Thursday, 26 October 2017

"Apparecchio alla Morte" by St Alfonso Maria de Liguori (in Italian) – final

CONSIDERAZIONE XXXVI - DELL'UNIFORMITÀ ALLA VOLONTÀ DI DIO
«Et vita in voluntate eius» (Ps. 29. 6).

PUNTO I
            Tutta la nostra salute, e tutta la perfezione consiste nell'amare Dio. «Qui non diligit manet in morte» (1. Io. 3. 14). «Caritas est vinculum perfectionis» (Colos. 3). Ma la perfezione dell'amore consiste poi nell'uniformare la nostra alla divina volontà; poiché questo è l'effetto principale dell'amore, come dice l'Areopagita, unire le volontà degli amanti, sicché non abbiano che un solo cuore ed un solo volere. Intanto dunque piacciono a Dio l'opere nostre, le penitenze, le comunioni, le limosine, in quanto sono secondo la divina volontà; poiché altrimenti non sono virtuose, ma difettose e degne di castigo.
            Ciò venne principalmente ad insegnarci dal cielo col suo esempio il nostro Salvatore. Ecco quel ch'egli disse in entrare nel mondo, come scrive l'Apostolo: «Hostiam et oblationem noluisti, corpus autem aptasti mihi. Tunc dixi: Ecce venio, ut faciam, Deus, voluntatem tuam» (Heb. 10. 5). Voi, Padre mio, avete rifiutate le vittime degli uomini, volete ch'io vi sacrifichi colla morte questo corpo che m'avete dato, eccomi pronto a far la vostra volontà. E ciò più volte dichiarò, dicendo ch'egli non era venuto in terra, se non per fare la volontà del suo Padre: «Descendi de coelo, non ut faciam voluntatem meam, sed voluntatem eius qui misit me» (Io. 6. 38). Ed in ciò volle che conosciamo il suo grande amore al Padre, in vedere ch'Egli andava a morire, per ubbidire al di lui volere: «Ut cognoscat mundus, quia diligo Patrem, et sicut mandatum dedit mihi Pater, sic facio, surgite, eamus» (Io. 31. 14). Quindi poi disse ch'egli riconoscea per suoi solamente coloro che faceano la divina volontà: «Quicunque enim fecerit voluntatem Patris mei qui in coelis est, ipse meus frater, et soror, et mater est» (Matth. 12. 38). Questo poi è stato l'unico scopo e desiderio di tutt'i santi in tutte le loro opere, l'adempimento della divina volontà. Il B. Errico Susone diceva: «Io voglio esser più presto un verme più vile della terra colla volontà di Dio, che un Serafino colla mia». E S. Teresa: «Tutto ciò che dee procurare chi si esercita nell'orazione, è di conformare la sua volontà alla divina; e si assicuri (aggiungea) che in ciò consiste la più alta perfezione; chi più eccellentemente la praticherà, riceverà da Dio i più gran doni, e farà più progressi nella vita interiore». I beati del cielo per ciò amano perfettamente Dio, perché sono in tutto uniformati alla divina volontà. Quindi c'insegnò Gesu-Cristo a domandar la grazia di far la volontà di Dio in terra, come la fanno i santi in cielo: «Fiat voluntas tua, sicut in coelo et in terra». Chi fa la divina volontà, diventa uomo secondo il cuore di Dio, come appunto il Signore chiamava Davide: «Inveni virum secundum cor meum, qui faciet omnes voluntates meas» (1. Reg. 1. 14). E perché? perché Davide stava sempre apparecchiato ad eseguir ciò che volea Dio: «Paratum cor meum, Deus, paratum cor meum» (Ps. 56. 8 et Ps. 107. 2). Ed altro egli non cercava al Signore, che d'insegnargli a fare la sua volontà: «Doce me facere voluntatem tuam» (Ps. 142. 10).
            Oh quanto vale un atto di perfetta rassegnazione alla volontà di Dio! basta a fare un santo. Mentre S. Paolo perseguitava la Chiesa, Gesù gli apparve, l'illuminò e lo convertì. Il santo allora altro non fece, che offerirsi a fare il voler divino: «Domine, quid me vis facere?» (Actor. 9. 6). Ed ecco che Gesu-Cristo subito lo dichiarò vaso d'elezione, e apostolo delle genti: «Vas electionis est mihi iste, ut portet nomen meum coram gentibus» (Act. 9. 15). Chi fa digiuni, chi fa limosine, chi si mortifica per Dio, dona a Dio parte di sé; ma chi gli dona la sua volontà gli dona tutto. E questo è quel tutto, che Dio ci dimanda, il cuore, cioè la volontà: «Fili mi, praebe cor tuum mihi» (Prov. 23). Questa insomma ha da essere la mira di tutt'i nostri desideri, delle nostre divozioni, meditazioni, comunioni ecc. l'adempire la divina volontà. Questo ha da esser lo scopo di tutte le nostre preghiere, l'impetrare la grazia di eseguire ciò che Dio vuole da noi. Ed in ciò abbiamo da domandare l'intercessione de' nostri santi avvocati e specialmente di Maria SS., che c'impetrino luce e forza di uniformarci alla volontà di Dio in tutte le cose; ma specialmente in abbracciar quelle a cui ripugna il nostro amor proprio. Dicea il Ven. Giovanni d'Avila: «Vale più un benedetto sia Dio nelle cose avverse, che sei mila ringraziamenti nelle cose a noi dilettevoli».

Affetti e preghiere
            Ah mio Dio, tutta la mia ruina è stata per lo passato in non volermi uniformare alla vostra santa volontà. Detesto e maledico mille volte que' giorni e quei momenti, in cui per fare la mia volontà ho contraddetto al vostro volere, o Dio dell'anima mia. Ora tutta a Voi la dono; ricevetela, o mio Signore, e legatela talmente al vostro amore, che da Voi non possa più ribellarsi. V'amo, bontà infinita, e per l'amore che vi porto, a voi tutto mi offerisco. Disponete Voi di me e di tutte le cose mie come vi piace, ch'io in tutto mi rassegno a' vostri santi voleri. Liberatemi dalla disgrazia di far cosa contra la vostra volontà, e poi trattatemi come volete. Eterno Padre, esauditemi per amore di Gesu-Cristo. Gesù mio, esauditemi per li meriti della vostra passione.
            E Voi Maria SS., aiutatemi; impetratemi questa grazia di eseguire in me la divina volontà, in cui consiste tutta la mia salute; e niente più vi domando.


PUNTO II
            Bisogna uniformarci non solo in quelle cose avverse che ci vengono direttamente da Dio, come sono le infermità, le desolazioni di spirito, le perdite di robe o di parenti; ma anche in quelle che ci vengono anche da Dio, ma indirettamente, cioè per mezzo degli uomini, come le infamie, i dispregi, le ingiustizie e tutte l'altre sorte di persecuzioni. Ed avvertiamo che quando siamo offesi da taluno nella roba, o nell'onore, non vuole già Dio il peccato di colui che ci offende, ma ben vuole la nostra povertà e la nostra umiliazione. È certo che quanto succede, tutto avviene per divina volontà: «Ego Dominus formans lucem et tenebras, faciens pacem, et creans malum» (Is. 45. 7). E prima lo disse l'Ecclesiastico: «Bona et mala, vita et mors a Deo sunt» (Eccli. 11. 14). Tutti in somma vengono da Dio, così i beni, come i mali.
               Si chiamano mali, perché noi li chiamiamo così, e noi li facciamo mali; poiché se noi l'accettassimo, come dovressimo con rassegnazione dalle mani di Dio, diventerebbero per noi non mali, ma beni. Le gioie che rendono più ricca la corona de' santi, sono le tribolazioni accettate per Dio, pensando che tutto viene dalle sue mani. Il santo Giobbe, quando fu avvisato che i Sabei si avevan prese le sue robe, che rispose? «Dominus dedit, Dominus abstulit» (Iob. 1. 21). Non disse già, il Signore mi ha dati questi beni, ed i Sabei me l'han tolti; ma il Signore me l'ha dati, e 'l Signore me l'ha tolti. E perciò lo benediceva, pensando che tutto era avvenuto per suo volere: «Sicut Domino placuit, ita factum est, sit nomen Domini benedictum» (Ibid.). I santi martiri Epitetto ed Atone, quando erano tormentati con uncini di ferro e torce ardenti, altro non diceano: «Signore, si faccia in noi la vostra volontà!» E morendo, queste furono l'ultime parole che dissero: «Siate benedetto, o Dio eterno, poiché ci date la grazia di adempire in noi il vostro santo beneplacito». Narra Cesario (lib. 10. cap. 6) che un certo monaco, con tutto che non facesse vita più austera degli altri, nondimeno facea molti miracoli. Di ciò maravigliandosi l'Abbate, gli domandò un giorno, quali divozioni egli praticasse? Rispose che egli era più imperfetto degli altri, ma che solo a questo era tutto intento, ad uniformarsi in ogni cosa alla divina volontà. E di quel danno (ripigliò il superiore) che giorni sono ci fece quel nemico nel nostro podere, voi non ne aveste alcun dispiacere? No, padre mio, disse, anzi ne ringraziai il Signore, mentr'egli tutto fa o permette per nostro bene. E da ciò l'Abbate conobbe la santità di questo buon religioso.
            Lo stesso dobbiamo far noi, quando ci accadono le cose avverse, accettiamole tutte dalle divine mani, non solo con pazienza, ma con allegrezza, ad esempio degli apostoli, che godeano nel vedersi maltrattati per amore di Gesu-Cristo: «Ibant gaudentes a conspectu concilii, quoniam digni habiti sunt pro nomine Iesu contumeliam pati» (Act. 5. 41). E che maggior contento che soffrire qualche croce e sapere che abbracciandola noi diamo gusto a Dio? Se vogliamo dunque vivere con una continua pace, procuriamo da ogg'innanzi di abbracciarci col divino volere, con dir sempre in tutto ciò che ci avviene: «Ita, Pater, quoniam sic fuit placitum ante te» (Matth. 11. 26). Signore, così è piaciuto a Voi, così sia fatto. A questo fine dobbiamo indrizzare tutte le nostre meditazioni, comunioni, visite e preghiere: pregando sempre Dio che ci faccia uniformare alla sua volontà. Ed offeriamoci sempre dicendo: Mio Dio, eccoci, fatene di noi quel che vi piace. S. Teresa almeno cinquanta volte il giorno si offeriva a Dio, acciocché avesse di lei disposto come volea.

Affetti e preghiere
            Ah divino mio Re, amato mio Redentore, venite e regnate voi solo da oggi avanti nell'anima mia. Prendetevi tutta la mia volontà sicché ella non desideri, né voglia se non quello che volete Voi, Gesù mio. Per lo passato io v'ho tanto disgustato opponendomi a' vostri santi voleri; ciò mi dà maggior pena, che se avessi patito ogni altro male: me ne pento, me ne dispiace con tutto il cuore. Merito il castigo, io non lo ricuso, l'accetto; liberatemi solo dal castigo di privarmi del vostro amore, e poi fate di me quel che vi piace. V'amo, caro mio Redentore, v'amo, mio Dio; e perché v'amo voglio fare tutto quello che volete Voi. O volontà di Dio, Voi siete l'amor mio. O sangue del mio Gesù, Voi siete la speranza mia; da Voi spero da ogg'innanzi di star sempre unito alla divina volontà: ella sarà la mia guida, il mio desiderio, il mio amore e la mia pace. In quella voglio sempre vivere, e riposare. «In pace in idipsum dormiam, et requiescam». Dirò sempre in tutto ciò che mi avverrà: Dio mio, così avete voluto Voi, così voglio io: Dio mio, voglio solo quel che volete Voi; si faccia in me sempre la vostra volontà, «fiat voluntas tua». Gesù mio, per li meriti vostri concedetemi la grazia ch'io vi replichi sempre questo bel detto d'amore: «Fiat voluntas tua, fiat voluntas tua».
                     O Maria madre mia, beata Voi che adempiste sempre ed in tutto la divina volontà; impetratemi Voi, che da oggi avanti l'adempisca io ancora. Regina mia, per quanto amate Gesu-Cristo, impetratemi questa grazia: da Voi la spero.

PUNTO III
            Chi sta unito alla divina volontà, gode anche in questa terra una perpetua pace: «Non contristabit iustum, quidquid ei acciderit» (Prov. 12. 21). Sì, perché un'anima non può avere maggior contento che di vedere adempirsi quant'ella vuole. Chi non vuole altro se non quello che vuole Dio, ha quanto vuole, perché già quanto succede, tutto avviene per volontà di Dio. L'anime rassegnate, dice Salviano, se sono umiliate, questo vogliono; se patiscono povertà, vogliono esser povere; in somma vogliono tutto ciò che accade, e perciò menano una vita beata: «Humiles sunt, hoc volunt: pauperes sunt, paupertate delectantur; itaque beati dicendi sunt». Viene il freddo, il caldo, la pioggia, il vento, e chi sta unito alla volontà di Dio, dice: Io voglio questo freddo, questo caldo ecc., perché così vuole Dio. Viene quella perdita, quella persecuzione, viene l'infermità, viene la morte, e quegli dice: Io voglio esser misero, perseguitato, infermo, voglio anche morire, perché così vuole Dio. Chi riposa nella divina volontà, e si compiace di tutto ciò che fa il Signore, è come stesse di sopra alle nubi, vede le tempeste che sotto di quelle infuriano, ma non resta da loro né leso, né perturbato. Questa è quella pace, come dice l'Apostolo, che «exsuperat omnem sensum» (Ephes. 3. 2), che avanza tutte le delizie del mondo, ed è una pace stabile, che non ammette vicende: «Stultus sicut luna mutatur, sapiens in sapientia manet sicut sol» (Eccli. 27. 12). Lo stolto (cioè il peccatore) si muta come la luna, che oggi cresce e domani manca: oggi si vede ridere, domani piangere, oggi allegro e tutto mansueto, domani afflitto e furibondo; in somma si muta, come si mutano le cose prospere o avverse che gli accadono. Ma il giusto è come il sole, sempre eguale ed uniforme nella sua tranquillità, in ogni cosa che avviene; poiché la sua pace sta nell'uniformarsi alla divina volontà. «Et in terra pax hominibus bonae voluntatis» (Luc. 2. 14). S. Maria Maddalena de Pazzi in sentir nominare «Volontà di Dio», sentiva talmente consolarsi, che usciva fuori di sé in estasi d'amore. Nella parte inferiore non manca di farsi sentire qualche puntura delle cose avverse, ma nella superiore regnerà sempre la pace, quando la volontà sta unita a quella di Dio. «Gaudium vestrum nemo tollet a vobis» (Io. 16. 22). Ma che pazzia è quella di coloro, che ripugnano al volere di Dio! Quel che vuole Iddio, si ha senza meno da adempire. «Voluntati eius quis resistit?» (Rom. 9. 19). Onde i miseri han da soffrir già la croce, ma senza frutto, e senza pace. «Quis restitit ei, et pacem habuit?» (Iob. 9. 4).
            E che altro vuole Dio, se non il nostro bene? «Voluntas Dei sanctificatio vestra» (1. Thess. 4. 3). Vuol vederci santi, per vederci contenti in questa vita, e beati nell'altra. Intendiamo che le croci che ci vengono da Dio, «omnia cooperantur in bonum» (Rom. 8. 28). Anche i castighi in questa vita non vengono per nostra ruina, ma affinché ci emendiamo e ci acquistiamo la beatitudine eterna. «Ad emendationem non ad perditionem nostram evenisse credamus» (Iudt. 8. 27). Iddio ci ama tanto, che non solo brama, ma è sollecito della salute di ciascuno di noi. «Deus sollicitus est mei» (Psal. 39. 18). E che mai ci negherà quel Signore, che ci ha dato il medesimo suo Figlio? «Qui proprio Filio suo non pepercit, sed pro nobis omnibus tradidit illum, quomodo non etiam cum illo omnia nobis donavit?» (Rom. 8. 32). Abbandoniamoci dunque sempre nelle mani di quel Dio, il quale sempre ha premura del nostro bene, mentre siamo in questa vita. «Omnem sollicitudinem vestram proiicientes in eum, quoniam ipsi cura est de vobis» (1. Petr. 5. 7). Pensa tu a me (disse il Signore a S. Caterina di Siena), ed io penserò sempre a te. Diciamo spesso colla sacra sposa: «Dilectus meus mihi, et ego illi» (Cant. 2. 16). L'amato mio pensa al mio bene, ed io non voglio pensare ad altro che a compiacerlo, e ad unirmi alla sua santa volontà. E non dobbiamo pregare, dicea il santo Abbate Nilo, che Dio faccia quel che vogliamo noi, ma che noi facciamo quel ch'egli vuole.
            Chi fa sempre cosi farà una vita beata ed una morte santa. Chi muore tutto rassegnato nella divina volontà lascia agli altri una moral certezza della sua salvazione. Ma chi in vita non sarà unito al voler divino, non lo sarà neppure in morte, e non si salverà. Procuriamo dunque di renderci familiari alcuni detti della Scrittura, co' quali ci terremo sempre uniti alla volontà di Dio. «Domine, quid me vis facere?» Signore, ditemi che volete da me, che tutto voglio farlo. «Ecce ancilla Domini»: Ecco l'anima mia è vostra serva, comandate, e sarete ubbidito. «Tuus sum ego, salvum me fac»: Salvatemi, Signore, e poi fatene di me quel che vi piace; io son vostro, non sono più mio. Quando accade qualche avversità più pesante, diciamo subito: «Ita, Pater, quoniam sic fuit placitum ante te» (Matth. 11. 26). Dio mio, così è piaciuto a Voi, così sia fatto. Sopra tutto siaci cara la terza petizione del Pater noster: «Fiat voluntas tua sicut in coelo et in terra». Diciamola spesso con affetto e replichiamola più volte. Felici noi se viviamo e terminiamo la vita dicendo così: «Fiat, fiat voluntas tua!»

Affetti e preghiere
            O Gesù mio Redentore, Voi avete consumata la vostra vita sulla croce a forza di dolori, per rendervi la causa della mia salute. Abbiate dunque pietà di me e salvatemi; e non permettete che un'anima redenta da Voi con tante pene e con tanto amore abbia da odiarvi eternamente nell'inferno. Voi non avete più che fare per obbligarmi ad amarvi. Ciò voleste darmi ad intendere, allorché prima di spirar sul Calvario diceste quelle amorose parole: «Consummatum est». Ma come io poi ho riconosciuto il vostro amore? per lo passato ben posso dire ch'io non ho avuto più che fare per disgustarvi ed obbligarvi a odiarmi. Vi ringrazio che mi avete sopportato con tanta pazienza, ed ora mi date tempo di rimediare alla mia sconoscenza, e di amarvi prima di morire. Sì, voglio amarvi, e voglio amarvi assai, mio Salvatore, mio Dio, mio amore e mio tutto; e voglio far tutto quel che piace a Voi; vi dono tutta la mia volontà, tutta la mia libertà e tutte le cose mie. Vi sagrifico da ora anche la mia vita, accettando quella morte che mi manderete, con tutte le pene e circostanze che l'accompagneranno. Unisco da ora questo mio sagrificio al gran sagrificio che Voi, Gesù mio, faceste per me della vostra vita sulla croce. Voglio morire per fare la vostra volontà. Deh per li meriti della vostra passione datemi la grazia di stare in vita sempre rassegnato alle vostre disposizioni; e quando verrà la morte, fate ch'io l'abbracci con una totale uniformità al vostro santo beneplacito. Voglio morire dicendo: «Fiat voluntas tua».
            Maria madre mia, così moriste Voi; impetratemi ch'io ancora muoia così.

Wednesday, 25 October 2017

"Apparecchio alla Morte" by St Alfonso Maria de Liguori (in Italian) – XXXVI

CONSIDERAZIONE XXXV - DELLA DIMORA AMOROSA CHE FA GESU' SUGLI ALTARI NEL SS. SAGRAMENTO
«Venite ad me omnes qui laboratis, et onerati estis, et ego reficiam vos» (Matth. 11. 28).

PUNTO I
            Il nostro amante Salvatore, dovendo partire da questo mondo, dopo di aver colla sua morte compita l'opera della nostra redenzione, non volle lasciarci soli in questa valle di lagrime. «Niuna lingua è bastante (dicea S. Pietro d'Alcantara), a poter dichiarare la grandezza dell'amore, che Gesù porta ad ogni anima; e perciò volendo questo sposo partire da questa vita, acciocché questa sua assenza non le fosse cagione di scordarsi di lui, le lasciò per memoria questo SS. Sagramento, nel quale Egli stesso rimanea, non volendo che tra ambedue restasse altro pegno per tenere svegliata la memoria ch'Egli medesimo». Merita dunque da noi grande amore questo gran tratto d'amore di Gesu-Cristo; e perciò in questi ultimi nostri tempi Egli ha voluto che s'istituisse la festa in onore del suo SS. Cuore, come si porta rivelato alla sua serva suor Margherita Maria Alacoque, affinché noi rendessimo co' nostri ossequi ed affetti qualche contraccambio alla sua amorosa dimora che fa sugli altari: e così insieme compensassimo i disprezzi che in questo Sagramento d'amore Egli ha ricevuti e riceve tuttavia dagli eretici e da' mali cristiani.
            Gesù si è lasciato nel SS. Sagramento, 1. per farsi trovare da tutti; 2. per dare udienza a tutti; 3. per far grazie a tutti. E per 1. Egli si fa trovare in tanti diversi altari, per farsi trovare da tutti che desiderano di trovarlo. In quella notte in cui il Redentore stavasi licenziando da' discepoli per andar alla morte, addolorati quelli piangeano, pensando di doversi dividere dal loro caro maestro; ma Gesù li consolava dicendo (e lo stesso diceva allora anche a noi): Figli miei, io vado a morire per voi, per dimostrarvi l'amore che vi porto; ma anche morendo non voglio lasciarvi soli; finché voi sarete sulla terra, voglio con voi restarmi nel SS. Sagramento dell'altare. Io vi lascio il mio corpo, l'anima mia, la mia divinità e tutto me stesso. No, finché voi starete sulla terra, io non voglio separarmi da voi. «Ecce vobiscum sum usque ad consummationem saeculi» (Matth. 28. 20). «Volea lo sposo (scrisse S. Pietro d'Alcantara) lasciare alla sua sposa in questa sì lunga lontananza qualche compagnia, acciocché non rimanesse sola, e perciò lasciò questo Sagramento, in cui rimase esso stesso, ch'era la miglior compagnia che potesse lasciarle». I gentili si han finti tanti dei, ma non han saputo fingersi un Dio più amoroso del nostro, e che ci sta più vicino e ci assiste con tanto amore. «Non est alia natio tam grandis, quae habeat deos appropinquantes sibi, sicut Deus noster adest nobis».Così appunto la S. Chiesa applica questo passo del Deuteronomio (al cap. 4. v. 7) alla festa del SS. Sagramento (Resp. 2. Noct. 3).
            Ecco dunque Gesu-Cristo, che se ne sta negli altari, come ristretto in tante prigioni d'amore. Lo cacciano i sacerdoti dalle custodie per esporlo, o per dar la comunione, e poi lo ritornano a chiudere. E Gesù se ne contenta di restarsene ivi il giorno e la notte. Ma che serviva, mio Redentore, a restarvi in tante chiese anche la notte, mentre le genti serrano le porte e vi lasciano solo? Bastava trattenervi solamente nelle ore del giorno. No, vuol Egli starsene anche la notte benché solo, aspettando che la mattina subito lo trovi chi lo cerca. Andava la sacra sposa cercando il suo diletto, e dimandava a chi incontrava: «Num quem diligit anima mea vidistis?» (Cant. 3. 3). E non trovandolo alzava la voce, dicendo: Sposo mio, fatemi sapere dove state: «Indica mihi ubi pascas, ubi cubes in meridie» (Cant. 1. 6). Allora la sposa non lo trovava, perché non vi era ancora il SS. Sagramento; ma al presente, se un'anima vuol trovare Gesu-Cristo, basta che vadi alla parrocchia, o a qualche monastero, ed ivi troverà il suo diletto che l'aspetta. Non vi è villaggio per misero che sia, non vi è monastero di religiosi, che non tenga il SS. Sagramento; ed in tutti quei luoghi il Re del cielo si contenta di starsene chiuso in una cassettina di legno, o in una pietra, dove spesso se ne resta solo, appena con una lampa d'olio, senza chi l'assista. Ma, Signore (dice S. Bernardo), ciò non conviene alla vostra maestà. Non importa, risponde Gesù, se ciò non conviene alla mia maestà, ben conviene al mio amore.
            Or qual tenerezza sentono i pellegrini in visitare la santa casa di Loreto, o i luoghi di Terra santa, la stalla di Betlemme, il Calvario, il santo Sepolcro, dove Gesu-Cristo nacque, o abitò, o morì, o fu sepolto! Ma quanto maggiore dee esser la nostra tenerezza, in trovarci in una chiesa alla presenza di Gesù medesimo, che sta nel SS. Sagramento? Diceva il Ven. P. Giovanni d'Avila ch'egli non sapea trovare santuario di maggior divozione e consolazione, che una chiesa dove sta Gesù sagramentato. Ma piangeva all'incontro il P. Baltassarre Alvarez in vedere i palagi de' principi pieni di gente, e le chiese dove sta Gesu-Cristo abbandonate e sole. Oh Dio, se il Signore si fosse lasciato in una sola chiesa della terra, v. gr. solo in S. Pietro in Roma, e si facesse ivi trovare solamente in un solo giorno dell'anno, oh quanti pellegrini, quanti nobili e quanti monarchi procurerebbero d'aver la sorte di trovarsi ivi in quel giorno, a corteggiare il Re del cielo ritornato in terra! Oh che nobil tabernacolo d'oro adornato di gemme gli sarebbe apprestato! Oh con qual apparato di lumi si solennizzerebbe in quel giorno questa dimora di Gesu-Cristo! Ma no, dice il Redentore, Io non voglio dimorare in una sola chiesa, né per un solo giorno; né ricerco tante ricchezze e tanti lumi, io voglio dimorar continuamente in tutti i giorni ed in tutti i luoghi, dove si ritrovano i miei fedeli, acciocché tutti mi ritrovino facilmente, e sempre ad ogni ora che vogliono.
            Ah che se Gesu-Cristo non avesse pensato a questa finezza d'amore, chi mai avrebbe potuto pensarvi? Quando Egli se n'ascese al cielo, se alcuno gli avesse detto allora: Signore, se volete dimostrarci il vostro affetto, restatevi con noi sugli altari sotto le specie di pane, acciocché ivi possiamo trovarvi quando vogliamo; qual temerità sarebbe stata stimata questa domanda? Ma quello che non ha saputo neppure pensare alcuno degli uomini, l'ha pensato e l'ha fatto il nostro Salvatore. Ma oimè dov'è la nostra gratitudine ad un tanto favore? Se venisse un principe da lontano in un paese a posta per esser visitato da un villano, che ingratitudine sarebbe del villano, se non volesse vederlo, o vederlo sol di passaggio?

Affetti e preghiere
            O Gesù mio Redentore, o amore dell'anima mia, a Voi quanto è costato il rimanervi con noi in questo Sagramento? Voi avete dovuto prima patir la morte, per potervi restare su i nostri altari; e poi avete dovuto soffrir tante ingiurie in questo Sagramento per assisterci colla vostra presenza. E noi possiamo esser così pigri, e trascurati in venire a visitarvi, sapendo che Voi tanto gradite le nostre visite, per colmarci di beni, allorché ci vedete alla vostra presenza? Signore, perdonatemi mentre fra questi ingrati vi sono stato ancor'io. Da ogg'innanzi, Gesù mio, voglio spesso visitarvi e trattenermi quanto più posso alla vostra presenza, a ringraziarvi, ad amarvi ed a cercarvi grazie, giacché a questo fine Voi vi siete restato in terra chiuso ne' tabernacoli e fatto nostro prigioniero d'amore. V'amo, bontà infinita, v'amo, o Dio d'amore, v'amo, o sommo bene, amabile più d'ogni bene. Fate ch'io mi scordi di me e di tutto, per ricordarmi solo del vostro amore, e per vivere la vita, che mi resta, tutta occupata a darvi gusto. Fate ch'io da oggi avanti non trovi maggior delizia, che di trattenermi a' piedi vostri. Infiammatemi tutto del vostro santo amore.
            Maria madre mia, impetratemi un grande amore al SS. Sagramento, e quando mi vedete trascurato, ricordatemi Voi la promessa, che ora fo di andare a visitarlo ogni giorno.


PUNTO II
            Per 2. Gesu-Cristo nel Sagramento dà udienza a tutti. Dicea S. Teresa che non tutti in questa terra possono parlare col principe. I poveri appena posson sperare di parlargli e fargli sentire le loro necessità per mezzo di qualche terza persona: ma col Re del cielo non vi vogliono terze persone, tutti, e nobili e poveri posson parlarci, stando egli nel Sagramento, da faccia a faccia. Perciò si chiama Gesù fiore de' campi: «Ego flos campi, et lilium convallium» (Cantic. 2. 1). I fiori de' giardini stan chiusi e riserbati, ma i fiori de' campi stanno esposti a tutti. «Ego flos campi», commenta Ugon Cardinale, «quia omnibus me exhibeo ad inveniendum».
          Con Gesu-Cristo dunque nel Sagramento possono parlarci tutti, e ad ogni ora del giorno. S. Pier Grisologo (parlando della nascita del Redentore nella stalla di Betlemme) dice che i re non danno sempre udienza; spesso accade che andando taluno a parlare col principe, le guardie lo licenziano con dirgli che non è tempo allora di udienza, che venga appresso. Ma il Redentore volle nascere in una spelonca aperta, senza porte e senza guardie, per dare udienza a tutti, e ad ogni ora: «Non est satelles, qui dicat non est hora». Lo stesso avviene con Gesù nel SS. Sagramento. Stanno aperte continuamente le chiese, ognuno può andare a parlare col Re del cielo sempre che vuole. E vuole Gesu-Cristo che gli parliamo ivi con tutta la nostra confidenza, perciò si è posto sotto le specie di pane. Se Gesù comparisse sugli altari in un trono di luce, come comparirà nel giudizio finale, chi di noi avrebbe l'animo di accostarsegli vicino? Ma perché il Signore, dice S. Teresa, desidera che noi gli parliamo e gli cerchiamo le grazie con confidenza e senza timore, perciò ha coverta la sua maestà colle specie di pane. Egli desidera, come dice ancora Tommaso da Kempis, che noi ci trattiamo, come tratta un amico coll'altro amico, «ut amicus ad amicum».
Quando l'anima si trattiene a piè d'un altare, par che Gesù le dica quelle parole de' Cantici: «Surge, propera, amica mea, formosa mea, et veni» (Cant. 2. 10). «Surge», alzati, anima, le dice, non temere. «Propera», accostati a me vicino; «amica mea», non mi sei più nemica, mentre m'ami e sei pentita d'avermi offeso: «formosa mea», non sei più deforme agli occhi miei, la mia grazia ti ha fatta bella; «et veni», vieni su, dimmi quel che vuoi, a posta io sto in questo altare. Qual gaudio sentiresti, lettor mio, se ti chiamasse il re nel suo gabinetto e ti dicesse: Dimmi che vuoi? che ti bisogna? io t'amo e desidero di farti bene. Questo dice il Re del cielo Gesu-Cristo a tutti coloro che lo visitano: «Venite ad me omnes qui laboratis et onerati estis, et ego reficiam vos» (Matth. 11. 28). Venite poveri, infermi, afflitti, ch'io posso e voglio arricchirvi, sanarvi e consolarvi. A questo fine io mi trattengo sugli altari. «Clamabis, et dicet: Ecce adsum» (Isa. 58. 9).

Affetti e preghiere
            Giacché dunque, amato mio Gesù, Voi vi trattenete sugli altari, per sentire le suppliche de' miserabili che a Voi ricorrono, sentite oggi la supplica che vi fo io misero peccatore. O Agnello di Dio, sagrificato e morto sulla croce, io sono un'anima redenta col vostro sangue; perdonatemi tutte l'ingiurie che v'ho fatte, e assistetemi colla vostra grazia, acciocché io non vi perda più. Fatemi parte, Gesù mio, di quel dolore, che voi aveste de' peccati miei nell'orto di Getsemani. O mio Dio, non vi avessi mai offeso! Caro mio Signore, s'io moriva in peccato, non vi potrei più amare; ma Voi per questo mi avete aspettato, acciocché io v'ami. Vi ringrazio di questo tempo che mi concedete; e giacché ora posso amarvi, io voglio amarvi. Datemi la grazia Voi del vostro santo amore: ma di un tale amore, che mi faccia scordare di tutto, per pensare solamente a compiacere il vostro amantissimo Cuore. Ah Gesù mio, voi avete consumata tutta la vostra vita per me, fate ch'io consumi almeno per Voi la vita che mi resta. Tiratemi tutto al vostro amore; fatemi tutto vostro, prima ch'io muoia. Spero tutto ai meriti della vostra passione.
            E spero ancora alla vostra intercessione, o Maria; Voi sapete ch'io v'amo, abbiate pietà di me.

 
PUNTO III
            Gesù nel Sagramento dà udienza a tutti, per far grazie a tutti. Dice S. Agostino che ha più desiderio il Signore di dispensare le sue grazie a noi che noi di riceverle: «Plus vult ille tibi benefacere, quam tu accipere concupiscas». E la ragione è, perché Dio è bontà infinita, e la bontà di sua natura è diffusiva, sì che desidera di comunicare i suoi beni a tutti. Si lamenta Iddio, quando l'anime non vengono a cercargli le grazie: «Nunquid solitudo factus sum Israeli? aut terra serotina? Quare ergo dixit populus meus, non veniemus ultra ad te?» (Ier. 2. 31). Perché (dice il Signore) non volete più venire a me? che forse mi avete ritrovato come terra sterile o tardiva, quando mi avete cercate le grazie? S. Giovanni vide il Signore col petto pieno di latte, cioè di misericordia, e cinto da una fascia d'oro, cioè dall'amore, col quale egli desidera di dispensare a noi le sue grazie. «Vidi praecinctum ad mamillas zona aurea» (Apoc. 1. 13). Gesu-Cristo sempre sta pronto a beneficarci, ma dice il Discepolo, che specialmente nel SS. Sagramento egli dispensa le grazie con più abbondanza. E 'l B. Errico Susone dicea che Gesù nel Sagramento esaudisce più volentieri le nostre preghiere.
            Siccome una madre che tiene il petto ripieno di latte, va trovando bambini che vengano a succhiare, acciocché la sgravino da quel peso, così appunto il Signore da questo Sagramento d'amore ci chiama tutti, e ci dice: «Ad ubera mea portabimini... quomodo si cui mater blandiatur, ita ego consolabor vos» (Is. 66. 13). Il P. Baltassarre Alvarez vide appunto Gesù nel SS. Sagramento colle mani piene di grazie, per donarle agli uomini; ma non trovava chi le volesse.
            O beata quell'anima, che se ne sta a piè d'un altare a domandar grazie a Gesu-Cristo! La contessa di Feria, fatta monaca di S. Chiara, se ne stava sempre che poteva avanti il SS. Sagramento, ed ivi riceveva continuamente tesori di grazie. Dimandata un giorno che facesse tante ore innanzi al Venerabile? Rispose: «Io vi starei tutta l'eternità. Che si fa innanzi al SS. Sagramento? e che cosa non si fa? che fa un povero avanti un ricco? che fa un infermo avanti un medico? che si fa? si ringrazia, si ama, si domanda». Oh quanto vagliono queste ultime parole per trattenersi con frutto avanti il SS. Sagramento.
            Si lamentò Gesu-Cristo colla mentovata serva di Dio suor Margherita Alacoque dell'ingratitudine che gli usano gli uomini in questo Sagramento d'amore, allorché fe' vederle il suo Cuore circondato di spine, con una croce di sopra, in un trono di fiamme, dandole con ciò ad intendere l'amorosa dimora ch'Egli fa nel Sagramento, e poi le disse così: Ecco quel Cuore che tanto ha amato gli uomini, e che non ha risparmiato niente: è giunto a consumarsi per dimostrar loro il suo amore. Ma io per riconoscenza non ricevo che ingratitudini dalla maggior parte, per le irriverenze e disprezzi che mi fanno in questo Sagramento d'amore. E ciò che più m'è sensibile, è che sono cuori a me consagrati». Non vanno gli uomini a trattenersi con Gesu-Cristo, perché non l'amano. Piace loro star le ore intere a parlare con un amico, e poi loro dà tedio il trattenersi una mezz'ora con Gesu-Cristo! Dirà taluno: Ma perché Gesu-Cristo non mi concede il suo amore? Ma io rispondo: Se voi non discacciate dal cuore l'amore della terra, come vuol entrarvi l'amor divino? Ah che se voi poteste veramente dire col cuore quel che dicea S. Filippo Neri a vista del SS. Sagramento: «Ecco l'amor mio, ecco l'amor mio»; non avreste voi tedio a trattenervi le ore e le giornate intere avanti il SS. Sagramento.
            Ad un'anima innamorata di Dio le ore avanti Gesù sagramentato sembrano momenti. S. Francesco Saverio tutto il giorno faticava per le anime, e nella notte poi quale era il suo riposo? era il trattenersi avanti il SS. Sagramento. S. Gio. Francesco Regis, quel gran missionario della Francia, dopo avere spesa tutta la giornata in confessare e predicare, se n'andava la notte alla chiesa, e trovandola qualche volta chiusa, restava a trattenersi fuori della porta al freddo e al vento, per corteggiare almeno così da lontano il suo amato Signore. S. Luigi Gonzaga desiderava di starsene sempre avanti il SS. Sagramento, ma perché gli era stato imposto da' superiori a non trattenervisi; passando per l'altare, e sentendosi da Gesù tirato a trattenersi, era costretto a partire per far l'ubbidienza; onde poi il santo giovine amorosamente gli dicea: «Recede a me, Domine, recede»: Signore, non mi tirate, lasciatemi partire, così vuol l'ubbidienza. Ma se tu, fratello mio, non provi questo amore a Gesu-Cristo, procura tu di visitarlo ogni giorno, ch'egli ben t'infiammerà il cuore. Ti senti freddo? accostati al fuoco, dicea S. Caterina da Siena. Ed oh beato te, se Gesù ti fa la grazia d'infiammarti del suo amore. Allora certamente che più non amerai altro che Gesù, e disprezzerai tutte le cose della terra. Dice S. Francesco di Sales: «Quando va a fuoco la casa, si buttano tutte le robe dalla finestra».

Affetti e preghiere
            Ah Gesù mio, fatevi conoscere, e fatevi amare. Voi siete così amabile; Voi non avete più che fare per farvi amare dagli uomini, e come poi tanti pochi fra gli uomini son quelli che v'amano? Ohimè che fra questi ingrati misero sono stato ancor io. Sono stato ben grato colle creature, se mi han fatto qualche dono o favore; solo con Voi che m'avete donato Voi stesso, sono stato un ingrato, sino a disgustarvi tante volte gravemente, e ad ingiuriarvi co' miei peccati. Ma vedo che Voi in vece d'abbandonarmi, seguite a venirmi appresso e a chiedere il mio amore. Sento che seguite ad intimarmi l'amoroso precetto: «Diliges Dominum Deum tuum ex toto corde tuo». Giacché dunque Voi anche da me ingrato volete esser amato, sì che vi voglio amare. Voi desiderate il mio amore, ed io al presente favorito dalla vostra grazia altro non desidero che amarvi. V'amo, mio amore, mio tutto. Aiutatemi ad amarvi, per quel sangue che avete sparso per me. Amato mio Redentore, a questo sangue io metto tutte le mie speranze, ed all'intercessione della vostra SS. Madre, le preghiere della quale volete Voi che aiutino la nostra salute.
            O Maria madre mia, pregate Gesù per me: Voi accendete nell'amor divino tutt'i vostri amanti, accendete ancor me che tanto v'amo

“O Canto do Índio” by Gonçalves Dias (in Portuguese)



Quando o sol vai dentro d’água
Seus ardores sepultar,
Quando os pássaros nos bosques
Principiam a trinar;
Eu a vi, que se banhava...
Era bela, ó Deuses, bela,
Como a fonte cristalina,
Como luz de meiga estrela.
Ó Virgem, Virgem dos Cristãos formosa,
Porque eu te visse assim, como te via,
Calcara agros espinhos sem queixar-me,
Que antes me dera por feliz de ver-te.
O tacape fatal em terra estranha
Sobre mim sem temor veria erguido;
Dessem-me a mim somente ver teu rosto
Nas águas, como a lua, retratado.
Eis que os seus loiros cabelos
Pelas águas se espalhavam,
Pelas águas, que de vê-los
Tão loiros se enamoravam.
Ela erguia o colo ebúrneo,
Por que melhor os colhesse;
Níveo colo, quem te visse,
Que de amores não morresse!
Passara a vida inteira a contemplar-te,
Ó Virgem, loira Virgem tão formosa,
Sem que dos meus irmãos ouvisse o canto,
Sem que o som do Boré que incita à guerra
Me infiltrasse o valor que m’hás roubado,
Ó Virgem, loira Virgem tão formosa.
As vezes, quando um sorriso
Os lábios seus entreabria,
Era bela, oh! mais que a aurora
Quando a raiar principia.
Outra vez - dentre os seus lábios
Uma voz se desprendia;
Terna voz, cheia de encantos,
Que eu entender não podia.
Que importa? Esse falar deixou-me n’alma
Sentir d’amores tão sereno e fundo,
Que a vida me prendeu, vontade e força
Ah! que não queiras tu viver comigo,
Ó Virgem dos Cristãos, Virgem formosa!
Sobre a areia, já mais tarde,
Ela surgiu toda nua;
Onde há, ó Virgem, na terra
Formosura como a tua!?
Bem como gotas de orvalho
Nas folhas de flor mimosa,
Do seu corpo a onda em fios
Se deslizava amorosa.
Ah! que não queiras tu vir ser rainha
Aqui dos meus irmãos, qual sou rei deles!
Escuta, ó Virgem dos Cristãos formosa.
Odeio tanto aos teus, como te adoro;
Mas queiras tu ser minha, que eu prometo
Vencer por teu amor meu ódio antigo,
Trocar a maça do poder por ferros
E ser, por te gozar, escravo deles.

Tuesday, 24 October 2017

"Lord of the World" by Robert Hugh Benson - X (in English)



CHAPTER IV

I
                Oliver Brand, seated in his little private room at Whitehall, was expecting a visitor. It was already close upon ten o'clock, and at half-past he must be in the House. He had hoped that Mr. Francis, whoever he might be, would not detain him long. Even now, every moment was a respite, for the work had become simply prodigious during the last weeks.
                But he was not reprieved for more than a minute, for the last boom from the Victoria Tower had scarcely ceased to throb when the door opened and a clerkly voice uttered the name he was expecting.
                Oliver shot one quick look at the stranger, at his drooping lids and down-turned mouth, summed him up fairly and accurately in the moments during which they seated themselves, and went briskly to business.
                "At twenty-five minutes past, sir, I must leave this room," he said.
"Until then -" he made a little gesture.
                Mr. Francis reassured him.
                "Thank you, Mr. Brand - that is ample time. Then, if you will excuse me -" He groped in his breast-pocket, and drew out a long envelope.
                "I will leave this with you," he said, "when I go. It sets out our desires at length and our names. And this is what I have to say, sir."
                He sat back, crossed his legs, and went on, with a touch of eagerness in his voice.
                "I am a kind of deputation, as you know," he said. "We have something both to ask and to offer. I am chosen because it was my own idea. First, may I ask a question?"
                Oliver bowed.
                "I wish to ask nothing that I ought not. But I believe it is practically certain, is it not? - that Divine Worship is to be restored throughout the kingdom?"
                Oliver smiled.
                "I suppose so," he said. "The bill has been read for the third time, and, as you know, the President is to speak upon it this evening."
                "He will not veto it?"
                "We suppose not. He has assented to it in Germany."
                "Just so," said Mr. Francis. "And if he assents here, I suppose it will become law immediately."
                Oliver leaned over this table, and drew out the green paper that contained the Bill.
                "You have this, of course -" he said. "Well, it becomes law at once; and the first feast will be observed on the first of October. 'Paternity,' is it not? Yes, Paternity."
                "There will be something of a rush then," said the other eagerly. "Why, that is only a week hence."
                "I have not charge of this department," said Oliver, laying back the Bill. "But I understand that the ritual will be that already in use in Germany. There is no reason why we should be peculiar."
                "And the Abbey will be used?"
                "Why, yes."
                "Well, sir," said Mr. Francis, "of course I know the Government Commission has studied it all very closely, and no doubt has its own plans. But it appears to me that they will want all the experience they can get."
                "No doubt."
                "Well, Mr. Brand, the society which I represent consists entirely of men who were once Catholic priests. We number about two hundred in London. I will leave a pamphlet with you, if I may, stating our objects, our constitution, and so on. It seemed to us that here was a matter in which our past experience might be of service to the Government. Catholic ceremonies, as you know, are very intricate, and some of us studied them very deeply in old days. We used to say that Masters of Ceremonies were born, not made, and we have a fair number of those amongst us. But indeed every priest is something of a ceremonialist."
                He paused.
                "Yes, Mr. Francis?"
                "I am sure the Government realises the immense importance of all going smoothly. If Divine Service was at all grotesque or disorderly, it would largely defeat its own object. So I have been deputed to see you, Mr. Brand, and to suggest to you that here is a body of men - reckon it as at least twenty-five - who have had special experience in this kind of thing, and are perfectly ready to put themselves at the disposal of the Government."
                Oliver could not resist a faint flicker of a smile at the corner of his mouth. It was a very grim bit of irony, he thought, but it seemed sensible enough.
                "I quite understand, Mr. Francis. It seems a very reasonable suggestion. But I do not think I am the proper person. Mr. Snowford -"
                "Yes, yes, sir, I know. But your speech the other day inspired us all. You said exactly what was in all our hearts - that the world could not live without worship; and that now that God was found at last -"
                Oliver waved his hand. He hated even a touch of flattery.
                "It is very good of you, Mr. Francis. I will certainly speak to Mr. Snowford. I understand that you offer yourselves as - as Masters of Ceremonies - ?"
                "Yes, sir; and sacristans. I have studied the German ritual very carefully; it is more elaborate than I had thought it. It will need a good deal of adroitness. I imagine that you will want at least a dozen Ceremoniarii in the Abbey; and a dozen more in the vestries will scarcely be too much."
                Oliver nodded abruptly, looking curiously at the eager pathetic face of the man opposite him; yet it had something, too, of that mask-like priestly look that he had seen before in others like him. This was evidently a devotee.
                "You are all Masons, of course?" he said.
                "Why, of course, Mr. Brand."
                "Very good. I will speak to Mr. Snowford to-day if I can catch him."
                He glanced at the clock. There were yet three or four minutes.
                "You have seen the new appointment in Rome, sir," went on Mr. Francis.
                Oliver shook his head. He was not particularly interested in Rome just now.
                "Cardinal Martin is dead - he died on Tuesday - and his place is already filled."
                "Indeed, sir?"
                "Yes - the new man was once a friend of mine - Franklin, his name is - Percy Franklin."
                "Eh?"
                "What is the matter, Mr. Brand? Did you know him?"
                Oliver was eyeing him darkly, a little pale.
                "Yes; I knew him," he said quietly. "At least, I think so."
                "He was at Westminster until a month or two ago."
                "Yes, yes," said Oliver, still looking at him. "And you knew him, Mr. Francis?"
                "I knew him - yes."
                "Ah! - well, I should like to have a talk some day about him."
                He broke off. It yet wanted a minute to his time.
                "And that is all?" he asked.
                "That is all my actual business, sir," answered the other. "But I hope you will allow me to say how much we all appreciate what you have done, Mr. Brand. I do not think it is possible for any, except ourselves, to understand what the loss of worship means to us. It was very strange at first -"
                His voice trembled a little, and he stopped. Oliver felt interested, and checked himself in his movement to rise.
                "Yes, Mr. Francis?"
                The melancholy brown eyes turned on him full.
                "It was an illusion, of course, sir - we know that. But I, at any rate, dare to hope that it was not all wasted - all our aspirations and penitence and praise. We mistook our God, but none the less it reached Him - it found its way to the Spirit of the World. It taught us that the individual was nothing, and that He was all. And now -"
                "Yes, sir," said the other softly. He was really touched.
                The sad brown eyes opened full.
                "And now Mr. Felsenburgh is come." He swallowed in his throat. "Julian Felsenburgh!" There was a world of sudden passion in his gentle voice, and Oliver's own heart responded.
                "I know, sir," he said; "I know all that you mean."
                "Oh! to have a Saviour at last!" cried Francis. "One that can be seen and handled and praised to His Face! It is like a dream - too good to be true!"
                Oliver glanced at the clock, and rose abruptly, holding out his hand.
                "Forgive me, sir. I must not stay. You have touched me very deeply… I will speak to Snowford. Your address is here, I understand?"
                He pointed to the papers.
                "Yes, Mr. Brand. There is one more question."
                "I must not stay, sir," said Oliver, shaking his head.
                "One instant - is it true that this worship will be compulsory?"
                Oliver bowed as he gathered up his papers.

II
                Mabel, seated in the gallery that evening behind the President's chair, had already glanced at her watch half-a-dozen times in the last hour, hoping each time that twenty-one o'clock was nearer than she feared. She knew well enough by now that the President of Europe would not be half-a-minute either before or after his time. His supreme punctuality was famous all over the continent. He had said Twenty-One, so it was to be twenty-one.
                A sharp bell-note impinged from beneath, and in a moment the drawling voice of the speaker stopped. Once more she lifted her wrist, saw that it wanted five minutes of the hour; then she leaned forward from her corner and stared down into the House.
                A great change had passed over it at the metallic noise. All down the long brown seats members were shifting and arranging themselves more decorously, uncrossing their legs, slipping their hats beneath the leather fringes. As she looked, too, she saw the President of the House coming down the three steps from his chair, for Another would need it in a few moments.
                The house was full from end to end; a late comer ran in from the twilight of the south door and looked distractedly about him in the full light before he saw his vacant place. The galleries at the lower end were occupied too, down there, where she had failed to obtain a seat. Yet from all the crowded interior there was no sound but a sibilant whispering; from the passages behind she could hear again the quick bell-note repeat itself as the lobbies were cleared; and from Parliament Square outside once more came the heavy murmur of the crowd that had been inaudible for the last twenty minutes. When that ceased she would know that he was come.
                How strange and wonderful it was to be here - on this night of all, when the President was to speak! A month ago he had assented to a similar Bill in Germany, and had delivered a speech on the same subject at Turin. To-morrow he was to be in Spain. No one knew where he had been during the past week. A rumour had spread that his volor had been seen passing over Lake Como, and had been instantly contradicted. No one knew either what he would say to-night. It might be three words or twenty thousand. There were a few clauses in the Bill - notably those bearing on the point as to when the new worship was to be made compulsory on all subjects over the age of seven - it might be he would object and veto these. In that case all must be done again, and the Bill re-passed, unless the House accepted his amendment instantly by acclamation.
                Mabel herself was inclined to these clauses. They provided that, although worship was to be offered in every parish church of England on the ensuing first day of October, this was not to be compulsory on all subjects till the New Year; whereas, Germany, who had passed the Bill only a month before, had caused it to come into full force immediately, thus compelling all her Catholic subjects either to leave the country without delay or suffer the penalties. These penalties were not vindictive: on a first offence a week's detention only was to be given; on the second, one month's imprisonment; on the third, one year's; and on the fourth, perpetual imprisonment until the criminal yielded. These were merciful terms, it seemed; for even imprisonment itself meant no more than reasonable confinement and employment on Government works. There were no mediaeval horrors here; and the act of worship demanded was so little, too; it consisted of no more than bodily presence in the church or cathedral on the four new festivals of Maternity, Life, Sustenance and Paternity, celebrated on the first day of each quarter. Sunday worship was to be purely voluntary.
                She could not understand how any man could refuse this homage. These four things were facts - they were the manifestations of what she called the Spirit of the World - and if others called that Power God, yet surely these ought to be considered as His functions. Where then was the difficulty? It was not as if Christian worship were not permitted, under the usual regulations. Catholics could still go to mass. And yet appalling things were threatened in Germany: not less than twelve thousand persons had already left for Rome; and it was rumoured that forty thousand would refuse this simple act of homage a few days hence. It bewildered and angered her to think of it.
                For herself the new worship was a crowning sign of the triumph of Humanity. Her heart had yearned for some such thing as this - some public corporate profession of what all now believed. She had so resented the dulness of folk who were content with action and never considered its springs. Surely this instinct within her was a true one; she desired to stand with her fellows in some solemn place, consecrated not by priests but by the will of man; to have as her inspirers sweet singing and the peal of organs; to utter her sorrow with thousands beside her at her own feebleness of immolation before the Spirit of all; to sing aloud her praise of the glory of life, and to offer by sacrifice and incense an emblematic homage to That from which she drew her being, and to whom one day she must render it again. Ah! these Christians had understood human nature, she had told herself a hundred times: it was true that they had degraded it, darkened light, poisoned thought, misinterpreted instinct; but they had understood that man must worship - must worship or sink.
                For herself she intended to go at least once a week to the little old church half-a-mile away from her home, to kneel there before the sunlit sanctuary, to meditate on sweet mysteries, to present herself to That which she was yearning to love, and to drink, it might be, new draughts of life and power.
                Ah! but the Bill must pass first… She clenched her hands on the rail, and stared steadily before her on the ranks of heads, the open gangways, the great mace on the table, and heard, above the murmur of the crowd outside and the dying whispers within, her own heart beat.
                She could not see Him, she knew. He would come in from beneath through the door that none but He might use, straight into the seat beneath the canopy. But she would hear His voice - that must be joy enough for her…
                Ah! there was silence now outside; the soft roar had died. He had come then. And through swimming eyes she saw the long ridges of heads rise beneath her, and through drumming ears heard the murmur of many feet. All faces looked this way; and she watched them as a mirror to see the reflected light of His presence. There was a gentle sobbing somewhere in the air - was it her own or another's?… the click of a door; a great mellow booming over-head, shock after shock, as the huge tenor bells tolled their three strokes; and, in an instant, over the white faces passed a ripple, as if some breeze of passion shook the souls within; there was a swaying here and there; and a passionless voice spoke half a dozen words in Esperanto, out of sight:
                "Englishmen, I assent to the Bill of Worship."

III
                It was not until mid-day breakfast on the following morning that husband and wife met again. Oliver had slept in town and telephoned about eleven o'clock that he would be home immediately, bringing a guest with him: and shortly before noon she heard their voices in the hall.
                Mr. Francis, who was presently introduced to her, seemed a harmless kind of man, she thought, not interesting, though he seemed in earnest about this Bill. It was not until breakfast was nearly over that she understood who he was.
                "Don't go, Mabel," said her husband, as she made a movement to rise. "You will like to hear about this, I expect. My wife knows all that I know," he added.
                Mr. Francis smiled and bowed.
                "I may tell her about you, sir?" said Oliver again.
                "Why, certainly."
                Then she heard that he had been a Catholic priest a few months before, and that Mr. Snowford was in consultation with him as to the ceremonies in the Abbey. She was conscious of a sudden interest as she heard this.
                "Oh! do talk," she said. "I want to hear everything."
                It seemed that Mr. Francis had seen the new Minister of Public Worship that morning, and had received a definite commission from him to take charge of the ceremonies on the first of October. Two dozen of his colleagues, too, were to be enrolled among the ceremoniarii, at least temporarily - and after the event they were to be sent on a lecturing tour to organise the national worship throughout the country.
                Of course things would be somewhat sloppy at first, said Mr. Francis; but by the New Year it was hoped that all would be in order, at least in the cathedrals and principal towns.
                "It is important," he said, "that this should be done as soon as possible. It is very necessary to make a good impression. There are thousands who have the instinct of worship, without knowing how to satisfy it."
                "That is perfectly true," said Oliver. "I have felt that for a long time. I suppose it is the deepest instinct in man."
                "As to the ceremonies -" went on the other, with a slightly important air. His eyes roved round a moment; then he dived into his breast-pocket, and drew out a thin red-covered book.
                "Here is the Order of Worship for the Feast of Paternity," he said. "I have had it interleaved, and have made a few notes."
                He began to turn the pages, and Mabel, with considerable excitement, drew her chair a little closer to listen.
                "That is right, sir," said the other. "Now give us a little lecture."
                Mr. Francis closed the book on his finger, pushed his plate aside, and began to discourse.
                "First," he said, "we must remember that this ritual is based almost entirely upon that of the Masons. Three-quarters at least of the entire function will be occupied by that. With that the ceremoniarii will not interfere, beyond seeing that the insignia are ready in the vestries and properly put on. The proper officials will conduct the rest… I need not speak of that then. The difficulties begin with the last quarter."
                He paused, and with a glance of apology began arranging forks and glasses before him on the cloth.
                "Now here," he said, "we have the old sanctuary of the abbey. In the place of the reredos and Communion table there will be erected the large altar of which the ritual speaks, with the steps leading up to it from the floor. Behind the altar - extending almost to the old shrine of the Confessor - will stand the pedestal with the emblematic figure upon it; and - so far as I understand from the absence of directions - each such figure will remain in place until the eve of the next quarterly feast."
                "What kind of figure?" put in the girl.
                Francis glanced at her husband.
                "I understand that Mr. Markenheim has been consulted," he said. "He will design and execute them. Each is to represent its own feast. This for Paternity -"
                He paused again.
                "Yes, Mr. Francis?"
                "This one, I understand, is to be the naked figure of a man."
                "A kind of Apollo - or Jupiter, my dear," put in Oliver.
                Yes - that seemed all right, thought Mabel. Mr. Francis's voice moved on hastily.
                "A new procession enters at this point, after the discourse," he said. "It is this that will need special marshalling. I suppose no rehearsal will be possible?"
                "Scarcely," said Oliver, smiling.
                The Master of Ceremonies sighed.
                "I feared not. Then we must issue very precise printed instructions. Those who take part will withdraw, I imagine, during the hymn, to the old chapel of St. Faith. That is what seems to me the best."
                He indicated the chapel.
                "After the entrance of the procession all will take their places on these two sides – here - and here - while the celebrant with the sacred ministers -"
                "Eh?"
                Mr. Francis permitted a slight grimace to appear on his face; he flushed a little.
                "The President of Europe -" He broke off. "Ah! that is the point. Will the President take part? That is not made clear in the ritual."
                "We think so," said Oliver. "He is to be approached."
                "Well, if not, I suppose the Minister of Public Worship will officiate. He with his supporters pass straight up to the foot of the altar. Remember that the figure is still veiled, and that the candles have been lighted during the approach of the procession. There follow the Aspirations printed in the ritual with the responds. These are sung by the choir, and will be most impressive, I think. Then the officiant ascends the altar alone, and, standing, declaims the Address, as it is called. At the close of it - at the point, that is to say, marked here with a star, the thurifers will leave the chapel, four in number. One ascends the altar, leaving the others swinging their thurifers at its foot - hands his to the officiant and retires. Upon the sounding of a bell the curtains are drawn back, the officiant tenses the image in silence with four double swings, and, as he ceases the choir sings the appointed antiphon."
                He waved his hands.
                "The rest is easy," he said. "We need not discuss that."
                To Mabel's mind even the previous ceremonies seemed easy enough. But she was undeceived.
                "You have no idea, Mrs. Brand," went on the ceremoniarius, "of the difficulties involved even in such a simple matter as this. The stupidity of people is prodigious. I foresee a great deal of hard work for us all… Who is to deliver the discourse, Mr. Brand?"
                Oliver shook his head.
                "I have no idea," he said. "I suppose Mr. Snowford will select."
Mr. Francis looked at him doubtfully.
                "What is your opinion of the whole affair, sir?" he said.
                Oliver paused a moment.
                "I think it is necessary," he began. "There would not be such a cry for worship if it was not a real need. I think too - yes, I think that on the whole the ritual is impressive. I do not see how it could be bettered…"
                "Yes, Oliver?" put in his wife, questioningly.
                "No - there is nothing - except… except I hope the people will understand it."
                Mr. Francis broke in.
                "My dear sir, worship involves a touch of mystery. You must remember that. It was the lack of that that made Empire Day fail in the last century. For myself, I think it is admirable. Of course much must depend on the manner in which it is presented. I see many details at present undecided - the colour of the curtains, and so forth. But the main plan is magnificent. It is simple, impressive, and, above all, it is unmistakable in its main lesson -"
                "And that you take to be - ?"
                "I take it that it is homage offered to Life," said the other slowly. "Life under four aspects - Maternity corresponds to Christmas and the Christian fable; it is the feast of home, love, faithfulness. Life itself is approached in spring, teeming, young, passionate. Sustenance in midsummer, abundance, comfort, plenty, and the rest, corresponding somewhat to the Catholic Corpus Christi; and Paternity, the protective, generative, masterful idea, as winter draws on… I understand it was a German thought."
                Oliver nodded.
"Yes," he said. "And I suppose it will be the business of the speaker to explain all this."
                "I take it so. It appears to me far more suggestive than the alternative plan - Citizenship, Labour, and so forth. These, after all, are subordinate to Life."
                Mr. Francis spoke with an extraordinary suppressed enthusiasm, and the priestly look was more evident than ever. It was plain that his heart at least demanded worship.
                Mabel clasped her hands suddenly.
                "I think it is beautiful," she said softly, "and - and it is so real."
                Mr. Francis turned on her with a glow in his brown eyes.
                "Ah! yes, madam. That is it. There is no Faith, as we used to call it: it is the vision of Facts that no one can doubt; and the incense declares the sole divinity of Life as well as its mystery."
                "What of the figures?" put in Oliver.
                "A stone image is impossible, of course. It must be clay for the present. Mr. Markenheim is to set to work immediately. If the figures are approved they can then be executed in marble."
                Again Mabel spoke with a soft gravity.
                "It seems to me," she said, "that this is the last thing that we needed. It is so hard to keep our principles clear - we must have a body for them - some kind of expression -"
                She paused.
                "Yes, Mabel?"
                "I do not mean," she went on, "that some cannot live without it, but many cannot. The unimaginative need concrete images. There must be some channel for their aspirations to flow through - Ah! I cannot express myself!"
                Oliver nodded slowly. He, too, seemed to be in a meditative mood.
                "Yes," he said. "And this, I suppose, will mould men's thoughts too: it will keep out all danger of superstition."
                Mr. Francis turned on him abruptly.
                "What do you think of the Pope's new Religious Order, sir?"
                Oliver's face took on it a tinge of grimness.
                "I think it is the worst step he ever took - for himself, I mean. Either it is a real effort, in which case it will provoke immense indignation - or it is a sham, and will discredit him. Why do you ask?"
                "I was wondering whether any disturbance will be made in the abbey."
                "I should be sorry for the brawler."
                A bell rang sharply from the row of telephone labels. Oliver rose and went to it. Mabel watched him as he touched a button - mentioned his name, and put his ear to the opening.
                "It is Snowford's secretary," he said abruptly to the two expectant faces. "Snowford wants to - ah!"
                Again he mentioned his name and listened. They heard a sentence or two from him that seemed significant.
                "Ah! that is certain, is it? I am sorry… Yes… Oh! but that is better than nothing… Yes; he is here… Indeed. Very well; we will be with you directly."
                He looked on the tube, touched the button again, and came back to them.
                "I am sorry," he said. "The President will take no part at the Feast. But it is uncertain whether he will not be present. Mr. Snowford wants to see us both at once, Mr. Francis. Markenheim is with him."
                But though Mabel was herself disappointed, she thought he looked graver than the disappointment warranted.