ATTO QUARTO
SCENA PRIMA - Signor Flavio solo.
FLAVIO - Io non so quello che s'avrà fatto
il Signor Lelio; crederò bene ch'ei si sarà scoperto con la Signora Ardelia, e
ch'essi avranno dato principio alle loro contentezze. Oh, quando il vecchio
saprà il fatto, che cosa dirà egli mai? So ch'egli braverà, ma, facci quello
ch'ei vuole, non potrà vietare ch'Ardelia non sia di Lelio, né manco lo può
privare per simil conto, essendo ella figliuola d'un gentil'uomo nobile, se ben
ora si trova in bassa fortuna. Oh, quanto ho caro d'aver servito l'amico!
Voglio andar ancor io a ritrovare la Signora Silvia, ch'io non vorrei però
perdermi tanto ne i fatti d'altri, che
mi scordassi gli miei, perché ho dato ordine di parlar seco, e vedere di tirare
a fine il nostro negozio; e già la madre si contenta di darmela, a tale che
faremo le nozze ambi dua in un istesso tempo, cioè il Signor Lelio e io, esso
sposando la Signora Ardelia e io la Signora Silvia. Oh, che belle feste s'hanno
da fare! Ma io vedo venire in qua Messer
Zenobio, o è molto attilato. Che cosa sarà questa? Io voglio andarmene innanzi
ch'egli mi veda, perché so ch'egli ha un poco d'ombra verso di me per conto del
Signor Lelio e mi potrebbe dire qualche cosa, che non fusse a proposito mio, e
però voglio cercare di schivare i rumori fin ch'io posso. Non mancherà mai
tempo di gridare. Io voglio voltare per di qua.
SCENA SECONDA - Messer Zenobio e Farinella.
ZENOBIO - Io son pur stato tanto su la
traccia per conto di quella serva, ch'io ho inteso ch'ella sta in casa di
Messer Pancrazio e ch'ella si chiama Farinella; e però io voglio un poco andare
verso la casa sua, forsi ch'io la potrei vedere un altro poco. Oh, chi avesse mai
detto che Zenobio si fosse innamorato in sua vecchiezza? In fine si vede
ch'amore non porta rispetto a sesso né a etade alcuna; ma a sua posta, dica chi
vuole, io non voglio stare per questo, ch'io non cerchi il fatto mio; non sono
il primo, né sarò l'ultimo che sia caduto in simil errore. Ma ecco la
Farinella; a fè che vien fuori di casa, io mi voglio un poco tirare suso il
colaro e accommodarmi la beretta per mettermi alla via di dargli l'assalto.
Ah, Zenobio, sta' in cervello adesso che
ti bisogna.
FARINELLA - Ho veduto mio padre da stare
alla finestra, e sono uscita fuori per fargli la burla, s'io potrò. Oh, che
vecchietto! Mira un poco com'ei s'è ingalluzato quando m'ha visto; io voglio
fare vista d'andare in piazza, e sentirò quello ch'ei vuol dire.
ZENOBIO. - Il Cielo ti salvi, Farinella
galante.
FARINELLA - Ancor voi, bello Messere.
ZENOBIO - Dove si va cosí in fretta?
FARINELLA - Io vado dal merciaio a
comperare degli aghi per la mia padrona.
ZENOBIO
- Fermati un poco, non andare cosí in furia.
FARINELLA - Eh, Signore, bisogna ch'io
camini, ch'ella le vuole oprare adesso adesso, e poi non sta bene ch'io mi
fermi a parlare con gl'uomini, perché io son troppo da bene, e s'io fussi
veduta ragionar con voi, io non potrei poi trovar marito.
ZENOBIO - Tu hai dunque animo di
maritarti?
FARINELLA - Sì, s'io trovarò chi mi
voglia. Credete voi ch'io voglia stare sempre alla servitú d'altri? E poi io
ancora son di carne come l'altre, sapete.
ZENOBIO - Anzi sei di latte, e non di
carne, la mia bella Farinella.
FARINELLA - Orsú, Messere, voi mi date la
burla.
ZENOBIO - Hai torto, Farinella, a dir
questo, ch'io la darei a chi volesse darla a te; anzi di piú ti dico ch'io ti
voglio tanto bene, che non trovo loco, e se tu serai quella giovane che tu
potrai essere, felice te.
FARINELLA - Che parole sono queste, Messer
Zenobio, che voi vi lasciate uscir di bocca? Non vi vergognate in questa età di
parlar cosí con una fanciulla semplice e pura, come son io? Oh, bello esempio
che voi date ai giovani! Andate, andate.
ZENOBIO - Non ti turbare, di grazia,
Farinella galante, perché non è in arbitrio mio il poter resistere a i colpi
d'Amore, però contentati ch'io ti voglia bene, e domandami ciò che tu vuoi,
ch'io son qui pronto e parato a servirti. Eccoti la borsa, pigliati che danari
tu vuoi, e prendi ancora questa filza di coralli e portali al collo per amor
mio.
FARINELLA - Io vi ringrazio della vostra cortesia, e gli
accettarei quando io pensassi che voi andasti di buone gambe; ma veggio che voi
cercate di macchiar l'onor mio, e però io non voglio nulla del vostro.
ZENOBIO - Pigliali, di grazia, e piglia
ancora queste scarpe e queste pianelle ch'io ti dono, e questi quattro scudi da
comprarti da far delle camiscie e di quello che ti bisogna.
FARINELLA - Voi sete tanto cortese e
liberale verso di me, ch'io non posso mancare di non accettare il dono che voi
mi proferite, e faccio conto che questa sia un'elemosina che voi mi fate, e son
obligata pregare sempre per voi sin
ch'io sarò viva, e gran mercè a voi; il Cielo vi dia cento per uno, e mi vi
raccomando.
ZENOBIO - Ohimè, dove vai? Fermati ancora
un poco ch'io non t'ho ben mirata a mio modo.
FARINELLA - E di grazia, Messere, non mi
trattenete piú, ché la mia patrona mi criderà, ch'io sto troppo a tornare a
casa.
ZENOBIO - Non ti dubitar di questo, ché
quando ben ella ti mandasse via, io ti
darò sempre ricapito in casa mia, e sarai patrona della robba e di me stesso.
FARINELLA - O questo non credo io, perché
se 'l Signor Lelio vostro figliuolo tornasse dallo Studio e mi trovasse in casa
vostra, mi cacciarebbe fuori vituperosamente, onde sarebbe vergogna a voi, e a
me infamia e disonore.
ZENOBIO - Non temer di questo, ch'io sono
il padrone, e non esso; e poi egli ha da stare tre anni a tornare a casa, e in
questo tempo si può fare di belle cose.
FARINELLA - No, no, io son rissoluta di
non ne voler fare altro. Pur, per non esser villana verso di voi, voglio darvi
alquanto di sodisfazzione, la quale sarà questa: come sono andati a letto i
padroni di casa, io vi aprirò l'uscio piano piano e vi tirarò dentro, e ivi
potrete discorrere e dirmi l'animo vostro, ch'io v'ascolterò. Ma non ci veniste
se non avete buona intenzione verso di me, perché voi saresti degno di gran
castigo, s'ingannasti una donzella pura come son io, vedete.
ZENOBIO - Io camino di buone gambe verso
di te, e, a dirtelo alla libera, io voglio che tu sia mia moglie. Or che dici,
cerco io d'ingannarti, o no?
FARINELLA - Quando avesti questo buon
animo, io non voglio ricusare il dono che mi fa la mia buona sorte, e se bene
io son povera serva, mi porterò di maniera tale, che se bene il Signor Lelio
tornarà, non gli sarà grave avere una
matrigna come son io.
ZENOBIO - Adesso conosco che tu sei
prudente. Orsú, questa sera io verrò alle quattr'ore come m'hai detto; ma vedi
non mi burlare.
FARINELLA - Non dubitate di niente, venite
pur allegramente. Vero è che bisognarebbe che voi aveste un altro, abito
indosso, acciò ch'essendo incontrato a sorte da qualche vostro amico, voi non
fusti conosciuto, ché questo sarebbe errore del doppio.
ZENOBIO - Tu dici la verità; ma che abiti
potrei io pormi indosso, ch'io non fussi conosciuto? Dimelo, ti prego.
FARINELLA - A non volere che nissuno vi
conosca, il miglior abito che sia si è vestirsi da matrona, perché la gente
incontrandovi non vi darà fantasia.
ZENOBIO - Questo sarebbe bonissimo; ma il
male è che le donne non sogliono andare in volta da quell'ora.
FARINELLA - Vestitevi dunque da fornaio, e
sarà piú sicura, perché domattina noi facciamo il pane, e se a sorte fossero
levati quelli di casa, se vi sentissero, io piglierò scusa che voi sete il
fornaio, che sete venuto a portare l'asse, e cosí la cosa passerà benissimo.
ZENOBIO - O buono, o buono, oh questo mi
piace! Orsú, io verrò vestito in abito di fornaio; ma che segno vuoi tu che ti
dia, acciò che tu mi conosca?
FARINELLA - Soffiatevi il naso forte due
volte, e io subito verrò ad aprirvi l'uscio pian piano. Orsú, mi vi raccomando.
ZENOBIO - A Dio, Farinella, chi sará il
tuo caro sposo?
FARINELLA - Il mio Messer Zenobio.
ZENOBIO - E la mia cara sposa?
FARINELLA - La vostra Farinella.
ZENOBIO - Orsú, a Dio.
FARINELLA - Andate alla buon'ora. Oh, che
vecchio balordo! Mira s'egli ha perso il cervello a innamorarsi d'una serva! Ma
io lo voglio tirare in casa e scoprirmi per quello ch'io sono, e anco scoprire
l'error suo. Come farà vedendosi scoperto a non fare a modo mio? Orsú, pur egli
è fatto il becco all'oca. Alla fè, io gliela voglio caricare.
SCENA TERZA - Burasca, Gianettina e Chiappino.
BURASCA - In somma io mi son chiarito che
'l Signor Lelio non è andato altrimenti a Padova; ma è stato veduto tornare
indietro. Diàncene, dove può egli essersi fitto? Sarà in casa del Signor Flavio
certo, perché so che sono compagni intrinsechi, e l'uno e l'altro sono
innamorati, e l'uno si tiene con l'altro, onde facilmente sarà vero quanto mi
vado pensando. Ma con che animo tornerò innanzi al vecchio e che cosa gli dirò
io? Del certo non ci voglio piú tornare, ma me n'andarò a stare in casa d'un
mio cugino, e ivi dimorerò sin a tanto ch'io sappia quello che sia avvenuto di
costui. Ma chi è questa che viene in qua con questi secchi in mano? O potta di
me, ell'è Gianettina, serva di Madonna Simplicia, quella ch'io amo tanto, e mai
non ho potuto avere una parola buona; pur si suol dire che tanto dà una goccia
d'acqua su la pietra, ch'ella si spezza; però io non voglio abbandonare
l'impresa. Chi sa ch'ella non si sia mutata di proposito? Io la voglio un poco
salutare e dirgli due parole, s'ella mi vorrà ascoltare. Io ho sempre udito
dire, che tentare non nocet, e ch'audaces fortuna iuvat, e sfacciato cacciati
innanzi: cosí farò ancor io, e vada come si voglia. A Dio, Gianettina bella:
dove si va cosí in fretta? Fermati un poco.
GIANETTINA - O fermatevi, che la spesa
importa di fermarsi, poiché l'ha detto questo bel giovine.
BURASCA
- S'io non son bello, io son buono.
GIANETTINA - Sì, da brugiare.
BURASCA - E per te abbrugio di continuo,
cor mio.
GIANETTINA - Aspetta com'io torno dal
pozzo da pigliar acqua, ch'io ti roversarò addosso questi due secchi e ti
smorzerò.
BURASCA - Alla fiamma d'amor acqua non
giova.
GIANETTINA - O tu ne sai tanta.
BURASCA - Amor m'ha fatto cosí dotto.
GIANETTINA - Meglio sarebbe che tu fusti
di sette, e non d'otto.
BURASCA - Orsú, lassiamo andar le burle da
parte, e dimmi quanto starai a farti benigna e amorevole verso di me.
GIANETTINA - Quando le oche faranno la
cresta.
BURASCA - Tu sei su le burle, tu.
GIANETTINA - E tu su le canzoni.
BURASCA - Tu non mi vuoi dunque bene.
GIANETTINA - L'esperienza te ne fa chiaro.
BURASCA - Tu hai un core molto duro.
GIANETTINA
- Signal è che non è di cera, come il tuo.
BURASCA - Tu dici il vero che 'l mio cuore
è di cera, che per te si strugge e consuma.
GIANETTINA - Quando io ti vederò consumato
del tutto, allora poi ti crederò.
BURASCA - Tu brami dunque di vedermi
morto.
GIANETTINA - Che importa a me se tu mori o
se tu vivi; perché se tu mori, non tocca
a me a farti sepelire, e se tu vivi, non tocca a me a farti le spese; sí che
fa' quello che ti pare, e lassami andare al mio viaggio, se non ti batterò uno
di questi secchi su la testa.
BURASCA - Io ti prego a non mi lassar cosí
presto. Vieni un poco qui.
GIANETTINA - O tu sei insolente, par a me.
Tu dei aver bevuto, non è vero, imbriacone?
BURASCA - Potta del mondo, tu sei così
ruvida; fermati.
GIANETTINA - E lassa qua sto secchio, se
non che io gridarò e mi farò sentire. O vicini, o gente, venite aiutarmi.
CHIAPPINO - Ho sentito gridare, e mi pare
la voce di Gianettina. Oh là, chi è quello che ti dà impaccio, Gianettina?
GIANETTINA - Ohimè, egli è Burasca, che
m'ha fatto venire tutta in sudore, e volea trattenermi qui al mio dispetto.
CHIAPPINO - Aspetta un poco, o potta di
me, io ti farò ben venire una burasca adosso, io. Che vai cercando? Poltrone,
gaglioffo, insolente, vatti, domestica con i pari tuoi imbriachi e lassa star
costei, ch'ella non è carne per i tuoi denti; mira che mostazzo da berlina, che
vuole sforzar le donne' qui su la strada. Tira via e va' alle forche.
BURASCA - Deh, forfantello, sfacciato,
sciaguratino che sei, se non fusse ch'io mi vergogno a pormi con una frasca par
tuo, io mi scingerei la correggia e ti darei venticinque correggiate; mira che
mi vuol fare adosso il rodomonte. Va', lecca le pignatte, che gli è tuo
mestiero, e levatimi di qua.
GIANETTINA - Sì, tu lecchi le pignatte e i
tegami di cucina, e non lui, e sei un famigliaccio da stalla, che puzzi di
succidumo discosto cinquanta miglia. Quant'è che tu non hai cantato la
girometta nella streglia?.
BURASCA - Io non parlo teco; parlo con
lui.
CHIAPPINO - Ed io parlo con te, e farò
teco una menata di pugna; e eccomi all'ordine, vientene via.
BURASCA - Oh, il Cielo m'aiuti oggi con
questo disgraziatello! Almeno fussi tu par mio, che vorrei cavarti i grilli del
capo.
CHIAPPINO - Fa' conto ch'io sia par tuo.
Te', piglia questa.
BURASCA - Ah putana, ch'io non dico del
mondo, aspetta un poco. Bisogna che metta la discrezione da banda con questo
furbaccio.
GIANETTINA - Lassalo stare, vedi, e non lo
sguardar quant'egli è lungo, che la faremo in tre a dui per parte.
BURASCA - Io lo voglio pestare a mio modo,
aspetta ch'io ti piglia per il collo. Oh, adesso brava, se tu puoi.
GIANETTINA - Lassalo, ti dico,
manigoldaccio, se non che io ti mangierò questa spalla.
BURASCA - Ohimè la mia spalla! O cagna
arrabbiata, a questa foggia, eh, mordermi le spalle.
GIANETTINA - Ti spiccarò ben anco il naso
con i denti. Ah, ah, tu l'hai lasciato.
CHIAPPINO - Aspetta ch'io ti voglio
rompere la testa con questo sasso.
GIANETTINA - Orsú, metti giú quel sasso e
non gli dare impaccio, e vieni con me a pigliare dell'acqua, ch'io ti voglio
parlare da te e me, e lassa gracchiare questo barbagianni. Vien via.
CHIAPPINO - Andiamo, vita mia. Or di' in
che modo costui voleva domesticarsi. Va' alla stalla, cialtrone.
BURASCA - No no, io ti trovarò bene da te
e me. Sí, disgraziatino, tu non serai sempre con quella massaraccia.
CHIAPPINO - Ohimè, chi avesse paura?
Guarda pure se tu ne vuoi fare un'altra menata.
BURASCA - Io non voglio far altro, perché
non v'è l'onor mio, ma voglio far sapere al Signor Flavio e a Madonna Simplicia
questo fatto. Andate pur via e lassate fare a me, ch'io voglio che lo sappiano
del certo.
CHIAPPINO - Dilli quello che tu vuoi, in
ogni modo tu non sei mai per essere amato da costei. Uh, dàlli dàlli a
bernardone!
BURASCA - Orsú, andate pur via, voi non riderete
sempre. Oh, poveraccio me, ogni cosa mi va bene alla roversa ora; ma io lo
voglio dire a i lor padroni che se essi faranno cura d'onore, gli caccieranno
alle fune ambidue. Ohimè, la mia spalla! Oh, ti venga il cancaro ne i denti. Io
credo ch'ella m'abbia tirato via una libra di carne, ella deve avere lunghi i
denti come una cagna levriera, tanto ella mi ha passato in dentro. E quel furbo
giotto di quel ragazzo m'ha quasi anch'esso rotto la testa con quel sasso.
Orsú, io voglio ritirarmi in qualche loco fin ch'io posso sapere quello che sia
avvenuto del Signor Lelio. Oh, infelice Burasca, so che tutte le burasche si
sfogano oggi sopra di te. Orsú, pazienza, il Cielo vuol così.
ATTO QUINTO
SCENA PRIMA - Flavio e Lelio.
FLAVIO - Io ho parlato con la madre della
Signora Silvia e ho concluso seco quanto si deve, cioè ch'ella sia mia moglie,
e la madre si contenta, con sommo gaudio della figliuola, né altro piú ci resta
a fare che le nozze. Ma innanzi ch'io venghi a questo, vorrei ancor che 'l
Signor Lelio concludesse di far le sue; e a punto mi son partito di casa, per
intendere quanto è successo fra esso e la Signora Ardelia, perché mi pare
ch'essi abbino avuto grandissima commodità di negoziare il fatto fra di loro.
Ma eccolo qua: forsi mi deve aver veduto dalla finestra, e mi viene incontro.
Io saprò qualche cosa del certo.
LELIO - A Dio, Signor Flavio.
FLAVIO - A Dio, Signor Lelio, volsi dire
Farinella galante. Come state, e come passa il vostro negozio?
LELIO - Benissimo, Signor mio. Voi dovete
sapere che mio padre mi ha veduto, e credendomi femina s'è inamorato di me, e
questa sera ho dato ordine ch'esso venghi alle quattr'ore in abito di fornaio,
che io gli aprirò l'uscio, e che trattaremo insieme de i nostri amori, e m'ha
promesso di sposarmi e farmi padrona di casa, e mill'altre balorderie, secondo il poco cervello ch'egli
ha. Ma lo voglio chiarire del certo, venghi pur via, e mi sono scoperto con
Ardelia, e siamo d'accordo, e già ci siamo data la mano, sí che fra noi la cosa
è conclusa; e però con l'occasione di tirare il vecchio questa sera in casa, mi
scoprirò a lui per quello ch'io sono, e esso trovandosi in quel abito alla mia presenza, avrà di grazia
di fare a modo mio. Or che ne dite?
FLAVIO - O buono, o buono, a fè; oh, la
verrà pur bene!
LELIO - Tutto quello, che io voglio da voi
si è che questa sera alle quattr'ore vi ritroviate qui d'intorno, e, udendoci
gridare insieme, verrete innanzi e sarete presente a quanto s'ha da fare e
servirete per testimonio in simil
negozio.
FLAVIO - Ma che dirà Messer Pancrazio di
questo?
LELIO - Messer Pancrazio sarà piú che
contento. Trovatevi pur voi qua a l'ora ch'io v'ho detto.
FLAVIO - Orsú, io anderò dunque fino a
casa a pigliar la mia lanterna e il mio mantello dalla notte, e a l'ora
impostami sarò qua. A Dio.
LELIO - A Dio. Orsú io voglio tornare in
casa, ché non può fare che Messer Pancrazio non venghi, perché ormai è sera e
vuol cenar presto, e come ha cenato ei se ne va a dormire, e cosí avrò commodo
di fare il fatto mio con il vecchio. Oh che burla, oh che burla!
SCENA SECONDA - Messer Pancrazio solo.
PANCRAZIO - Io son stato tanto a ragionare
con Messer Demetrio mio compare, ch'io ho fatto venir sera, e perché non son
uso a stare fuora da quest'ora, par che quest'aria m'abbi fatto venire un poco
di catarro. Però me ne voglio gire a casa e cenare quanto prima e andarmene a
letto. Oh, povera vecchiaia, io so che tu vieni con tutti i diffetti. Io mi
ricordo quando io ero giovane, che non m'avriano fatto male le saette, e adesso
ogni poco di cosa mi noce. Orsú pur, pazienza, il mondo va cosí. Io voglio
entrare dentro, ché quanto piú io sto qui fuori, tanto piú sto peggio; io non
so se ho la chiave della porta adosso. Ma l'uscio è aperto, mi dénno forsi aver
veduto da stare al balcone, e hanno tirato la corda, tal che io non avrò briga
d'aprirlo. Ohimè il catarro! Dentro dentro, oh che aria fredda!
SCENA TERZA E ULTIMA - Messer Zenobio, Farinella cioè Lelio, Flavio, Messer
Pancrazio, Ardelia, Burasca, Silvia e tutti.
ZENOBIO - Io credo, s'io non son sordo,
d'aver udito sonare le tre ore, e però mi voglio venire riducendo verso la casa
di Messer Pancrazio per trattenermi dolcemente con la mia cara Farinella. Oh,
quanta allegrezza sente il mio cuore ora, perché cosí in quest'abito ognuno mi
terrebbe per il garzon del fornaio di certo. Oh, che bella invenzione è stata
questa! Oh, Zenobio aventurato, che giocondità sarà la tua quando ti troverai
cosí bella fanciulla a lato! Io non credo che trovar si possa al mondo uomo piú
felice di te. Io voglio dare il cenno secondo che siamo d'accordo, cioè di
soffiarmi il naso due volte. Eh, eh.
FARINELLA - Sete voi, Messer Zenobio?
ZENOBIO - Sí sono, dolce mia vita.
FARINELLA - Aspettate, che or ora vengo a
basso.
ZENOBIO - T'aspetto, cor mio. Oh, che
felice notte sarà questa per me! Oh, s'io vi posso arrivare, la voglio pur ben
burrattare questa farina.
FARINELLA - Dove sete?
ZENOBIO - Io son qua.
FARINELLA - Orsú, venite dentro e andate
piano, ché 'l Messer non vi sentisse, ch'egli è poco ch'io l'ho messo a letto.
Attaccatevi a me e non citite; eccoci a l'uscio, entriamo dentro.
ZENOBIO - Va' pur là, ch'io ti seguito.
FLAVIO - Io son stato qua di dietro e ho
visto Messer Zenobio entrare in casa con il Signor Lelio. Oh, che bella burla
sarà questa quando si conosceranno insieme! Certo non si poteva ritrovare la
piú nobile invenzione di questa da gabbar questo vecchio balordo; ma io voglio
accostarmi alla porta con l'orecchio e stare a sentire come passa il negozio.
Ma mi pare già di sentire un gran strepito per casa; orsú, la rasa è scoperta.
ZENOBIO - A questa foggia, Lelio, a
Zenobio tuo padre, an?
LELIO - A questa foggia, ah, mio padre, a
Lelio vostro figliuolo, an?
ZENOBIO - Porti in abito di femina per
avere costei per moglie.
LELIO - Porti in abito di fornaio per
prendere una serva per moglie. Ma non gridate voi, che non gridarò ancor io.
ZENOBIO - Ch'io non gridi an, ribaldo?
Aver fatto questo smacco a tuo padre?
LELIO - Chi merita piú castigo di noi dua?
Io, che son giovane, a essermi innamorato di una giovane bella e nobile, o voi,
che sete vecchio, a esservi innamorato di una massara da cucina? Date la
sentenza voi, ch'io mi contento.
ZENOBIO
- Tu hai ragione in parte, ma non in tutto.
LELIO - Io ho ragione in tutto, perché
quello che io ho fatto, l'ho fatto con giudicio, e sarò sempre lodato appresso
a tutti, essendo cosa naturale l'innamorarsi in gioventú e cercare di
conseguire il suo amore con stratagemme oneste, come ora ho cercato di far io,
che avendo già data la fede alla Signora Ardelia di pigliarla per moglie, e
essendomi interditto da voi, ho cercato con tal invenzione di conseguire
l'intento mio. Ma che dirà il mondo di voi, se si saprà mai che abbiate comesso
simil fallo, che sete vecchio e tenuto in tanta riputazione in questa città, e
aver fatto un farfallone di questa maniera? Però non state piú a dir altro, ma
concedetemi Ardelia per mia consorte, se non che io gridarò e farò correr i
vicini a vedere questa bella festa, e restarete svergognato a fatto.
FLAVIO - Orsú, egli è tempo che io mi
scuopra. Che rumor è questo, che voi fate qua, Messer Zenobio, da quest'ora a
gridare con questa serva?
ZENOBIO - Ah, Signor Flavio, Signor
Flavio, voi sete stati d'accordo, eh? A questo modo, eh? Voi sete stato
l'inventore di questo fatto, e poi ancora l'ignorate. Questa è una serva, eh?
FLAVIO - Orsú, Messer Zenobio, il mondo dà
cosí, la gioventú vuol far suo corso, questa non è tanto gran cosa, che non
abbiate da acconsentire ancor voi. Il Signor Lelio era innamorato di questa
giovane, e sapendo che voi non eravate contento ch'ei la pigliasse per moglie,
s'è ingegnato di porsi in questa guisa con il mezo mio, e ha fatto quello che
voi vedete. Però contentatevi ch'esso la pigli per moglie, che non ne sarà
altro.
LELIO - Sì, sì, mio padre, fate quello che
dice qui il Signor Flavio.
ZENOBIO - Adagio un poco, non corriamo
cosí a furia. Messer Pancrazio sa egli questo fatto?
LELIO - Messer no, ma so che esso si
contenterà, come sete contento voi.
ZENOBIO - Quando ei si contenterà, mi
contenterò ancor io, ma lo voglio saper da lui.
PANCRAZIO - Io ho sentito un gran ragionar
di persone qui dritto la mia porta, e son uscito fuori per vedere che
parlamenti sono questi, che si fanno innanzi alla mia casa da quest'ora. Oh là,
Farinella, che fai qua in strada di notte con costoro? Ah, ribalda, tu gli
volevi tirar in casa, eh? Ma s'io piglio un legno ti fiaccarò le braccia,
forfante, disgraziata. Entra in quella casa, e voi andate a fare i fatti
vostri, e non venite a isviare le serve de' cittadini, ché ve ne pentirete.
LELIO - Eh, padrone, non sono genti che mi
voglino isviare, no. Egli è il garzon del fornaio, ch'era venuto a comandare
che noi facessimo il pane a bon'ora domattina.
PANCRAZIO - Dov'è questo fornaio? Fatti
innanzi, ch'io ti veda. Perché ti copri tu il volto?
FLAVIO - Orsú, Messer Pancrazio, non
cercate piú innanzi per ora, ché quando sarà tempo saprete chi è il fornaio, e
ogni cosa. Voi dovete sapere, che tutti quelli che son qui, son vostri amici, e
ogni cosa è fatto per util vostro.
PANCRAZIO - Perché per util mio?
FLAVIO - Perché questo che voi credete che
sia una donna, è il Signor Lelio, figliuolo di Messer Zenobio, il quale io
acconciai a stare con voi per serva, perché, portando egli grandissimo amore
alla Signora Ardelia vostra figliuola, e volendo suo padre ch'esso andasse allo
Studio di Padova per levarlo da questa impresa, egli che ardeva dell'amor di
lei, come vi ho detto, e che bramava d'averla in legitimo matrimonio, s'è posto
in quest'abito che vedete, e io gli son stato sensale a porlo in casa vostra,
dove s'è scoperto alla Signora Ardelia per quello che egli è, e si sono dati la
fede l'uno e l'altro di prendersi insieme per marito e moglie, sí che dovete
aver caro questo, essendo passato il negozio sotto onesta maniera, e non in
altro modo.
PANCRAZIO - Questa dunque non è femina?
FLAVIO - Signor no.
PANCRAZIO - Ed è stato in casa mia, e
pratticato con Ardelia? Oh, poveretto me!
LELIO - Non vi date tanto affanno, Messer
Pancrazio, perché s'io son stato nella casa vostra, ho conversato e trattato
con vostra figliuola con quella onestà e modestia, che deve usare un vero
gentil'uomo par mio, e sono qui prontissimo per fare quanto è mio debito e
quanto comporta l'onor vostro e mio insieme, cioè di prenderla per moglie, se me la volete dare.
FLAVIO - Questa è la piú breve strada, che
in tal caso si ha da prendere, poiché con tanta sincerità viene il Signor Lelio
a chiedervela per consorte.
PANCRAZIO - Ma, ditemi un poco, Signor
Lelio: vostro padre sarà egli contento di questo?
LELIO - Non occorre a parlare se mio padre
sarà contento: basta a me che sia contento questo fornaio, ch'è qua.
PANCRAZIO - Io non voglio che quel fornaio
s'intromette in questo negozio; io voglio ch'ei sia vostro padre che dica di
sí, ché allora noi serraremo il negozio.
FLAVIO - Fate conto che quel fornaio sia
suo padre, e come avete la parola da lui, non cercate poi altro.
PANCRAZIO - Fatelo un poco venire innanzi.
Che domin de fornaio può essere questo, il quale ha tanta auttorità?
LELIO - Fatevi innanzi, signor fornaio, e
dite di sí.
ZENOBIO - Io dirò di si, poiché io non
posso far di manco. Dategliela pure, ch'io mi contento.
PANCRAZIO - O potta del mondo, questo è
Messer Zenobio. Ma da quanto tempo in qua sete doventato fornaio, Messer
Zenobio? Oh sí che questa è da ridere da buon senno.
ZENOBIO - Sí per voi, ma non per me; orsú,
fate pur quello che voi avete da fare, e non state a cercare altro del fatto
mio, né perché io mi sia in quest'abito; basta che ogni cosa torni a proposito
vostro e a beneficio di vostra figliuola.
FLAVIO - Orsú, quello ch'è fatto sia
fatto, e non si facci piú parole. Su, Messer Pancrazio, chiamate la Signora
Ardelia, e che se gli dia questa buona nuova.
LELIO - Eccola qui, che la vien fuora.
ARDELIA - Ohimè, che gridar è questo, che
si fa qui tutta questa notte?
PANCRAZIO - Sí si, venite innanzi, bella
madonna. Che gridar è questo che si fa qua, an? Voi non lo sapete, no? Ah,
Ardelia, Ardelia.
ARDELIA - Io non ne so nulla; che volete
ch'io sappia, s'io ero in letto?
PANCRAZIO - Orsú, poiché la cosa si
rissolve in bene, io non voglio interrompere il negozio; ma ben meritaresti
ch'io ti dessi un gran castigo.
FLAVIO - Orsú, Messer Pancrazio, non state
a replicare altro, di grazia, ma quanto prima concludemo il fatto, perché
oramai comincia apparir l'alba, e staremo tanto qui, che si farà giorno chiaro.
PANCRAZIO - Fatti innanzi dunque, e dimmi
se ti piace di prendere qui il Signor Lelio, non piú la Farinella, per tuo
sposo e marito.
ARDELIA - Signor sì.
PANCRAZIO - Forsi che tu m'hai detto di
no?
FLAVIO - Perché volete ch'ella dica di no,
se già essi sono d'accordo insieme?
PANCRAZIO - E voi, Signor Lelio, vi piace
di prendere qui Ardelia mia figliuola per vostra sposa e consorte?
LELIO - Ohimè, non m'è mai aviso.
PANCRAZIO - Orsú dunque, toccatevi
novamente la mano; il negozio è concluso; tocca ancora la mano a questo
fornaio, ch'è qua.
ARDELIA - Non mi curo di toccare la mano a
quel fornaio io, ché lui non ha a essere mio marito.
PANCRAZIO - Fa' quello che ti dico io, che
non puoi fallare, e falli onore e riverenza quanto s'ei fusse tuo suocero; m'hai inteso?
ARDELIA - Il mio suocero è Messer Zenobio,
e a quello porterò onore e riverenza, e sarò sempre parata ad ubidirlo, non
come nuora, ma come sua figliuola propria.
ZENOBIO - Orsú, io voglio ch'ella mi
conosca: io sono Zenobio vostro suocero, posto in quest'abito per fare un certo
mio negozio, che qui non occorre a dirlo per ora, e vi accetto per nuora e per
figliuola. Toccatemi la mano e che si dia principio alle allegrezze.
FLAVIO - Le nozze si faranno doppiamente,
poiché ancor io ho preso per moglie la Signora Silvia, e faremo tutti un
banchetto insieme, se vi contentate.
ARDELIA - Sì, di grazia, Signor Flavio,
accioché, sí come siamo state compagne ne i nostri affanni, siamo parimente
compagne nelle allegrezze nostre. Andatela a pigliare e conducetela qua.
FLAVIO - Or ora vado. Non vi partite, ché
saremo qui in un tratto ambidui.
LELIO - Orsú, andate via, che vi
aspettiamo. Ma chi è questo, che viene in qua cosí gobbo? Egli è Burasca, che
mi deve aver cercato per tutto e non mi ha trovato. Oh, poveraccio! Ei sarà
giunto a ora delle nostre nozze. Oh,
Burasca, tu sia il ben venuto.
BURASCA - Cancaro, io potea ben cercarvi,
an, i miei gentil'uomini; andate pure che sete galanti, e che non m'hanno fatto
andare fino a Padova a cercarlo, e essi son stati qua a darsi buon tempo sotto
abiti feminili. Io ho ben saputo ogni cosa, sí; orsú pur, buon pro vi faccia.
Buon è stato per me ch'io sia giunto a tempo di questi trionfi, ché ancor io mi
potrò ungere fino alli gombiti. Ma chi è questo fornaio? Oh, egli è il Messere,
ah ah; oh, che diavolo fate voi vestito
in quest'abito?
ZENOBIO - Orsú taci, bestia, e non voler
sapere quello che a te non tocca.
BURASCA - Io non dico piú nulla per conto
vostro, ma parlo con il Signor Lelio. A Dio, Signor Lelio, voi mi fésti dar da
bere a l'osto di quel vino alloppiato, accioché dormessi, come io feci, e in
cambio di cavalcare innanzi, voi tornasti indietro per venire a fare quello che
avete fatto, e io poveraccio v'ho cercato per tutto; e mentre io tapinava per
il mondo, e voi stavate qui a lavare le scodelle della Signora Ardelia. Ma il
dover vuole che, se 'l pagliaio abbruccia, che ancor io mi scaldi.
LELIO - Il dovere e la ragione il vuole, e
se tu hai durato fatica per me io ti ristorerò. Ma che cosa hai a quella
spalla, che 'l pare che tu vadi gobbo?
BURASCA - Ell'è stata la serva di Madonna
Simplicia, la quale mi ha morsicato.
LELIO - E perché?
BURASCA - Perché io ero venuto alle mani
con Chiappino, ragazzo del Signor Flavio, del quale ella è innamorata; e mentre
eravamo attaccati insieme, ella mi si è tratta con i denti e m'ha tirato via un
pezzo di carne. Ma io voglio rompere la testa a quel furbo di paggio, come io
lo trovo.
LELIO - Orsú, io voglio che tu facci pace
seco; vedilo che esso vien qua innanzi alla Signora Silvia, la quale è fatta
sposa ancor essa del Signor Flavio, e le nozze si faranno doppiamente, perché e
esso e io le facciamo insieme, e si ha da tenere corte bandita per otto giorni
continui.
BURASCA - Cancaro, la va doppia di figure!
Orsú, poiché sete gionti al fine de i vostri desideri, io non voglio stare piú
a riccordarmi d'alcuna offesa, ma che si facci allegrezza e festa, né si parli
piú di noia, né d'affanno passato, e in segno di ciò io faccio la pace con
tutti.
FLAVIO - Venite innanzi, Signora Silvia:
ecco la Signora Ardelia, che vi aspetta.
SILVIA - O ben trovata, la mia Signora
Ardelia; io mi rallegro infinitamente delle vostre allegrezze.
ARDELIA - Ed io altro tanto delle vostre,
Signora Silvia, e ne sento un contento grandissimo al cuore.
PANCRAZIO - Orsú, entriamo tutti in casa
mia, e che domattina s'invitino i sonatori, i cuochi e i ballarini e i musici,
e che si dia principio alle nostre feste e a i trionfi. Venite via tutti, che
io vado innanzi.
ZENOBIO - Entrate dentro, signori sposi,
che noi vi seguiremo di mano in mano.
BURASCA - Oh, sia lodato il Cielo, che una
volta si sono finiti questi garbugli, che io non sentirò piú sospirare nissuno
di costoro, che mai non facevano altro che gracchiare e lamentarsi, che sempre
parea che gli dogliesse nel corpo. Ma io voglio entrare ancor io e mangiar
tanto in queste nozze, che mi creppi la pancia, per reffarmi dei danni passati.
Or sí che questa è la volta che mi voglio far lucere il pelo. E vadino in
chiasso tutti gl'innamorati, e la prima sia Gianettina, che m'ha storpiato di
questa spalla e mi ha concio di modo, che chi mi vede andare con una spalla
alta e una bassa mi toglie per il gobbo di Rialto. Orsú, io entro.
IL FINE
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