Thursday 9 July 2020

Thursday's Serial: "La Farinella, commedia in cinque atti" by Giulio Cesare Crocce (in Italian) - the end


ATTO QUARTO
SCENA PRIMA - Signor Flavio solo.
FLAVIO - Io non so quello che s'avrà fatto il Signor Lelio; crederò bene ch'ei si sarà scoperto con la Signora Ardelia, e ch'essi avranno dato principio alle loro contentezze. Oh, quando il vecchio saprà il fatto, che cosa dirà egli mai? So ch'egli braverà, ma, facci quello ch'ei vuole, non potrà vietare ch'Ardelia non sia di Lelio, né manco lo può privare per simil conto, essendo ella figliuola d'un gentil'uomo nobile, se ben ora si trova in bassa fortuna. Oh, quanto ho caro d'aver servito l'amico! Voglio andar ancor io a ritrovare la Signora Silvia, ch'io non vorrei però perdermi tanto ne i fatti d'altri,  che mi scordassi gli miei, perché ho dato ordine di parlar seco, e vedere di tirare a fine il nostro negozio; e già la madre si contenta di darmela, a tale che faremo le nozze ambi dua in un istesso tempo, cioè il Signor Lelio e io, esso sposando la Signora Ardelia e io la Signora Silvia. Oh, che belle feste s'hanno da fare! Ma io vedo  venire in qua Messer Zenobio, o è molto attilato. Che cosa sarà questa? Io voglio andarmene innanzi ch'egli mi veda, perché so ch'egli ha un poco d'ombra verso di me per conto del Signor Lelio e mi potrebbe dire qualche cosa, che non fusse a proposito mio, e però voglio cercare di schivare i rumori fin ch'io posso. Non mancherà mai tempo di gridare. Io voglio voltare per di qua.

SCENA SECONDA - Messer Zenobio e Farinella.
ZENOBIO - Io son pur stato tanto su la traccia per conto di quella serva, ch'io ho inteso ch'ella sta in casa di Messer Pancrazio e ch'ella si chiama Farinella; e però io voglio un poco andare verso la casa sua, forsi ch'io la potrei vedere un altro poco. Oh, chi avesse mai detto che Zenobio si fosse innamorato in sua vecchiezza? In fine si vede ch'amore non porta rispetto a sesso né a etade alcuna; ma a sua posta, dica chi vuole, io non voglio stare per questo, ch'io non cerchi il fatto mio; non sono il primo, né sarò l'ultimo che sia caduto in simil errore. Ma ecco la Farinella; a fè che vien fuori di casa, io mi voglio un poco tirare suso il colaro e accommodarmi la beretta per mettermi alla via di dargli l'assalto. Ah,  Zenobio, sta' in cervello adesso che ti bisogna.
FARINELLA - Ho veduto mio padre da stare alla finestra, e sono uscita fuori per fargli la burla, s'io potrò. Oh, che vecchietto! Mira un poco com'ei s'è ingalluzato quando m'ha visto; io voglio fare vista d'andare in piazza, e sentirò quello ch'ei vuol dire.
ZENOBIO. - Il Cielo ti salvi, Farinella galante.
FARINELLA - Ancor voi, bello Messere.
ZENOBIO - Dove si va cosí in fretta?
FARINELLA - Io vado dal merciaio a comperare degli aghi per la mia padrona.
ZENOBIO - Fermati un poco, non andare cosí in furia.
FARINELLA - Eh, Signore, bisogna ch'io camini, ch'ella le vuole oprare adesso adesso, e poi non sta bene ch'io mi fermi a parlare con gl'uomini, perché io son troppo da bene, e s'io fussi veduta ragionar con voi, io non potrei poi trovar marito.
ZENOBIO - Tu hai dunque animo di maritarti?
FARINELLA - Sì, s'io trovarò chi mi voglia. Credete voi ch'io voglia stare sempre alla servitú d'altri? E poi io ancora son di carne come l'altre, sapete.
ZENOBIO - Anzi sei di latte, e non di carne, la mia bella Farinella.
FARINELLA - Orsú, Messere, voi mi date la burla.
ZENOBIO - Hai torto, Farinella, a dir questo, ch'io la darei a chi volesse darla a te; anzi di piú ti dico ch'io ti voglio tanto bene, che non trovo loco, e se tu serai quella giovane che tu potrai essere, felice te.
FARINELLA - Che parole sono queste, Messer Zenobio, che voi vi lasciate uscir di bocca? Non vi vergognate in questa età di parlar cosí con una fanciulla semplice e pura, come son io? Oh, bello esempio che voi date ai giovani! Andate, andate.
ZENOBIO - Non ti turbare, di grazia, Farinella galante, perché non è in arbitrio mio il poter resistere a i colpi d'Amore, però contentati ch'io ti voglia bene, e domandami ciò che tu vuoi, ch'io son qui pronto e parato a servirti. Eccoti la borsa, pigliati che danari tu vuoi, e prendi ancora questa filza di coralli e portali al collo per amor mio.
FARINELLA -  Io vi ringrazio della vostra cortesia, e gli accettarei quando io pensassi che voi andasti di buone gambe; ma veggio che voi cercate di macchiar l'onor mio, e però io non voglio nulla del vostro.
ZENOBIO - Pigliali, di grazia, e piglia ancora queste scarpe e queste pianelle ch'io ti dono, e questi quattro scudi da comprarti da far delle camiscie e di quello che ti bisogna.
FARINELLA - Voi sete tanto cortese e liberale verso di me, ch'io non posso mancare di non accettare il dono che voi mi proferite, e faccio conto che questa sia un'elemosina che voi mi fate, e son obligata pregare sempre per voi   sin ch'io sarò viva, e gran mercè a voi; il Cielo vi dia cento per uno, e mi vi raccomando.
ZENOBIO - Ohimè, dove vai? Fermati ancora un poco ch'io non t'ho ben mirata a mio modo.
FARINELLA - E di grazia, Messere, non mi trattenete piú, ché la mia patrona mi criderà, ch'io sto troppo a tornare a casa.
ZENOBIO - Non ti dubitar di questo, ché quando ben ella ti  mandasse via, io ti darò sempre ricapito in casa mia, e sarai patrona della robba e di me stesso.
FARINELLA - O questo non credo io, perché se 'l Signor Lelio vostro figliuolo tornasse dallo Studio e mi trovasse in casa vostra, mi cacciarebbe fuori vituperosamente, onde sarebbe vergogna a voi, e a me infamia e disonore.
ZENOBIO - Non temer di questo, ch'io sono il padrone, e non esso; e poi egli ha da stare tre anni a tornare a casa, e in questo tempo si può fare di belle cose.
FARINELLA - No, no, io son rissoluta di non ne voler fare altro. Pur, per non esser villana verso di voi, voglio darvi alquanto di sodisfazzione, la quale sarà questa: come sono andati a letto i padroni di casa, io vi aprirò l'uscio piano piano e vi tirarò dentro, e ivi potrete discorrere e dirmi l'animo vostro, ch'io v'ascolterò. Ma non ci veniste se non avete buona intenzione verso di me, perché voi saresti degno di gran castigo, s'ingannasti una donzella pura come son io, vedete.
ZENOBIO - Io camino di buone gambe verso di te, e, a dirtelo alla libera, io voglio che tu sia mia moglie. Or che dici, cerco io d'ingannarti, o no?
FARINELLA - Quando avesti questo buon animo, io non voglio ricusare il dono che mi fa la mia buona sorte, e se bene io son povera serva, mi porterò di maniera tale, che se bene il Signor Lelio tornarà, non gli sarà grave avere  una matrigna come son io.
ZENOBIO - Adesso conosco che tu sei prudente. Orsú, questa sera io verrò alle quattr'ore come m'hai detto; ma vedi non mi burlare.
FARINELLA - Non dubitate di niente, venite pur allegramente. Vero è che bisognarebbe che voi aveste un altro, abito indosso, acciò ch'essendo incontrato a sorte da qualche vostro amico, voi non fusti conosciuto, ché questo sarebbe errore del doppio.
ZENOBIO - Tu dici la verità; ma che abiti potrei io pormi indosso, ch'io non fussi conosciuto? Dimelo, ti prego.
FARINELLA - A non volere che nissuno vi conosca, il miglior abito che sia si è vestirsi da matrona, perché la gente incontrandovi non vi darà fantasia.
ZENOBIO - Questo sarebbe bonissimo; ma il male è che le donne non sogliono andare in volta da quell'ora.
FARINELLA - Vestitevi dunque da fornaio, e sarà piú sicura, perché domattina noi facciamo il pane, e se a sorte fossero levati quelli di casa, se vi sentissero, io piglierò scusa che voi sete il fornaio, che sete venuto a portare l'asse, e cosí la cosa passerà benissimo.
ZENOBIO - O buono, o buono, oh questo mi piace! Orsú, io verrò vestito in abito di fornaio; ma che segno vuoi tu che ti dia, acciò che tu mi conosca?
FARINELLA - Soffiatevi il naso forte due volte, e io subito verrò ad aprirvi l'uscio pian piano. Orsú, mi vi raccomando.
ZENOBIO - A Dio, Farinella, chi sará il tuo caro sposo?
FARINELLA - Il mio Messer Zenobio.
ZENOBIO - E la mia cara sposa?
FARINELLA - La vostra Farinella.
ZENOBIO - Orsú, a Dio.
FARINELLA - Andate alla buon'ora. Oh, che vecchio balordo! Mira s'egli ha perso il cervello a innamorarsi d'una serva! Ma io lo voglio tirare in casa e scoprirmi per quello ch'io sono, e anco scoprire l'error suo. Come farà vedendosi scoperto a non fare a modo mio? Orsú, pur egli è fatto il becco all'oca. Alla fè, io gliela voglio caricare.

SCENA TERZA - Burasca, Gianettina e Chiappino.
BURASCA - In somma io mi son chiarito che 'l Signor Lelio non è andato altrimenti a Padova; ma è stato veduto tornare indietro. Diàncene, dove può egli essersi fitto? Sarà in casa del Signor Flavio certo, perché so che sono compagni intrinsechi, e l'uno e l'altro sono innamorati, e l'uno si tiene con l'altro, onde facilmente sarà vero quanto mi vado pensando. Ma con che animo tornerò innanzi al vecchio e che cosa gli dirò io? Del certo non ci voglio piú tornare, ma me n'andarò a stare in casa d'un mio cugino, e ivi dimorerò sin a tanto ch'io sappia quello che sia avvenuto di costui. Ma chi è questa che viene in qua con questi secchi in mano? O potta di me, ell'è Gianettina, serva di Madonna Simplicia, quella ch'io amo tanto, e mai non ho potuto avere una parola buona; pur si suol dire che tanto dà una goccia d'acqua su la pietra, ch'ella si spezza; però io non voglio abbandonare l'impresa. Chi sa ch'ella non si sia mutata di proposito? Io la voglio un poco salutare e dirgli due parole, s'ella mi vorrà ascoltare. Io ho sempre udito dire, che tentare non nocet, e ch'audaces fortuna iuvat, e sfacciato cacciati innanzi: cosí farò ancor io, e vada come si voglia. A Dio, Gianettina bella: dove si va cosí in fretta? Fermati un poco.
GIANETTINA - O fermatevi, che la spesa importa di fermarsi, poiché l'ha detto questo bel giovine.
BURASCA - S'io non son bello, io son buono.
GIANETTINA - Sì, da brugiare.
BURASCA - E per te abbrugio di continuo, cor mio.
GIANETTINA - Aspetta com'io torno dal pozzo da pigliar acqua, ch'io ti roversarò addosso questi due secchi e ti smorzerò.
BURASCA - Alla fiamma d'amor acqua non giova.
GIANETTINA - O tu ne sai tanta.
BURASCA - Amor m'ha fatto cosí dotto.
GIANETTINA - Meglio sarebbe che tu fusti di sette, e non d'otto.
BURASCA - Orsú, lassiamo andar le burle da parte, e dimmi quanto starai a farti benigna e amorevole verso di me.
GIANETTINA - Quando le oche faranno la cresta.
BURASCA - Tu sei su le burle, tu.
GIANETTINA - E tu su le canzoni.
BURASCA - Tu non mi vuoi dunque bene.
GIANETTINA - L'esperienza te ne fa chiaro.
BURASCA - Tu hai un core molto duro.
GIANETTINA - Signal è che non è di cera, come il tuo.
BURASCA - Tu dici il vero che 'l mio cuore è di cera, che per te si strugge e consuma.
GIANETTINA - Quando io ti vederò consumato del tutto, allora poi ti crederò.
BURASCA - Tu brami dunque di vedermi morto.
GIANETTINA - Che importa a me se tu mori o se tu vivi;  perché se tu mori, non tocca a me a farti sepelire, e se tu vivi, non tocca a me a farti le spese; sí che fa' quello che ti pare, e lassami andare al mio viaggio, se non ti batterò uno di questi secchi su la testa.
BURASCA - Io ti prego a non mi lassar cosí presto. Vieni un poco qui.
GIANETTINA - O tu sei insolente, par a me. Tu dei aver bevuto, non è vero, imbriacone?
BURASCA - Potta del mondo, tu sei così ruvida; fermati.
GIANETTINA - E lassa qua sto secchio, se non che io gridarò e mi farò sentire. O vicini, o gente, venite aiutarmi.
CHIAPPINO - Ho sentito gridare, e mi pare la voce di Gianettina. Oh là, chi è quello che ti dà impaccio, Gianettina?
GIANETTINA - Ohimè, egli è Burasca, che m'ha fatto venire tutta in sudore, e volea trattenermi qui al mio dispetto.
CHIAPPINO - Aspetta un poco, o potta di me, io ti farò ben venire una burasca adosso, io. Che vai cercando? Poltrone, gaglioffo, insolente, vatti, domestica con i pari tuoi imbriachi e lassa star costei, ch'ella non è carne per i tuoi denti; mira che mostazzo da berlina, che vuole sforzar le donne' qui su la strada. Tira via e va' alle forche.
BURASCA - Deh, forfantello, sfacciato, sciaguratino che sei, se non fusse ch'io mi vergogno a pormi con una frasca par tuo, io mi scingerei la correggia e ti darei venticinque correggiate; mira che mi vuol fare adosso il rodomonte. Va', lecca le pignatte, che gli è tuo mestiero, e  levatimi di qua.
GIANETTINA - Sì, tu lecchi le pignatte e i tegami di cucina, e non lui, e sei un famigliaccio da stalla, che puzzi di succidumo discosto cinquanta miglia. Quant'è che tu non hai cantato la girometta nella streglia?.
BURASCA - Io non parlo teco; parlo con lui.
CHIAPPINO - Ed io parlo con te, e farò teco una menata di pugna; e eccomi all'ordine, vientene via.
BURASCA - Oh, il Cielo m'aiuti oggi con questo disgraziatello! Almeno fussi tu par mio, che vorrei cavarti i grilli del capo.
CHIAPPINO - Fa' conto ch'io sia par tuo. Te', piglia questa.
BURASCA - Ah putana, ch'io non dico del mondo, aspetta un poco. Bisogna che metta la discrezione da banda con questo furbaccio.
GIANETTINA - Lassalo stare, vedi, e non lo sguardar quant'egli è lungo, che la faremo in tre a dui per parte.
BURASCA - Io lo voglio pestare a mio modo, aspetta ch'io ti piglia per il collo. Oh, adesso brava, se tu puoi.
GIANETTINA - Lassalo, ti dico, manigoldaccio, se non che io ti mangierò questa spalla.
BURASCA - Ohimè la mia spalla! O cagna arrabbiata, a questa foggia, eh, mordermi le spalle.
GIANETTINA - Ti spiccarò ben anco il naso con i denti. Ah, ah, tu l'hai lasciato.
CHIAPPINO - Aspetta ch'io ti voglio rompere la testa con questo sasso.
GIANETTINA - Orsú, metti giú quel sasso e non gli dare impaccio, e vieni con me a pigliare dell'acqua, ch'io ti voglio parlare da te e me, e lassa gracchiare questo barbagianni. Vien via.
CHIAPPINO - Andiamo, vita mia. Or di' in che modo costui voleva domesticarsi. Va' alla stalla, cialtrone.
BURASCA - No no, io ti trovarò bene da te e me. Sí, disgraziatino, tu non serai sempre con quella massaraccia.
CHIAPPINO - Ohimè, chi avesse paura? Guarda pure se tu ne vuoi fare un'altra menata.
BURASCA - Io non voglio far altro, perché non v'è l'onor mio, ma voglio far sapere al Signor Flavio e a Madonna Simplicia questo fatto. Andate pur via e lassate fare a me, ch'io voglio che lo sappiano del certo.
CHIAPPINO - Dilli quello che tu vuoi, in ogni modo tu non sei mai per essere amato da costei. Uh, dàlli dàlli a bernardone!
BURASCA - Orsú, andate pur via, voi non riderete sempre. Oh, poveraccio me, ogni cosa mi va bene alla roversa ora; ma io lo voglio dire a i lor padroni che se essi faranno cura d'onore, gli caccieranno alle fune ambidue. Ohimè, la mia spalla! Oh, ti venga il cancaro ne i denti. Io credo ch'ella m'abbia tirato via una libra di carne, ella deve avere lunghi i denti come una cagna levriera, tanto ella mi ha passato in dentro. E quel furbo giotto di quel ragazzo m'ha quasi anch'esso rotto la testa con quel sasso. Orsú, io voglio ritirarmi in qualche loco fin ch'io posso sapere quello che sia avvenuto del Signor Lelio. Oh, infelice Burasca, so che tutte le burasche si sfogano oggi sopra di te. Orsú, pazienza, il Cielo vuol così.


ATTO QUINTO
SCENA PRIMA - Flavio e Lelio.
FLAVIO - Io ho parlato con la madre della Signora Silvia e ho concluso seco quanto si deve, cioè ch'ella sia mia moglie, e la madre si contenta, con sommo gaudio della figliuola, né altro piú ci resta a fare che le nozze. Ma innanzi ch'io venghi a questo, vorrei ancor che 'l Signor Lelio concludesse di far le sue; e a punto mi son partito di casa, per intendere quanto è successo fra esso e la Signora Ardelia, perché mi pare ch'essi abbino avuto grandissima commodità di negoziare il fatto fra di loro. Ma eccolo qua: forsi mi deve aver veduto dalla finestra, e mi viene incontro. Io saprò qualche cosa del certo.
LELIO - A Dio, Signor Flavio.
FLAVIO - A Dio, Signor Lelio, volsi dire Farinella galante. Come state, e come passa il vostro negozio?
LELIO - Benissimo, Signor mio. Voi dovete sapere che mio padre mi ha veduto, e credendomi femina s'è inamorato di me, e questa sera ho dato ordine ch'esso venghi alle quattr'ore in abito di fornaio, che io gli aprirò l'uscio, e che trattaremo insieme de i nostri amori, e m'ha promesso di sposarmi e farmi padrona di casa, e mill'altre  balorderie, secondo il poco cervello ch'egli ha. Ma lo voglio chiarire del certo, venghi pur via, e mi sono scoperto con Ardelia, e siamo d'accordo, e già ci siamo data la mano, sí che fra noi la cosa è conclusa; e però con l'occasione di tirare il vecchio questa sera in casa, mi scoprirò a lui per quello ch'io sono, e esso trovandosi in  quel abito alla mia presenza, avrà di grazia di fare a modo mio. Or che ne dite?
FLAVIO - O buono, o buono, a fè; oh, la verrà pur bene!
LELIO - Tutto quello, che io voglio da voi si è che questa sera alle quattr'ore vi ritroviate qui d'intorno, e, udendoci gridare insieme, verrete innanzi e sarete presente a quanto s'ha da fare e servirete per testimonio in simil  negozio.
FLAVIO - Ma che dirà Messer Pancrazio di questo?
LELIO - Messer Pancrazio sarà piú che contento. Trovatevi pur voi qua a l'ora ch'io v'ho detto.
FLAVIO - Orsú, io anderò dunque fino a casa a pigliar la mia lanterna e il mio mantello dalla notte, e a l'ora impostami sarò qua. A Dio.
LELIO - A Dio. Orsú io voglio tornare in casa, ché non può fare che Messer Pancrazio non venghi, perché ormai è sera e vuol cenar presto, e come ha cenato ei se ne va a dormire, e cosí avrò commodo di fare il fatto mio con il vecchio. Oh che burla, oh che burla!

SCENA SECONDA - Messer Pancrazio solo.
PANCRAZIO - Io son stato tanto a ragionare con Messer Demetrio mio compare, ch'io ho fatto venir sera, e perché non son uso a stare fuora da quest'ora, par che quest'aria m'abbi fatto venire un poco di catarro. Però me ne voglio gire a casa e cenare quanto prima e andarmene a letto. Oh, povera vecchiaia, io so che tu vieni con tutti i diffetti. Io mi ricordo quando io ero giovane, che non m'avriano fatto male le saette, e adesso ogni poco di cosa mi noce. Orsú pur, pazienza, il mondo va cosí. Io voglio entrare dentro, ché quanto piú io sto qui fuori, tanto piú sto peggio; io non so se ho la chiave della porta adosso. Ma l'uscio è aperto, mi dénno forsi aver veduto da stare al balcone, e hanno tirato la corda, tal che io non avrò briga d'aprirlo. Ohimè il catarro! Dentro dentro, oh che aria fredda!

SCENA TERZA E ULTIMA - Messer Zenobio, Farinella cioè Lelio, Flavio, Messer Pancrazio, Ardelia, Burasca, Silvia e tutti.
ZENOBIO - Io credo, s'io non son sordo, d'aver udito sonare le tre ore, e però mi voglio venire riducendo verso la casa di Messer Pancrazio per trattenermi dolcemente con la mia cara Farinella. Oh, quanta allegrezza sente il mio cuore ora, perché cosí in quest'abito ognuno mi terrebbe per il garzon del fornaio di certo. Oh, che bella invenzione è stata questa! Oh, Zenobio aventurato, che giocondità sarà la tua quando ti troverai cosí bella fanciulla a lato! Io non credo che trovar si possa al mondo uomo piú felice di te. Io voglio dare il cenno secondo che siamo d'accordo, cioè di soffiarmi il naso due volte. Eh, eh.
FARINELLA - Sete voi, Messer Zenobio?
ZENOBIO - Sí sono, dolce mia vita.
FARINELLA - Aspettate, che or ora vengo a basso.
ZENOBIO - T'aspetto, cor mio. Oh, che felice notte sarà questa per me! Oh, s'io vi posso arrivare, la voglio pur ben burrattare questa farina.
FARINELLA - Dove sete?
ZENOBIO - Io son qua.
FARINELLA - Orsú, venite dentro e andate piano, ché 'l Messer non vi sentisse, ch'egli è poco ch'io l'ho messo a letto. Attaccatevi a me e non citite; eccoci a l'uscio, entriamo dentro.
ZENOBIO - Va' pur là, ch'io ti seguito.
FLAVIO - Io son stato qua di dietro e ho visto Messer Zenobio entrare in casa con il Signor Lelio. Oh, che bella burla sarà questa quando si conosceranno insieme! Certo non si poteva ritrovare la piú nobile invenzione di questa da gabbar questo vecchio balordo; ma io voglio accostarmi alla porta con l'orecchio e stare a sentire come passa il negozio. Ma mi pare già di sentire un gran strepito per casa; orsú, la rasa è scoperta.
ZENOBIO - A questa foggia, Lelio, a Zenobio tuo padre, an?
LELIO - A questa foggia, ah, mio padre, a Lelio vostro figliuolo, an?
ZENOBIO - Porti in abito di femina per avere costei per moglie.
LELIO - Porti in abito di fornaio per prendere una serva per moglie. Ma non gridate voi, che non gridarò ancor io.
ZENOBIO - Ch'io non gridi an, ribaldo? Aver fatto questo smacco a tuo padre?
LELIO - Chi merita piú castigo di noi dua? Io, che son giovane, a essermi innamorato di una giovane bella e nobile, o voi, che sete vecchio, a esservi innamorato di una massara da cucina? Date la sentenza voi, ch'io mi contento.
ZENOBIO - Tu hai ragione in parte, ma non in tutto.
LELIO - Io ho ragione in tutto, perché quello che io ho fatto, l'ho fatto con giudicio, e sarò sempre lodato appresso a tutti, essendo cosa naturale l'innamorarsi in gioventú e cercare di conseguire il suo amore con stratagemme oneste, come ora ho cercato di far io, che avendo già data la fede alla Signora Ardelia di pigliarla per moglie, e essendomi interditto da voi, ho cercato con tal invenzione di conseguire l'intento mio. Ma che dirà il mondo di voi, se si saprà mai che abbiate comesso simil fallo, che sete vecchio e tenuto in tanta riputazione in questa città, e aver fatto un farfallone di questa maniera? Però non state piú a dir altro, ma concedetemi Ardelia per mia consorte, se non che io gridarò e farò correr i vicini a vedere questa bella festa, e restarete svergognato a fatto.
FLAVIO - Orsú, egli è tempo che io mi scuopra. Che rumor è questo, che voi fate qua, Messer Zenobio, da quest'ora a gridare con questa serva?
ZENOBIO - Ah, Signor Flavio, Signor Flavio, voi sete stati d'accordo, eh? A questo modo, eh? Voi sete stato l'inventore di questo fatto, e poi ancora l'ignorate. Questa è una serva, eh?
FLAVIO - Orsú, Messer Zenobio, il mondo dà cosí, la gioventú vuol far suo corso, questa non è tanto gran cosa, che non abbiate da acconsentire ancor voi. Il Signor Lelio era innamorato di questa giovane, e sapendo che voi non eravate contento ch'ei la pigliasse per moglie, s'è ingegnato di porsi in questa guisa con il mezo mio, e ha fatto quello che voi vedete. Però contentatevi ch'esso la pigli per moglie, che non ne sarà altro.
LELIO - Sì, sì, mio padre, fate quello che dice qui il Signor Flavio.
ZENOBIO - Adagio un poco, non corriamo cosí a furia. Messer Pancrazio sa egli questo fatto?
LELIO - Messer no, ma so che esso si contenterà, come sete contento voi.
ZENOBIO - Quando ei si contenterà, mi contenterò ancor io, ma lo voglio saper da lui.
PANCRAZIO - Io ho sentito un gran ragionar di persone qui dritto la mia porta, e son uscito fuori per vedere che parlamenti sono questi, che si fanno innanzi alla mia casa da quest'ora. Oh là, Farinella, che fai qua in strada di notte con costoro? Ah, ribalda, tu gli volevi tirar in casa, eh? Ma s'io piglio un legno ti fiaccarò le braccia, forfante, disgraziata. Entra in quella casa, e voi andate a fare i fatti vostri, e non venite a isviare le serve de' cittadini, ché ve ne pentirete.
LELIO - Eh, padrone, non sono genti che mi voglino isviare, no. Egli è il garzon del fornaio, ch'era venuto a comandare che noi facessimo il pane a bon'ora domattina.
PANCRAZIO - Dov'è questo fornaio? Fatti innanzi, ch'io ti veda. Perché ti copri tu il volto?
FLAVIO - Orsú, Messer Pancrazio, non cercate piú innanzi per ora, ché quando sarà tempo saprete chi è il fornaio, e ogni cosa. Voi dovete sapere, che tutti quelli che son qui, son vostri amici, e ogni cosa è fatto per util vostro.
PANCRAZIO - Perché per util mio?
FLAVIO - Perché questo che voi credete che sia una donna, è il Signor Lelio, figliuolo di Messer Zenobio, il quale io acconciai a stare con voi per serva, perché, portando egli grandissimo amore alla Signora Ardelia vostra figliuola, e volendo suo padre ch'esso andasse allo Studio di Padova per levarlo da questa impresa, egli che ardeva dell'amor di lei, come vi ho detto, e che bramava d'averla in legitimo matrimonio, s'è posto in quest'abito che vedete, e io gli son stato sensale a porlo in casa vostra, dove s'è scoperto alla Signora Ardelia per quello che egli è, e si sono dati la fede l'uno e l'altro di prendersi insieme per marito e moglie, sí che dovete aver caro questo, essendo passato il negozio sotto onesta maniera, e non in altro modo.
PANCRAZIO - Questa dunque non è femina?
FLAVIO - Signor no.
PANCRAZIO - Ed è stato in casa mia, e pratticato con Ardelia? Oh, poveretto me!
LELIO - Non vi date tanto affanno, Messer Pancrazio, perché s'io son stato nella casa vostra, ho conversato e trattato con vostra figliuola con quella onestà e modestia, che deve usare un vero gentil'uomo par mio, e sono qui prontissimo per fare quanto è mio debito e quanto comporta l'onor vostro e mio insieme, cioè di prenderla per  moglie, se me la volete dare.
FLAVIO - Questa è la piú breve strada, che in tal caso si ha da prendere, poiché con tanta sincerità viene il Signor Lelio a chiedervela per consorte.
PANCRAZIO - Ma, ditemi un poco, Signor Lelio: vostro padre sarà egli contento di questo?
LELIO - Non occorre a parlare se mio padre sarà contento: basta a me che sia contento questo fornaio, ch'è qua.
PANCRAZIO - Io non voglio che quel fornaio s'intromette in questo negozio; io voglio ch'ei sia vostro padre che dica di sí, ché allora noi serraremo il negozio.
FLAVIO - Fate conto che quel fornaio sia suo padre, e come avete la parola da lui, non cercate poi altro.
PANCRAZIO - Fatelo un poco venire innanzi. Che domin de fornaio può essere questo, il quale ha tanta auttorità?
LELIO - Fatevi innanzi, signor fornaio, e dite di sí.
ZENOBIO - Io dirò di si, poiché io non posso far di manco. Dategliela pure, ch'io mi contento.
PANCRAZIO - O potta del mondo, questo è Messer Zenobio. Ma da quanto tempo in qua sete doventato fornaio, Messer Zenobio? Oh sí che questa è da ridere da buon senno.
ZENOBIO - Sí per voi, ma non per me; orsú, fate pur quello che voi avete da fare, e non state a cercare altro del fatto mio, né perché io mi sia in quest'abito; basta che ogni cosa torni a proposito vostro e a beneficio di vostra figliuola.
FLAVIO - Orsú, quello ch'è fatto sia fatto, e non si facci piú parole. Su, Messer Pancrazio, chiamate la Signora Ardelia, e che se gli dia questa buona nuova.
LELIO - Eccola qui, che la vien fuora.
ARDELIA - Ohimè, che gridar è questo, che si fa qui tutta questa notte?
PANCRAZIO - Sí si, venite innanzi, bella madonna. Che gridar è questo che si fa qua, an? Voi non lo sapete, no? Ah, Ardelia, Ardelia.
ARDELIA - Io non ne so nulla; che volete ch'io sappia, s'io ero in letto?
PANCRAZIO - Orsú, poiché la cosa si rissolve in bene, io non voglio interrompere il negozio; ma ben meritaresti ch'io ti dessi un gran castigo.
FLAVIO - Orsú, Messer Pancrazio, non state a replicare altro, di grazia, ma quanto prima concludemo il fatto, perché oramai comincia apparir l'alba, e staremo tanto qui, che si farà giorno chiaro.
PANCRAZIO - Fatti innanzi dunque, e dimmi se ti piace di prendere qui il Signor Lelio, non piú la Farinella, per tuo sposo e marito.
ARDELIA - Signor sì.
PANCRAZIO - Forsi che tu m'hai detto di no?
FLAVIO - Perché volete ch'ella dica di no, se già essi sono d'accordo insieme?
PANCRAZIO - E voi, Signor Lelio, vi piace di prendere qui Ardelia mia figliuola per vostra sposa e consorte?
LELIO - Ohimè, non m'è mai aviso.
PANCRAZIO - Orsú dunque, toccatevi novamente la mano; il negozio è concluso; tocca ancora la mano a questo fornaio, ch'è qua.
ARDELIA - Non mi curo di toccare la mano a quel fornaio io, ché lui non ha a essere mio marito.
PANCRAZIO - Fa' quello che ti dico io, che non puoi fallare, e falli onore e riverenza quanto s'ei fusse tuo suocero;  m'hai inteso?
ARDELIA - Il mio suocero è Messer Zenobio, e a quello porterò onore e riverenza, e sarò sempre parata ad ubidirlo, non come nuora, ma come sua figliuola propria.
ZENOBIO - Orsú, io voglio ch'ella mi conosca: io sono Zenobio vostro suocero, posto in quest'abito per fare un certo mio negozio, che qui non occorre a dirlo per ora, e vi accetto per nuora e per figliuola. Toccatemi la mano e che si dia principio alle allegrezze.
FLAVIO - Le nozze si faranno doppiamente, poiché ancor io ho preso per moglie la Signora Silvia, e faremo tutti un banchetto insieme, se vi contentate.
ARDELIA - Sì, di grazia, Signor Flavio, accioché, sí come siamo state compagne ne i nostri affanni, siamo parimente compagne nelle allegrezze nostre. Andatela a pigliare e conducetela qua.
FLAVIO - Or ora vado. Non vi partite, ché saremo qui in un tratto ambidui.
LELIO - Orsú, andate via, che vi aspettiamo. Ma chi è questo, che viene in qua cosí gobbo? Egli è Burasca, che mi deve aver cercato per tutto e non mi ha trovato. Oh, poveraccio! Ei sarà giunto a ora delle nostre nozze. Oh,  Burasca, tu sia il ben venuto.
BURASCA - Cancaro, io potea ben cercarvi, an, i miei gentil'uomini; andate pure che sete galanti, e che non m'hanno fatto andare fino a Padova a cercarlo, e essi son stati qua a darsi buon tempo sotto abiti feminili. Io ho ben saputo ogni cosa, sí; orsú pur, buon pro vi faccia. Buon è stato per me ch'io sia giunto a tempo di questi trionfi, ché ancor io mi potrò ungere fino alli gombiti. Ma chi è questo fornaio? Oh, egli è il Messere, ah ah; oh, che  diavolo fate voi vestito in quest'abito?
ZENOBIO - Orsú taci, bestia, e non voler sapere quello che a te non tocca.
BURASCA - Io non dico piú nulla per conto vostro, ma parlo con il Signor Lelio. A Dio, Signor Lelio, voi mi fésti dar da bere a l'osto di quel vino alloppiato, accioché dormessi, come io feci, e in cambio di cavalcare innanzi, voi tornasti indietro per venire a fare quello che avete fatto, e io poveraccio v'ho cercato per tutto; e mentre io tapinava per il mondo, e voi stavate qui a lavare le scodelle della Signora Ardelia. Ma il dover vuole che, se 'l pagliaio abbruccia, che ancor io mi scaldi.
LELIO - Il dovere e la ragione il vuole, e se tu hai durato fatica per me io ti ristorerò. Ma che cosa hai a quella spalla, che 'l pare che tu vadi gobbo?
BURASCA - Ell'è stata la serva di Madonna Simplicia, la quale mi ha morsicato.
LELIO - E perché?
BURASCA - Perché io ero venuto alle mani con Chiappino, ragazzo del Signor Flavio, del quale ella è innamorata; e mentre eravamo attaccati insieme, ella mi si è tratta con i denti e m'ha tirato via un pezzo di carne. Ma io voglio rompere la testa a quel furbo di paggio, come io lo trovo.
LELIO - Orsú, io voglio che tu facci pace seco; vedilo che esso vien qua innanzi alla Signora Silvia, la quale è fatta sposa ancor essa del Signor Flavio, e le nozze si faranno doppiamente, perché e esso e io le facciamo insieme, e si ha da tenere corte bandita per otto giorni continui.
BURASCA - Cancaro, la va doppia di figure! Orsú, poiché sete gionti al fine de i vostri desideri, io non voglio stare piú a riccordarmi d'alcuna offesa, ma che si facci allegrezza e festa, né si parli piú di noia, né d'affanno passato, e in segno di ciò io faccio la pace con tutti.
FLAVIO - Venite innanzi, Signora Silvia: ecco la Signora Ardelia, che vi aspetta.
SILVIA - O ben trovata, la mia Signora Ardelia; io mi rallegro infinitamente delle vostre allegrezze.
ARDELIA - Ed io altro tanto delle vostre, Signora Silvia, e ne sento un contento grandissimo al cuore.
PANCRAZIO - Orsú, entriamo tutti in casa mia, e che domattina s'invitino i sonatori, i cuochi e i ballarini e i musici, e che si dia principio alle nostre feste e a i trionfi. Venite via tutti, che io vado innanzi.
ZENOBIO - Entrate dentro, signori sposi, che noi vi seguiremo di mano in mano.
BURASCA - Oh, sia lodato il Cielo, che una volta si sono finiti questi garbugli, che io non sentirò piú sospirare nissuno di costoro, che mai non facevano altro che gracchiare e lamentarsi, che sempre parea che gli dogliesse nel corpo. Ma io voglio entrare ancor io e mangiar tanto in queste nozze, che mi creppi la pancia, per reffarmi dei danni passati. Or sí che questa è la volta che mi voglio far lucere il pelo. E vadino in chiasso tutti gl'innamorati, e la prima sia Gianettina, che m'ha storpiato di questa spalla e mi ha concio di modo, che chi mi vede andare con una spalla alta e una bassa mi toglie per il gobbo di Rialto. Orsú, io entro.


IL FINE

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