. D. Lord, 24 de Jan. de 1948.

[22] Cf. Pio XII, Discurso aos Congreg. marian., 21 de Jan. de 1945.

[23] Cf. Pio XII, Discurso aos Congreg. marian., 21 de Jan, de 1945. 

[24] Cf. Pio XII, Discurso aos Congreg. marian., 21 de Jan, de 1945.

[25] Cf. Conc. Vat., Sess. IV, Const. I  " De Ecclesia Christi". 

[26] Cf. Pio XII, Carta ao Card. Leme, 21 de Jan. de 1942.

[27] Pio XII, Discurso à A. C. Ital., 4 de Set. de 1940: AAS 32, p. 369.

[28] Cf. Reg. Comm., 33.

[29] Cf. Reg. Comm., l, 43. 

[30] Reg. Comm., 12. 

[31] Reg. Comm., 33.

[32] Reg. Comm., 1.

[33] Reg. Comm., 43.

[34] Pio XI, Carta ao Card. van Roey, 15 de Ago. de 1928: AAS 20, p. 296; Carta ao Card. Segura, 6 de Nov. de 1929: AAS 21, p. 665.

[35] Cardeal Pacelii, Discurso aos Congreg. marian. in Menzingen (Suíça), 22 de Out. de 1938.

[36] Pio XI, Discurso aos Congreg. marian., 30 de Março de 1930.

[37]  Pio XI, Carta encycl. Firmissimam constantiam, aos bispos mexicanos, 28 de Março de 1937: AAS 29, p. 210.

[38] Pio XI, Carta Quae Nobis ao Card. Bertram, 13 de Nov de 1928: AAS 20, p. 386.

[39] Pio XI, Discurso à A. C. da França, 20 de Maio de 1931.

[40] Pio XII, Mens. radiof. ao Congresso de Barcelona, 7 de Dez. de 1947: AAS 39, p. 364. 9

[41] Pio XI, Discurso à A. C. Ital., 28 de Jun. de 1930.

[42] Pio XI, Carta Quamvis Nostra aos bispos do Brasil, 27 de Out. de 1935: AAS 28, p.160.

[43] Pio XI, Discurso aos Congreg. marian., 30 de Março de 1930. 

[44] Cf. Pio XII, Carta ao P S. Ilundáin, 26 de Ag. de 1946.

[45] Pio XI, Carta Quamvis Nostra aos bispos do Brasil, 27 de Out. de 1935: AAS 28, p.163.

[46] Cf. Mc 20, 26-27.

[47] Cf. Mc 9, 33. 

[48] Rom.,12,10. 

[49] Pio XII, Carta ao Card. Leme, 21 de Jan. de 1942.

[50] Cf. Bula de Gregorio XIII Omnipotentis Dei, 5 de Dez, de 1584. 

[51] Cf. Pontificia documenta supra recensita, notas (1) e (2).

[52] Sixto V, Bula Romanum decet, 20 de Set. de 1587. 

[53] SS. Congr. Indulg. decr. 23 de Jun. de 1885.

[54] Cf. CIC, 686; Bula Gloriosae Dominae, 27 de Set. de 1748; Decr. Leão XII,17 de Maio de 1824; Decr. S. Congr. Indulg., 23 de Jun, de 1885.

[55] Cf. Rescrito S. Congr. Indulg.,  17 de Set. de 1887; CIC, 723; Reg. Comm., 2.

[56] Cf. CIC, 722 § 2; Declar. ao R. P Ludovico Martin, Prep. Gen. S. J.,13 de Abril de 1904.

[57] Cf. especialmente Pio XII, Discurso aos Congreg. marian., 21 de Jan. de 1945; Carta ao P. S. Ilundáin, 26 de Ag. de 1946; Carta ao P. D. Lord, 24 de Jan, de 1948.

[58] Cf. especialmente: Pio XI, Discurso aos Congreg. marian., 30 de Março de 1930; Discurso aos Congr. Primae Primariae, 24 de Março de 1935. ― Pio XII, Telegram. ao Conv. das congregações marianas da Itália, 12 de Set. de 1947; Mens. radiof. aos Congr. Barc., 7 de Dez. de 1947; Carta ao P D. Lord, 24 de Jan. de 1948.

[59] Cf. Dec. S. Congr. Indulg., 7 de Março de 1825; Decr. S. Congr. Indulg., 23 de Jun, de 1885; Rescr. S. Congr. Indulg., 17 de Set. de 1887.

[60] Cf. Pio XII, Discurso aos Congreg. marian., 21 de Jan. de 1945; Carta ao P D. Lord, 24 de Jan. de 1948.

[61] Cf. Conc. Vatic., Sess. IV, Const. " De Ecclesia Christi"; cap. 3; CIC, 218 § 2; Pio XII, Mens. à A. C. Ital., 4 de Set. de 1940: AAS 32, p. 369; Carta ao Card. Leme, 21 de Jan. de 1942; Mens. ao Congr. Barc., 7 de Dez. de 1947; AAS 39, p. 634. 10

[62] Cf. CIC, 334 § 1, 335, § 1; Estatutos Gerais das congregações marianas, 31 de Ag. de 1885, II, 5.

[63] Cf. CIC, 464 § 1; Declaração ao R. E Ludovico Martin, l3 de Abril de 1904.

[64] Cf. Bento XIV, Bula. Aur. Gloriosae Dominae 27 de Set. de 1748; Breve Laudabili Romanorum, 15 de Fev. de 1758. Statuta Generalia, 31 de Ag. de 1885; Reg. Comm., 16,18, 50.

[65] Cf. Reg. Comm., 3, Bula Aur. Gloriosae Dominae.

[66] Cf. Reg. Comm., 1, 40.

[67] Cf. Reg. Comm., 27.

[68] Cf.. Pio XII, Mens. aos Congreg. marian., 21 de Jan. de 1945; Reg. Comm., 32.

[69] Cf. Pio XII, Mens. aos Congreg. marian., 21 de Jan. de 1945; Carta ao P D. Lord, 24 de Jan. de 1948.

[70] Cf. Reg. Comm., l, 27, 30.

[71] Cf. Reg. Comm., 23, 24, 26; Bento XV, Mens. aos Congreg. marian., 19 de Dez. de 1915. - Pio XI, Encicl. Ubi arcano, 23 de Dez. de 1922: AAS 14, p. 693. Pio XII, Carta ao Card. Leme, 21 de Jan. de 1942; Mens. aos Congreg. marian., 21 de Jan. de 1945; Carta ao P. S. Ilundáin, 26 de Ag. de 1946; Telegr. aos Conv. das congregações marianas da Itália, l2 de Set. de 1947; Mens. radiof. ao Congr. de Barc., 7 de Dez, de 1947; AAS 39, p. 643.

[72] Cf. Reg. Comm., l, 35.

[73] Cf. Reg. Comm., 12.

[74] Cf. Reg. Comm., 9, 33, 45.

[75] Cf. Reg. Comm.,14,1, 33, 43; Pio XII, Mens. aos Congreg. marian., 21 de Jan, de 1945; Telegr, ao Conv. das congregações marianas da Itália, 12 de Set. de 1947, Carta ao P. D. Lord, 24 de Jan. de 1948; Mens. aos Congreg. marian., da "Conference Olivaint" 27 de Março de 1948.

[76] Bento XIV, Bula Aur. Gloriosae Dominae, 27 de Set. de 1748. ― Bento XV, Mens. aos Congreg. marian., 19 de Dez. de 1915.-Pio XI, Epost. ao Admin. Apost. Oenip., 2 de Aug. de 1927. ― Pio XII, Carta ao Card. Leme, 21 de Jan. de 1942; Carta ao P S. Ilundáin, 26 de Ag. de 1946; Mens. radiof. ao Congr. de Barc., 7 de Dez. de 1947. AAS, 39, p. 633.

[77] Reg. Comm., l, Pio XII, Mens. aos Congreg, marian., 21 de Jan. de 1945. 

[78] Cf. Carta do Card. Pacelli ao Card. Faulhaber, 3 de Set. de 1934; Pio XII, Carta Apost. Nosti profecto, 5 de Jul. de 1940; Mens. aos Sod. Mar, 21 de Jan. de 1945; Carta ao S. P. Ilundáin, 26 de Ag. de 1946. Carta ao P. D. Lord, 24 de Jan. de 1948.

[79] Pio XII, Mens, à A. C. Ital., 4 de Set. de 1940; AAS 32, p. 369; Carta ao Card. Leme, 21 de 11 Jan. de 1942: Card. Pacelli, Mens. aos Congreg, marian. in Menzingen (Suíça). 22 de Out. de 1938.

[80] Cf. Pio XII, Mens. radiof. aos Congr. Barcel., 7 de Dez. de 1947; AAS 39, p. 634.

[81] Cf. Pio XII, Mens. à A. C. Ital., 4 de Set, de 1940: AAS 32, p. 368; Telegr. aos Conv. das congregações marianas da Itália, 12 de Set.1947; Mens, radiof. ao Congr. Barcel., 7 de Dez. de 1947; AAS 39, p. 634.

[82] Cf. entre outros: Pio XII, Telegr. ao Conv. das congregações marianas da Itália, 12 de Set. de 1947; Carta ao P. D. Lord, 24 de Jan, de 1948; Carta During recent years ad Episc. Indiae, 30 de Jan. de 1948.

[83] Cf. especiamente: Pio XI, Carta aos bispos do Brasil, 27 de Out. de 1935: AAS 28 p.161; Mens. aos Congreg. marian., 30 de Março de 1930. ― Pio XII, Mens. à A. C. Ital., 4 de Set. de 1940: AAS 32, p. 369.

[84] Cf. Pio XII, Carta ao P. S. Ilundáin, 26 de Ag. de 1946. © Copyright - Libreria Editrice Vaticana 12

 

 

Friday 1 December 2023

Friday's Sung Word: "Voltaste pro Subúrbio" by Noel (in Portuguese)

Voltaste
Novamente pro subúrbio
Vai haver muito distúrbio
Vai fechar o botequim
Voltaste
E o despeito te acompanha
E te guia na campanha
Que tu fazes contra mim
O guarda que apitava ressonando
Anda alerta envergando
O teu capote de lã
Voltaste
Para fabricar defunto
Para fornecer assunto
Aos diários da manhã
Voltaste
Novamente sem dinheiro
Tapeando o açougueiro
Que não tem golpe de vista
Voltaste
Com um cão muito valente
Que só tiras da corrente
Quando chega o prestamista
Voltaste
Para mostrar ao nosso povo
Que não há nada de novo
Lá no Centro da cidade
Voltaste
Demonstrando claramente
Que o subúrbio é ambiente
Que completa a liberdade
Voltaste
Mas falhou o teu projeto
Não te dou o meu afeto
Quando eu quero
Eu sou ruim
Voltaste
Confessando sem vaidade
Que a tua liberdade
É viver bem preso a mim.

 

You can listen "Voltaste pro Subúrbio" sung by Aracy de Almeida com orquestração de Vadico here.