Friday, 22 September 2017

"O Bem do Mar" by Dorival Caymmi

O pescador tem dois amor
Um bem na terra, um bem no mar

O bem de terra é aquela que fica
Na beira da praia quando a gente sai
O bem de terra é aquela que chora
Mas faz que não chora quando a gente sai

O bem do mar é o mar, é o mar
Que carrega com a gente pra gente pescar



You can hear "O Bem do Mar" sung by Dorival Caymmi here.

Thursday, 21 September 2017

"Apparecchio alla Morte" by St Alfonso Maria de Liguori (in Italian) – XXXII

CONSIDERAZIONE XXXI - DELLA PERSEVERANZA
«Qui perseveraverit usque in finem, hic salvus erit» (Matth. 24. 13).


PUNTO I
              Dice S. Girolamo che molti cominciano bene, ma pochi son quelli che perseverano: «Incipere multorum est, perseverare paucorum» (Lib. I. contra Iovin.). Cominciò bene un Saulle, un Giuda, un Tertulliano; ma poi finirono male, perché non perseverarono nel bene. «Non quaeruntur in christianis initia, sed finis» (S. Hieron. Ep. ad Fur.). Il Signore (siegue a dire il santo) non richiede solamente i principii della buona vita, ma anche il fine; il fine è quello che otterrà il premio. Dice S. Bonaventura che alla sola perseveranza si dà la corona: «Sola perseverantia coronatur». Che perciò S. Lorenzo Giustiniani chiamava la perseveranza la porta del cielo: «coeli ianuam». Dunque non può entrare in paradiso, chi non trova la porta per entrarvi. Fratello mio, voi al presente avete lasciato il peccato, e giustamente sperate d'essere stato perdonato. Siete dunque amico di Dio, ma sappiate che non ancora siete salvo. E quando sarete salvo? Quando avrete perseverato sino alla fine: «Qui perseveraverit usque in finem, hic salvus erit». Avete cominciata la buona vita, ringraziate il Signore;  ma vi avverte S. Bernardo che a chi comincia è solamente promesso il premio, ma poi solamente vien dato a chi persevera: «Incohantibus praemium promittitur, perseverantibus datur» (Serm. 6. de Modo bene viv.). Non basta correre al pallio, ma bisogna correre sino a prenderlo: «Sic currite, ut comprehendatis», dice l'Apostolo (1. Cor. 9. 24).
              Or già avete posta la mano all'aratro, avete principiato a viver bene; ma ora piucché mai temete e tremate. «Cum metu et tremore vestram salutem operamini» (Philip. 2. 12). E perché? perché se (non voglia mai Dio) vi voltate a guardare indietro e ritornate alla mala vita, Dio vi dichiarerà escluso dal paradiso. «Nemo mittens manum ad aratrum, et respiciens retro, aptus est regno Dei» (Luc. 9. 62). Ora per grazia del Signore fuggite le male occasioni, frequentate i sagramenti, fate ogni giorno la meditazione; beato voi se seguite a far così, e così facendo vi troverà Gesu-Cristo, quando verrà a giudicarvi: «Beatus ille servus, quem cum venerit Dominus eius, invenerit sic facientem» (Matth. 24. 46). Ma non credete che ora che vi siete posto a servire a Dio, sian quasi finite, o mancate le tentazioni; udite quel che vi dice lo Spirito Santo: «Fili, accedens ad servitutem Dei, praepara animam tuam ad tentationem» (Eccli. 2. 1). Sappiate che or più che mai dovete apparecchiarvi alle battaglie; perché i nemici, il mondo, il demonio e la carne or più che mai si armeranno a combattervi, per farvi perdere quanto avete acquistato. Dice Dionisio Cartusiano che quanto più alcuno si dà a Dio, tanto più l'inferno cerca di abbatterlo: «Quanto quis fortius nititur Deo servire, tanto acrius contra eum saevit adversarius». E ciò sta abbastanza espresso nel Vangelo di S. Luca, dove si dice: «Cum immundus spiritus exierit ab homine, quaerens requiem et non inveniens, dicit: Revertar in domum meam, unde exivi. Tunc vadit, et assumit septem alios spiritus nequiores se, et ingressi habitant ibi; et fiunt novissima eorum peiora prioribus» (Luc. 11. 24). Il demonio quando è discacciato da un'anima, non trova riposo e mette tutta l'opera per ritornare ad entrarvi, chiama anche compagni in aiuto, e se gli riesce di rientrarvi, sarà assai più grande per quell'anima la seconda ruina, che non fu la prima.
              Andate dunque considerando di qual'armi avete ad avvalervi, per difendervi da questi nemici e conservarvi in grazia di Dio. Per non esser vinto dal demonio, non v'è altra difesa che l'orazione. Dice S. Paolo che noi non abbiamo a combattere contra uomini come noi di carne e sangue, ma contra i principi dell'inferno: «Non est nobis colluctatio adversus carnem et sanguinem, sed adversus principes et potestates» (Eph. 6. 12). E vuole con ciò avvertirci che noi non abbiamo forze da resistere a tali potenze, onde abbiamo bisogno che Dio ci aiuti. Coll'aiuto divino potremo tutto: «Omnia possum in eo qui me confortat» (Phil. 4. 13): così egli dicea, e così dobbiamo dire ciascuno di noi. Ma quell'aiuto non si dona, se non a chi lo domanda coll'orazione. «Petite, et accipietis». Non ci fidiamo dunque de' nostri propositi; se mettiamo a questi confidenza, sarem perduti: tutta la confidenza, quando siam tentati dal demonio, mettiamola all'aiuto di Dio con raccomandarci allora a Gesu-Cristo ed a Maria SS. E specialmente dobbiamo ciò fare, quando siam tentati contro la castità, poiché questa tentazione fra tutte è la più terribile, ed è quella con cui il demonio riporta più vittorie. Noi non abbiamo forza di conservar la castità. Iddio ce l'ha da dare. Dicea Salomone: «Et ut scivi quoniam aliter non possum esse continens, nisi Deus det... adii Dominum, et deprecatus sum illum» (Sap. 8. 21). Bisogna dunque in tale tentazione subito ricorrere a Gesu-Cristo ed alla sua santa Madre, invocando allora spesso i loro SS. nomi di Gesù, e di Maria. Chi fa così, vincerà; chi non fa così, sarà perduto.

Affetti e preghiere
              «Ne proiicias me a facie tua». Ah mio Dio, non mi discacciate dalla vostra faccia. Già so che Voi non mi abbandonerete mai, s'io non sono il primo ad abbandonarvi; ma di questo io tremo per la sperienza della mia debolezza. Signore, Voi m'avete da dar fortezza che mi bisogna contro l'inferno, che pretende di vedermi di nuovo fatto suo schiavo. Ve la cerco per amore di Gesu-Cristo. Stabilite, o mio Salvatore, fra me e Voi una pace perpetua, che non abbia più a rompersi in eterno. E perciò datemi il vostro santo amore. «Qui non diligit, manet in morte». Chi non v'ama, è morto. Da questa morte infelice Voi m'avete da salvare, o Dio dell'anima mia. Io ero perduto, già lo sapete. Tutta è stata vostra bontà il ridurmi a questo stato in cui mi vedo, e spero di stare in grazia vostra. Deh non permettete, Gesù mio, per quella morte amara che soffriste per me, ch'io l'abbia volontariamente da tornare a perdere. Io v'amo sopra ogni cosa. Spero di vedermi sempre ligato da questo santo amore, per così legato morire, e legato vivere in eterno.
              O Maria, Voi vi chiamate la madre della perseveranza. Questo gran dono per Voi si dispensa: a Voi lo domando, e per Voi lo spero.

PUNTO II
              Vediamo ora, come si ha da vincere il mondo. È un gran nemico il demonio, ma peggiore è il mondo. Se 'l demonio non s'avvalesse del mondo e degli uomini cattivi (per cui s'intende il mondo), non riporterebbe le vittorie che ottiene. Il Redentore non tanto ci avvertì a guardarci da' demoni, quanto dagli uomini: «Cavete autem ab hominibus» (Matth. 10. 17). Gli uomini spesso son peggiori de' demonii, perché i demonii fuggono all'orazione e all'invocarsi i nomi SS. di Gesù e di Maria; ma i mali compagni se tentano alcuno a peccare, e quegli risponde qualche parola spirituale, essi non fuggono, ma più lo tentano e lo deridono, chiamandolo uomo vile, senza creanza, che non vale a niente; e quand'altro non possono dire, lo chiamano ippocrita che finge santità. E certe anime deboli, per non sentire questi rimproveri o derisioni, miseramente si accompagnano con quei ministri di Lucifero e tornano al vomito. Fratello mio, persuadetevi, che se volete viver bene, avete da esser senza meno burlato e vilipeso da' malvagi. «Abominantur impii eos, qui in recta sunt via» (Prov. 29. 27). Chi vive male, non può vedere coloro che vivon bene; e perché? perché la loro vita è loro un continuo rimprovero, e perciò vorrebbero che tutti l'imitassero, per non avere la pena del rimorso che loro cagiona la buona vita degli altri. Non v'è rimedio (dice l'Apostolo), chi serve Dio ha da essere perseguitato dal mondo. «Omnes qui pie volunt vivere in Christo Iesu, persecutionem patientur» (2. Tim. 3. 12). Tutt'i santi sono stati perseguitati. Chi più santo di Gesu-Cristo? e 'l mondo lo perseguitò, sino a farlo morir svenato in una croce.
              Non v'è riparo a ciò, perché le massime del mondo sono tutte contrarie a quelle di Gesu-Cristo. Quel ch'è stimato dal mondo, da Gesu-Cristo è chiamata pazzia: «Sapientia enim huius mundi stultitia est apud Deum» (1. Cor. 3. 19). All'incontro il mondo chiama pazzia ciò, ch'è stimato da Gesu-Cristo, come sono le croci, i dolori, i disprezzi. «Verbum enim crucis pereuntibus quidem stultitia est» (1. Cor. 1. 18). Ma consoliamoci, che se i cattivi ci maledicono e ci vituperano, Iddio ci benedice e ci loda. «Maledicent illi, et tu benedices» (Ps. 108. 28). Non ci basta forse l'esser lodati da Dio, da Maria, da tutti gli angeli, da' santi e da tutti gli uomini da bene? Lasciamo dunque lor dire a' peccatori quello che vogliono, e seguitiamo noi a dar gusto a Dio, ch'è così grato e fedele con chi lo serve. Con quanta maggior ripugnanza e contraddizione faremo il bene, tanto sarà maggiore il gusto di Dio e 'l merito nostro. Figuriamoci, come nel mondo non vi fosse altro che Dio e noi. Quando questi malvagi ci burlano, raccomandiamoli al Signore; ed all'incontro ingraziamo Dio, che dà luce a noi, che non dona a questi miserabili, e seguiamo il nostro cammino. Non ci vergogniamo di comparir cristiani, perché se noi ci vergogniamo di Gesu-Cristo, Egli si protesta che si vergognerà pur5 di noi e di tenerci alla sua destra nel giorno del giudizio: «Nam qui me erubuerit, et meum sermonem, hunc Filius hominis erubescet, cum venerit in maiestate sua» (Luc. 9. 26).
              Se vogliamo salvarci, bisogna che ci risolviamo a patire e a farci forza, anzi violenza. «Arcta est via, quae ducit ad vitam». (Matth. 7. 14). «Regnum coelorum vim patitur, et violenti rapiunt illud» (Idem. 11. 12). Chi non si fa forza, non si salva. Non ci è rimedio, poiché abbiamo da andare contro la nostra natura ribelle, se vogliamo praticare il bene. Specialmente dobbiamo farci forza al principio, per estirpare i mal'abiti ed acquistare i buoni; perché fatto poi il buon abito, si rende facile, anzi dolce l'osservanza della divina legge. Disse il Signore a S. Brigida che chi nel praticar la virtù con pazienza, ed animo soffrisce le prime punture delle spine, dopo le spine gli diventeranno rose. Sta attento dunque, cristiano mio, Gesu-Cristo ora ti dice quel che disse al paralitico: «Ecce sanus factus es, iam noli peccare, ne deterius tibi contingat» (Io. 5. 14). Intendi (ripiglia S. Bernardo), se per disgrazia ricadi, sappi che la tua ruina sarà peggiore di tutte le tue prime cadute: «Audis: recidere quam incidere esse deterius». Guai dice il Signore a coloro, che prendono la via di Dio, e poi la lasciano. «Vae, filii desertores» (Is. 30. 1). Questi tali son puniti, come ribelli della luce: «Ipsi fuerunt rebelles lumini» (Iob. 24. 13). E 'l castigo di questi ribelli che sono stati favoriti da Dio d'una gran luce, e poi gli sono infedeli, è il restar ciechi, e così finir la vita ne' loro peccati: «Si autem averterit se iustus a iustitia sua... nunquid vivet? omnes iustitiae eius, quas fecerat, non recordabuntur... in peccato morietur» (Ezech. 18. 24).

Affetti e preghiere
              Ah mio Dio, un tal castigo già io più volte me l'ho meritato, mentre più volte ho lasciato il peccato per mezzo della luce, che Voi mi avete data, e poi miseramente vi sono ritornato. Ringrazio infinitamente la vostra misericordia di non avermi abbandonato nella cecità, con lasciarmi affatto privo di luce, come io meritava. Troppo dunque, o Gesù mio, io vi sono obbligato; e troppo ingrato vi sarei se ritornassi a voltarvi le spalle. No, mio Redentore, «misericordias Domini in aeternum cantabo». Io spero nella vita che mi resta, e per tutta l'eternità di cantar sempre e lodare le vostre grandi misericordie, con amarvi sempre, e non vedermi più privo della vostra grazia. Le ingratitudini che per lo passato vi ho usate, e che ora detesto e maledico sopra ogni male, mi serviranno per farmi piangere sempre amaramente i torti che vi ho fatti, e per più accendermi ad amar Voi, che dopo tante offese da me ricevute, mi avete fatte grazie così grandi. Sì che v'amo, o mio Dio, degno d'infinito amore. D'ogg'innanzi Voi avete da esser l'unico amor mio, l'unico mio bene. O Eterno Padre per li meriti di Gesu-Cristo vi domando la perseveranza finale nella vostra grazia e nel vostro amore. Io già so che Voi me la concederete, sempre ch'io ve la chiederò. Ma chi m'assicura ch'io sarò attento a chiedervi questa perseveranza? Per questo, Dio mio, vi domando la perseveranza e la grazia di sempre cercarvela.
              O Maria avvocata mia, rifugio e speranza mia, ottenetemi Voi colla vostra intercessione la costanza di domandare sempre a Dio la perseveranza finale. Ve ne prego ad ottenermela per quanto amate Gesu-Cristo.


PUNTO III
              Veniamo al terzo nemico, ch'è il peggiore di tutti, cioè la carne; e vediamo come abbiamo a difendercene. Per prima, coll'orazione; ma ciò l'abbiam già considerato di sopra. Per secondo col fuggir l'occasione, e questo vogliamo ora ben ponderare. Dice S. Bernardino da Siena che il più grande di tutti i consigli, anzi quasi il fondamento della religione, è il consiglio di fuggir le occasioni pericolose: «Inter consilia Christi unum celeberrimum, et quasi religionis fundamentum est, fugere peccatorum occasiones» (Tom. I. Serm. 21. a. 3. c. 3). Confessò una volta il demonio costretto dagli esorcismi, che tra tutte le prediche quella che più gli dispiace, è la predica della fuga dell'occasione; e con ragione, perché il demonio si ride di tutti i propositi e promesse che fa un peccator che si pente, se colui non lascia l'occasione. L'occasione specialmente in materia di piaceri di senso è come una benda che si mette avanti gli occhi, e non fa vedere più alla persona né propositi fatti, né lumi ricevuti, né verità eterne, in somma la fa scordare di tutto e la rende come cieca. Questa fu la causa della ruina de' nostri primi progenitori, il non fuggir l'occasione. Dio avea proibito anche di toccare il frutto vietato: «Praecepit nobis Deus (disse Eva al serpente) ne comederemus, et ne tangeremus illud» (Gen. 3). Ma l'incauta «vidit, tulit, comedit». Prima cominciò a mirare il pomo, dipoi lo prese in mano, e poi lo mangiò. Chi volontariamente si mette nel pericolo, in quello resterà perduto. «Qui amat periculum, in illo peribit» (Eccli. 3. 27). Dice S. Pietro che il demonio «circuit quaerens quem devoret»; onde per rientrare in un'anima da cui è stato discacciato (dice S. Cipriano), che fa? va trovando l'occasione: «Explorat an sit pars, cuius aditu penetretur». Se l'anima si lascia indurre a mettersi nell'occasione, già di nuovo entrerà in lei il nemico e la divorerà. Dice in oltre Guerrico Abbate che Lazzaro risorse legato, «prodiit ligatus manibus, et pedibus»; e risorgendo così, tornò a morire. Povero (vuol dire questo autore) chi risorge dal peccato, ma risorge legato dall'occasione; questi ancorché risorgesse, pure tornerà a morire. Chi dunque vuole salvarsi, bisogna che lasci non solo il peccato, ma anche l'occasione di peccare, cioè quel compagno, quella casa, quella corrispondenza.
              Ma dirai, ora ho mutata vita e non ci ho più mal fine con quella persona, anzi neppure tentazione. Rispondo: Nella Mauritania narrasi esservi certe orse, che vanno a caccia delle scimie; le scimie, vedendo l'orsa, si salvano sugli alberi, e l'orsa si stende sotto l'albero e si finge morta; quando poi vede scese le scimie, s'alza, le afferra e le divora. Così fa il demonio; fa vedere morta la tentazione, ma quando la persona è scesa poi a mettersi nell'occasione, fa sorgere la tentazione che la divora. Oh quante misere anime che frequentavano l'orazione, la comunione, e che poteano chiamarsi sante, col porsi poi all'occasione son rimaste preda dell'inferno. Si riferisce nell'Istorie ecclesiastiche che una santa matrona, la quale facea l'officio pietoso di seppellire i martiri, una volta ne trovò uno, il quale non era ancora spirato, lo portò in sua casa, quegli guarì; che avvenne? coll'occasione vicina questi due santi (come poteano chiamarsi) prima perderono la grazia di Dio e poi anche la fede.
              Ordinò il Signore ad Isaia che predicasse che ogni uomo è fieno: «Clama, omnis caro foenum» (Is. 40. 6). Qui riflette il Grisostomo e dice: È possibile che 'l fieno non arda, quando v'è posto il fuoco? «Lucernam in foenum pone, ac tum aude negare, quod foenum exuratur». E così dice poi S. Cipriano, è impossibile star nelle fiamme e non bruciare: «Impossibile est flammis circumdari, et non ardere» (De Sing. Cler.). La fortezza nostra, ci avverte il profeta, è come la fortezza della stoppa posta nella fiamma. «Et erit fortitudo vestra ut favilla stupae» (Is. 1. 32). Parimenti dice Salomone, pazzo sarebbe chi pretendesse camminar sulle brace senza bruciarsi: «Nunquid potest homo ambulare super prunas, ut non comburantur plantae eius?» (Prov. 6. 17). E così ancora è pazzo chi pretende di porsi all'occasione, senza cadere. Bisogna dunque fuggire dal peccato come dalla faccia del serpente: «Quasi a facie colubri fuge peccatum» (Eccli. 21. 1). Bisogna fuggire non solo il morso del serpe, dice Galfrido, non solo il toccarlo, ma anche l'accostarsegli vicino: «Fuge etiam tactus, etiam accessum». Ma quella casa, tu dici, quell'amicizia giova agl'interessi miei. Ma se vedi già che quella casa è via dell'inferno per te «via inferi domus eius» (Prov. 7. 27), non ci è rimedio bisogna che la lasci, se vuoi salvarti. Ancorché fosse l'occhio tuo destro, dice il Signore, se vedi che ti è causa di dannarti, bisogna che lo svelli e lo gitti da te lontano. «Si oculus tuus dexter scandalizat te, erue eum, et proiice abs te» (Matth. 5. 30). E si noti la parola «abs te»; bisogna gittarlo non vicino, ma lontano: viene a dire che bisogna togliere ogni occasione. Dicea S. Francesco d'Assisi che il demonio tenta d'altra maniera le persone spirituali, che si son date a Dio, di quella che tenta i malviventi; al principio non cerca di legarle con una fune, si contenta legarle con un capello, poi le lega con un filo, poi con uno spago, indi con una fune, e così finalmente le strascina al peccato. E perciò chi vuol esser libero da questo pericolo, bisogna che spezzi a principio tutti i capelli, tutte le occasioni, quei saluti, quei regali, quei biglietti, e simili. E parlando specialmente di chi ha avuto l'abito nel vizio impuro, non gli basterà il fuggire le occasioni prossime: s'egli non fuggirà anche le rimote, pure tornerà a cadere.
              È necessario a chi vuole veramente salvarsi stabilire e rinnovare continuamente la risoluzione di non volersi più separare da Dio, con andare spesso replicando quel detto de' santi: «Si perda tutto, e non si perda Dio». Ma non basta il solo risolvere di non volerlo più perdere, bisogna pigliare anche i mezzi per non perderlo. E il primo mezzo è il fuggir le occasioni, del che già si è parlato. Il 2. è frequentare i sacramenti della confessione e comunione. In quella casa che spesso si scopa, non ci regnano l'immondezze. Colla confessione si mantiene purgata l'anima, e con essa non solamente s'ottiene la remissione delle colpe, ma ancora l'aiuto per resistere alle tentazioni. La comunione poi si chiama pane celeste, perché siccome il corpo non può vivere senza il cibo terreno, così l'anima non può vivere senza questo cibo celeste. «Nisi manducaveritis carnem Filii hominis, et biberitis eius sanguinem, non habebitis vitam in vobis» (Io. 6. 54). All'incontro a chi spesso mangia questo pane, sta promesso che viverà in eterno:
              «Si quis manducaverit ex hoc pane, vivet in aeternum» (Io. 6. 52). Che perciò il Concilio di Trento chiama la comunione medicina che ci libera da' peccati veniali, e ci preserva da' mortali: «Antidotum quo liberamur a culpis quotidianis, et a peccatis mortalibus praeservamur» (Trid. Sess. 13. c. 2). Il 3. mezzo è la meditazione, o sia l'orazione mentale. «Memorare novissima tua, et in aeternum non peccabis» (Eccli. 7. 40). Chi tiene avanti gli occhi le verità eterne, la morte, il giudizio, l'eternità, non caderà in peccato. Iddio nella meditazione c'illumina: «Accedite ad eum, et illuminamini» (Ps. 33. 6). Ivi ci parla e ci fa intendere quel che abbiamo da fuggire e quel che abbiamo da fare. «Ducam eam in solitudinem, et loquar ad cor eius» (Osea 2. 14). La meditazione poi è quella beata fornace, dove si accende il divino amore. «In meditatione mea exardescet ignis» (Ps. 38. 4). In oltre, come già più volte si è considerato, per conservarsi in grazia di Dio è assolutamente necessario il sempre pregare e chiedere le grazie che ci abbisognano; chi non fa l'orazione mentale, difficilmente prega, e non pregando certamente si perderà.
              Bisogna dunque pigliare i mezzi per salvarsi e fare una vita ordinata. Nella mattina al levarsi fare gli atti cristiani di ringraziamento, amore, offerta e proposito, colla preghiera a Gesù ed a Maria, che lo preservino in quel giorno da' peccati. Dopo far la meditazione e sentir la Messa. Nel giorno poi la lezione spirituale, la visita al SS. Sagramento ed alla divina Madre. Nella sera il rosario, e l'esame di coscienza. La comunione più volte la settimana, secondo il consiglio del direttore, che stabilmente dee tenersi. Sarebbe molto utile ancor far gli esercizi spirituali in qualche casa religiosa. Bisogna onorare ancora con qualche ossequio speciale Maria SS. per esempio col digiuno del sabato. Ella si chiama Madre della perseveranza, e la promette a chi la serve: «Qui operantur in me, non peccabunt» (Eccli. 24. 31). Sopra tutto bisogna sempre domandare a Dio la santa perseveranza, e specialmente in tempo di tentazioni, invocando allora più spesso i nomi SS. di Gesù e di Maria, finché la tentazione persiste. Se farete così certamente vi salverete: e se non lo farete, certamente vi dannerete.

Affetti e preghiere
              Caro mio Redentore vi ringrazio di questi lumi che mi date, e de' mezzi che mi fate conoscere per salvarmi. Io vi prometto di volerli stabilmente eseguire. Datemi Voi l'aiuto per esservi fedele. Vedo che Voi mi volete salvo, ed io voglio salvarmi, principalmente per compiacere il vostro Cuore, che tanto desidera la mia salute. Non voglio no, mio Dio, resistere più all'amore, che mi portate. Quest'amore ha fatto che mi sopportaste con tanta pazienza, mentre io vi offendeva. Voi mi chiamate al vostro amore, ed io altro non desidero che amarvi. V'amo, bontà infinita, v'amo, bene infinito. Deh vi prego per li meriti di Gesu-Cristo, non permettete ch'io vi sia più ingrato; o fatemi finire d'esservi ingrato, o fatemi finire di vivere. Signore avete cominciata l'opera, compitela ora: «Confirma hoc Deus quod operatus es in nobis». Datemi luce, datemi forza, datemi amore.
              O Maria, Voi che siete la tesoriera delle grazie, Voi soccorretemi. Dichiaratemi per vostro servo qual io voglio essere; e pregate Gesù per me. Prima i meriti di Gesu-Cristo, e poi le vostre preghiere mi hanno da salvare.

Wednesday, 20 September 2017

“O vôo do gênio” by Castro Alves (in Portuguese)



à atriz Eugênia Câmara

Um dia, em que na terra a sós vagava
Pela estrada sombria da existência,
Sem rosas — nos vergéis da adolescência,
Sem luz d'estrela — pelo céu do amor;
Senti as asas de um arcanjo errante
Roçar-me brandamente pela fronte,
Como o cisne, que adeja sobre a fonte,
As vezes toca a solitária flor.

E disse então: "Quem és, pálido arcanjo!
Tu, que o poeta vens erguer do pego?
Eras acaso tu, que Milton cego
Ouvia em sua noite erma de sol?
Quem és tu? Quem és tu?" — "Eu sou o gênio",
Disse-me o anjo "vem seguir-me o passo,
Quero contigo me arrojar no espaço,
Onde tenho por c'roas o arrebol".

"Onde me levas, pois?.. . " — "Longe te levo
Ao país do ideal, terra das flores,
Onde a brisa do céu tem mais amores
E a fantasia — lagos mais azuis. . . "
E fui... e fui... ergui-me no infinito,
Lá onde o vôo d'águia não se eleva...
Abaixo — via a terra — abismo em treva!
Acima — o firmamento — abismo em luz!

"Arcanjo! arcanjo! que ridente sonho!"
— "Não, poeta, é o vedado paraíso,
Onde os lírios mimosos do sorriso
Eu abro em todo o seio, que chorou,
Onde a loura comédia canta alegre,
Onde eu tenho o condão de um gênio infindo,
Que a sombra de Molière vem sorrindo
Beijar na fronte, que o Senhor beijou. . . "

"Onde me levas mais, anjo divino?"
— "Vem ouvir, sobre as harpas inspiradas,
O canto das esferas namoradas,
Quando eu encho de amor o azul dos céus.
Quero levar-te das paixões nos mares.
Quero levar-te a dédalos profundos,
Onde refervem sóis... e céus... e mundos...
Mais sóis... mais mundos, e onde tudo é rneu...

"Mulher! mulher! Aqui tudo é volúpia:
A brisa morna, a sombra do arvoredo,
A linfa clara, que murmura a medo,
A luz que abraça a flor e o céu ao mar.
Ó princesa, a razão já se me perde,
És a sereia da encantada Sila.
Anjo, que transformaste-te em Dalila,
Sansão de novo te quisera amar!

"Porém não paras neste vôo errante!
A que outros mundos elevar-me tentas?
Já não sinto o soprar de auras sedentas,
Nem bebo a taça de um fogoso amor.
Sinto que rolo em báratros profundos...
Já não tens asas, águia da Tessália,
Maldições sobre ti... tu és Onfália,
Ninguém te ergue das trevas e do horror.

"Porém silêncio! No maldito abismo,
Onde caí contigo criminosa,
Canta uma voz, sentida e maviosa,
Que arrependida sobe a Jeová!
Perdão! Perdão! Senhor, pra quem soluça,
Talvez seja algum anjo peregrino...
... Mas não! inda eras tu, gênio divino,
Também sabes chorar, como Eloá!

"Não mais, ó serafim! suspende as asas!
Que, através das estrelas arrastado,
Meu ser arqueja louco, deslumbrado,
Sobre as constelações e os céus azuis.
Arcanjo! Arcanjo! basta... já contigo
Mergulhei das paixões nas vagas cérulas...
Mas nos meus dedos — já não cabem — pérolas —
Mas na minh'alma — já não cabe — luz!...

Tuesday, 19 September 2017

"Lord of the World" by Robert Hugh Benson - V (in English)



CHAPTER IV
I
                On the same afternoon Percy received a visitor.
                There was nothing exceptional about him; and Percy, as he came downstairs in his walking-dress and looked at him in the light from the tall parlour-window, came to no conclusion at all as to his business and person, except that he was not a Catholic.
                "You wished to see me," said the priest, indicating a chair.
                "I fear I must not stop long."
                "I shall not keep you long," said the stranger eagerly. "My business is done in five minutes."
                Percy waited with his eyes cast down.
                "A - a certain person has sent me to you. She was a Catholic once; she wishes to return to the Church."
                Percy made a little movement with his head. It was a message he did not very often receive in these days.
                "You will come, sir, will you not? You will promise me?"
                The man seemed greatly agitated; his sallow face showed a little shining with sweat, and his eyes were piteous.
                "Of course I will come," said Percy, smiling.
                "Yes, sir; but you do not know who she is. It - it would make a great stir, sir, if it was known. It must not be known, sir; you will promise me that, too?"
                "I must not make any promise of that kind," said the priest gently. "I do not know the circumstances yet."
                The stranger licked his lips nervously.
                "Well, sir," he said hastily, "you will say nothing till you have seen her? You can promise me that."
                "Oh! certainly," said the priest.
                "Well, sir, you had better not know my name. It - it may make it easier for you and for me. And - and, if you please, sir, the lady is ill; you must come to-day, if you please, but not until the evening. Will twenty-two o'clock be convenient, sir?"
                "Where is it?" asked Percy abruptly.
                "It - it is near Croydon junction. I will write down the address presently. And you will not come until twenty-two o'clock, sir?"
                "Why not now?"
                "Because the - the others may be there. They will be away then; I know that."
                This was rather suspicious, Percy thought: discreditable plots had been known before. But he could not refuse outright.
                "Why does she not send for her parish-priest?" he asked.
                "She she does not know who he is, sir; she saw you once in the Cathedral, sir, and asked you for your name. Do you remember, sir? - an old lady?"
                Percy did dimly remember something of the kind a month or two before; but he could not be certain, and said so.
                "Well, sir, you will come, will you not?"
                "I must communicate with Father Dolan," said the priest. "If he gives me permission -"
                "If you please, sir, Father - Father Dolan must not know her name. You will not tell him?"
                "I do not know it myself yet," said the priest, smiling.
                The stranger sat back abruptly at that, and his face worked.
                "Well, sir, let me tell you this first. This old lady's son is my employer, and a very prominent Communist. She lives with him and his wife. The other two will be away to-night. That is why I am asking you all this. And now, you till come, sir?"
                Percy looked at him steadily for a moment or two. Certainly, if this was a conspiracy, the conspirators were feeble folk. Then he answered:
                "I will come, sir; I promise. Now the name."
                The stranger again licked his lips nervously, and glanced timidly from side to side. Then he seemed to gather his resolution; he leaned forward and whispered sharply.
                "The old lady's name is Brand, sir - the mother of Mr. Oliver Brand."
                For a moment Percy was bewildered. It was too extraordinary to be true. He knew Mr. Oliver Brand's name only too well; it was he who, by God's permission, was doing more in England at this moment against the Catholic cause than any other man alive; and it was he whom the Trafalgar Square incident had raised into such eminent popularity. And now, here was his mother -
                He turned fiercely upon the man.
                "I do not know what you are, sir - whether you believe in God or not; but will you swear to me on your religion and your honour that all this is true?"
                The timid eyes met his, and wavered; but it was the wavering of weakness, not of treachery.
                "I - I swear it, sir; by God Almighty."
                "Are you a Catholic?"
                The man shook his head.
                "But I believe in God," he said. "At least, I think so."
                Percy leaned back, trying to realise exactly what it all meant. There was no triumph in his mind - that kind of emotion was not his weakness; there was fear of a kind, excitement, bewilderment, and under all a satisfaction that God's grace was so sovereign. If it could reach this woman, who could be too far removed for it to take effect? Presently he noticed the other looking at him anxiously.
                "You are afraid, sir? You are not going back from your promise?"
                That dispersed the cloud a little, and Percy smiled.
                "Oh! no," he said. "I will be there at twenty-two o'clock. … Is death imminent?"
                "No, sir; it is syncope. She is recovered a little this morning."
                The priest passed his hand over his eyes and stood up.
                "Well, I will be there," he said. "Shall you be there, sir?"
                The other shook his head, standing up too.
                "I must be with Mr. Brand, sir; there is to be a meeting to-night; but I must not speak of that... No, sir; ask for Mrs. Brand, and say that she is expecting you. They will take you upstairs at once."
                "I must not say I am a priest, I suppose?"
                "No, sir; if you please."
                He drew out a pocket-book, scribbled in it a moment, tore out the sheet, and handed it to the priest.
                "The address, sir. Will you kindly destroy that when you have copied it? I - I do not wish to lose my place, sir, if it can be helped."
                Percy stood twisting the paper in his fingers a moment.
                "Why are you not a Catholic yourself?" he asked.
                The man shook his head mutely. Then he took up his hat, and went towards the door.

* * * * *

Percy passed a very emotional afternoon.
                For the last month or two little had happened to encourage him. He had been obliged to report half-a-dozen more significant secessions, and hardly a conversion of any kind. There was no doubt at all that the tide was setting steadily against the Church. The mad act in Trafalgar Square, too, had done incalculable harm last week: men were saying more than ever, and the papers storming, that the Church's reliance on the supernatural was belied by every one of her public acts.       "Scratch a Catholic and find an assassin" had been the text of a leading article in the New People, and Percy himself was dismayed at the folly of the attempt. It was true that the Archbishop had formally repudiated both the act and the motive from the Cathedral pulpit, but that too had only served as an opportunity hastily taken up by the principal papers, to recall the continual policy of the Church to avail herself of violence while she repudiated the violent. The horrible death of the man had in no way appeased popular indignation; there were not even wanting suggestions that the man had been seen coming out of Archbishop's House an hour before the attempt at assassination had taken place.
                And now here, with dramatic swiftness, had come a message that the hero's own mother desired reconciliation with the Church that had attempted to murder her son.

* * * * *

Again and again that afternoon, as Percy sped northwards on his visit to a priest in Worcester, and southwards once more as the lights began to shine towards evening, he wondered whether this were not a plot after all - some kind of retaliation, an attempt to trap him. Yet he had promised to say nothing, and to go.
                He finished his daily letter after dinner as usual, with a curious sense of fatality; addressed and stamped it. Then he went downstairs, in his walking-dress, to Father Blackmore's room.
                "Will you hear my confession, father?" he said abruptly.

II
                Victoria Station, still named after the great nineteenth-century Queen, was neither more nor less busy than usual as he came into it half-an-hour later. The vast platform, sunk now nearly two hundred feet below the ground level, showed the double crowd of passengers entering and leaving town. Those on the extreme left, towards whom Percy began to descend in the open glazed lift, were by far the most numerous, and the stream at the lift-entrance made it necessary for him to move slowly.
                He arrived at last, walking in the soft light on the noiseless ribbed rubber, and stood by the door of the long car that ran straight through to the Junction. It was the last of a series of a dozen or more, each of which slid off minute by minute. Then, still watching the endless movement of the lifts ascending and descending between the entrances of the upper end of the station, he stepped in and sat down.
                He felt quiet now that he had actually started. He had made his confession, just in order to make certain of his own soul, though scarcely expecting any definite danger, and sat now, his grey suit and straw hat in no way distinguishing him as a priest (for a general leave was given by the authorities to dress so for any adequate reason). Since the case was not imminent, he had not brought stocks or pyx - Father Dolan had wired to him that he might fetch them if he wished from St. Joseph's, near the Junction. He had only the violet thread in his pocket, such as was customary for sick calls.
                He was sliding along peaceably enough, fixing his eyes on the empty seat opposite, and trying to preserve complete collectedness when the car abruptly stopped. He looked out, astonished, and saw by the white enamelled walks twenty feet from the window that they were already in the tunnel. The stoppage might arise from many causes, and he was not greatly excited, nor did it seem that others in the carriage took it very seriously; he could hear, after a moment's silence, the talking recommence beyond the partition.
                Then there came, echoed by the walls, the sound of shouting from far away, mingled with hoots and chords; it grew louder. The talking in the carriage stopped. He heard a window thrown up, and the next instant a car tore past, going back to the station although on the down line. This must be looked into, thought Percy: something certainly was happening; so he got up and went across the empty compartment to the further window. Again came the crying of voices, again the signals, and once more a car whirled past, followed almost immediately by another. There was a jerk - a smooth movement. Percy staggered and fell into a seat, as the carriage in which he was seated itself began to move backwards.
                There was a clamour now in the next compartment, and Percy made his way there through the door, only to find half-a-dozen men with their heads thrust from the windows, who paid absolutely no attention to his inquiries. So he stood there, aware that they knew no more than himself, waiting for an explanation from some one. It was disgraceful, he told himself, that any misadventure should so disorganise the line.
                Twice the car stopped; each time it moved on again after a hoot or two, and at last drew up at the platform whence it had started, although a hundred yards further out.
                Ah! there was no doubt that something had happened! The instant he opened the door a great roar met his ears, and as he sprang on to the platform and looked up at the end of the station, he began to understand.

* * * * *

From right to left of the huge interior, across the platforms, swelling every instant, surged an enormous swaying, roaring crowd. The flight of steps, twenty yards broad, used only in cases of emergency, resembled a gigantic black cataract nearly two hundred feet in height. Each car as it drew up discharged more and more men and women, who ran like ants towards the assembly of their fellows. The noise was indescribable, the shouting of men, the screaming of women, the clang and hoot of the huge machines, and three or four times the brazen cry of a trumpet, as an emergency door was flung open overhead, and a small swirl of crowd poured through it towards the streets beyond. But after one look Percy looked no more at the people; for there, high up beneath the clock, on the Government signal board, flared out monstrous letters of fire, telling in Esperanto and English, the message for which England had grown sick. He read it a dozen times before he moved, staring, as at a supernatural sight which might denote the triumph of either heaven or hell.
"EASTERN CONVENTION DISPERSED.
PEACE, NOT WAR.
UNIVERSAL BROTHERHOOD ESTABLISHED.
FELSENBURGH IN LONDON TO-NIGHT."

* * * * *

III
                It was not until nearly two hours later that Percy was standing at the house beyond the Junction.
                He had argued, expostulated, threatened, but the officials were like men possessed. Half of them had disappeared in the rush to the City, for it had leaked out, in spite of the Government's precautions, that Paul's House, known once as St. Paul's Cathedral, was to be the scene of Felsenburgh's reception. The others seemed demented; one man on the platform had dropped dead from nervous exhaustion, but no one appeared to care; and the body lay huddled beneath a seat. Again and again Percy had been swept away by a rush, as he struggled from platform to platform in his search for a car that would take him to Croydon. It seemed that there was none to be had, and the useless carriages collected like drift-wood between the platforms, as others whirled up from the country bringing loads of frantic, delirious men, who vanished like smoke from the white rubber-boards. The platforms were continually crowded, and as continually emptied, and it was not until half-an-hour before midnight that the block began to move outwards again.
                Well, he was here at last, dishevelled, hatless and exhausted, looking up at the dark windows.
                He scarcely knew what he thought of the whole matter. War, of course, was terrible. And such a war as this would have been too terrible for the imagination to visualise; but to the priest's mind there were other things even worse. What of universal peace - peace, that is to say, established by others than Christ's method? Or was God behind even this? The questions were hopeless.
                Felsenburgh - it was he then who had done this thing - this thing undoubtedly greater than any secular event hitherto known in civilisation. What manner of man was he? What was his character, his motive, his method? How would he use his success?… So the points flew before him like a stream of sparks, each, it might be, harmless; each, equally, capable of setting a world on fire. Meanwhile here was an old woman who desired to be reconciled with God before she died...

* * * * *

He touched the button again, three or four times, and waited. Then a light sprang out overhead, and he knew that he was heard.
                "I was sent for," he exclaimed to the bewildered maid. "I should have been here at twenty-two: I was prevented by the rush."
                She babbled out a question at him.
                "Yes, it is true, I believe," he said. "It is peace, not war. Kindly take me upstairs."
                He went through the hall with a curious sense of guilt. This was Brand's house then - that vivid orator, so bitterly eloquent against God; and here was he, a priest, slinking in under cover of night. Well, well, it was not of his appointment.
                At the door of an upstairs room the maid turned to him.
                "A doctor, sir?" she said.
                "That is my affair," said Percy briefly, and opened the door.

* * * * *

A little wailing cry broke from the corner, before he had time to close the door again.
                "Oh! thank God! I thought He had forgotten me. You are a priest, father?"
                "I am a priest. Do you not remember seeing me in the Cathedral?"
                "Yes, yes, sir; I saw you praying, father. Oh! thank God, thank God!"
                Percy stood looking down at her a moment, seeing her flushed old face in the nightcap, her bright sunken eyes and her tremulous hands. Yes; this was genuine enough.
                "Now, my child," he said, "tell me."
                "My confession, father."
                Percy drew out the purple thread, slipped it over his shoulders, and sat down by the bed.

* * * * *

But she would not let him go for a while after that.
                "Tell me, father. When will you bring me Holy Communion?"
                He hesitated.
                "I understand that Mr. Brand and his wife know nothing of all this?"
                "No, father."
                "Tell me, are you very ill?"
                "I don't know, father. They will not tell me. I thought I was gone last night."
                "When would you wish me to bring you Holy Communion? I will do as you say."
                "Shall I send to you in a day or two? Father, ought I to tell him?"
                "You are not obliged."
                "I will if I ought."
                "Well, think about it, and let me know... You have heard what has happened?"
                She nodded, but almost uninterestedly; and Percy was conscious of a tiny prick of compunction at his own heart. After all, the reconciling of a soul to God was a greater thing than the reconciling of East to West.
                "It may make a difference to Mr. Brand," he said. "He will be a great man, now, you know."
                She still looked at him in silence, smiling a little. Percy was astonished at the youthfulness of that old face. Then her face changed.
                "Father, I must not keep you; but tell me this - Who is this man?"
                "Felsenburgh?"
                "Yes."
                "No one knows. We shall know more to-morrow. He is in town to-night."
                She looked so strange that Percy for an instant thought it was a seizure. Her face seemed to fall away in a kind of emotion, half cunning, half fear.
                "Well, my child?"
                "Father, I am a little afraid when I think of that man. He cannot harm me, can he? I am safe now? I am a Catholic - ?"
                "My child, of course you are safe. What is the matter? How can this man injure you?"
                But the look of terror was still there, and Percy came a step nearer.
                "You must not give way to fancies," he said. "Just commit yourself to our Blessed Lord. This man can do you no harm."
                He was speaking now as to a child; but it was of no use. Her old mouth was still sucked in, and her eyes wandered past him into the gloom of the room behind.
                "My child, tell me what is the matter. What do you know of Felsenburgh?
You have been dreaming."
                She nodded suddenly and energetically, and Percy for the first time felt his heart give a little leap of apprehension. Was this old woman out of her mind, then? Or why was it that that name seemed to him sinister? Then he remembered that Father Blackmore had once talked like this. He made an effort, and sat down once more.
                "Now tell me plainly," he said. "You have been dreaming. What have you dreamt?"
                She raised herself a little in bed, again glancing round the room; then she put out her old ringed hand for one of his, and he gave it, wondering.
                "The door is shut, father? There is no one listening?"
                "No, no, my child. Why are you trembling? You must not be superstitious."
                "Father, I will tell you. Dreams are nonsense, are they not? Well, at least, this is what I dreamt.
                "I was somewhere in a great house; I do not know where it was. It was a house I have never seen. It was one of the old houses, and it was very dark. I was a child, I thought, and I was… I was afraid of something. The passages were all dark, and I went crying in the dark, looking for a light, and there was none. Then I heard a voice talking, a great way off. Father -"
                Her hand gripped his more tightly, and again her eyes went round the room.
                With great difficulty Percy repressed a sigh. Yet he dared not leave her just now. The house was very still; only from outside now and again sounded the clang of the cars, as they sped countrywards again from the congested town, and once the sound of great shouting. He wondered what time it was.
                "Had you better tell me now?" he asked, still talking with a patient simplicity. "What time will they be back?"
                "Not yet," she whispered. "Mabel said not till two o'clock. What time is it now, father?"
                He pulled out his watch with his disengaged hand.
                "It is not yet one," he said.
                "Very well, listen, father... I was in this house; and I heard that talking; and I ran along the passages, till I saw light below a door; and then I stopped... Nearer, father."
                Percy was a little awed in spite of himself. Her voice had suddenly dropped to a whisper, and her old eyes seemed to hold him strangely.
                "I stopped, father; I dared not go in. I could hear the talking, and I could see the light; and I dared not go in. Father, it was Felsenburgh in that room."
                From beneath came the sudden snap of a door; then the sound of footsteps. Percy turned his head abruptly, and at the same moment heard a swift indrawn breath from the old woman.
                "Hush!" he said. "Who is that?"
                Two voices were talking in the hall below now, and at the sound the old woman relaxed her hold.
                "I - I thought it to be him," she murmured.
                Percy stood up; he could see that she did not understand the situation.
                "Yes, my child," he said quietly, "but who is it?"
                "My son and his wife," she said; then her face changed once more. "Why - why, father -"
                Her voice died in her throat, as a step vibrated outside. For a moment there was complete silence; then a whisper, plainly audible, in a girl's voice.
                "Why, her light is burning. Come in, Oliver, but softly."
                Then the handle turned.