CONSIDERAZIONE
XXII - DEL MAL'ABITO
«Impius cum in profundum venerit, contemnit» (Prov. 18.
3).
PUNTO I
Uno de' maggiori danni, che a noi
cagionò il peccato di Adamo, fu la mala inclinazione al peccare. Ciò facea
piangere l'Apostolo, in vedersi spinto dalla concupiscenza verso quegli stessi
mali, ch'egli abborriva: «Video aliam legem in membris meis... captivantem me
in lege peccati» (Rom. 7. 23). E quindi riesce a noi, infettati da questa
concupiscenza, e con tanti nemici che ci spingono al male, sì difficile il
giungere senza colpa alla patria beata. Or posta una tal fragilità che abbiamo,
io dimando: Che direste voi d'un viandante, che dovesse passare il mare in una
gran tempesta, con una barca mezza rotta, ed egli poi volesse caricarla di tal
peso, che senza tempesta, e quantunque la barca fosse forte, anche basterebbe
ad affondare? Che prognostico fareste della
vita di costui? Or dite lo stesso d'un mal abituato che dovendo passare il mare
di questa vita (mare in tempesta, dove tanti si perdono) con una barca debole e
ruinata, qual'è la nostra carne, a cui stiamo uniti, questi volesse poi aggravarla
di peccati abituati. Costui è molto difficile che si salvi, perché il mal'abito
accieca la mente, indurisce il cuore, e con ciò facilmente lo rende ostinato
sino alla morte.
Per prima il mal'abito «accieca». E
perché mai i santi sempre cercano lume a Dio, e
tremano di diventare i peggiori peccatori del mondo? perché sanno che se in un
punto perdon la luce, possono commettere
qualunque scelleragine. Come mai tanti cristiani ostinatamente han voluto
vivere in peccato, sino che finalmente si son dannati? «Excaecavit eos malitia
eorum» (Sap. 2. 21). Il peccato ha tolto loro la vista, e così si son perduti.
Ogni peccato porta seco la cecità; accrescendosi i peccati, si accresce
l'accecazione. Dio è la nostra luce; quanto più dunque l'anima si allontana da
Dio, tanto resta più cieca. «Ossa eius implebuntur vitiis» (Iob. 20. 11).
Siccome in un vaso, ch'è pieno di terra, non può entrarvi la luce del sole,
così in un cuore pieno di vizi non può entrarvi la luce divina.
E perciò si vede poi che certi
peccatori rilasciati perdono il lume, e vanno di peccato in peccato, e neppure pensano più ad emendarsi. «In circuitu
impii ambulant» (Psal. 11.9). Caduti i miseri in quella fossa oscura, non sanno
far altro che peccati, non parlano che di peccati, non pensano se non a
peccare, e quasi non conoscono più che sia male il peccato. «Ipsa consuetudo
mali (dice S. Agostino) non sinit peccatores
videre malum, quod faciunt». Sicché vivono come non credessero più esservi Dio,
paradiso, inferno, eternità.
Ed ecco, che quel peccato che prima
faceva orrore, col mal'abito non fa più orrore. «Pone illos, ut rotam et sicut
stipulam ante faciem venti» (Psal. 82. 14). Vedete, dice S. Gregorio, con che facilità una pagliuccia è mossa da ogni
vento anche leggiero; così vedrete ancora taluno che prima (avanti che cadesse)
resisteva almeno per qualche tempo, e combatteva colla tentazione; fatto poi il
mal'abito, subito cade ad ogni tentazione, ad ogni occasione che gli vien di
peccare. E perché? perché il mal'abito gli ha tolta la luce. Dice S. Anselmo che 'l demonio fa con certi peccatori, come fa
taluno che tiene qualche uccello ligato col
filo, lo lascia volare, ma quando vuole torna a farlo cadere a terra; tali sono
(come dice il santo) i mal abituati: «Pravo usu irretiti ab hoste tenentur,
volantes in eadem vitia deiiciuntur» (Ap. Edinor. in Vita lib.
2). Taluni, aggiunge S. Bernardino
da Siena (tom. 4. Serm. 15), seguiranno a
peccare anche senz'occasione. Dice il santo che i mal abituati si fan simili a'
molini a vento, i quali «rotantur omni vento», girano ad ogni aura di vento; e
di più voltano, ancorché non vi stesse grano da macinare, e benché il padrone
non volesse che voltino. Vedrai un abituato che senz'occasione va facendo mali
pensieri, senza gusto, e quasi non volendo, tirato a forza dal mal'abito. S.
Gio. Grisostomo: «Dura res est consuetudo,
quae nonnunquam nolentes committere cogit illicita». Sì, perché (come dice S.
Agostino) il mal'abito diventa poi una certa
necessità: «Dum consuetudini non resistitur, facta est necessitas». E come
aggiunge S. Bernardino, «usus vertitur in
naturam»; ond'è che siccome all'uomo è necessario il respirare, così a' mal
abituati, fatti schiavi del peccato, par che
si renda necessario il peccare. Ho detto «schiavi»; vi sono i servi, che
servono a forza colla paga; gli schiavi poi servono a forza senza paga; a
questo giungono alcuni miserabili, giungono a peccare senza gusto.
«Impius, cum in profundum venerit, contemnit» (Prov. 18.
3). Ciò lo spiega il Grisostomo appunto del mal abituato, il quale posto in quella
fossa di tenebre, disprezza correzioni, prediche, censure, inferno, Dio,
disprezza tutto, diventa il misero quale avoltoio, che per non lasciare il
cadavere, su di quello più presto si contenta di farsi uccidere da' cacciatori.
Narra il P. Recupito che un condannato a morte
mentre andava alla forca, alzò gli occhi, vide una giovane, ed acconsentì ad un
mal pensiero. Narra ancora il P. Gisolfo che
un bestemmiatore, anche condannato a morte, mentre fu buttato dalla scala
proruppe in una bestemmia. Giunge a dire S. Bernardo
che per li mal'abituati non serve più a pregare, ma bisogna piangerli per
dannati. Ma come vogliono uscire dal loro precipizio, se non ci vedono più? ci
vuole un miracolo della grazia. Apriranno gli occhi i miserabili nell'inferno,
quando non servirà più l'aprirli, se non per piangere più amaramente la loro
pazzia.
Affetti e preghiere
Mio Dio, Voi mi avete distinto co'
vostri benefici, beneficandomi più degli altri; io vi ho distinto colle offese,
ingiuriando più Voi, che ogni altra persona da me conosciuta. O Cuore
addolorato del mio Redentore, che sulla croce foste così afflitto e tormentato
dalla vista de' miei peccati, datemi Voi per li vostri meriti una viva
cognizione e dolore delle mie colpe. Ah Gesù mio, io son pieno di vizi, ma voi
siete onnipotente; ben potete farmi pieno del vostro santo amore. A voi dunque confido che siete una bontà, una
misericordia infinita. Mi pento, o sommo bene, di avervi offeso. Oh fossi morto
prima e non v'avessi dato mai disgusto! Io mi sono scordato di Voi, ma Voi non
vi siete scordato di me: lo vedo con questa luce che ora mi date. Giacché
dunque mi date la luce, datemi ancora la forza di esservi fedele. Io vi
prometto prima di morire mille volte, che mai voltarvi più le spalle: ma al vostro aiuto stanno le mie
speranze: «In te, Domine, speravi, non confundar in aeternum». A voi spero, Gesù
mio, di non avermi a vedere più confuso nel peccato e privo della vostra
grazia.
A Voi mi rivolgo ancora, o Maria
signora mia: «In te, Domina, speravi, non confundar in aeternum». Alla vostra
intercessione confido, o speranza mia, di non avermi a vedere più nemico del
vostro Figlio. Deh pregatelo che mi faccia prima morire, che mi abbandoni a
questa somma disgrazia.
PUNTO II
In oltre il mal'abito indurisce.
«Cor durum efficit consuetudo peccandi», Cornelio a Lapide. E Dio giustamente il permette in pena delle
resistenze fatte alle sue chiamate. Dice l'Apostolo che 'l
Signore «cuius vult miseretur, et quem vult indurat» (Rom. 9. 18). Spiega S. Agostino:
«Obduratio Dei est nolle misereri». Non è già che Iddio indurisce il mal
abituato, ma gli sottrae la grazia, in pena dell'ingratitudine usata alle sue
grazie; e così il di lui cuore resta duro e fatto come di pietra. «Cor eius
indurabitur tanquam lapis, et stringetur quasi malleatoris incus» (Iob. 41.
15). Quindi avverrà che dove gli altri s'inteneriscono e piangono in sentir
predicar il rigore del divino giudizio, le pene de' dannati, la passione di
Gesu-Cristo, il mal abituato niente ne resterà commosso; ne parlerà e sentirà
parlare con indifferenza, come fossero cose che a lui non appartenessero; e a
tali colpi egli diventerà più duro. «Et stringetur quasi malleatoris incus».
Anche le morti improvvise, i tremuoti, i tuoni, i fulmini più non lo spaventeranno: prima
che svegliarlo e farlo ravvedere, più presto gli concilieranno quel sonno di
morte, in cui dorme perduto. «Ab increpatione tua, Deus Iacob, dormitaverunt»
(Ps. 75. 7). Il mal'abito a poco a poco fa perdere anche il rimorso della
coscienza. Al mal abituato i peccati più enormi gli sembrano niente. S.
Agostino: «Peccata quanvis horrenda, cum in
consuetudinem veniunt, parva, aut nulla esse videntur». Il far male porta seco
naturalmente un certo rossore, ma dice S. Girolamo
che i mal abituati perdono anche il rossore
peccando: «Qui ne pudorem quidem habent in delictis». S. Pietro paragona il mal
abituato al porco, che si rivolta nel letame: «Sus lota in volutabro luti» (2.
Petr. 2. 22). Siccome il porco, rivoltandosi nel loto, non ne sente egli il
fetore; così accade al mal abituato: quel fetore che si fa sentire da tutti gli
altri, egli solo non lo sente. E posto che il loto gli ha tolta anche la vista,
che meraviglia, è, dice S. Bernardino, che non
si ravveda, neppure mentre Dio lo flagella? «Populus immergit se in peccatis,
sicut sus in volutabro luti; quid mirum si Dei flagellantis futura iudicia non
cognoscit?» (S. Bern. Sen. p. 2. pag. 182). Onde avviene che in vece di
rattristarsi de' suoi peccati, se ne rallegra, se ne ride e se ne vanta.
«Laetantur, cum malefecerint» (Prov. 2. 14). «Quasi per risum stultus operatur
scelus» (Prov. 10. 23). Che segni sono questi di tal diabolica durezza? Dice S.
Tommaso di Villanova, sono segni tutti di
dannazione: «Induratio, damnationis indicium». Fratello mio, trema che non ti
avvenga lo stesso. Se mai hai qualche mal'abito, procura d'uscirne presto, ora
che Dio ti chiama. E mentre ti morde la coscienza, sta allegramente perché è
segno che Dio non t'ha abbandonato ancora. Ma emendati, ed esci presto; perché
se no, la piaga si farà cancrena, e sarai perduto.
Affetti e preghiere
O Signore, come potrò ringraziarvi
come debbo, di tante grazie che mi avete fatte? Quante volte mi avete chiamato,
ed io ho resistito? In vece di esservi grato e d'amarvi, per avermi liberato
dall'inferno, e chiamato con tanto amore ho seguitato a provocarvi a sdegno,
replicando a Voi le ingiurie. No, mio Dio, non voglio più oltraggiare la vostra
pazienza; basta quanto vi ho offeso. Solo Voi che siete bontà infinita, avete
potuto sinora sopportarmi. Ma già vedo che non potete sopportarmi più, avete
ragione. Perdonatemi dunque, Signore mio e mio sommo bene, tutte l'ingiurie che
v'ho fatte, delle quali mi pento con tutto il cuore; ch'io propongo per
l'avvenire di non offendervi più. E che forse ho da seguire sempre ad
irritarvi? Deh placatevi meco, o Dio dell'anima mia, non per li meriti miei, a
cui non si aspetta altro che castighi ed inferno, ma per li meriti del vostro
Figlio e mio Redentore, a' quali metto tutta la
mia speranza. Per amore dunque di Gesu-Cristo ricevetemi nella vostra grazia, e
datemi la perseveranza nel vostro amore. Staccatemi dagli affetti impuri, e
tiratemi tutto a Voi. V'amo, o sommo Dio, o sommo amante dell'anime, che siete
degno d'infinito amore. Oh vi avessi sempre amato.
O Maria Madre mia, fate che questa vita che mi resta, non
mi serva più per offendere il vostro Figlio, ma solo per amarlo e per piangere
i disgusti che gli ho dati.
PUNTO III
Perduta che sarà la luce, e indurito
che sarà il cuore, moralmente ne nascerà che 'l peccatore faccia mal fine, e
muoia ostinato nel suo peccato. «Cor durum habebit male in novissimo» (Eccli.
3. 27). I giusti sieguono a camminare per la
via dritta. «Rectus callis iusti ad ambulandum»
(Is. 26. 7). All'incontro i mal abituati van
sempre in giro. «In circuitu impii ambulant» (Ps. 11. 9). Lasciano il peccato
per un poco, e poi vi tornano. A costoro S. Bernardo
annunzia la dannazione: «Vae homini qui sequitur hunc circuitum» (Serm. 12.
Sup. Psal. 90). Ma dirà quel tale: Io voglio emendarmi prima della morte. Ma
qui sta la diffìcoltà, che un mal abituato si emendi, ancorché giunga alla
vecchiaia; dice lo Spirito Santo: «Adolescens iuxta viam suam, etiam cum
senuerit, non recedet ab ea» (Prov. 22. 6). La ragione si è, come ci dice S.
Tommaso da Villanova (Conc. 4. Dom. Quadr. 4),
perché la nostra forza è molto debole. «Et erit fortitudo nostra ut favilla stupae» (Is. 1. 31). Dal che ne nasce,
secondo dice il santo che l'anima priva della grazia non può stare senza nuovi
peccati: «Quo fit, ut anima a gratia destituta diu evadere ulteriora peccata
non possit». Ma oltre ciò, che pazzia sarebbe di taluno, se volesse giuocare e
perdere volontariamente tutto il suo, sperando di rifarsi all'ultima partita?
Questa è la pazzia di chi siegue a vivere tra' peccati, e spera poi nell'ultimo
giorno della vita di rimediare al tutto. Può
l'Etiope, o il pardo mutare il color della sua pelle? e come potrà far buona
vita, chi ha fatto un lungo abito al male? «Si mutare potest Aethiops pellem
suam, aut pardus varietates suas, et vos poteritis benefacere, cum didiceritis malum»
(Ier. 13. 23). Quindi avviene che il male abituato
in fine si abbandona alla disperazione, e così finisce la vita. «Qui vero
mentis est durae, corruet in malum» (Prov. 28. 14).
S. Gregorio su quel passo di Giobbe: «Concidit me vulnere super
vulnus, irruit in me quasi gigas» (Iob. 16. 15): dice il santo così: Se taluno
è assalito dal nemico, alla prima ferita che riceve resta forse anche abile a
difendersi; ma quante più ferite riceve, tanto più perde le forze, sino che
finalmente resta ucciso. Così fa il peccato; alla prima, alla seconda volta
resta qualche forza al peccatore (s'intende sempre per mezzo della grazia che
gli assiste), ma se poi egli seguita a peccare, il peccato si fa gigante,
«irruit quasi gigas». All'incontro il peccatore, trovandosi più debole e con
tante ferite, come potrà evitare la morte? Il peccato, al dire di Geremia, è
come una gran pietra, che opprime l'anima: «Et posuerunt lapidem super me»
(Thren. 3. 53). Or dice S. Bernardo esser sì
difficile il risorgere ad un mal abituato, quando è difficile ad uno che sia
caduto sotto un gran sasso, e che non ha forza di rimuoverlo per liberarsene:
«Difficile surgit, quem moles malae consuetudinis premit».
Dunque, dirà quel mal abituato, io
son disperato? No, non sei disperato, se vuoi rimediare. Ma ben dice un autore
che ne' mali gravissimi vi bisognano gravissimi rimedi: «Praestat in magnis
morbis a magnis auxiliis initium medendi sumere» (Cardin. Meth. cap. 16). Se ad un infermo che sta in pericolo di morte e non
vuol prender rimedi, perché non sa la gravezza del suo male, gli dicesse il
medico: Amico, sei morto, se non prendi la tal medicina. Che risponderebbe
l'infermo? Eccomi, direbbe, pronto a prender tutto; si tratta di vita.
Cristiano mio, lo stesso dico a te, se sei abituato in qualche peccato: stai
male, e sei di quell'infermi, che «raro sanantur» (come dice S. Tommaso da
Villanova); stai vicino a dannarti. Se non
però vuoi guarirti, vi è il rimedio; ma non hai d'aspettare un miracolo della
grazia; hai da farti forza dal canto tuo a toglier le occasioni, a fuggire i
mali compagni, a resistere con raccomandarti a Dio, quando sei tentato; hai da
prendere i mezzi, con confessarti spesso, leggere ogni giorno un libretto
spirituale, prendere la divozione a Maria SS., pregandola continuamente che
t'impetri forza di non ricadere. Hai da farti forza, altrimenti ti coglierà la
minaccia del Signore contro gli ostinati: «In peccato vestro moriemini» (Io. 8.
21). E se non rimedi, or che Dio ti dà questa luce, difficilmente potrai
rimediare appresso. Senti Dio che ti chiama: «Lazare, exi foras». Povero peccatore già morto, esci da questa oscura
fossa della tua mala vita. Presto rispondi; e datti a Dio; e trema che questa
non sia l'ultima chiamata per te.
Affetti e preghiere
Ah Dio mio, e che voglio aspettare
che proprio mi abbandoniate e mi mandiate all'inferno? Ah Signore, aspettatemi,
ch'io voglio mutar vita e darmi a Voi. Ditemi che ho da fare, che voglio farlo.
O sangue di Gesù, aiutatemi. O avvocata de' peccatori Maria, soccorretemi. E
Voi, Eterno Padre, per li meriti di Gesù e di Maria, abbiate pietà di me. Mi
pento, o Dio di bontà infinita, di avervi offeso, e v'amo sopra ogni cosa.
Perdonatemi per amore di Gesu-Cristo e datemi il vostro amore. Datemi ancora un
gran timore della mia ruina, se di nuovo vi offendessi. Luce, mio Dio, luce e
forza. Tutto spero dalla vostra misericordia. Voi mi avete fatte tante grazie,
quand'io andava lontano da Voi, molto più spero, or che a Voi ritorno risoluto
di non amare altro che Voi. V'amo, mio Dio, mia vita, mio tutto.
Amo ancora Voi, Madre mia Maria; a
Voi consegno l'anima mia; Voi preservatela colla vostra intercessione dal non
tornare a cadere in disgrazia di Dio.